Commenti dalla Collina

Il tabù che non muore mai.

Nel 2013 avevo commentato con un post il romanzo di Dan Brown “Inferno”. Un romanzo strano che, come dice il mio amico Jacopo Simonetta era forse buttato là tanto per vedere l’effetto che fa. Ora ho visto il film. Molti fiorentini sono andati a vederlo per vedere Firenze. Anche questa si può considerare un forma di patologia. Ma lasciamo perdere non è di questo che voglio parlare. Voglio parlare del finale del film che differisce in modo sostanziale dal libro. PARLO DEL FINALE QUINDI CHI VUOLE VEDERE IL FILM PUÒ TORNARE A LEGGERE QUESTO POST DOPO. Mi hanno consigliato di inserire questo avvertimento, e ho appreso che si chiama Spoiler, onde evitare che a qualcuno girino le palle. Siete avvertiti.

Nel romanzo, alla fine, il genio (pazzo) del biotecnologo ha successo, aiutato post-mortem dalla sua affascinante compagna Sienna, nel diffondere un virus che non è, come l’autore ci ha fatto pensare e temere per tutto il romanzo, una versione moderna dell’Ersinia pestis, ma un virus demografico che sterilizza il 30% della popolazione mondiale in modo casuale (quindi più democratico e meno classista) assicurando quel rientro dolce della popolazione che il biotecnologo (e anche il sottoscritto) ritiene necessario per non creare il vero inferno in terra. L’inferno delle guerre per le risorse residue, quello per l’accaparramento delle terre rimaste meno colpite dal cambiamento climatico, dalla grande guerra civile globalizzata determinata dall’inevitabile collasso della società contemporanea sotto il peso di una popolazione eccessiva rispetto alle risorse disponibili. La cosa riesce all’ultimo tuffo. E sicuramente la popolazione comincerà a decrescere prima che si verifichi quel passaggio tranquillo, solo nella testa dei demografi usciti dalle scuola di studi sociali ed economici, della transizione demografica, magari condita di sviluppo sostenibile ed altri ossimori ecologico- economici in voga fra i benpensanti di tutto il pianeta. Il virus è sostanzialmente una buona cosa. O no?

A Hollywood, luogo geometrico del lieto fine benpensante, non devono aver pensato così dato che nel pubblicizzatissimo film il finale è totalmente stravolto. Il virus viene “contenuto” dai tecnici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e lo spettatore rimane convinto che il genio biotecnologo avesse effettivamente creato un virus mortifero invece di un virus anticoncezionale. Capito?
Resta un leggero senso di nausea per questo trionfo del più stucchevole policamente corretto e per lo stesso autore che l’ha autorizzato (si presume).

Il tabù è confermato. Ed è un tabù talmente radicato che ci saranno pochissime persone che condivideranno il contenuto di questo post anche fra gli amici, fra quelli preoccupati della sorte del pianeta e dell’umanità, fra gli ecologisti in prima linea, fra i fautori dei limiti dello sviluppo. Tutto, ma mai ammettere che il problema primo è una popolazione umana strabordante. Si deve sempre trovare i distinguo per fare comunella tutti insieme, liberali e socialisti, cristiani e mussulmani, credenti e non credenti, mercatisti e collettivisti. Purché non si tocchi l’argomento tabù del controllo delle nascite.

A presto.

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Il tabù che non muore mai.

Nel 2013 avevo commentato con un post il romanzo di Dan Brown “Inferno”. Un romanzo strano che, come dice il mio amico Jacopo Simonetta era forse buttato là tanto per vedere l’effetto che fa. Ora ho visto il film. Molti fiorentini sono andati a vederlo per vedere Firenze. Anche questa si può considerare un forma di patologia. Ma lasciamo perdere non è di questo che voglio parlare. Voglio parlare del finale del film che differisce in modo sostanziale dal libro. PARLO DEL FINALE QUINDI CHI VUOLE VEDERE IL FILM PUÒ TORNARE A LEGGERE QUESTO POST DOPO. Mi hanno consigliato di inserire questo avvertimento, e ho appreso che si chiama Spoiler, onde evitare che a qualcuno girino le palle. Siete avvertiti.

Nel romanzo, alla fine, il genio (pazzo) del biotecnologo ha successo, aiutato post-mortem dalla sua affascinante compagna Sienna, nel diffondere un virus che non è, come l’autore ci ha fatto pensare e temere per tutto il romanzo, una versione moderna dell’Ersinia pestis, ma un virus demografico che sterilizza il 30% della popolazione mondiale in modo casuale (quindi più democratico e meno classista) assicurando quel rientro dolce della popolazione che il biotecnologo (e anche il sottoscritto) ritiene necessario per non creare il vero inferno in terra. L’inferno delle guerre per le risorse residue, quello per l’accaparramento delle terre rimaste meno colpite dal cambiamento climatico, dalla grande guerra civile globalizzata determinata dall’inevitabile collasso della società contemporanea sotto il peso di una popolazione eccessiva rispetto alle risorse disponibili. La cosa riesce all’ultimo tuffo. E sicuramente la popolazione comincerà a decrescere prima che si verifichi quel passaggio tranquillo, solo nella testa dei demografi usciti dalle scuola di studi sociali ed economici, della transizione demografica, magari condita di sviluppo sostenibile ed altri ossimori ecologico- economici in voga fra i benpensanti di tutto il pianeta. Il virus è sostanzialmente una buona cosa. O no?

A Hollywood, luogo geometrico del lieto fine benpensante, non devono aver pensato così dato che nel pubblicizzatissimo film il finale è totalmente stravolto. Il virus viene “contenuto” dai tecnici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e lo spettatore rimane convinto che il genio biotecnologo avesse effettivamente creato un virus mortifero invece di un virus anticoncezionale. Capito?
Resta un leggero senso di nausea per questo trionfo del più stucchevole policamente corretto e per lo stesso autore che l’ha autorizzato (si presume).

