Perché non riusciamo a fare la Transizione? Il problema dell’economia (parte quarta)

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 (Pubblicato anche su Appello per la Resilienza – https://appelloperlaresilienza.wordpress.com/)

Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma, sosteneva fosse assurdo rifiutare in toto il concetto di crescita. Il problema è se può esistere una crescita armoniosa e, ciò che ci interessa qui, se questo obiettivo sia raggiungibile entro il sistema economico. In questo articolo ritorno su come secondo Gail Tverberg (Our Finite World) il problema dei salari dei lavoratori (“non-elité workers“) influenza l’economia in veste di “output”.

Input e output del sistema economico

Nella seconda parte avevo sostenuto che l’input del sistema economico è costituito dai produttori, l’output dai consumatori, la forza-lavoro e che dalle dinamiche generate dal loro incontro emerge il sistema economico come lo conosciamo.

La divisione sociale fra possessori dei mezzi di produzione e forza-lavoro rimane valida poichè non è segnata in modo arbitrario all’interno del vasto campo economico. Si tratta dell’evidenza per cui è unicamente la categoria dei produttori-imprenditori a ricavare profitti dall’attività produttiva.

Ma se i profitti rimangono esclusivi di tale categoria da dove provengono i soldi per pagare i salari dei lavoratori? Una parte dei profitti derivanti dalla produzione andranno a ripagare la forza-lavoro che ha prodotto il bene. Al tempo stesso il lavoratore oltre che forza-lavoro diviene forza-consumo poichè il salario ottenuto che gli serve per procurarsi i mezzi di sussistenza verrà speso in quelle merce che ha contribuito a produrre.

(Dell’intero valore prodotto nell’arco della giornata lavorativa al lavoratore ne viene solamente una parte; la restante viene trattenuta dal produttore ed è questo a generare plus-valore cioè profitto. Può sembrare riduttivo pensare che gli introiti di una grande azienda si ricavino in questo modo ma è proprio per questo che il produttore appena può non esita a ridurre il personale o a automatizzare la produzione. E’ anche per questo che al datore di lavoro non conviene avere lavoratori part-time se può ricavare lo stesso numero di ore di lavoro da un minor numero di lavoratori a tempo pieno)

Ne viene che la domanda dei beni/prodotti può essere generata solo da coloro che lavorano, se ci accordiamo di riservare questo termine solo a coloro che sono ottengono il loro stipendio da altri e non possono ricavare dei profitti dalla loro attività lavorativa. Sono i lavoratori però che “chiudono il cerchio” (output) in quanto forza-lavoro e forza-consumo senza la quale la produzione industriale non avrebbe alcuno sbocco.

Schema della crescita fisica dell’economia
Dobbiamo ora integrare la tematica dell’energia e delle risorse entro la cornice macroeconomica. E’ quello che ha fatto Gail Tverberg.

Questo schema mostra in maniera semplificata le principali linee di flusso che generano crescita economica. Non ha importanza qui considerare la storia economica. Lo schema descrive quella fase della storia umana in cui i combustibili fossili vengono utilizzati come energia primaria per generare attività economica (l’Antropocene). La crescita economica da questo punto di vista è un gigantesco feedback positivo alimentato dalla disponibilità e capacità delle risorse fossili di generare energia a basso costo nella prima fase del loro sfruttamento (mi riferirò al petrolio per semplificare ulteriormente).

La fase di “vacche grasse” (cit. Ugo Bardi)

Fino a che i costi di produzione del petrolio rimangono bassi, le aziende produttrici possono permettersi di venderlo ottenendo surplus (profitti) considerevoli. I settori agricolo e industriale sono i primi beneficiari in quanto richiedono flussi costanti di energia. E’ un periodo di espansione. Il mercato può beneficiare di una grande offerta di beni ed è questo probabilmente a creare le condizioni per un’ampia domanda. In questa fase la società è stimolata ad acquistare e a consumare. Ciò che è essenziale è che i profitti derivanti dalla produzione sono così grandi da permettere:

a) un aumento della scala produttiva e nuovi investimenti (input);
b) un pagamento dei salari ai lavoratori sufficiente a garantirgli una quantità di moneta e potere d’acquisto che possa venir speso in consumi (output).

Se l’inflazione aumenta, diminuisce il potere d’acquisto della forza-lavoro (il consumatore) che non può più permettersi di alimentare i consumi, il che fa contrarre il settore produttivo che ne dipende.

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E’ nella fase in cui il costo dell’energia per la società è basso che i consumatori possono permettersi spese extra (grosse auto, immobili, ecc) e fare ricorso al credito. La spirale produzione-consumo si autoalimenta e l’economia cresce. Non si vedono ostacoli al procedere in questo modo.

