ASPO Italia

Parco Arpad Weisz: il destino dell’Occidente?

 Di Armando Boccone
Foto 1 –
L’ingresso di Parco Arpad Weisz
Qualche
mese fa, nel fare una passeggiata nella zona in cui vivo a Bologna, mi sono
imbattuto nel Parco Arpad Weisz. Ricordavo vagamente di avere sentito parlare
della sua costruzione alcuni anni  prima.
Il ricordo forse derivava dalla persona a cui il parco sarebbe stato intitolato
(Arpad Weisz, ungherese, allenatore delle squadre di calcio dell’Inter e poi
del Bologna negli anni precedenti la seconda guerra mondiale e poi, per via
delle sue origini ebraiche, costretto ad andare 
via dall’Italia e infine deportato a Auschwitz dove morì nel 1944).
Sono
rimasto scandalizzato dalla visione delle condizioni in cui il parco versa:
erbacce e rifiuti dappertutto,  alberi
nati spontaneamente, un ricovero per
persone emarginate, ecc. Ciò che mi ha colpito soprattutto sono state le
panchine e i giochi per bambini: si vede chiaramente che dopo la loro messa in
opera non sono mai stati usati.

Foto 2 –
L’evidente stato di degrado in cui versa il parco
Mi sono
chiesto come mai si fosse creata questa situazione. Da una ricerca fatta ho
scoperto che la costruzione faceva parte delle opere di urbanizzazione primaria
a cui era tenuto il vicino centro commerciale (che, in quanto proprietario, si
sarebbe occupato poi anche della sua manutenzione). 
I lavori di
costruzione terminano nel giugno 2009. 
Appena dopo ci sarebbe dovuto essere il collaudo ma ciò non è potuto
avvenire  per gravi vizi nella
realizzazione delle opere e per lo stato di abbandono in cui il parco versa per
la mancata manutenzione da parte della proprietà. Il parco quindi non si sarebbe
mai dovuto aprire ma nonostante questo la proprietà ha tolto le recinzioni del
cantiere rendendo così praticamente possibile l’entrata da parte del pubblico.
Foto 3 Un
ricovero per persone emarginate
Il Comune
di Bologna ha emanato varie diffide nei confronti del centro commerciale
affinché sanasse la situazione ma senza nessun esito. Per questo motivo il
Comune stesso sta valutando la possibilità di acquisizione del parco e di fare
le necessarie opere per renderlo fruibile da parte della popolazione.
Come mai le cose sono andate nel modo visto?
La storia
del Parco Arpad Weisz è strettamente collegata alla storia del Centro
Commerciale Dima Shopping Emilia Levante.
Questo
centro commerciale è sorto sull’area in precedenza occupata dalla
concessionaria FIAT ed è stato inaugurato nel dicembre 2007.
Le cose per
questo centro commerciale sono andate male già dagli inizi perché non tutti gli
spazi disponibili sono occupati dai negozi (questo risulta sia dalle ricerche
che ho fatto sul web sia per averlo visto di persona). Le cause sono dovute sia
alla crisi che allora (siamo alla fine del 2007) comincia già a intravedersi
sia perché il centro commerciale non è riuscito a “collegarsi” al grosso
supermarket adiacente, con cui avrebbe ottenuto delle ovvie sinergie. I due
esercizi sono stati sempre separati per cui una volta fatta la spesa in un
esercizio si sarebbe dovuti andare a depositare la spesa in macchina, poi
spostarsi nel parcheggio dell’altro esercizio ed infine entrarci per fare
ulteriori acquisti.
E’ da
pensare che appena il Centro commerciale ha visto che le cose si sono messe  male ha tirato i remi in barca e ha cercato di
eliminare tutte le spese possibili: fra le spese c’é il completamento e la
successiva gestione del Parco Arpad Weisz.
Dovrebbe
toccare al Comune di Bologna sanare la situazione sopportando le necessarie
spese sia per la sua acquisizione che per il completamento dei lavori e infine
per la sua gestione.
Ma ai Comuni in questi ultimi anni sono state tagliate diverse entrate per cui si
sono visti costretti ad aumentare il costo per i cittadini dei servizi gestiti
dai comuni stessi: ho l’impressione che il comune di Bologna non si accollerà
quelle spese, che le cose potranno solamente peggiorare e che il Parco Arpad
Weisz andrà incontro a un maggiore degrado.
Una piccola ricerca sul campo
Qualche
giorno fa sono andato al parco e al centro commerciale. Sono andato per fare
alcune fotografie sia del parco che del centro commerciale, per fare delle
interviste e per vedere come si comporta quella “natura artificiale” costituita
dal parco dopo alcuni anni di abbandono.
Ho visto
dei giovani alberi nati spontaneamente, i prati pieni di erbacce e le siepi e
gli alberi cresciuti liberamente senza subire potature. Pensavo che la mancanza
di cure, di uso di insetticidi e di medicinali vari per la cura delle piante
avesse portate queste stesse piante a subire gli attacchi di insetti e di malattie
varie. Salvo un tipo di pianta (di cui alla foto 4) che mostra alcune foglie
deformate (forse mangiate da insetti) e alcune macchioline rosse sempre sulle
foglie (non so se derivanti da malattie o naturali) tutta la vegetazione non
reca segni particolari.

Foto 4
– Particolare di una pianta 
Ma il danno
più evidente al parco è quello apportato dall’uomo. Ci sono rifiuti di ogni
genere: dalle bottiglie di birra usate da giovani che si appartano nel parco ai
classici sacchetti di plastica pieni di rifiuti, da una bicicletta senza ruote  all’immancabile materasso.  Il vialetto che taglia in due il parco è
cosparso di vetri in frantumi mentre, diversamente da quanto letto su materiale
disponibile sul web, non vedo nessuna siringa.
Mi sono poi
recato al centro commerciale.
L’ultima
volta ci sono stato l’estate scorsa. Avevo notato che avevano chiuso i due più
grossi negozi del centro. In uno di questi tempo prima avevo comprato il
televisore. Mi hanno detto che ha chiuso non solamente questo punto vendita ma tutta
la catena di cui faceva parte.
Foto 5
– Particolare del centro commerciale con i negozi chiusi
Al
parcheggio chiedo a una coppia che è uscita proprio in quel momento e che si
appresta a entrare nel proprio SUV se il centro sia ancora aperto oppure già chiuso
(avevo sentito sia voci che fosse stato chiuso il 29 febbraio sia che fosse
ancora aperto).
Il signore
della coppia mi dice che chiuderà fra qualche giorno per essere ristrutturato e
che poi fra circa un anno aprirà un nuovo centro commerciale.
Entro nel
centro. Esistono 4-5 esercizi commerciali ancora aperti. Mi rivolgo alla
signora che gestisce un negozio di abbigliamento. Dice che quella sarà l’ultima
settimana di apertura ma può darsi che le diano ancora un’altra settimana. Dopo
il suo esercizio si trasferirà in un altro posto non molto distante. Dice che
il  centro commerciale “non ha funzionato
dagli inizi”, che adesso ristruttureranno tutto e che non sa né quando riaprirà
né con quali attività.
Entro poi
in un negozio di articoli e giochi  per bambini.
La giovane commessa mi dice che il negozio chiuderà fra qualche giorno ma lei e
l’altro personale saranno traferiti in altri negozi che la catena di cui
fa parte possiede nella città di Bologna. Dice che ogni negozio paga l’affitto
e le utenze dirette. Tutto il resto è a carico del centro commerciale. I negozi
che in passato hanno chiuso è perché le cose andavano male e lo stesso centro
commerciale chiude perché le cose vanno male.
Ho notato
che anche i bagni sono chiusi però in questo caso sono solamente fuori uso  per problemi tecnici!!  (vedere la foto 6). Funzionano invece le
scale mobili che collegano il centro commerciale al parcheggio interrato, anche
se nessuno le usa.
Foto 6
– Bagni fuori uso per problemi tecnici

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Parco Arpad Weisz: il destino dell’Occidente?