Il tabù è confermato. Ed è un tabù talmente radicato che ci saranno pochissime persone che condivideranno il contenuto di questo post anche fra gli amici, fra quelli preoccupati della sorte del pianeta e dell’umanità, fra gli ecologisti in prima linea, fra i fautori dei limiti dello sviluppo. Tutto, ma mai ammettere che il problema primo è una popolazione umana strabordante. Si deve sempre trovare i distinguo per fare comunella tutti insieme, liberali e socialisti, cristiani e mussulmani, credenti e non credenti, mercatisti e collettivisti. Purché non si tocchi l’argomento tabù del controllo delle nascite.

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Nel 2013 avevo commentato con un post il romanzo di Dan Brown “Inferno”. Un romanzo strano che, come dice il mio amico Jacopo Simonetta era forse buttato là tanto per vedere l’effetto che fa. Ora ho visto il film. Molti fiorentini sono andati a vederlo per vedere Firenze. Anche questa si può considerare un forma di patologia. Ma lasciamo perdere non è di questo che voglio parlare. Voglio parlare del finale del film che differisce in modo sostanziale dal libro. PARLO DEL FINALE QUINDI CHI VUOLE VEDERE IL FILM PUÒ TORNARE A LEGGERE QUESTO POST DOPO. Mi hanno consigliato di inserire questo avvertimento, e ho appreso che si chiama Spoiler, onde evitare che a qualcuno girino le palle. Siete avvertiti.

Nel romanzo, alla fine, il genio (pazzo) del biotecnologo ha successo, aiutato post-mortem dalla sua affascinante compagna Sienna, nel diffondere un virus che non è, come l’autore ci ha fatto pensare e temere per tutto il romanzo, una versione moderna dell’Ersinia pestis, ma un virus demografico che sterilizza il 30% della popolazione mondiale in modo casuale (quindi più democratico e meno classista) assicurando quel rientro dolce della popolazione che il biotecnologo (e anche il sottoscritto) ritiene necessario per non creare il vero inferno in terra. L’inferno delle guerre per le risorse residue, quello per l’accaparramento delle terre rimaste meno colpite dal cambiamento climatico, dalla grande guerra civile globalizzata determinata dall’inevitabile collasso della società contemporanea sotto il peso di una popolazione eccessiva rispetto alle risorse disponibili. La cosa riesce all’ultimo tuffo. E sicuramente la popolazione comincerà a decrescere prima che si verifichi quel passaggio tranquillo, solo nella testa dei demografi usciti dalle scuola di studi sociali ed economici, della transizione demografica, magari condita di sviluppo sostenibile ed altri ossimori ecologico- economici in voga fra i benpensanti di tutto il pianeta. Il virus è sostanzialmente una buona cosa. O no?

A Hollywood, luogo geometrico del lieto fine benpensante, non devono aver pensato così dato che nel pubblicizzatissimo film il finale è totalmente stravolto. Il virus viene “contenuto” dai tecnici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e lo spettatore rimane convinto che il genio biotecnologo avesse effettivamente creato un virus mortifero invece di un virus anticoncezionale. Capito?
Resta un leggero senso di nausea per questo trionfo del più stucchevole policamente corretto e per lo stesso autore che l’ha autorizzato (si presume).

Il tabù è confermato. Ed è un tabù talmente radicato che ci saranno pochissime persone che condivideranno il contenuto di questo post anche fra gli amici, fra quelli preoccupati della sorte del pianeta e dell’umanità, fra gli ecologisti in prima linea, fra i fautori dei limiti dello sviluppo. Tutto, ma mai ammettere che il problema primo è una popolazione umana strabordante. Si deve sempre trovare i distinguo per fare comunella tutti insieme, liberali e socialisti, cristiani e mussulmani, credenti e non credenti, mercatisti e collettivisti. Purché non si tocchi l’argomento tabù del controllo delle nascite.

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Omaggio a Jonathan Swift

di Jacopo Simonetta

Questo blog è dedicato alla memoria del reverendo Thomas Robert Malthus.   Grande amico personale di David Ricardo,
Fra una tazza di the ed bicchierino di sherry i due avevano capito molto di come funzionavano i rapporti fra economia e popolazione.   Come tutti i pionieri, si erano sbagliati su molte cose, e d’altronde il mondo è cambiato non poco da allora.
Tuttavia alcuni punti dei loro ragionamenti rimangono validi a distanza di quasi due secoli.

Il primo è che, se non si interviene per limitare volontariamente la natalità, la crescita demografica sarà più rapida delle crescita economica, condannando la maggior parte della popolazione ad una miseria sempre più nera.

Il secondo è che la crescita demografica aumenta l’offerta di mano d’opera minando il potere contrattuale delle classi lavoratrici.   In pratica, sostenevano che, in assenza di adeguate misure, un aumento dei salari avrebbe causato un aumento della popolazione, il che avrebbe portato ad una nuova riduzione dei salari.   In pratica, i salari erano per natura nell’ordine di grandezza della mera sopravvivenza del lavoratore con la sua famiglia.   Un miglioramento, quando possibile, sarebbe stato temporaneo.
Il terzo punto era che, aumentando la popolazione di un paese, l’unica alternativa al disastro del medesimo era la massiccia emigrazione del surplus, il che non faceva che trasferire il disastro sulla pelle di altri popoli incapaci di difendersi.    La storia non ha fatto che confermare tragicamente questa previsione.    La marea montante in Europa è dilagata verso est e verso ovest travolgendo tutto ciò che poteva ostacolarla.

Tutti questi punti sono stati negati e ridicolizzati negli anni ruggenti della petrolizzazione dell’economia.   Per una trentina d’anni, infatti, la crescita economica è stata più rapida della pur esplosiva crescita demografica ed il povero Malthus fu postumo oggetto di ogni dileggio.    Trascorso qualche decennio ancora, dagli armadi in cui erano state relegate, queste osservazioni sono però  tornate a tormentare le nostre coscienze.     Diamo un’occhiata all’andamento dei salari ed alle offerte di impiego per i giovani da una decina d’anni a questa parte.   Si tratta di una crisi passeggera, come molti asseriscono, o di un ritorno alla normalità?

Vedremo, ma cosa c’entra Swift in tutto ciò?