La fase di “vacche magre”

Tuttavia con il passare del tempo i costi di estrazione e produzione aumentano (è il comportamento di ogni risorsa finita). Ciò comporta conseguenze per il sistema economico, un circolo vizioso difficile da controbilanciare, poichè l’intera attività economica è adattata su un’unico tipo di risorse e non c’è un’alternativa possibile in tempi brevi (bassa resilienza). Nel momento in cui il prezzo di una risorsa così importante comincia a crescere questo influenza non solo le aziende che lo producono ma l’intera economia, che entra in recessione, a cominciare da quei settori che dipendono direttamente da un determinato prezzo del petrolio, finendo con l’influenzare a cascata anche gli altri.
Come l’aumento del prezzo del petrolio influenza l’economia? Avviene un aumento dei prezzi dei prodotti industriali poichè questi incorporano il prezzo del petrolio.

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Ora, è il settore della produzione industriale che determina la crescita o la recessione di un economia e da sola consuma la metà dell’energia mondiale disponibile (Bayar, Cilic, Effects of Oil and Natural Gas Prices on Industrial Production in the Eurozone Countries). Si tratta di una catena di aumento dei costi di produzione all’origine che genera aumento dei costi di vendita delle merci finali nel mercato. I benefici netti cominciano a diminuire (curva di Tainter).

 L’economia necessita di crescere il che significa flussi di energia e materia in continuo aumento al fine di generare una produzione/offerta di merci che sostenga la domanda che viene dalla società. Col tempo però il lavoratore-consumatore diviene sempre meno in grado di partecipare alla domanda poiché il suo potere d’acquisto si erode parallelamente e in virtù dell’arricchimento dei produttori.

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La serie storica vede un andamento sinusoidale dei profitti aziendali (in rosso) fino al 2000 – diminuiscono ogni volta in corrispondenza delle crisi da sovrapproduzione? – dal 2000 avviene l’impennata, cui segue il crollo nel 2007-2008 e una nuova risalita. Nel frattempo i salari dei “non-elité workers” paragonati alla crescita dell’economia tendono costantemente verso il basso dagli anni ’60-’70, come si era visto nella seconda parte.

(continua…)

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Agricoltura e popolazione.