 Di Armando Boccone
Foto 1 –
L’ingresso di Parco Arpad Weisz
Qualche
mese fa, nel fare una passeggiata nella zona in cui vivo a Bologna, mi sono
imbattuto nel Parco Arpad Weisz. Ricordavo vagamente di avere sentito parlare
della sua costruzione alcuni anni  prima.
Il ricordo forse derivava dalla persona a cui il parco sarebbe stato intitolato
(Arpad Weisz, ungherese, allenatore delle squadre di calcio dell’Inter e poi
del Bologna negli anni precedenti la seconda guerra mondiale e poi, per via
delle sue origini ebraiche, costretto ad andare 
via dall’Italia e infine deportato a Auschwitz dove morì nel 1944).
Sono
rimasto scandalizzato dalla visione delle condizioni in cui il parco versa:
erbacce e rifiuti dappertutto,  alberi
nati spontaneamente, un ricovero per
persone emarginate, ecc. Ciò che mi ha colpito soprattutto sono state le
panchine e i giochi per bambini: si vede chiaramente che dopo la loro messa in
opera non sono mai stati usati.

Foto 2 –
L’evidente stato di degrado in cui versa il parco
Mi sono
chiesto come mai si fosse creata questa situazione. Da una ricerca fatta ho
scoperto che la costruzione faceva parte delle opere di urbanizzazione primaria
a cui era tenuto il vicino centro commerciale (che, in quanto proprietario, si
sarebbe occupato poi anche della sua manutenzione). 
I lavori di
costruzione terminano nel giugno 2009. 
Appena dopo ci sarebbe dovuto essere il collaudo ma ciò non è potuto
avvenire  per gravi vizi nella
realizzazione delle opere e per lo stato di abbandono in cui il parco versa per
la mancata manutenzione da parte della proprietà. Il parco quindi non si sarebbe
mai dovuto aprire ma nonostante questo la proprietà ha tolto le recinzioni del
cantiere rendendo così praticamente possibile l’entrata da parte del pubblico.
Foto 3 Un
ricovero per persone emarginate
Il Comune
di Bologna ha emanato varie diffide nei confronti del centro commerciale
affinché sanasse la situazione ma senza nessun esito. Per questo motivo il
Comune stesso sta valutando la possibilità di acquisizione del parco e di fare
le necessarie opere per renderlo fruibile da parte della popolazione.
Come mai le cose sono andate nel modo visto?
La storia
del Parco Arpad Weisz è strettamente collegata alla storia del Centro
Commerciale Dima Shopping Emilia Levante.
Questo
centro commerciale è sorto sull’area in precedenza occupata dalla
concessionaria FIAT ed è stato inaugurato nel dicembre 2007.
Le cose per
questo centro commerciale sono andate male già dagli inizi perché non tutti gli
spazi disponibili sono occupati dai negozi (questo risulta sia dalle ricerche
che ho fatto sul web sia per averlo visto di persona). Le cause sono dovute sia
alla crisi che allora (siamo alla fine del 2007) comincia già a intravedersi
sia perché il centro commerciale non è riuscito a “collegarsi” al grosso
supermarket adiacente, con cui avrebbe ottenuto delle ovvie sinergie. I due
esercizi sono stati sempre separati per cui una volta fatta la spesa in un
esercizio si sarebbe dovuti andare a depositare la spesa in macchina, poi
spostarsi nel parcheggio dell’altro esercizio ed infine entrarci per fare
ulteriori acquisti.
E’ da
pensare che appena il Centro commerciale ha visto che le cose si sono messe  male ha tirato i remi in barca e ha cercato di
eliminare tutte le spese possibili: fra le spese c’é il completamento e la
successiva gestione del Parco Arpad Weisz.
Dovrebbe
toccare al Comune di Bologna sanare la situazione sopportando le necessarie
spese sia per la sua acquisizione che per il completamento dei lavori e infine
per la sua gestione.
Ma ai Comuni in questi ultimi anni sono state tagliate diverse entrate per cui si
sono visti costretti ad aumentare il costo per i cittadini dei servizi gestiti
dai comuni stessi: ho l’impressione che il comune di Bologna non si accollerà
quelle spese, che le cose potranno solamente peggiorare e che il Parco Arpad
Weisz andrà incontro a un maggiore degrado.
Una piccola ricerca sul campo
Qualche
giorno fa sono andato al parco e al centro commerciale. Sono andato per fare
alcune fotografie sia del parco che del centro commerciale, per fare delle
interviste e per vedere come si comporta quella “natura artificiale” costituita
dal parco dopo alcuni anni di abbandono.
Ho visto
dei giovani alberi nati spontaneamente, i prati pieni di erbacce e le siepi e
gli alberi cresciuti liberamente senza subire potature. Pensavo che la mancanza
di cure, di uso di insetticidi e di medicinali vari per la cura delle piante
avesse portate queste stesse piante a subire gli attacchi di insetti e di malattie
varie. Salvo un tipo di pianta (di cui alla foto 4) che mostra alcune foglie
deformate (forse mangiate da insetti) e alcune macchioline rosse sempre sulle
foglie (non so se derivanti da malattie o naturali) tutta la vegetazione non
reca segni particolari.

Foto 4
– Particolare di una pianta 
Ma il danno
più evidente al parco è quello apportato dall’uomo. Ci sono rifiuti di ogni
genere: dalle bottiglie di birra usate da giovani che si appartano nel parco ai
classici sacchetti di plastica pieni di rifiuti, da una bicicletta senza ruote  all’immancabile materasso.  Il vialetto che taglia in due il parco è
cosparso di vetri in frantumi mentre, diversamente da quanto letto su materiale
disponibile sul web, non vedo nessuna siringa.
Mi sono poi
recato al centro commerciale.
L’ultima
volta ci sono stato l’estate scorsa. Avevo notato che avevano chiuso i due più
grossi negozi del centro. In uno di questi tempo prima avevo comprato il
televisore. Mi hanno detto che ha chiuso non solamente questo punto vendita ma tutta
la catena di cui faceva parte.
Foto 5
– Particolare del centro commerciale con i negozi chiusi
Al
parcheggio chiedo a una coppia che è uscita proprio in quel momento e che si
appresta a entrare nel proprio SUV se il centro sia ancora aperto oppure già chiuso
(avevo sentito sia voci che fosse stato chiuso il 29 febbraio sia che fosse
ancora aperto).
Il signore
della coppia mi dice che chiuderà fra qualche giorno per essere ristrutturato e
che poi fra circa un anno aprirà un nuovo centro commerciale.
Entro nel
centro. Esistono 4-5 esercizi commerciali ancora aperti. Mi rivolgo alla
signora che gestisce un negozio di abbigliamento. Dice che quella sarà l’ultima
settimana di apertura ma può darsi che le diano ancora un’altra settimana. Dopo
il suo esercizio si trasferirà in un altro posto non molto distante. Dice che
il  centro commerciale “non ha funzionato
dagli inizi”, che adesso ristruttureranno tutto e che non sa né quando riaprirà
né con quali attività.
Entro poi
in un negozio di articoli e giochi  per bambini.
La giovane commessa mi dice che il negozio chiuderà fra qualche giorno ma lei e
l’altro personale saranno traferiti in altri negozi che la catena di cui
fa parte possiede nella città di Bologna. Dice che ogni negozio paga l’affitto
e le utenze dirette. Tutto il resto è a carico del centro commerciale. I negozi
che in passato hanno chiuso è perché le cose andavano male e lo stesso centro
commerciale chiude perché le cose vanno male.
Ho notato
che anche i bagni sono chiusi però in questo caso sono solamente fuori uso  per problemi tecnici!!  (vedere la foto 6). Funzionano invece le
scale mobili che collegano il centro commerciale al parcheggio interrato, anche
se nessuno le usa.
Foto 6
– Bagni fuori uso per problemi tecnici

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Lucania Saudita e la maledizione del petrolio

Di Ugo Bardi

L’altro giorno, mi è arrivata una telefonata da “Caterpillar”, la trasmissione radio condotta da Massimo Cirri e Filippo Solibello. “Professore,” mi hanno detto, “potrebbe dirci in trasmissione come mai in Norvegia danno ai cittadini l’80% dei proventi dell’estrazione del petrolio, mentre in Basilicata danno solo il 10%? Non le sembra che dovrebbero dare molto di più?