C’entra molto perché il punto fondamentale di tutto ciò è che LA CRESCITA DEMOGRAFICA CONDANNA IL POPOLO ALLA MISERIA.  Una cosa che l’Irlandese aveva capito bene cent’anni prima di Malthus e del suo ancor più illustre amico.
Anch’egli pastore anglicano, Swift è famoso come romanziere, ma da grande scrittore qual’era, osservava la realtà con una rara perspicacia.   E la descriveva con lucidità.

Nel 1729 pubblicò un libello dal titolo “Una modesta proposta: per impedire che i bambini irlandesi siano a carico dei loro genitori o del loro Paese e per renderli utili alla comunità”.
Una lettura che consiglio a tutti coloro che non sono deboli di stomaco.   Immediatamente stroncato dal pubblico e dalla critica che forse non capì il disperato sarcasmo dell’opera, o forse perché lo capì anche troppo bene, ad oggi rimane una lettura volutamente disturbante.   E per una buona ragione.   Niente è più tragico del destino di un popolo che si scontra brutalmente con il limite di capacità di carico del proprio territorio.
In poche pagine Swift realizza uno dei primi (forse il primo) capolavoro dell’humour noir della letteratura europea, descrive con spietato realismo le condizioni di vita dei poveri d’Irlanda ed indica senza mezzi termini le cause di tutto ciò: l’avidità dei ricchi e la stupidità dei poveri.   In particolare, con il suo inconfondibile stile, dice chiaramente che la riproduzione forsennata condanna senza remissione possibile i poveri alla miseria.   Qualunque cosa accada.
Swift morì senza figli e lasciò il cospicuo patrimonio che aveva accumulato come scrittore alla città di Dublino, ma non per nutrire i poveri, bensì per costruire il primo manicomio d’Irlanda (una realizzazione di assoluta avanguardia a quell’epoca).   Spiegò nel testamento che un manicomio era l’istituzione più necessaria in un paese di pazzi.

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Omaggio a Jonathan Swift

di Jacopo Simonetta

Questo blog è dedicato alla memoria del reverendo Thomas Robert Malthus.   Grande amico personale di David Ricardo,
Fra una tazza di the ed bicchierino di sherry i due avevano capito molto di come funzionavano i rapporti fra economia e popolazione.   Come tutti i pionieri, si erano sbagliati su molte cose, e d’altronde il mondo è cambiato non poco da allora.
Tuttavia alcuni punti dei loro ragionamenti rimangono validi a distanza di quasi due secoli.

Il primo è che, se non si interviene per limitare volontariamente la natalità, la crescita demografica sarà più rapida delle crescita economica, condannando la maggior parte della popolazione ad una miseria sempre più nera.

Il secondo è che la crescita demografica aumenta l’offerta di mano d’opera minando il potere contrattuale delle classi lavoratrici.   In pratica, sostenevano che, in assenza di adeguate misure, un aumento dei salari avrebbe causato un aumento della popolazione, il che avrebbe portato ad una nuova riduzione dei salari.   In pratica, i salari erano per natura nell’ordine di grandezza della mera sopravvivenza del lavoratore con la sua famiglia.   Un miglioramento, quando possibile, sarebbe stato temporaneo.
Il terzo punto era che, aumentando la popolazione di un paese, l’unica alternativa al disastro del medesimo era la massiccia emigrazione del surplus, il che non faceva che trasferire il disastro sulla pelle di altri popoli incapaci di difendersi.    La storia non ha fatto che confermare tragicamente questa previsione.    La marea montante in Europa è dilagata verso est e verso ovest travolgendo tutto ciò che poteva ostacolarla.

Tutti questi punti sono stati negati e ridicolizzati negli anni ruggenti della petrolizzazione dell’economia.   Per una trentina d’anni, infatti, la crescita economica è stata più rapida della pur esplosiva crescita demografica ed il povero Malthus fu postumo oggetto di ogni dileggio.    Trascorso qualche decennio ancora, dagli armadi in cui erano state relegate, queste osservazioni sono però  tornate a tormentare le nostre coscienze.     Diamo un’occhiata all’andamento dei salari ed alle offerte di impiego per i giovani da una decina d’anni a questa parte.   Si tratta di una crisi passeggera, come molti asseriscono, o di un ritorno alla normalità?

Vedremo, ma cosa c’entra Swift in tutto ciò?

C’entra molto perché il punto fondamentale di tutto ciò è che LA CRESCITA DEMOGRAFICA CONDANNA IL POPOLO ALLA MISERIA.  Una cosa che l’Irlandese aveva capito bene cent’anni prima di Malthus e del suo ancor più illustre amico.
Anch’egli pastore anglicano, Swift è famoso come romanziere, ma da grande scrittore qual’era, osservava la realtà con una rara perspicacia.   E la descriveva con lucidità.

Nel 1729 pubblicò un libello dal titolo “Una modesta proposta: per impedire che i bambini irlandesi siano a carico dei loro genitori o del loro Paese e per renderli utili alla comunità”.
Una lettura che consiglio a tutti coloro che non sono deboli di stomaco.   Immediatamente stroncato dal pubblico e dalla critica che forse non capì il disperato sarcasmo dell’opera, o forse perché lo capì anche troppo bene, ad oggi rimane una lettura volutamente disturbante.   E per una buona ragione.   Niente è più tragico del destino di un popolo che si scontra brutalmente con il limite di capacità di carico del proprio territorio.
In poche pagine Swift realizza uno dei primi (forse il primo) capolavoro dell’humour noir della letteratura europea, descrive con spietato realismo le condizioni di vita dei poveri d’Irlanda ed indica senza mezzi termini le cause di tutto ciò: l’avidità dei ricchi e la stupidità dei poveri.   In particolare, con il suo inconfondibile stile, dice chiaramente che la riproduzione forsennata condanna senza remissione possibile i poveri alla miseria.   Qualunque cosa accada.
Swift morì senza figli e lasciò il cospicuo patrimonio che aveva accumulato come scrittore alla città di Dublino, ma non per nutrire i poveri, bensì per costruire il primo manicomio d’Irlanda (una realizzazione di assoluta avanguardia a quell’epoca).   Spiegò nel testamento che un manicomio era l’istituzione più necessaria in un paese di pazzi.