Se analizziamo chimicamente i tessuti di un individuo americano, di un europeo, di un cinese o un indiano, sia che si tratti di un anziano o di un bambino, vi troviamo una discreta quantità di diclorodimetiltricloroetano (DDT). Si tratta di un pesticida insetticida di cui fu vietata la produzione e la vendita negli anni 70 (in Italia nel 1978)perché altamente tossico per l’uomo. Eppure dal 1939 era stato ampiamente impiegato contro zanzare e pidocchi per combattere malaria e tifo. L’uso in agricoltura fu enorme in ogni parte del mondo. Fu molto usato anche in ambito domestico per combattere le mosche. L’esplosione della popolazione mondiale prima durante e dopo la seconda guerra mondiale ne aveva reso necessario l’uso per impedire epidemie e carestie, tanto che nel 1948 il suo scopritore Herman Muller fu insignito del premio Nobel. Un Nobel al veleno. Peccato che fu poi scoperto che si trattava di un prodotto cancerogeno e altamente tossico per uomini e animali. L’ambientalista americana Rachel Carson pubblicò un libro, Primavera Silenziosa uscito nel 1962 , per denunciare la scomparsa di molte specie di uccelli e animali selvatici a causa dell’uso massiccio dell’insetticida. Il DDT è inoltre non degradabile e si mantiene indifinitamente sia nei suoli e nelle acque che negli organismi viventi dove si deposita a livello del tessuto adiposo e nel sistema nervoso.E’ questo il motivo per cui, nonostante da molti anni sia proibito, si ritrova tuttora nei nostri tessuti. Oltre che causa di tumori è ritenuto responsabile o corresponsabile di malattie degenerative del sistema nervoso come Alzheimer e Parkinson. L’uso massiccio dei pesticidi era ed è tuttavia necessario in agricoltura, non solo per gli interessi commerciali dei produttori. Una popolazione mondiale cresciuta rapidamente in pochi decenni dal miliardo e mezzo di individui nel dopoguerra agli attuali sette miliardi e mezzo, ha bisogno di una forte crescita della produzione agricola di alimenti. Negli anni 60 si ebbero numerose carestie sia in oriente (India) che in Africa, in quanto le risorse agricole locali non erano in grado di fornire cibo a sufficienza, con milioni di morti per fame e denutrizione. L’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici per una agricoltura intensiva che permettesse di sfamare la popolazione in crescita divenne obbligatorio e da allora le carestie si sono ridotte in numero e limitate geograficamente. Il businnes dei fertilizzanti e dei pesticidi si sviluppò enormemente generando alti profitti per i produttori. Al posto del DDT furono sviluppati moltissimi prodotti chimici pesticidi, diserbanti e insetticidi. Le grandi multinazionali come Bayer e Monsanto si misero a produrre e commercializzare una serie di prodotti che hanno invaso tutto il pianeta: dal Toxafene al Cicloesano, agli organofosforici senza o con atomi di zolfo (Parathion), molti dei quali responsabili di cancro (cancro al seno come il Ciclopentadiene, cancro alla vescica o leucemie per gli organofosforici come il Diazinone) o di malattie neurodegenerative in quanto non degradabili e soggetti ad accumulo nei tessuti lipidici e nervosi di uomini e animali. Per la frutta sono largamente diffusi il Malathion, l’Azinfos e il Fosalone potentemente tossici che si accumulano non solo sulla buccia ma anche nella polpa. Molti di questi prodotti bloccano la trasmissione sinaptica del mediatore chimico dell’impulso nervoso (acetilcolina) dando come effetti nausea tremori, disturbi della motilità e dell’equilibrio, deficit cognitivi e a volte perdita di coscienza fino al coma. I carbammati (Carbofuran) con cui sono stati sostituiti alcuni organofosforici si sono rivelati ugualmente tossici e hanno contribuito all’inquinamento diffuso dei suoli e delle acque in tutto il mondo. L’esigenza di aumentare le produzioni per la forte richiesta mondiale di cereali e altri prodotti agricoli come la soia e altri legumi , connessa alla crescita esplosiva della popolazione dalla seconda metà del secolo XX, ha portato all’abbandono della sarchiatura a mano lunga e costosa e all’uso di erbicidi che favorissero l’eliminazione di erbacce e piante estranee alla coltivazione intensiva come l’Atrazina, un composto altamente tossico usato tra l’altro anche nelle guerre o a scopo di deforestazione. Purtroppo l’Atrazina e altri diserbanti hanno oggi un vasto uso mondiale per abbassare i costi e assicurare alte produzioni come richiesto dalla forte necessità di soia e grano dovuta all’eccesso della popolazione planetaria. Anche la creazione di nuovi pascoli per la produzione di carne per far fronte alla richiesta mondiale, richiede l’uso preventivo dei diserbanti e poi di svariati fertilizzanti. Sempre più usati sono i fitormoni e altri ormoni per la crescita degli ortaggi, della frutta o per gli allevamenti con pesanti ripercussioni sulla salute umana (tra l’altro la frutta e la verdura gonfiata con i fitormoni non sa di nulla).

Nel mentre la popolazione umana cresceva a ritmi mai visti, i terreni agricoli diminuivano in maniera altrettanto veloce. Un esempio di questa perdita di terreno agricolo dovuto all’eccesso di popolazione lo abbiamo in Italia nella Val Padana. L’espansione urbana, la cementificazione delle periferie e delle autostrade, le infrastrutture, l’urbanizzazione delle campagne, i centri commerciali, le aree industriali sono tutti fenomeni legati all’antropizzazione del territorio che tolgono suolo all’agricoltura. Ma la crescita della popolazione determina altre condizioni che riducono in molte aree del pianeta i suoli agricoli. Il riscaldamento globale determina siccità in molti luoghi precedentemente fertili. La distruzione delle foreste, gli incendi, l’eccesso di pascolo, la scadente gestione del territorio, la salinizzazione e l’impaludamento dei campi irrigati, il compattamento del suolo per la mancanza di vegetazione, l’esaurimento delle fonti idriche, sono tutti fenomeni dovuti all’eccesso di antropizzazione che riducono i suoli fertili. I cambiamenti climatici stanno inaridendo molte zone dell’Africa e dell’Asia con la modifica del ciclo delle pioggie e l’avanzare della desertificazione. Altre zone, specialmente quelle costiere e del delta di grandi fiumi vanno invece incontro a inondazioni e salificazione. Oggi poi si assiste ad un fenomeno nuovo: l’uso dei terreni per impiantarvi pannelli solari e altre rinnovabili, un uso sempre più diffuso che riduce ulteriormente il suolo agricolo. La continua richiesta di energia da rinnovabili è anch’essa un portato dell’aumento della popolazione residente. La riduzione del suolo agricolo produttivo e il contestuale aumento della richiesta di cibo per la crescita demografica diviene così un cocktail micidiale che, onde evitare carestie catastrofiche richiede necessariamente il ricorso alla chimica, con i fertilizzanti e i pesticidi. Si innesca un circolo vizioso in cui l’aumento della popolazione aumenta l’uso di tossici e questi ricadono a loro volta sulla popolazione perché non solo inquinano l’ambiente di vita antropica ma vi persistono accumulandosi. Tutti noi attraverso il cibo e l’acqua assumiamo i composti organofosforici e gli altri pesticidi usati nei tempi recenti ma anche quelli usati decine di anni fa, come è il caso del DDT. Ogni bambino che nasce ha già nel suo corpo gli inquinanti assunti attraverso la madre e dall’ambiente. Il problema è che quegli inquinanti che intossicano i neonati sono gli stessi che consentono a tanti neonati di nascere, assicurando cibo sufficiente a loro e alle madri. Anche l’uomo diviene così una pro-duzione, un prodotto che si replica per la presenza di altri prodotti in un processo continuo che è fine a se stesso. Fine e e causa allo stesso tempo.