Ho cercato flebilmente di rifilare l’intervista a qualche collega che si intende più di me di economia del petrolio, ma con scarso successo. Quando poi mi hanno detto che si andava in onda entro un’ora e mezzo mi sono detto “beh, a quanto pare, mi tocca.” Così ho cercato un po’ su Internet per capire come poteva essere che in Norvegia davano così tanti soldi ai cittadini per il solo fatto di abitare in un paese con tanto petrolio. 
Non mi ci è voluto molto a capire come stavano le cose. La notizia arrivava da un articolo del Corriere della Sera del 12 marzo 2012 a firma di Lorenzo Salvia e intitolato “I petrolieri pagano il pieno ai Lucani”. Qui leggiamo che il governo italiano impone ai petrolieri di pagare una royalty del 10% ai cittadini della Lucania, ovvero una tassa sullo sfruttamento del petrolio. Leggiamo anche che “le royalties italiane restano molto più basse rispetto a quelle chieste in altri Paesi, con il record della Norvegia (80%)”.
Beh, certo che se le cose fossero veramente così (e lo dicono anche su altri siti), la Norvegia deve essere il paese del Bengodi in termini di quello che i cittadini incassano dalle compagnie petrolifere. Ma è possibile che queste accettino di pagare l’80% di tasse sui loro profitti? Mmmm….. sembra proprio che ci sia qualcosa che non va. 
Bastano pochi minuti di ricerca su Internet per capire che la faccenda dell’ “80% di royalties” è proprio una fesseria. Quello che è vero è che l’80% delle risorse petrolifere norvegesi è in mano a una compagnia statale (detta, appunto “Statoil”)(4). Per questo, in un certo senso, si può dire che l’80% dei profitti derivanti dal petrolio sono di proprietà dei cittadini. 
Ma queste NON sono royalties e il governo norvegese non distribuisce niente del genere ai propri cittadini. Come tutti i governi, utilizza le proprie risorse finanziarie per i servizi, le infrastrutture, e tutto quello che un governo fa (o dovrebbe fare) per i propri cittadini. Insomma, questa dell’ 80% di royalties è una delle solite bufale (*). 
Comunque è una storia interessante e all’intervista di Caterpillar non mi sono limitato a parlare di royalties. Ho parlato di quella che si chiama la “maledizione del petrolio” (detta anche la “sindrome olandese”) che fa si che un paese che ha redditi petroliferi importanti non è incentivato a costruire un sistema economico efficiente. I cittadini di questi paesi sono un po’ dei “pensionati del petrolio” e campano tutti contenti fino a che, purtroppo per loro, i nodi non vengono al pettine. 
Quando la produzione petrolifera comincia a declinare sono, come si suol dire, cavoli acidi. Un economia come quella dell’Arabia (non la Lucania) Saudita dipende interamente dal petriolio, anche per l’importazione di generi alimentari. Dato che prima o poi la produzione deve declinare anche in Arabia, veramente il risultato potrebbe essere una maledizione. La maledizione del petrolio. 
Ma anche la Lucania rischia la maledizione del petrolio? Poco probabile. Le royalties, distribuite ai soli cittadini che hanno la patente, fanno circa 100 Euro all’anno in tutto. Il fatto che in Alaska, con circa la stessa tassazione, i cittadini incassino oltre 1000 dollari all’anno ci da un’idea di quanto in Italia si parla di briciole quando si parla di produzione petrolifera. Per non confrontare poi con la Norvegia, dove lo stato incassa decine e decine di miliardi di dollari con la sua Statoil. 
Se la maledizione del petrolio la vogliamo vedere come un morbo, allora in Lucania (non Saudita) si parla di un raffreddorino primaverile in confronto alla broncopolmonite dell’Arabia (quella si, Saudita). Questo è quello che ho raccontato a “Caterpillar”. Loro mi hanno domandato come stanno i miei pipistrelli – al che gli ho risposto che sono in letargo, che sono due, e che da oggi gli ho dato il nome di Cirri e Solibello. 

(*) Nota: mi segnala Arnaldo Orlandini (un altro di quelli che ne sanno molto più di me di economia del petrolio) che il “government take” della Statoil è anche quello intorno all’80%. Ma non è comunque una “royalty” distribuita direttamente ai cittadini

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Lucania Saudita e la maledizione del petrolio

Di Ugo Bardi

L’altro giorno, mi è arrivata una telefonata da “Caterpillar”, la trasmissione radio condotta da Massimo Cirri e Filippo Solibello. “Professore,” mi hanno detto, “potrebbe dirci in trasmissione come mai in Norvegia danno ai cittadini l’80% dei proventi dell’estrazione del petrolio, mentre in Basilicata danno solo il 10%? Non le sembra che dovrebbero dare molto di più?

Ho cercato flebilmente di rifilare l’intervista a qualche collega che si intende più di me di economia del petrolio, ma con scarso successo. Quando poi mi hanno detto che si andava in onda entro un’ora e mezzo mi sono detto “beh, a quanto pare, mi tocca.” Così ho cercato un po’ su Internet per capire come poteva essere che in Norvegia davano così tanti soldi ai cittadini per il solo fatto di abitare in un paese con tanto petrolio. 
Non mi ci è voluto molto a capire come stavano le cose. La notizia arrivava da un articolo del Corriere della Sera del 12 marzo 2012 a firma di Lorenzo Salvia e intitolato “I petrolieri pagano il pieno ai Lucani”. Qui leggiamo che il governo italiano impone ai petrolieri di pagare una royalty del 10% ai cittadini della Lucania, ovvero una tassa sullo sfruttamento del petrolio. Leggiamo anche che “le royalties italiane restano molto più basse rispetto a quelle chieste in altri Paesi, con il record della Norvegia (80%)”.
Beh, certo che se le cose fossero veramente così (e lo dicono anche su altri siti), la Norvegia deve essere il paese del Bengodi in termini di quello che i cittadini incassano dalle compagnie petrolifere. Ma è possibile che queste accettino di pagare l’80% di tasse sui loro profitti? Mmmm….. sembra proprio che ci sia qualcosa che non va. 
Bastano pochi minuti di ricerca su Internet per capire che la faccenda dell’ “80% di royalties” è proprio una fesseria. Quello che è vero è che l’80% delle risorse petrolifere norvegesi è in mano a una compagnia statale (detta, appunto “Statoil”)(4). Per questo, in un certo senso, si può dire che l’80% dei profitti derivanti dal petrolio sono di proprietà dei cittadini. 
Ma queste NON sono royalties e il governo norvegese non distribuisce niente del genere ai propri cittadini. Come tutti i governi, utilizza le proprie risorse finanziarie per i servizi, le infrastrutture, e tutto quello che un governo fa (o dovrebbe fare) per i propri cittadini. Insomma, questa dell’ 80% di royalties è una delle solite bufale (*). 
Comunque è una storia interessante e all’intervista di Caterpillar non mi sono limitato a parlare di royalties. Ho parlato di quella che si chiama la “maledizione del petrolio” (detta anche la “sindrome olandese”) che fa si che un paese che ha redditi petroliferi importanti non è incentivato a costruire un sistema economico efficiente. I cittadini di questi paesi sono un po’ dei “pensionati del petrolio” e campano tutti contenti fino a che, purtroppo per loro, i nodi non vengono al pettine. 
Quando la produzione petrolifera comincia a declinare sono, come si suol dire, cavoli acidi. Un economia come quella dell’Arabia (non la Lucania) Saudita dipende interamente dal petriolio, anche per l’importazione di generi alimentari. Dato che prima o poi la produzione deve declinare anche in Arabia, veramente il risultato potrebbe essere una maledizione. La maledizione del petrolio. 
Ma anche la Lucania rischia la maledizione del petrolio? Poco probabile. Le royalties, distribuite ai soli cittadini che hanno la patente, fanno circa 100 Euro all’anno in tutto. Il fatto che in Alaska, con circa la stessa tassazione, i cittadini incassino oltre 1000 dollari all’anno ci da un’idea di quanto in Italia si parla di briciole quando si parla di produzione petrolifera. Per non confrontare poi con la Norvegia, dove lo stato incassa decine e decine di miliardi di dollari con la sua Statoil. 
Se la maledizione del petrolio la vogliamo vedere come un morbo, allora in Lucania (non Saudita) si parla di un raffreddorino primaverile in confronto alla broncopolmonite dell’Arabia (quella si, Saudita). Questo è quello che ho raccontato a “Caterpillar”. Loro mi hanno domandato come stanno i miei pipistrelli – al che gli ho risposto che sono in letargo, che sono due, e che da oggi gli ho dato il nome di Cirri e Solibello. 