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Omaggio a Jonathan Swift

di Jacopo Simonetta

Questo blog è dedicato alla memoria del reverendo Thomas Robert Malthus.   Grande amico personale di David Ricardo,
Fra una tazza di the ed bicchierino di sherry i due avevano capito molto di come funzionavano i rapporti fra economia e popolazione.   Come tutti i pionieri, si erano sbagliati su molte cose, e d’altronde il mondo è cambiato non poco da allora.
Tuttavia alcuni punti dei loro ragionamenti rimangono validi a distanza di quasi due secoli.

Il primo è che, se non si interviene per limitare volontariamente la natalità, la crescita demografica sarà più rapida delle crescita economica, condannando la maggior parte della popolazione ad una miseria sempre più nera.

Il secondo è che la crescita demografica aumenta l’offerta di mano d’opera minando il potere contrattuale delle classi lavoratrici.   In pratica, sostenevano che, in assenza di adeguate misure, un aumento dei salari avrebbe causato un aumento della popolazione, il che avrebbe portato ad una nuova riduzione dei salari.   In pratica, i salari erano per natura nell’ordine di grandezza della mera sopravvivenza del lavoratore con la sua famiglia.   Un miglioramento, quando possibile, sarebbe stato temporaneo.
Il terzo punto era che, aumentando la popolazione di un paese, l’unica alternativa al disastro del medesimo era la massiccia emigrazione del surplus, il che non faceva che trasferire il disastro sulla pelle di altri popoli incapaci di difendersi.    La storia non ha fatto che confermare tragicamente questa previsione.    La marea montante in Europa è dilagata verso est e verso ovest travolgendo tutto ciò che poteva ostacolarla.

Tutti questi punti sono stati negati e ridicolizzati negli anni ruggenti della petrolizzazione dell’economia.   Per una trentina d’anni, infatti, la crescita economica è stata più rapida della pur esplosiva crescita demografica ed il povero Malthus fu postumo oggetto di ogni dileggio.    Trascorso qualche decennio ancora, dagli armadi in cui erano state relegate, queste osservazioni sono però  tornate a tormentare le nostre coscienze.     Diamo un’occhiata all’andamento dei salari ed alle offerte di impiego per i giovani da una decina d’anni a questa parte.   Si tratta di una crisi passeggera, come molti asseriscono, o di un ritorno alla normalità?

Vedremo, ma cosa c’entra Swift in tutto ciò?

C’entra molto perché il punto fondamentale di tutto ciò è che LA CRESCITA DEMOGRAFICA CONDANNA IL POPOLO ALLA MISERIA.  Una cosa che l’Irlandese aveva capito bene cent’anni prima di Malthus e del suo ancor più illustre amico.
Anch’egli pastore anglicano, Swift è famoso come romanziere, ma da grande scrittore qual’era, osservava la realtà con una rara perspicacia.   E la descriveva con lucidità.

Nel 1729 pubblicò un libello dal titolo “Una modesta proposta: per impedire che i bambini irlandesi siano a carico dei loro genitori o del loro Paese e per renderli utili alla comunità”.
Una lettura che consiglio a tutti coloro che non sono deboli di stomaco.   Immediatamente stroncato dal pubblico e dalla critica che forse non capì il disperato sarcasmo dell’opera, o forse perché lo capì anche troppo bene, ad oggi rimane una lettura volutamente disturbante.   E per una buona ragione.   Niente è più tragico del destino di un popolo che si scontra brutalmente con il limite di capacità di carico del proprio territorio.
In poche pagine Swift realizza uno dei primi (forse il primo) capolavoro dell’humour noir della letteratura europea, descrive con spietato realismo le condizioni di vita dei poveri d’Irlanda ed indica senza mezzi termini le cause di tutto ciò: l’avidità dei ricchi e la stupidità dei poveri.   In particolare, con il suo inconfondibile stile, dice chiaramente che la riproduzione forsennata condanna senza remissione possibile i poveri alla miseria.   Qualunque cosa accada.
Swift morì senza figli e lasciò il cospicuo patrimonio che aveva accumulato come scrittore alla città di Dublino, ma non per nutrire i poveri, bensì per costruire il primo manicomio d’Irlanda (una realizzazione di assoluta avanguardia a quell’epoca).   Spiegò nel testamento che un manicomio era l’istituzione più necessaria in un paese di pazzi.

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Demografia e migrazioni.