La trasformazione che la sovrappopolazione porta nell’agricoltura è drammatica. A questa trasformazione danno il loro fondamentale contributo le ditte specializzate nel settore che hanno beneficiato da oltre un secolo delle maggiori richieste di cibo dovute all’esplosione demografica, portandole ai vertici di Wall Street. Vediamo quanto accaduto nel caso Monsanto, la multinazionale che fabbrica fertilizzanti e antiparassitari in agricoltura che oggi, sulla spinta degli sviluppi tecnologici si dedica anche al settore biotech. La Monsanto nata nel 1901 a Saint Luis ha inondato prima gli Stati Uniti e poi il mondo intero dei suoi pesticidi per poi evolversi negli anni 60 nella produzione strategica di erbicidi come il famigerato Agente Orange usato in Vietnam con il pazzesco proposito di distruggere tutta la vegetazione e le foglie degli alberi di tutto il paese per scovare i Vietcong. Negli anni ottanta la Monsanto scopre il il glifosato, sostanza base per molti erbicidi, e soprattutto del tristemente famoso Roundup. Il Roundup è un pesticida potente, e conveniente, che dà alla Monsanto profitti del 20% annui, facendole scalare il top delle multinazionali. Però ha un difetto: fa male agli umani. I disordini provocati dal glifosato sono noti e documentati, ma le lobbies pro-pesticidi sono ormai potentissime, inarrestabili. La Monsanto non si ferma perché i profitti sono alle stelle e le esigenze degli agricoltori crescono insieme alla richiesta mondiale di cibo. Si dedica allora alle biotecnologie e alle modifiche del Dna delle piante. La Monsanto viene fuori con una nuova tecnologia che apre campi inesplorati. La grande pensata è questa: fabbrichiamo una specie di semente resistente al glifosato, così possiamo vendere le sementi super-resistenti, che si chiameranno Roundup ready, insieme al Roundup stesso. Così possiamo continuare a prendere due piccioni con una fava: vendere le sementi, e ancor più pesticida Roundup, un pacchetto doppio che abbiamo solo noi. Dal 1997 la Monsanto comincia a vendere soia, mais e colza transgenici, cioè con un gene che li fa resistenti al Roundup. Ci prova anche con il cotone, ma gli va male. Però soia, mais e colza vanno bene, e arriveranno, per vie traverse e spesso complicate, sulle tavole di tutto il mondo, ormai abituate a prodotti con dentro di tutto. Le sementi vendute dalla multinazionale oltre al trattamento del Dna subiscono quanto segue: immerse in acidi che aumentano la permeabilità, vengono intrise di antiparassitari altamente tossici, e dopo asciugate vendute piene di veleni che evitano al seme di venire mangiato dai parassiti prima della nascita della pianta. Una tecnologia estrema che avvelena la pianta e il terreno già a partire dal seme.