(*) Nota: mi segnala Arnaldo Orlandini (un altro di quelli che ne sanno molto più di me di economia del petrolio) che il “government take” della Statoil è anche quello intorno all’80%. Ma non è comunque una “royalty” distribuita direttamente ai cittadini

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Lucania Saudita e la maledizione del petrolio

Di Ugo Bardi

L’altro giorno, mi è arrivata una telefonata da “Caterpillar”, la trasmissione radio condotta da Massimo Cirri e Filippo Solibello. “Professore,” mi hanno detto, “potrebbe dirci in trasmissione come mai in Norvegia danno ai cittadini l’80% dei proventi dell’estrazione del petrolio, mentre in Basilicata danno solo il 10%? Non le sembra che dovrebbero dare molto di più?

Ho cercato flebilmente di rifilare l’intervista a qualche collega che si intende più di me di economia del petrolio, ma con scarso successo. Quando poi mi hanno detto che si andava in onda entro un’ora e mezzo mi sono detto “beh, a quanto pare, mi tocca.” Così ho cercato un po’ su Internet per capire come poteva essere che in Norvegia davano così tanti soldi ai cittadini per il solo fatto di abitare in un paese con tanto petrolio. 
Non mi ci è voluto molto a capire come stavano le cose. La notizia arrivava da un articolo del Corriere della Sera del 12 marzo 2012 a firma di Lorenzo Salvia e intitolato “I petrolieri pagano il pieno ai Lucani”. Qui leggiamo che il governo italiano impone ai petrolieri di pagare una royalty del 10% ai cittadini della Lucania, ovvero una tassa sullo sfruttamento del petrolio. Leggiamo anche che “le royalties italiane restano molto più basse rispetto a quelle chieste in altri Paesi, con il record della Norvegia (80%)”.
Beh, certo che se le cose fossero veramente così (e lo dicono anche su altri siti), la Norvegia deve essere il paese del Bengodi in termini di quello che i cittadini incassano dalle compagnie petrolifere. Ma è possibile che queste accettino di pagare l’80% di tasse sui loro profitti? Mmmm….. sembra proprio che ci sia qualcosa che non va. 
Bastano pochi minuti di ricerca su Internet per capire che la faccenda dell’ “80% di royalties” è proprio una fesseria. Quello che è vero è che l’80% delle risorse petrolifere norvegesi è in mano a una compagnia statale (detta, appunto “Statoil”)(4). Per questo, in un certo senso, si può dire che l’80% dei profitti derivanti dal petrolio sono di proprietà dei cittadini. 
Ma queste NON sono royalties e il governo norvegese non distribuisce niente del genere ai propri cittadini. Come tutti i governi, utilizza le proprie risorse finanziarie per i servizi, le infrastrutture, e tutto quello che un governo fa (o dovrebbe fare) per i propri cittadini. Insomma, questa dell’ 80% di royalties è una delle solite bufale (*). 
Comunque è una storia interessante e all’intervista di Caterpillar non mi sono limitato a parlare di royalties. Ho parlato di quella che si chiama la “maledizione del petrolio” (detta anche la “sindrome olandese”) che fa si che un paese che ha redditi petroliferi importanti non è incentivato a costruire un sistema economico efficiente. I cittadini di questi paesi sono un po’ dei “pensionati del petrolio” e campano tutti contenti fino a che, purtroppo per loro, i nodi non vengono al pettine. 
Quando la produzione petrolifera comincia a declinare sono, come si suol dire, cavoli acidi. Un economia come quella dell’Arabia (non la Lucania) Saudita dipende interamente dal petriolio, anche per l’importazione di generi alimentari. Dato che prima o poi la produzione deve declinare anche in Arabia, veramente il risultato potrebbe essere una maledizione. La maledizione del petrolio. 
Ma anche la Lucania rischia la maledizione del petrolio? Poco probabile. Le royalties, distribuite ai soli cittadini che hanno la patente, fanno circa 100 Euro all’anno in tutto. Il fatto che in Alaska, con circa la stessa tassazione, i cittadini incassino oltre 1000 dollari all’anno ci da un’idea di quanto in Italia si parla di briciole quando si parla di produzione petrolifera. Per non confrontare poi con la Norvegia, dove lo stato incassa decine e decine di miliardi di dollari con la sua Statoil. 
Se la maledizione del petrolio la vogliamo vedere come un morbo, allora in Lucania (non Saudita) si parla di un raffreddorino primaverile in confronto alla broncopolmonite dell’Arabia (quella si, Saudita). Questo è quello che ho raccontato a “Caterpillar”. Loro mi hanno domandato come stanno i miei pipistrelli – al che gli ho risposto che sono in letargo, che sono due, e che da oggi gli ho dato il nome di Cirri e Solibello. 

(*) Nota: mi segnala Arnaldo Orlandini (un altro di quelli che ne sanno molto più di me di economia del petrolio) che il “government take” della Statoil è anche quello intorno all’80%. Ma non è comunque una “royalty” distribuita direttamente ai cittadini

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Lucania Saudita e la maledizione del petrolio

Di Ugo Bardi

L’altro giorno, mi è arrivata una telefonata da “Caterpillar”, la trasmissione radio condotta da Massimo Cirri e Filippo Solibello. “Professore,” mi hanno detto, “potrebbe dirci in trasmissione come mai in Norvegia danno ai cittadini l’80% dei proventi dell’estrazione del petrolio, mentre in Basilicata danno solo il 10%? Non le sembra che dovrebbero dare molto di più?