di Jacopo Simonetta

Esiste una ristretta nicchia di persone che ritengono che il sistema economico globale attuale stia entrando in collasso e che questo provocherà conseguenze terribili sul piano sociale e politico.   Non sono molti, ma il loro numero sale, ma mano che l’evidenza dei fatti smentisce le promesse e le previsioni di chi, viceversa, sostiene che la crescita economica tornerà presto a risolvere tutti i nostri problemi.
Ma se c’è una cosa difficile per i “picchisti” è applicare le proprie idee non solo a scenari globali relativamente astratti, ma anche alle singole situazioni che si pongono “qui ed ora”.   Specialmente quando queste esigono risposte pratiche con conseguenze reali che coinvolgono direttamente le persone.  
Per fare un esempio, un conto è analizzare i dati globali per dire che la Terra è pesantemente sovrappopolata in ogni suo più remoto anfratto.   Un altro è decidere della vita propria ed altrui.    Perché di questo si tratta quando si parla di politiche demografiche.    
Queste si articolano infatti su tre livelli: controllo della natalità, controllo della mortalità, controllo dei flussi migratori.
Non è un caso se solo il primo livello (la natalità) ha avuto e continua ad avere un minimo di attenzione, sia pure con difficoltà.   Si tratta infatti di decidere se eventualmente impedire a qualcuno che ancora non esiste di venire al mondo.   Non si chiede a nessuno di andarsene all’altro mondo per aiutare i suoi compatrioti terrestri a restare in questo. 
Gli altri due aspetti, la mortalità e le migrazioni, sono invece assolutamente tabù per la buona ragione che, anche solo a parlarne, evocano sofferenza e morte.   Due fatti che sappiamo (o dovremmo sapere) imprescindibili dalla vita, ma che la nostra cultura e la nostra paura ci portano ad ignorare.   Eppure, nel mondo contemporaneo, un eventuale controllo delle nascite sarebbe certamente utile in alcuni paesi, ma in moltissimi casi sarebbe invece secondario o addirittura trascurabile, rispetto al ruolo determinante che oramai rivestono la mortalità e le migrazioni.
Ben sapendo di rischiare di offendere qualcuno, vorrei qui cercare di parlare del più appariscente dei due fattori demografici sopra citati: le migrazioni.
Sono queste un fenomeno antico quanto la nostra specie.   Quando in una zona si raggiungono limiti di sovrappopolazione, un certo numero di giovani parte a cercare una migliore fortuna altrove.  Se lungo la strada incontra popoli più agguerriti di loro, vengono uccisi.    Se viceversa incontrano territori poco popolati o genti meno agguerrite, si fanno largo ammazzando o sottomettendo gli autoctoni.   E’ esattamente in questo modo che l’umanità ha popolato l’intero Pianeta.    Ed è in questo modo che, durante tutto il XIX secolo, la traboccante popolazione europea è dilagata nel mondo intero.
Verso la fine del XX secolo, la situazione si è però rovesciata, con un crescente flusso migratorio verso l’Europa.    Il caso italiano è quello che ci riguarda più da vicino.
Durante gli anni ’80, la popolazione italiana si era stabilizzata attorno ai cinquantasei milioni e mezzo.   Poi, dall’89 (collasso degli stati comunisti) ha ricominciato a crescere grazie ad un’immigrazione dapprima modesta, poi sempre più intensa.   Una brusca accelerazione avvenne nel 2002, anno di approvazione della leggendaria “legge Bossi-Fini” che, evidentemente, ha favorito e non ostacolato il fenomeno.   Solo nell’ultimo paio d’anni si è verificato un rallentamento, dovuto alla crisi economica che rende il nostro paese meno attraente.    Ma il precipitare delle situazioni ambientali e politiche in molti paesi ha portato proprio nel 2015 ad un nuovo picco di arrivi.
I dati aggiornati non sono molto chiari, ma siamo all’incirca sessantadue milioni, con un tasso di incremento di circa 300.000 persone all’anno (senza calcolare i clandestini che non figurano in alcuna statistica).

E’ un bene od un male?     
A mio avviso, una simile discussione può avere senso solo partendo da pochi, ma importanti capisaldi:
1 – Chi lascia il suo paese, normalmente, lo fa perché costretto dalla miseria, o peggio.   Perciò non bisogna nascondersi dietro un dito ed essere ben coscienti del fatto che negare l’ingresso a qualcuno significa danneggiarlo, spesso in modo molto grave.
2 – Le migrazioni di massa sono appena cominciate, nei prossimi anni e decenni non potranno che aumentare.   Non bisogna illudersi
che il fenomeno si esaurisca da solo; ben al contrario si aggraverà.
3 – L’Italia, come tutta l’Europa, gode di un alto tenore di vita grazie ad una serie di vicende storiche e meccanismi di mercato che finora ci hanno permesso di appropriarci di risorse estere e distribuire globalmente i nostri rifiuti.    Ma il sistema economico sta rapidamente cambiando ed almeno in parte implodendo.   La crisi economica in Italia peggiorerà ed il nostro tenore di vita subirà una drastico ridimensionamento.   Disoccupazione e povertà stanno diventando la nuova normalità per un numero di persone che non potrà che crescere, anche se non possiamo sapere quanto e quando.
4 – Al contrario di quanto avvenuto in passato, questo flusso migratorio avviene in maniera del tutto disorganizzata ed inerme.    Almeno per il momento, non esiste quindi il rischio di un’invasione, bensì quello di un rapido incremento di popolazione in territori già ampiamente sovrappopolati con conseguente aumento degli stress sociali ed ambientali relativi. 
5 – La stragrande maggioranza degli immigrati non arriva fortunosamente in barca, bensì tranquillamente in aereo.   L’enfasi sugli sbarchi è quindi in buona parte una strategia di marketing politico.   Sia da parte di coloro che sono favorevoli, sia di coloro che sono contrari all’accoglienza.
Di fronte ad un fenomeno di questa portata e durata, le autorità pubbliche e le forze politiche non hanno trovato di meglio che applicare la ben nota “San Gennaro Help Me Procedure”.    Che consiste nel far entrare quasi tutti e lasciare che poi si arrangino senza dare troppo nell’occhio. 
Nel caso di persone giunte con mezzi di fortuna, come i famigerati “barconi”, per decenni chi riusciva ad approdare da qualche parte veniva parcheggiato da qualche parte.   Quindi si aspettava che si stufasse di aspettare non si sa che e si desse alla macchia, togliendo l’incomodo.   Fine del problema.
Non è polemica.   A livello accademico internazionale, si parla apertamente di un “modello Mediterraneo” descritto esattamente in questi termini.
Poco dopo che Francesco è asceso al Soglio Pontificio (combinazione?) la prima parte di questa procedura è stata però modificata.    Le autorità non si limitano più ad aspettare la gente per parcheggiarla da qualche parte, bensì la vanno a cercare per mare, mobilitando a tal fine imponenti mezzi, fra cui i rimasugli della Marina Militare.   Ovviamente, ciò ha contribuito a favorire un brusco aumento delle partenze e, quindi, anche dei naufragi.
Ora mi domando:   Visto che il governo ha deciso di facilitare in ogni modo possibile l’arrivo di migranti, per quale motivo continuare a finanziare la malavita organizzata ed attivare un costoso sistema di soccorso in alto mare?   Un sistema che, fra l’altro, riduce, ma certo non elimina i naufragi?

Molto più semplice, economico ed efficace sarebbe istituire linee regolari di traghetti.   Per i migranti rappresenterebbe una vera sicurezza ed un risparmio; per noi un considerevole risparmio di denaro pubblico ed un incremento di lavoro.   Per la malavita organizzata la fine di un’attività redditizia.

Why not? 