La vendita delle sementi-alien è certa perché gli agricoltori non vogliono perdite e i margini sono già stretti. Così come è certa la vendita dei prodotti, basta che siano colorati, pubblicizzati e venduti nei supermercati come prodotti nuovi, con i nomi degli ingredienti così piccoli che non li legge neanche un notaio. E non è finita. Nel 1998 una delle nuove aziende Biotech, la Delta e Pine Land, si è inventata e brevettata una tecnica di nome «sistema di protezione della tecnologia» che è una modifica genetica alla pianta, a molte piante, che le fa sterili. Come ogni persona di buon senso può capire, è peggio della bomba atomica. Possono sterilizzare una pianta, e quindi, se ti costringono a usare i loro semi, te li possono rivendere anno dopo anno: sei nelle loro mani. Ora tutto questo non avviene , come sento spesso dire dai verdi, perché alla Monsanto sono brutti e cattivi. O almeno non solo per questo. Semplicemente fanno i loro interessi in un mondo che viaggia sulla produzione e la produzione richiede profitti. La Monsanto e le altre multinazionali della chimica applicata alla produzione di cibo prosperano perché il mondo richiede sempre maggiori quantità di cibo e questa maggiore necessità si accompagna a minore disponibilità di terre e a un cambiamento climatico che sta distruggendo l’agricoltura tradizionale. E se il mondo in questi ultimi 50 anni ha decuplicato le richieste di cibo non è perché ci sono le multinazionali che lo producono o lo fanno produrre. Ma è perché il pianeta è passato in pochi decenni da due a ben otto miliardi di bocche da sfamare. La Monsanto e le altre multinazionali che producono la chimica che assicura questa trasformazione dell’agricoltura continueranno a prosperare e a fare altri danni fintanto che la popolazione continuerà a crescere nel modo in cui è cresciuta in questi decenni. E noi e i nostri figli continueremo ad essere avvelenati dai tossici necessari a mantenere alta la produzione agricola. Ogni anno migliaia e migliaia di tonnellate di fertilizzanti, diserbanti e pesticidi si aggiungeranno e si diffonderanno nei suoli e nelle acque del nostro pianeta e nessuno riuscirà a fermare la produzione e la commercializzazione dei veleni fino a ché le grandi menti degli ambientalisti e l’opinione pubblica mondiale prenderà coscienza che il problema è uno solo: la demografia impazzita della nostra specie.… more

G7: Coldiretti, speculazione su fame brucia 30 mld in grado

​La speculazione sulla fame ha bruciato nel mondo quasi 30 miliardi di dollari solo per il grano con le quotazioni internazionali che sono ridotte in un anno da 5,35 dollari per bushel a poco piu’ di 4,33 dollari per bushel (27,216 chili), senza alcun beneficio per i consumatori ma con milioni di contadini in ginocchio. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti presentata in occasione del G7 delle Finanze di Bari in Puglia che detiene il primato nella produzione di grano duro in Italia nel denunciare che l’andamento delle quotazioni dei prodotti agricoli è fortemente condizionato dai movimenti di capitale che si spostano con facilità dai mercati finanziari a quelli delle materie prime come il petrolio, i metalli preziosi fino al grano che è quotato come una qualsiasi altra merce al Chicago Board of Trade, punto di riferimento o del mercato delle materie prime agricole a livello internazionale.
Manovre finanziarie sul cibo che stanno “giocando” senza regole sui prezzi delle materie prime agricole dove hanno provocato una grande volatilità impedendo la programmazione e la sicurezza degli approvvigionamenti in molti Paesi.
Nonostante il forte calo dei prezzi alla produzione agricola – denuncia la Coldiretti – quelli al consumo rimangono alti con conseguenti difficoltà per i piu’ poveri dove resta alta l’insicurezza alimentare con circa 800 milioni di persone che soffrono la fame secondo la Fao.
Questo è anche il risultato di una grande volatilità dei prezzi influenzata da speculazioni che spesso non hanno nulla a che fare con la reale situazione di mercato, ma che impediscono la programmazione e la sicurezza degli approvvigionamenti in molti Paesi e alimentano – denuncia la Coldiretti – il paradosso dell’abbondanza denunciato da Papa Francesco proprio nel suo Messaggio ad Expo. Le speculazioni internazionali sono aggravate a livello nazionale dalle distorsione di filiera con il risultato che i compensi degli agricoltori sono tornati ai livelli di 30 anni fa, a causa delle manovre di chi fa acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da “spacciare” come pasta o pane Made in Italy.
Per invitare i grandi poteri economici e finanziari a combattere le speculazioni e a difendere le risorse primarie della terra la Coldiretti ha preparato per l’occasione a Bari il panino Doc piu’ grande del mondo con il pane di Altamura a denominazione di origine certificato dall’omonimo Consorzio, lungo 3 metri e pesante 1,5 quintali, farcito con i salumi tradizionali della Puglia, con l’offerta di una sorpresa gourmet a KM0 dedicata alle 20 delegazioni partecipanti al G7, ai ministri delle finanze, ai governatori dei sette Paesi (Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Canada, Stati Uniti e Giappone), al commissario europeo per gli Affari economici e monetari, al presidente dell’Eurogruppo e ai vertici di Bce, Fmi, Ocse e Banca Mondiale, oltre alla stampa nazionale e internazionale accreditata.