Ho cercato flebilmente di rifilare l’intervista a qualche collega che si intende più di me di economia del petrolio, ma con scarso successo. Quando poi mi hanno detto che si andava in onda entro un’ora e mezzo mi sono detto “beh, a quanto pare, mi tocca.” Così ho cercato un po’ su Internet per capire come poteva essere che in Norvegia davano così tanti soldi ai cittadini per il solo fatto di abitare in un paese con tanto petrolio. 
Non mi ci è voluto molto a capire come stavano le cose. La notizia arrivava da un articolo del Corriere della Sera del 12 marzo 2012 a firma di Lorenzo Salvia e intitolato “I petrolieri pagano il pieno ai Lucani”. Qui leggiamo che il governo italiano impone ai petrolieri di pagare una royalty del 10% ai cittadini della Lucania, ovvero una tassa sullo sfruttamento del petrolio. Leggiamo anche che “le royalties italiane restano molto più basse rispetto a quelle chieste in altri Paesi, con il record della Norvegia (80%)”.
Beh, certo che se le cose fossero veramente così (e lo dicono anche su altri siti), la Norvegia deve essere il paese del Bengodi in termini di quello che i cittadini incassano dalle compagnie petrolifere. Ma è possibile che queste accettino di pagare l’80% di tasse sui loro profitti? Mmmm….. sembra proprio che ci sia qualcosa che non va. 
Bastano pochi minuti di ricerca su Internet per capire che la faccenda dell’ “80% di royalties” è proprio una fesseria. Quello che è vero è che l’80% delle risorse petrolifere norvegesi è in mano a una compagnia statale (detta, appunto “Statoil”)(4). Per questo, in un certo senso, si può dire che l’80% dei profitti derivanti dal petrolio sono di proprietà dei cittadini. 
Ma queste NON sono royalties e il governo norvegese non distribuisce niente del genere ai propri cittadini. Come tutti i governi, utilizza le proprie risorse finanziarie per i servizi, le infrastrutture, e tutto quello che un governo fa (o dovrebbe fare) per i propri cittadini. Insomma, questa dell’ 80% di royalties è una delle solite bufale (*). 
Comunque è una storia interessante e all’intervista di Caterpillar non mi sono limitato a parlare di royalties. Ho parlato di quella che si chiama la “maledizione del petrolio” (detta anche la “sindrome olandese”) che fa si che un paese che ha redditi petroliferi importanti non è incentivato a costruire un sistema economico efficiente. I cittadini di questi paesi sono un po’ dei “pensionati del petrolio” e campano tutti contenti fino a che, purtroppo per loro, i nodi non vengono al pettine. 
Quando la produzione petrolifera comincia a declinare sono, come si suol dire, cavoli acidi. Un economia come quella dell’Arabia (non la Lucania) Saudita dipende interamente dal petriolio, anche per l’importazione di generi alimentari. Dato che prima o poi la produzione deve declinare anche in Arabia, veramente il risultato potrebbe essere una maledizione. La maledizione del petrolio. 
Ma anche la Lucania rischia la maledizione del petrolio? Poco probabile. Le royalties, distribuite ai soli cittadini che hanno la patente, fanno circa 100 Euro all’anno in tutto. Il fatto che in Alaska, con circa la stessa tassazione, i cittadini incassino oltre 1000 dollari all’anno ci da un’idea di quanto in Italia si parla di briciole quando si parla di produzione petrolifera. Per non confrontare poi con la Norvegia, dove lo stato incassa decine e decine di miliardi di dollari con la sua Statoil. 
Se la maledizione del petrolio la vogliamo vedere come un morbo, allora in Lucania (non Saudita) si parla di un raffreddorino primaverile in confronto alla broncopolmonite dell’Arabia (quella si, Saudita). Questo è quello che ho raccontato a “Caterpillar”. Loro mi hanno domandato come stanno i miei pipistrelli – al che gli ho risposto che sono in letargo, che sono due, e che da oggi gli ho dato il nome di Cirri e Solibello. 

(*) Nota: mi segnala Arnaldo Orlandini (un altro di quelli che ne sanno molto più di me di economia del petrolio) che il “government take” della Statoil è anche quello intorno all’80%. Ma non è comunque una “royalty” distribuita direttamente ai cittadini

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Non è semplice parlare di acqua

Di Mauro Icardi

Nel 2011 si sono tenuti i referendum popolari, e due di
questi avevano come tema l’acqua. In realtà più che l’acqua in sé, le modalità
di gestione del servizio idrico. La mobilitazione attorno a questo tema è stata importante, e di acqua si è fatto un gran parlare. Direi che non si è
ancora finito, visto che il Forum  dei
movimenti per l’acqua si è ancora attivato pochi giorni fa occupando la sede
del Ministero dell’Ambiente, temendo che l’esito del referendum dello scorso
Giugno potesse in qualche maniera venire travisato, se non completamente
stravolto.

Il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha rassicurato di voler
rispettare l’esito referendario e i manifestanti si sono detti
soddisfatti, pur ribadendo di voler vigilare sull’effettiva ripubblicizzazione
del servizio idrico.

Lavoro nel servizio idrico ormai da più di vent’anni, e in tutto questo
tempo mi sono reso conto che, quando si
parla di acqua, spesso sono i luoghi comuni o le leggende ad avere la
meglio. Sia per quanto riguarda le idee che la gente ha della qualità
dell’acqua del rubinetto di casa, sia per la convinzione molto diffusa e totalmente
errata che i depuratori peschino l’acqua dai fiumi per depurarla, anziché occuparsi di ricevere i liquami delle
fognature, per restituirli dopo adeguati trattamenti, ai corpi idrici ricettori
( fiumi,laghi o mari), rispettando i limiti previsti per legge.

Ogni anno sono molte le visite scolastiche che
variano dalle classi delle elementari agli studenti di Ingegneria
Ambientale. Quasi tutti mi chiedono se possono portarmi un campione dell’acqua
di casa da analizzare, visto che spesso hanno installato filtri, o comprato
caraffe ritenute miracolose. E quando li accompagno allo scarico finale
dell’impianto di depurazione ,quasi tutti mi domandano se l’acqua si può bere.

Questi episodi, che si ripetono molto frequentemente,  mi danno l’idea che sia necessario anche in
questo campo fare informazione corretta.

E’ un dato accertato che la disponibilità di acqua dolce
idonea all’uso potabile stia diminuendo in tutto il pianeta, che molti dei
principali fiumi siano, dal punto di vista della qualità delle loro acque e
dell’inquinamento, in condizioni critiche.  Due terzi della popolazione mondiale sono
privi di misure sanitarie. Oltre un miliardo di persone bevono quotidianamente
acqua inquinata. Questo accade maggiormente nei paesi in via di sviluppo,
l’India per esempio (Il Gange fiume sacro per antonomasia è uno dei più
inquinati).

Per contro nei paesi più sviluppati si cominciano a vedere problemi
legati alla scarsità d’acqua, se il Consiglio Nazionale delle Ricerche degli
Usa ha suggerito di recuperare le acque reflue trattate per destinarle
certamente non all’uso potabile ma quantomeno 
a quello irriguo, o per il lavaggio di piazzali.

Anche per questo ritengo indispensabile il crescere di una corretta
cultura dell’acqua. Il gesto di aprire un rubinetto e veder scorrere acqua, così
come quello di pigiare un interruttore e veder accendersi una lampadina, a
volte porta le persone a credere magari inconsciamente che questi flussi siano
infiniti. Purtroppo non è cosi.

Per l’acqua in questi anni si è molto insistito sulla
necessità  di un uso corretto ed attento.
Qualcosa si comincia a vedere, ma moltissime persone non hanno rispetto, o non
credono alla qualità della loro acqua del rubinetto, e di fatto la destinano
unicamente alla cottura dei cibi ed all’igiene personale. La loro fiducia
certamente non aumenta, soprattutto quando si verificano casi di inquinamento
delle falde o superamenti di qualche limite.

Il caso dell’Arsenico  che ha vietato l’utilizzo dell’acqua ad uso
alimentare in un centinaio di comuni non ha certamente contribuito ad
aumentare la fiducia. In quasi tutti questi casi la contaminazione da Arsenico
è dovuta alla presenza di questo metallo nelle rocce, e non per inquinamento di
tipo industriale. La legge prevede delle zone di rispetto per la sicurezza dei
pozzi di approvvigionamento.

Ovviamente questi casi hanno una gran risonanza mediatica, e
la paura della gente fa il resto. Posso dire che la qualità dell’acqua potabile
sia generalmente buona, ovviamente con differenze tra le varie zone d’Italia.
Questo non ha impedito che in questi anni moltissime persone
abbiano installato filtri o caraffe filtranti, perché spaventati o a causa di campagne pubblicitarie martellanti.

Molte persone, amici e conoscenti mi hanno portato
campioni di acqua provenienti da questi filtri. Il più delle volte ho trovato
acqua decisamente troppo addolcita. Questo significa che la qualità dell’acqua
era già buona precedentemente e che il filtro è stato decisamente una spesa
inutile. In altri casi ho purtroppo riscontrato qualcosa di peggiore: la
mancata manutenzione del filtro, o l’utilizzo improprio della caraffa filtrante
sono stati causa della proliferazione batterica. In un caso eclatante ho
riscontrato anche la presenza di Enterococchi.