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Demografia e migrazioni.

di Jacopo Simonetta

Esiste una ristretta nicchia di persone che ritengono che il sistema economico globale attuale stia entrando in collasso e che questo provocherà conseguenze terribili sul piano sociale e politico.   Non sono molti, ma il loro numero sale, ma mano che l’evidenza dei fatti smentisce le promesse e le previsioni di chi, viceversa, sostiene che la crescita economica tornerà presto a risolvere tutti i nostri problemi.
Ma se c’è una cosa difficile per i “picchisti” è applicare le proprie idee non solo a scenari globali relativamente astratti, ma anche alle singole situazioni che si pongono “qui ed ora”.   Specialmente quando queste esigono risposte pratiche con conseguenze reali che coinvolgono direttamente le persone.  
Per fare un esempio, un conto è analizzare i dati globali per dire che la Terra è pesantemente sovrappopolata in ogni suo più remoto anfratto.   Un altro è decidere della vita propria ed altrui.    Perché di questo si tratta quando si parla di politiche demografiche.    
Queste si articolano infatti su tre livelli: controllo della natalità, controllo della mortalità, controllo dei flussi migratori.
Non è un caso se solo il primo livello (la natalità) ha avuto e continua ad avere un minimo di attenzione, sia pure con difficoltà.   Si tratta infatti di decidere se eventualmente impedire a qualcuno che ancora non esiste di venire al mondo.   Non si chiede a nessuno di andarsene all’altro mondo per aiutare i suoi compatrioti terrestri a restare in questo. 
Gli altri due aspetti, la mortalità e le migrazioni, sono invece assolutamente tabù per la buona ragione che, anche solo a parlarne, evocano sofferenza e morte.   Due fatti che sappiamo (o dovremmo sapere) imprescindibili dalla vita, ma che la nostra cultura e la nostra paura ci portano ad ignorare.   Eppure, nel mondo contemporaneo, un eventuale controllo delle nascite sarebbe certamente utile in alcuni paesi, ma in moltissimi casi sarebbe invece secondario o addirittura trascurabile, rispetto al ruolo determinante che oramai rivestono la mortalità e le migrazioni.
Ben sapendo di rischiare di offendere qualcuno, vorrei qui cercare di parlare del più appariscente dei due fattori demografici sopra citati: le migrazioni.
Sono queste un fenomeno antico quanto la nostra specie.   Quando in una zona si raggiungono limiti di sovrappopolazione, un certo numero di giovani parte a cercare una migliore fortuna altrove.  Se lungo la strada incontra popoli più agguerriti di loro, vengono uccisi.    Se viceversa incontrano territori poco popolati o genti meno agguerrite, si fanno largo ammazzando o sottomettendo gli autoctoni.   E’ esattamente in questo modo che l’umanità ha popolato l’intero Pianeta.    Ed è in questo modo che, durante tutto il XIX secolo, la traboccante popolazione europea è dilagata nel mondo intero.
Verso la fine del XX secolo, la situazione si è però rovesciata, con un crescente flusso migratorio verso l’Europa.    Il caso italiano è quello che ci riguarda più da vicino.
Durante gli anni ’80, la popolazione italiana si era stabilizzata attorno ai cinquantasei milioni e mezzo.   Poi, dall’89 (collasso degli stati comunisti) ha ricominciato a crescere grazie ad un’immigrazione dapprima modesta, poi sempre più intensa.   Una brusca accelerazione avvenne nel 2002, anno di approvazione della leggendaria “legge Bossi-Fini” che, evidentemente, ha favorito e non ostacolato il fenomeno.   Solo nell’ultimo paio d’anni si è verificato un rallentamento, dovuto alla crisi economica che rende il nostro paese meno attraente.    Ma il precipitare delle situazioni ambientali e politiche in molti paesi ha portato proprio nel 2015 ad un nuovo picco di arrivi.
I dati aggiornati non sono molto chiari, ma siamo all’incirca sessantadue milioni, con un tasso di incremento di circa 300.000 persone all’anno (senza calcolare i clandestini che non figurano in alcuna statistica).

E’ un bene od un male?     
A mio avviso, una simile discussione può avere senso solo partendo da pochi, ma importanti capisaldi:
1 – Chi lascia il suo paese, normalmente, lo fa perché costretto dalla miseria, o peggio.   Perciò non bisogna nascondersi dietro un dito ed essere ben coscienti del fatto che negare l’ingresso a qualcuno significa danneggiarlo, spesso in modo molto grave.
2 – Le migrazioni di massa sono appena cominciate, nei prossimi anni e decenni non potranno che aumentare.   Non bisogna illudersi
che il fenomeno si esaurisca da solo; ben al contrario si aggraverà.
3 – L’Italia, come tutta l’Europa, gode di un alto tenore di vita grazie ad una serie di vicende storiche e meccanismi di mercato che finora ci hanno permesso di appropriarci di risorse estere e distribuire globalmente i nostri rifiuti.    Ma il sistema economico sta rapidamente cambiando ed almeno in parte implodendo.   La crisi economica in Italia peggiorerà ed il nostro tenore di vita subirà una drastico ridimensionamento.   Disoccupazione e povertà stanno diventando la nuova normalità per un numero di persone che non potrà che crescere, anche se non possiamo sapere quanto e quando.
4 – Al contrario di quanto avvenuto in passato, questo flusso migratorio avviene in maniera del tutto disorganizzata ed inerme.    Almeno per il momento, non esiste quindi il rischio di un’invasione, bensì quello di un rapido incremento di popolazione in territori già ampiamente sovrappopolati con conseguente aumento degli stress sociali ed ambientali relativi. 
5 – La stragrande maggioranza degli immigrati non arriva fortunosamente in barca, bensì tranquillamente in aereo.   L’enfasi sugli sbarchi è quindi in buona parte una strategia di marketing politico.   Sia da parte di coloro che sono favorevoli, sia di coloro che sono contrari all’accoglienza.
Di fronte ad un fenomeno di questa portata e durata, le autorità pubbliche e le forze politiche non hanno trovato di meglio che applicare la ben nota “San Gennaro Help Me Procedure”.    Che consiste nel far entrare quasi tutti e lasciare che poi si arrangino senza dare troppo nell’occhio. 
Nel caso di persone giunte con mezzi di fortuna, come i famigerati “barconi”, per decenni chi riusciva ad approdare da qualche parte veniva parcheggiato da qualche parte.   Quindi si aspettava che si stufasse di aspettare non si sa che e si desse alla macchia, togliendo l’incomodo.   Fine del problema.
Non è polemica.   A livello accademico internazionale, si parla apertamente di un “modello Mediterraneo” descritto esattamente in questi termini.
Poco dopo che Francesco è asceso al Soglio Pontificio (combinazione?) la prima parte di questa procedura è stata però modificata.    Le autorità non si limitano più ad aspettare la gente per parcheggiarla da qualche parte, bensì la vanno a cercare per mare, mobilitando a tal fine imponenti mezzi, fra cui i rimasugli della Marina Militare.   Ovviamente, ciò ha contribuito a favorire un brusco aumento delle partenze e, quindi, anche dei naufragi.
Ora mi domando:   Visto che il governo ha deciso di facilitare in ogni modo possibile l’arrivo di migranti, per quale motivo continuare a finanziare la malavita organizzata ed attivare un costoso sistema di soccorso in alto mare?   Un sistema che, fra l’altro, riduce, ma certo non elimina i naufragi?