Comunicato  Coldiretti

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Pensiero unico di opposizione e di governo

“Non c’è alternativa”, ammoniva severamente Margaret Thatcher negli anni Ottanta, intendendo che le politiche economiche neoliberiste non erano semplici proposte bensì imposizioni ineluttabili, alla stessa stregua di una legge naturale, a cui dovevano adeguarsi tutte le formazioni politiche indipendentemente dai loro valori di riferimento. Mutatis mutandis, più di trent’anni dopo, Roberto Siconolfi, commentando l’esito del […]

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Claudio Descalzi e l’ENI che rispetta ambiente e democrazia: la piu grande fake news del mondo

e l’accusa di essere dei mostri e degli assassini”. 
Claudio Descalzi, 
agli studenti lucani in visita a San Donato Milanese. 
Bene — decida lei che appellativo vuole.
Santo?
Santo subito?

Claudio Descalzi, CEO dell’ENI e dopo tutti gli scandali sull’embiente lucano degli scorsi giorni, mesi ed anni, dice che tutto cio’ sono fake news:

— la più grande incidenza di tumori in Italia non e’ in Basilicata, che invece e’ la regione italiana meno colpita dopo la Calabria. Le più colpite sono quelle del Nord, dove non c’è produzione di greggio.

— ci hanno accusato di inquinare il lago del Pertusillo ancora prima che iniziassimo le produzioni

— non c’è nessuna correlazione tra produzioni e contaminazione del lago.

— già all’epoca dei romani il lago presentava affioramenti superficiali di olio, ma oggi siamo noi a produrre e ci prendiamo le colpe

— da controlli effettuati non da noi, le acque esterne non sono contaminate, lo sono quelle interne e stiamo lavorando con Arpa, Regione e Ispra” per la bonifica.

Ahhhhh!!!

Claudio Descalzi,

da dove iniziare a commentare cotanta assurdita.

Credo che in parte il CEO dell’ENI ci crede pure a queste cose che dice, avvolto da una fitta benda sugli occhi che da San Donato milanese lo porta a dire cose che sono in completo contrasto con la realta’.

Come sempre, lui e l’ENI e tutta la cricca di affaristi che ruotano attorno al petrolio, possono fare finta che va tutto bene — come si dice in Abruzzo “riammantare” le cose brutte — ma la realta’ resta: le trivelle portano morte e distruzione DAPPERTUTTO e la Basilicata non e’ diversa dalla Nigeria, dal Texas, dall’Ecuador, dalla Russia.

E sa cosa caro Descalzi? Lei si nasconde dietro dei cavilli, della mancanza completa di prove, per negligenza di chi doveva indagare o monitorare, o del fatto che le prove sono mescolate ad altri fattori, e quindi le e’ facile dire “non siamo noi.”

Mi ricordo ancora quando la sua ditta diceva che la colpa dell’inquinamento non rimediato in Basilicata era… la pastorizia!

Suvvia. Lo sappiamo ormai che e’ impossibile produrre petrolio senza ammazzare il territorio e questo brain washing ai ragazzi se lo poteva anche evitare.

Vogliamo parlare di real news?

Bene. Da dove iniziamo?

Dalle “real fiaccolate” del Centro Oli che ogni giorno sputano monnezza in aria? E non ci venga a dire che quelle ce le hanno messe gli antichi romani!

O delle “real 400 tonnellate di petrolio” riversate attorno a Viggiano? Ci sono arrivate con il tele-trasporto quelle?  O ce le ha messe Babbo Natale?

O delle “real evacuazioni” che ogni tanto ci sono a Viggiano per “anomalie di funzionamento” che non si sa bene cosa siano, ma che spesso si accompagnano a “real puzze” di idrogeno solforato?

O del “real materiale radioattivo” scovato nei rifiuti petroliferi di Tecnoparco, i cui limiti erano volte superiori alla norma? O anche li, erano rifiuti dei babilonesi?

O vogliamo parlare della “real disperazione” di quelle persone che avevano campi e pascoli confinanti con il Centro Oli di Viggiano e che adesso si ritrovano con un pugno di mosche avvelenate in mano? Io li ho visti a suo tempo e le assicuro che non erano lacrime da telenovela, quanto una “real disperazione” di non avere piu’ niente in mano dopo una vita di sacrifici.

O vogliamo parlare delle “real api” che producono miele con dentro il “real petrolio”? Ah certo, potrebbe essere che ce le hanno messo gli antichi romani il petrolio nel corpo delle api, certo, certo.

O vogliamo parlare dei “real tumori” fuori da ogni norma nei pressi dello stabilmento ENIchem di Manfredonia che venne imputata al troppo consumo di … aragoste?

O vogliamo parlare dei “real bambini deformi” di Gela nei pressi della raffineria ENI? 