Quindi, una prima regola di semplice buon senso dovrebbe
essere quella di informarsi sulla qualità dell’acqua erogata nel proprio
comune prima di spendere soldi  per impianti di filtrazione. La seconda
piuttosto ovvia: se installate questi impianti non potete dimenticarvi delle
regolari manutenzioni. Ultimamente ricevo molte telefonate di persone che si
lamentano del sapore o dell’aspetto della loro acqua. Il gestore dell’acquedotto
ha la responsabilità della qualità dell’acqua fino al punto di consegna, cioè
all’ingresso del contatore. In molti casi, pur non essendo strettamente di nostra competenza, ci siamo attivati ed abbiamo effettuato campionamenti nelle
abitazioni. E ci siamo accorti del peggioramento della qualità dell’acqua dopo
il contatore, quasi sempre per problemi di manutenzione delle tubazioni, o
perché  le tubazioni erano decisamente
vecchie.

Ultimamente, visto che la crisi sta cambiando le
abitudini, l’acqua potabile sta riguadagnado posizioni nelle preferenze dei
consumatori. In Lombardia esistono moltissime case dell’acqua, e molti cittadini
vi si riforniscono. Tutto molto lodevole, se non fosse che l’acqua è
sostanzialmente la stessa che esce dal proprio rubinetto. Ma come sempre la
leggenda ha maggior peso.

A Torino per anni la gente cercava le fontanelle (i famosi toret, le fontanelle con la testa di toro),che si diceva si alimentassero
direttamente dalla sorgente del Pian della Mussa, ritenuta di buonissima qualità.
In realtà l’acqua confluiva poi nelle tubazioni insieme a quella proveniente da
altre fonti, e la quantità di acqua proveniente da quel sito non credo superasse
il dieci per cento del totale erogato. Ma la leggenda resiste ed è dura a
morire.


Forse è anche giusto si continui a farla vivere.
Ho iniziato dicendo che non è facile, o meglio che non si
può esaurire in poco tempo il discorso acqua.
Ci sono tante altre cose di cui parlare. L’intenzione è di
farlo in qualche altro articolo.

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Non è semplice parlare di acqua

Di Mauro Icardi

Nel 2011 si sono tenuti i referendum popolari, e due di
questi avevano come tema l’acqua. In realtà più che l’acqua in sé, le modalità
di gestione del servizio idrico. La mobilitazione attorno a questo tema è stata importante, e di acqua si è fatto un gran parlare. Direi che non si è
ancora finito, visto che il Forum  dei
movimenti per l’acqua si è ancora attivato pochi giorni fa occupando la sede
del Ministero dell’Ambiente, temendo che l’esito del referendum dello scorso
Giugno potesse in qualche maniera venire travisato, se non completamente
stravolto.

Il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha rassicurato di voler
rispettare l’esito referendario e i manifestanti si sono detti
soddisfatti, pur ribadendo di voler vigilare sull’effettiva ripubblicizzazione
del servizio idrico.

Lavoro nel servizio idrico ormai da più di vent’anni, e in tutto questo
tempo mi sono reso conto che, quando si
parla di acqua, spesso sono i luoghi comuni o le leggende ad avere la
meglio. Sia per quanto riguarda le idee che la gente ha della qualità
dell’acqua del rubinetto di casa, sia per la convinzione molto diffusa e totalmente
errata che i depuratori peschino l’acqua dai fiumi per depurarla, anziché occuparsi di ricevere i liquami delle
fognature, per restituirli dopo adeguati trattamenti, ai corpi idrici ricettori
( fiumi,laghi o mari), rispettando i limiti previsti per legge.

Ogni anno sono molte le visite scolastiche che
variano dalle classi delle elementari agli studenti di Ingegneria
Ambientale. Quasi tutti mi chiedono se possono portarmi un campione dell’acqua
di casa da analizzare, visto che spesso hanno installato filtri, o comprato
caraffe ritenute miracolose. E quando li accompagno allo scarico finale
dell’impianto di depurazione ,quasi tutti mi domandano se l’acqua si può bere.

Questi episodi, che si ripetono molto frequentemente,  mi danno l’idea che sia necessario anche in
questo campo fare informazione corretta.

E’ un dato accertato che la disponibilità di acqua dolce
idonea all’uso potabile stia diminuendo in tutto il pianeta, che molti dei
principali fiumi siano, dal punto di vista della qualità delle loro acque e
dell’inquinamento, in condizioni critiche.  Due terzi della popolazione mondiale sono
privi di misure sanitarie. Oltre un miliardo di persone bevono quotidianamente
acqua inquinata. Questo accade maggiormente nei paesi in via di sviluppo,
l’India per esempio (Il Gange fiume sacro per antonomasia è uno dei più
inquinati).

Per contro nei paesi più sviluppati si cominciano a vedere problemi
legati alla scarsità d’acqua, se il Consiglio Nazionale delle Ricerche degli
Usa ha suggerito di recuperare le acque reflue trattate per destinarle
certamente non all’uso potabile ma quantomeno 
a quello irriguo, o per il lavaggio di piazzali.

Anche per questo ritengo indispensabile il crescere di una corretta
cultura dell’acqua. Il gesto di aprire un rubinetto e veder scorrere acqua, così
come quello di pigiare un interruttore e veder accendersi una lampadina, a
volte porta le persone a credere magari inconsciamente che questi flussi siano
infiniti. Purtroppo non è cosi.

Per l’acqua in questi anni si è molto insistito sulla
necessità  di un uso corretto ed attento.
Qualcosa si comincia a vedere, ma moltissime persone non hanno rispetto, o non
credono alla qualità della loro acqua del rubinetto, e di fatto la destinano
unicamente alla cottura dei cibi ed all’igiene personale. La loro fiducia
certamente non aumenta, soprattutto quando si verificano casi di inquinamento
delle falde o superamenti di qualche limite.

Il caso dell’Arsenico  che ha vietato l’utilizzo dell’acqua ad uso
alimentare in un centinaio di comuni non ha certamente contribuito ad
aumentare la fiducia. In quasi tutti questi casi la contaminazione da Arsenico
è dovuta alla presenza di questo metallo nelle rocce, e non per inquinamento di
tipo industriale. La legge prevede delle zone di rispetto per la sicurezza dei
pozzi di approvvigionamento.

Ovviamente questi casi hanno una gran risonanza mediatica, e
la paura della gente fa il resto. Posso dire che la qualità dell’acqua potabile
sia generalmente buona, ovviamente con differenze tra le varie zone d’Italia.
Questo non ha impedito che in questi anni moltissime persone
abbiano installato filtri o caraffe filtranti, perché spaventati o a causa di campagne pubblicitarie martellanti.

Molte persone, amici e conoscenti mi hanno portato
campioni di acqua provenienti da questi filtri. Il più delle volte ho trovato
acqua decisamente troppo addolcita. Questo significa che la qualità dell’acqua
era già buona precedentemente e che il filtro è stato decisamente una spesa
inutile. In altri casi ho purtroppo riscontrato qualcosa di peggiore: la
mancata manutenzione del filtro, o l’utilizzo improprio della caraffa filtrante
sono stati causa della proliferazione batterica. In un caso eclatante ho
riscontrato anche la presenza di Enterococchi.