Molto più semplice, economico ed efficace sarebbe istituire linee regolari di traghetti.   Per i migranti rappresenterebbe una vera sicurezza ed un risparmio; per noi un considerevole risparmio di denaro pubblico ed un incremento di lavoro.   Per la malavita organizzata la fine di un’attività redditizia.

Why not? 

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Demografia e migrazioni.

di Jacopo Simonetta

Esiste una ristretta nicchia di persone che ritengono che il sistema economico globale attuale stia entrando in collasso e che questo provocherà conseguenze terribili sul piano sociale e politico.   Non sono molti, ma il loro numero sale, ma mano che l’evidenza dei fatti smentisce le promesse e le previsioni di chi, viceversa, sostiene che la crescita economica tornerà presto a risolvere tutti i nostri problemi.
Ma se c’è una cosa difficile per i “picchisti” è applicare le proprie idee non solo a scenari globali relativamente astratti, ma anche alle singole situazioni che si pongono “qui ed ora”.   Specialmente quando queste esigono risposte pratiche con conseguenze reali che coinvolgono direttamente le persone.  
Per fare un esempio, un conto è analizzare i dati globali per dire che la Terra è pesantemente sovrappopolata in ogni suo più remoto anfratto.   Un altro è decidere della vita propria ed altrui.    Perché di questo si tratta quando si parla di politiche demografiche.    
Queste si articolano infatti su tre livelli: controllo della natalità, controllo della mortalità, controllo dei flussi migratori.
Non è un caso se solo il primo livello (la natalità) ha avuto e continua ad avere un minimo di attenzione, sia pure con difficoltà.   Si tratta infatti di decidere se eventualmente impedire a qualcuno che ancora non esiste di venire al mondo.   Non si chiede a nessuno di andarsene all’altro mondo per aiutare i suoi compatrioti terrestri a restare in questo. 
Gli altri due aspetti, la mortalità e le migrazioni, sono invece assolutamente tabù per la buona ragione che, anche solo a parlarne, evocano sofferenza e morte.   Due fatti che sappiamo (o dovremmo sapere) imprescindibili dalla vita, ma che la nostra cultura e la nostra paura ci portano ad ignorare.   Eppure, nel mondo contemporaneo, un eventuale controllo delle nascite sarebbe certamente utile in alcuni paesi, ma in moltissimi casi sarebbe invece secondario o addirittura trascurabile, rispetto al ruolo determinante che oramai rivestono la mortalità e le migrazioni.
Ben sapendo di rischiare di offendere qualcuno, vorrei qui cercare di parlare del più appariscente dei due fattori demografici sopra citati: le migrazioni.
Sono queste un fenomeno antico quanto la nostra specie.   Quando in una zona si raggiungono limiti di sovrappopolazione, un certo numero di giovani parte a cercare una migliore fortuna altrove.  Se lungo la strada incontra popoli più agguerriti di loro, vengono uccisi.    Se viceversa incontrano territori poco popolati o genti meno agguerrite, si fanno largo ammazzando o sottomettendo gli autoctoni.   E’ esattamente in questo modo che l’umanità ha popolato l’intero Pianeta.    Ed è in questo modo che, durante tutto il XIX secolo, la traboccante popolazione europea è dilagata nel mondo intero.
Verso la fine del XX secolo, la situazione si è però rovesciata, con un crescente flusso migratorio verso l’Europa.    Il caso italiano è quello che ci riguarda più da vicino.
Durante gli anni ’80, la popolazione italiana si era stabilizzata attorno ai cinquantasei milioni e mezzo.   Poi, dall’89 (collasso degli stati comunisti) ha ricominciato a crescere grazie ad un’immigrazione dapprima modesta, poi sempre più intensa.   Una brusca accelerazione avvenne nel 2002, anno di approvazione della leggendaria “legge Bossi-Fini” che, evidentemente, ha favorito e non ostacolato il fenomeno.   Solo nell’ultimo paio d’anni si è verificato un rallentamento, dovuto alla crisi economica che rende il nostro paese meno attraente.    Ma il precipitare delle situazioni ambientali e politiche in molti paesi ha portato proprio nel 2015 ad un nuovo picco di arrivi.
I dati aggiornati non sono molto chiari, ma siamo all’incirca sessantadue milioni, con un tasso di incremento di circa 300.000 persone all’anno (senza calcolare i clandestini che non figurano in alcuna statistica).