Come mai da nessuna altra parte d’Italia si ritrovano idrocarburi nei fiumi e nei laghi, mentre, guarda caso, in un lago a valle dei vostri pozzi ci sono idrocarburi? Come mai le mele della Val d’Agri non sono piu’ quelle di una volta? Come mai ci sono campi abbandonati di fagioli, diventati tali poco dopo l’arrivo del Centro Oli? Come mai solo in Basilicata ci sono le api al petrolio? E gli idrocarburi nella sorgente, questa si degli antichi romani, “Acqua dell’Abete”, chi ce l’ha messa?

Fu chiusa nel 2009 e mai piu’ riaperta.

Anche qui gli antichi romani?

E si lo so che adesso lei dira’: ah ma potrebbe esserci una vaghissima possibilita’ che quegli idrocarburi ci sono arrivati trasportati dal vento dalla Libia. Certo, tutto puo’ essere, ma come insegna il principio del rasoio di Occam, e’ la risposta piu’ semplice, quella dalla quale partire.

Voi producete petrolio. Probabilmente, anzi quasi sicuramente, e’ il vostro petrolio ad avvelenare l’ambiente. O comunque a contribuire in gran parte a tale inquinamento.

Sui dati tumorali: non si sa niente, semplicemente perche’ non c’e’ nessuno che prende dati in maniera affidabile. Ma, come detto, respirare petrolio e aria inquinata certo non migliora le cose.

E non faccia ridere i polli e le api e le pecore che voi state collaborando con Arpa, Regione, Ispra, il papa e Madre Teresa di Calcutta. Dobbiamo veramente credere che quello che avete combinato in venti anni e di cui non sappiamo che una minima parte non ha avuto alcun effetto, e che adesso siccome siete dei santi aiutate i poveri lucani con l’inquinamento portato da chissa chi altro?

Ma si rende conto?

Vede, quello che lei miseramente ignora e’ che tutto quello che state facendo in Basilicata viene pagato con la vita delle persone, della natura, degli equilibri millenari.

Tumori, aria, acqua inquinata. Puo’ darsi che ci siano delle concause a spiegare questi eventi. Ma di certo il petrolio non migliora le cose.

LO PEGGIORA SOLO.

Tutto il resto e’ mitologia.

E poi, ma … perche’ ha incontrato gli studenti a San Donato Milanese?

Perche’ non e’ andato a dire queste pillole di saggezza ai lucani, nelle loro case?

O meglio ancora,  perche’ lei non va a vivere a Viggiano, o non ci manda la sua famiglia in vacanza? Ma deve prendere casa proprio a 50 metri dal centro oli. E poi ne riparliamo degli antichi romani.

Naturalmente le altre “real news” si possono vedere si possono vedere anche fuori dall’Italia.

Vogliamo parlare delle “real news” dell’ENI in Nigeria per esempio?

Mezzo mondo (non la sempre ossequiosa stampuccia italiana) ha parlato dei suoi scandali da UN MILIARDO DI EURO in Nigeria, con soldi destinati alla corruzione. Da come la vedo io, l’inquinamento della democrazia non e’ meno grave delll’inquinamento di aria e polmoni.

O vogliamo parlare delle “real cause in tribunale” che avete con i Nigeriani adesso anche in Italia per inquinamento del delta del Niger?

O vogliamo parlare dei “real scoppi” dei vostri oleodotti e pozzi in Nigeria per cui ci sono morti e non potete neanche chiedere scusa e pagare risarcimenti? 

O vogliamo parlare delle fiaccole ENI accese in Nigeria per gas flaring 45 anni fa e che ancora li ardono, causando asma e bruciature a i residenti? 

O vogliamo parlare dei “real dossier” che ogni mandate alla SEC americana con pagine e pagine e pagine di “criminal proceedings” in tema ambiente?

O vogliamo parlare di tutti gli scandali Guidi e il suo amante di un anno fa?

O vogliamo parlare di incidenti in Norvegia a causa della vostra “mancanza di competenza” – parole dell’ENI stessa!

O vogliamo parlare di quando siete la vostra filiale Saipem e’ stata “really chiamati in giudizio” dalla Norvegia per mancanza di sicurezza? 

O vogliamo parlare della prepotenza dell’ENI che insiste e diabolicamente persiste a volere trivellare terreni dove non ce li vogliono, come la microscopica Carpignano Sesia che da cinque anni resiste al cane nero? 

Ciascuno puo’ decidere per se la designazione di mostri e di assassini e’ applicabile a queste che sono tutte “real news”, e se le parole di Descalzi, secondo il quale la protezione dell’ambiente e’ una priorita’ per l’ENI,  e’ solo fake propaganda.