Quindi, una prima regola di semplice buon senso dovrebbe
essere quella di informarsi sulla qualità dell’acqua erogata nel proprio
comune prima di spendere soldi  per impianti di filtrazione. La seconda
piuttosto ovvia: se installate questi impianti non potete dimenticarvi delle
regolari manutenzioni. Ultimamente ricevo molte telefonate di persone che si
lamentano del sapore o dell’aspetto della loro acqua. Il gestore dell’acquedotto
ha la responsabilità della qualità dell’acqua fino al punto di consegna, cioè
all’ingresso del contatore. In molti casi, pur non essendo strettamente di nostra competenza, ci siamo attivati ed abbiamo effettuato campionamenti nelle
abitazioni. E ci siamo accorti del peggioramento della qualità dell’acqua dopo
il contatore, quasi sempre per problemi di manutenzione delle tubazioni, o
perché  le tubazioni erano decisamente
vecchie.

Ultimamente, visto che la crisi sta cambiando le
abitudini, l’acqua potabile sta riguadagnado posizioni nelle preferenze dei
consumatori. In Lombardia esistono moltissime case dell’acqua, e molti cittadini
vi si riforniscono. Tutto molto lodevole, se non fosse che l’acqua è
sostanzialmente la stessa che esce dal proprio rubinetto. Ma come sempre la
leggenda ha maggior peso.

A Torino per anni la gente cercava le fontanelle (i famosi toret, le fontanelle con la testa di toro),che si diceva si alimentassero
direttamente dalla sorgente del Pian della Mussa, ritenuta di buonissima qualità.
In realtà l’acqua confluiva poi nelle tubazioni insieme a quella proveniente da
altre fonti, e la quantità di acqua proveniente da quel sito non credo superasse
il dieci per cento del totale erogato. Ma la leggenda resiste ed è dura a
morire.


Forse è anche giusto si continui a farla vivere.
Ho iniziato dicendo che non è facile, o meglio che non si
può esaurire in poco tempo il discorso acqua.
Ci sono tante altre cose di cui parlare. L’intenzione è di
farlo in qualche altro articolo.

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Non è semplice parlare di acqua

Di Mauro Icardi

Nel 2011 si sono tenuti i referendum popolari, e due di
questi avevano come tema l’acqua. In realtà più che l’acqua in sé, le modalità
di gestione del servizio idrico. La mobilitazione attorno a questo tema è stata importante, e di acqua si è fatto un gran parlare. Direi che non si è
ancora finito, visto che il Forum  dei
movimenti per l’acqua si è ancora attivato pochi giorni fa occupando la sede
del Ministero dell’Ambiente, temendo che l’esito del referendum dello scorso
Giugno potesse in qualche maniera venire travisato, se non completamente
stravolto.

Il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha rassicurato di voler
rispettare l’esito referendario e i manifestanti si sono detti
soddisfatti, pur ribadendo di voler vigilare sull’effettiva ripubblicizzazione
del servizio idrico.

Lavoro nel servizio idrico ormai da più di vent’anni, e in tutto questo
tempo mi sono reso conto che, quando si
parla di acqua, spesso sono i luoghi comuni o le leggende ad avere la
meglio. Sia per quanto riguarda le idee che la gente ha della qualità
dell’acqua del rubinetto di casa, sia per la convinzione molto diffusa e totalmente
errata che i depuratori peschino l’acqua dai fiumi per depurarla, anziché occuparsi di ricevere i liquami delle
fognature, per restituirli dopo adeguati trattamenti, ai corpi idrici ricettori
( fiumi,laghi o mari), rispettando i limiti previsti per legge.

Ogni anno sono molte le visite scolastiche che
variano dalle classi delle elementari agli studenti di Ingegneria
Ambientale. Quasi tutti mi chiedono se possono portarmi un campione dell’acqua
di casa da analizzare, visto che spesso hanno installato filtri, o comprato
caraffe ritenute miracolose. E quando li accompagno allo scarico finale
dell’impianto di depurazione ,quasi tutti mi domandano se l’acqua si può bere.

Questi episodi, che si ripetono molto frequentemente,  mi danno l’idea che sia necessario anche in
questo campo fare informazione corretta.

E’ un dato accertato che la disponibilità di acqua dolce
idonea all’uso potabile stia diminuendo in tutto il pianeta, che molti dei
principali fiumi siano, dal punto di vista della qualità delle loro acque e
dell’inquinamento, in condizioni critiche.  Due terzi della popolazione mondiale sono
privi di misure sanitarie. Oltre un miliardo di persone bevono quotidianamente
acqua inquinata. Questo accade maggiormente nei paesi in via di sviluppo,
l’India per esempio (Il Gange fiume sacro per antonomasia è uno dei più
inquinati).

Per contro nei paesi più sviluppati si cominciano a vedere problemi
legati alla scarsità d’acqua, se il Consiglio Nazionale delle Ricerche degli
Usa ha suggerito di recuperare le acque reflue trattate per destinarle
certamente non all’uso potabile ma quantomeno 
a quello irriguo, o per il lavaggio di piazzali.

Anche per questo ritengo indispensabile il crescere di una corretta
cultura dell’acqua. Il gesto di aprire un rubinetto e veder scorrere acqua, così
come quello di pigiare un interruttore e veder accendersi una lampadina, a
volte porta le persone a credere magari inconsciamente che questi flussi siano
infiniti. Purtroppo non è cosi.

Per l’acqua in questi anni si è molto insistito sulla
necessità  di un uso corretto ed attento.
Qualcosa si comincia a vedere, ma moltissime persone non hanno rispetto, o non
credono alla qualità della loro acqua del rubinetto, e di fatto la destinano
unicamente alla cottura dei cibi ed all’igiene personale. La loro fiducia
certamente non aumenta, soprattutto quando si verificano casi di inquinamento
delle falde o superamenti di qualche limite.

Il caso dell’Arsenico  che ha vietato l’utilizzo dell’acqua ad uso
alimentare in un centinaio di comuni non ha certamente contribuito ad
aumentare la fiducia. In quasi tutti questi casi la contaminazione da Arsenico
è dovuta alla presenza di questo metallo nelle rocce, e non per inquinamento di
tipo industriale. La legge prevede delle zone di rispetto per la sicurezza dei
pozzi di approvvigionamento.

Ovviamente questi casi hanno una gran risonanza mediatica, e
la paura della gente fa il resto. Posso dire che la qualità dell’acqua potabile
sia generalmente buona, ovviamente con differenze tra le varie zone d’Italia.
Questo non ha impedito che in questi anni moltissime persone
abbiano installato filtri o caraffe filtranti, perché spaventati o a causa di campagne pubblicitarie martellanti.

Molte persone, amici e conoscenti mi hanno portato
campioni di acqua provenienti da questi filtri. Il più delle volte ho trovato
acqua decisamente troppo addolcita. Questo significa che la qualità dell’acqua
era già buona precedentemente e che il filtro è stato decisamente una spesa
inutile. In altri casi ho purtroppo riscontrato qualcosa di peggiore: la
mancata manutenzione del filtro, o l’utilizzo improprio della caraffa filtrante
sono stati causa della proliferazione batterica. In un caso eclatante ho
riscontrato anche la presenza di Enterococchi.

Quindi, una prima regola di semplice buon senso dovrebbe
essere quella di informarsi sulla qualità dell’acqua erogata nel proprio
comune prima di spendere soldi  per impianti di filtrazione. La seconda
piuttosto ovvia: se installate questi impianti non potete dimenticarvi delle
regolari manutenzioni. Ultimamente ricevo molte telefonate di persone che si
lamentano del sapore o dell’aspetto della loro acqua. Il gestore dell’acquedotto
ha la responsabilità della qualità dell’acqua fino al punto di consegna, cioè
all’ingresso del contatore. In molti casi, pur non essendo strettamente di nostra competenza, ci siamo attivati ed abbiamo effettuato campionamenti nelle
abitazioni. E ci siamo accorti del peggioramento della qualità dell’acqua dopo
il contatore, quasi sempre per problemi di manutenzione delle tubazioni, o
perché  le tubazioni erano decisamente
vecchie.

Ultimamente, visto che la crisi sta cambiando le
abitudini, l’acqua potabile sta riguadagnado posizioni nelle preferenze dei
consumatori. In Lombardia esistono moltissime case dell’acqua, e molti cittadini
vi si riforniscono. Tutto molto lodevole, se non fosse che l’acqua è
sostanzialmente la stessa che esce dal proprio rubinetto. Ma come sempre la
leggenda ha maggior peso.