E’ un bene od un male?     
A mio avviso, una simile discussione può avere senso solo partendo da pochi, ma importanti capisaldi:
1 – Chi lascia il suo paese, normalmente, lo fa perché costretto dalla miseria, o peggio.   Perciò non bisogna nascondersi dietro un dito ed essere ben coscienti del fatto che negare l’ingresso a qualcuno significa danneggiarlo, spesso in modo molto grave.
2 – Le migrazioni di massa sono appena cominciate, nei prossimi anni e decenni non potranno che aumentare.   Non bisogna illudersi
che il fenomeno si esaurisca da solo; ben al contrario si aggraverà.
3 – L’Italia, come tutta l’Europa, gode di un alto tenore di vita grazie ad una serie di vicende storiche e meccanismi di mercato che finora ci hanno permesso di appropriarci di risorse estere e distribuire globalmente i nostri rifiuti.    Ma il sistema economico sta rapidamente cambiando ed almeno in parte implodendo.   La crisi economica in Italia peggiorerà ed il nostro tenore di vita subirà una drastico ridimensionamento.   Disoccupazione e povertà stanno diventando la nuova normalità per un numero di persone che non potrà che crescere, anche se non possiamo sapere quanto e quando.
4 – Al contrario di quanto avvenuto in passato, questo flusso migratorio avviene in maniera del tutto disorganizzata ed inerme.    Almeno per il momento, non esiste quindi il rischio di un’invasione, bensì quello di un rapido incremento di popolazione in territori già ampiamente sovrappopolati con conseguente aumento degli stress sociali ed ambientali relativi. 
5 – La stragrande maggioranza degli immigrati non arriva fortunosamente in barca, bensì tranquillamente in aereo.   L’enfasi sugli sbarchi è quindi in buona parte una strategia di marketing politico.   Sia da parte di coloro che sono favorevoli, sia di coloro che sono contrari all’accoglienza.
Di fronte ad un fenomeno di questa portata e durata, le autorità pubbliche e le forze politiche non hanno trovato di meglio che applicare la ben nota “San Gennaro Help Me Procedure”.    Che consiste nel far entrare quasi tutti e lasciare che poi si arrangino senza dare troppo nell’occhio. 
Nel caso di persone giunte con mezzi di fortuna, come i famigerati “barconi”, per decenni chi riusciva ad approdare da qualche parte veniva parcheggiato da qualche parte.   Quindi si aspettava che si stufasse di aspettare non si sa che e si desse alla macchia, togliendo l’incomodo.   Fine del problema.
Non è polemica.   A livello accademico internazionale, si parla apertamente di un “modello Mediterraneo” descritto esattamente in questi termini.
Poco dopo che Francesco è asceso al Soglio Pontificio (combinazione?) la prima parte di questa procedura è stata però modificata.    Le autorità non si limitano più ad aspettare la gente per parcheggiarla da qualche parte, bensì la vanno a cercare per mare, mobilitando a tal fine imponenti mezzi, fra cui i rimasugli della Marina Militare.   Ovviamente, ciò ha contribuito a favorire un brusco aumento delle partenze e, quindi, anche dei naufragi.
Ora mi domando:   Visto che il governo ha deciso di facilitare in ogni modo possibile l’arrivo di migranti, per quale motivo continuare a finanziare la malavita organizzata ed attivare un costoso sistema di soccorso in alto mare?   Un sistema che, fra l’altro, riduce, ma certo non elimina i naufragi?

Molto più semplice, economico ed efficace sarebbe istituire linee regolari di traghetti.   Per i migranti rappresenterebbe una vera sicurezza ed un risparmio; per noi un considerevole risparmio di denaro pubblico ed un incremento di lavoro.   Per la malavita organizzata la fine di un’attività redditizia.

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Un tabù che ha bisogno di continue conferme.

Il fatto che la popolazione umana su questo pianeta sia ingombrante è un fatto che a me sembra evidente. Si possono fare tutti i distinguo e le raffinate analisi sociologiche ed economiche che si vuole. Resta il fatto che Homo sapiens e le sue specie alleate, animali e vegetali, stanno imponendo all’intera biosfera un’estinzione che ha già le caratteristiche delle altre cinque accertate nel passato. Se si crede nel messaggio che ci da la misura dell’impronta ecologica si può affiancare al numero di umani i loro consumi pro-capite e, argomentare (correttamente) sul fatto che il 90% della popolazione è meno influente del 10% più ricco. Se ne può trarre conclusioni politiche importante e, spesso, condivisibili, sulla necessità della redistribuzione. Benissimo. Ma questo non toglie che il tema della sovrappopolazione non possa essere messo in un angolo e dimenticato. Nemmeno se a farlo cerca di convincerci la rivista scientifica Nature con un articolo in cui mette fra i miti scientifici anche quello della sovrappopolazione. Bisogna far ricorso a tutte le doti di pazienza disponibili per non sbottare di fronte alla caterva di banalità con cui la giornalista scientifica Megan Scudellari affronta il tema della popolazione. Il principale argomento è che in realtà la crescita demografica non è più esponenziale. Come se notare questo dato di fatto fosse una prova che il problema della popolazione non esiste più. Come se, inoltre, ci fosse qualcuno di serio che lo nega. Una crescita esponenziale, come quella demografica della prima parte del secolo scorso, non può reggere in eterno e il fatto che ad un certo punto inizi a rallentare è un segno che qualcosa la sta ostacolando. Noi abbiamo qualche idea su cosa sia questo qualcosa: il raggiungimento dei limiti fisici del pianeta. Insomma l’articolo di Scudellari non è altro che un poutpourrì di quanto orecchiato dalla demografia ufficiale, quella accademica che aveva dato già prova di se anni fa sull’altra rivista scientifica di massimo grido: Science.

Questo eterno ritorno dello “sfatamento del mito della sovrappopolazione” è sempre ben accolto in almeno tre ambienti culturali e politici: l’insieme dei religiosi (da noi prevalentemente i cattolici di destra e di sinistra quasi senza distinzione), gli economicisti delle due scuole principali, keynesiani e liberisti, perché l’invecchiamento della popolazione è il loro incubo peggiore, e i social- comunisti che pensano che potremmo anche essere 10-20 miliardi purché fossimo tutti santi nella società liberata dalle classi e, finalmente, diventata il paradiso in terra. Una bella alleanza non c’è che dire per combattere la quale ci vuole tanta più cocciutaggine in quanto ci si scontra con un avversario molto più potente. Per questo, ritornando al vecchio nome che evocava il rev. Robert Thomas Malthus, ripartiamo con questo blog un po’ provocatorio, ma altrettanto sentito da chi lo scrive.… more