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La Finlandia tira le orecchie a USA e Russia sulle trivelle in Artico, e c’e’ un miracolino

If we have two countries, Russia and the US, 
not sharing the view that climate change is happening 
or is manmade or how much it is manmade, it is very difficult to proceed.”
Harri Mäki-Reinikka, Ministro delle politiche nordiche della Finlandia

Qualche giorno fa la Finlandia e’ diventata il presidente dell Consiglio dell’Artico. Ci fanno parte Canada, Islanda, USA, Danimarca, Finlandia, Russia, Norvegia e Svezia. E’ un ente creato nel 1996 per il bene comune dell’Artico che si riunisce ogni due anni.

La prima cosa che ha fatto il delegato finlandese  e’ stata di fare appello agli scenziati che lavorano sui cambiamenti climatici per contrastare USA e Russia che nel loro intimo vorrebbero trivellare tutto il trivellabile in Artico, con buona pace del clima.

Ed e’ proprio cosi. Putin e Trump sono daccordo nel dire che i cambiamenti climatici sono una esagerazione, che sono un complotto dei cinesi (Trump) e che non sono per opera dell’uomo (Putin, e per colpa di chi, scusi?) e vorrebbero quindi andare avanti ad estrarre ancora piu’ petrolio dal polo nord.

C’e’ stato cosi un incontro a Fairbanks, Alaska proprio per parlare di questo dilemma: trivelle, Artico e clima.

Nell’intento della Finlandia in realta’ si sarebbe dovuto parlare di come diminuire l’inquinamento esistente, ma in realta’ l’elefante nella stanza erano gli accordi di Parigi, e il ruolo di USA e Russia.

Gli USA chi hanno mandato?

Rex Tillerson, l’ex CEO di Exxon Mobil!

E cosi, il Ministro della Finlandia delle politiche nordiche, Harri Mäki-Reinikka, ha chiesto a tutti i partecipanti di rispettare gli accordi di Parigi.

Ha detto che spera che non ci saranno accordi segreti fra i piu’ grossi, perche’ questi sono problemi seri. Ha detto che l’Artico cambia, che se le temperature aumentano di due gradi sul pianeta, in Artico si arriva a quattro o anche a sei con conseguenze disastrose.

Mäki-Reinikka  ha ricordato che la neve e il ghiaccio si sciolgono piu in fretta di quanto mai prima, e che i livelli del mare aumentano. E ricorda che se gli USA e la Russia continuano il loro negazionismo sara’ difficile andare avanti.

Anche il ministro dell’ambiente di Norvegia, Vidar Helgesen, petrol-nazione, ha ricordato che i cambiamenti del clima esistono e ha addirituttura ricordato a Tillerson che gli stessi militari USAsono preoccupati per le conseguenze alla sicurezza a livello globale.

E cosi, c’e’ stato il miracolino.

Chissa’, circondati da nordici ed essendo due contro sei, gli americani di Tillerson si sono un po vergognati. O chissa’, Trump soffocato com’e’ da guai interni a non finire (la faccenda di Comey e’ veramente strabiliante e non passa giorno che non ci sia un passo falso di quest uomo) ha deciso di non fare sempre il galletto di testa sua. O chissa ancora, se la delegazione USA si sia sentita in imbarazzo a vedere tutti i giovani che protestavano a Fairbanks.

Ad ogni modo, all’unanimita’ gli otto del Consiglio Artico hanno firmato la “Fairbanks Declaration 2017,” dove si dice che l’Artico si riscalda a tassi due volte superiori al resto del pianeta, che occorre ridurre le emissioni di metano e che i cambiamenti climatici sono la piu grande minaccia alla biodiversita’ dell’Artico.

Rex Tillerson ha riconosciuto la validita’ degli accordi di Parigi, almeno per ora.

Donald Trump aveva detto che li voleva stracciare, ma alla fine, per ora almeno, Tillerson ha detto che non cambiera’ niente in questa direzione, almeno per il breve termine. Gli accordi firmati da Obama restano.

Ora questo non vuol dire che e’ finita qui. Perche’ qualche giorno prima lo stesso Tillerson aveva detto che gli USA stavano cambiando le proprie politiche sui cambiamenti climatici, ha detto pure che:

“We’re not going to rush to make a decision. We’re going to work to make the right decision for the United States.”

Quindi, per ora tutto resta come prima, ma non si sa. Si temeva che Tillerson annunciasse proprio qui l’uscita degli USA dagli accordi di Parigi, ma grazie al cielo cosi non e’ stato. Ad ogni modo, fa un po tristezza sentirlo dire “the right decision for the United States” come se in termini di clima, non fossimo tutti sullo stesso pianeta!

Caro Tillerson, in termini di clima, quello che e’ meglio per gli USA e’ quello che e’ meglio per tutta la Terra, perche’ ci siamo dentro tutti assieme.

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