A Torino per anni la gente cercava le fontanelle (i famosi toret, le fontanelle con la testa di toro),che si diceva si alimentassero
direttamente dalla sorgente del Pian della Mussa, ritenuta di buonissima qualità.
In realtà l’acqua confluiva poi nelle tubazioni insieme a quella proveniente da
altre fonti, e la quantità di acqua proveniente da quel sito non credo superasse
il dieci per cento del totale erogato. Ma la leggenda resiste ed è dura a
morire.


Forse è anche giusto si continui a farla vivere.
Ho iniziato dicendo che non è facile, o meglio che non si
può esaurire in poco tempo il discorso acqua.
Ci sono tante altre cose di cui parlare. L’intenzione è di
farlo in qualche altro articolo.

more

Non è semplice parlare di acqua

Di Mauro Icardi

Nel 2011 si sono tenuti i referendum popolari, e due di
questi avevano come tema l’acqua. In realtà più che l’acqua in sé, le modalità
di gestione del servizio idrico. La mobilitazione attorno a questo tema è stata importante, e di acqua si è fatto un gran parlare. Direi che non si è
ancora finito, visto che il Forum  dei
movimenti per l’acqua si è ancora attivato pochi giorni fa occupando la sede
del Ministero dell’Ambiente, temendo che l’esito del referendum dello scorso
Giugno potesse in qualche maniera venire travisato, se non completamente
stravolto.

Il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha rassicurato di voler
rispettare l’esito referendario e i manifestanti si sono detti
soddisfatti, pur ribadendo di voler vigilare sull’effettiva ripubblicizzazione
del servizio idrico.

Lavoro nel servizio idrico ormai da più di vent’anni, e in tutto questo
tempo mi sono reso conto che, quando si
parla di acqua, spesso sono i luoghi comuni o le leggende ad avere la
meglio. Sia per quanto riguarda le idee che la gente ha della qualità
dell’acqua del rubinetto di casa, sia per la convinzione molto diffusa e totalmente
errata che i depuratori peschino l’acqua dai fiumi per depurarla, anziché occuparsi di ricevere i liquami delle
fognature, per restituirli dopo adeguati trattamenti, ai corpi idrici ricettori
( fiumi,laghi o mari), rispettando i limiti previsti per legge.

Ogni anno sono molte le visite scolastiche che
variano dalle classi delle elementari agli studenti di Ingegneria
Ambientale. Quasi tutti mi chiedono se possono portarmi un campione dell’acqua
di casa da analizzare, visto che spesso hanno installato filtri, o comprato
caraffe ritenute miracolose. E quando li accompagno allo scarico finale
dell’impianto di depurazione ,quasi tutti mi domandano se l’acqua si può bere.

Questi episodi, che si ripetono molto frequentemente,  mi danno l’idea che sia necessario anche in
questo campo fare informazione corretta.

E’ un dato accertato che la disponibilità di acqua dolce
idonea all’uso potabile stia diminuendo in tutto il pianeta, che molti dei
principali fiumi siano, dal punto di vista della qualità delle loro acque e
dell’inquinamento, in condizioni critiche.  Due terzi della popolazione mondiale sono
privi di misure sanitarie. Oltre un miliardo di persone bevono quotidianamente
acqua inquinata. Questo accade maggiormente nei paesi in via di sviluppo,
l’India per esempio (Il Gange fiume sacro per antonomasia è uno dei più
inquinati).

Per contro nei paesi più sviluppati si cominciano a vedere problemi
legati alla scarsità d’acqua, se il Consiglio Nazionale delle Ricerche degli
Usa ha suggerito di recuperare le acque reflue trattate per destinarle
certamente non all’uso potabile ma quantomeno 
a quello irriguo, o per il lavaggio di piazzali.

Anche per questo ritengo indispensabile il crescere di una corretta
cultura dell’acqua. Il gesto di aprire un rubinetto e veder scorrere acqua, così
come quello di pigiare un interruttore e veder accendersi una lampadina, a
volte porta le persone a credere magari inconsciamente che questi flussi siano
infiniti. Purtroppo non è cosi.

Per l’acqua in questi anni si è molto insistito sulla
necessità  di un uso corretto ed attento.
Qualcosa si comincia a vedere, ma moltissime persone non hanno rispetto, o non
credono alla qualità della loro acqua del rubinetto, e di fatto la destinano
unicamente alla cottura dei cibi ed all’igiene personale. La loro fiducia
certamente non aumenta, soprattutto quando si verificano casi di inquinamento
delle falde o superamenti di qualche limite.

Il caso dell’Arsenico  che ha vietato l’utilizzo dell’acqua ad uso
alimentare in un centinaio di comuni non ha certamente contribuito ad
aumentare la fiducia. In quasi tutti questi casi la contaminazione da Arsenico
è dovuta alla presenza di questo metallo nelle rocce, e non per inquinamento di
tipo industriale. La legge prevede delle zone di rispetto per la sicurezza dei
pozzi di approvvigionamento.

Ovviamente questi casi hanno una gran risonanza mediatica, e
la paura della gente fa il resto. Posso dire che la qualità dell’acqua potabile
sia generalmente buona, ovviamente con differenze tra le varie zone d’Italia.
Questo non ha impedito che in questi anni moltissime persone
abbiano installato filtri o caraffe filtranti, perché spaventati o a causa di campagne pubblicitarie martellanti.

Molte persone, amici e conoscenti mi hanno portato
campioni di acqua provenienti da questi filtri. Il più delle volte ho trovato
acqua decisamente troppo addolcita. Questo significa che la qualità dell’acqua
era già buona precedentemente e che il filtro è stato decisamente una spesa
inutile. In altri casi ho purtroppo riscontrato qualcosa di peggiore: la
mancata manutenzione del filtro, o l’utilizzo improprio della caraffa filtrante
sono stati causa della proliferazione batterica. In un caso eclatante ho
riscontrato anche la presenza di Enterococchi.

Quindi, una prima regola di semplice buon senso dovrebbe
essere quella di informarsi sulla qualità dell’acqua erogata nel proprio
comune prima di spendere soldi  per impianti di filtrazione. La seconda
piuttosto ovvia: se installate questi impianti non potete dimenticarvi delle
regolari manutenzioni. Ultimamente ricevo molte telefonate di persone che si
lamentano del sapore o dell’aspetto della loro acqua. Il gestore dell’acquedotto
ha la responsabilità della qualità dell’acqua fino al punto di consegna, cioè
all’ingresso del contatore. In molti casi, pur non essendo strettamente di nostra competenza, ci siamo attivati ed abbiamo effettuato campionamenti nelle
abitazioni. E ci siamo accorti del peggioramento della qualità dell’acqua dopo
il contatore, quasi sempre per problemi di manutenzione delle tubazioni, o
perché  le tubazioni erano decisamente
vecchie.

Ultimamente, visto che la crisi sta cambiando le
abitudini, l’acqua potabile sta riguadagnado posizioni nelle preferenze dei
consumatori. In Lombardia esistono moltissime case dell’acqua, e molti cittadini
vi si riforniscono. Tutto molto lodevole, se non fosse che l’acqua è
sostanzialmente la stessa che esce dal proprio rubinetto. Ma come sempre la
leggenda ha maggior peso.

A Torino per anni la gente cercava le fontanelle (i famosi toret, le fontanelle con la testa di toro),che si diceva si alimentassero
direttamente dalla sorgente del Pian della Mussa, ritenuta di buonissima qualità.
In realtà l’acqua confluiva poi nelle tubazioni insieme a quella proveniente da
altre fonti, e la quantità di acqua proveniente da quel sito non credo superasse
il dieci per cento del totale erogato. Ma la leggenda resiste ed è dura a
morire.


Forse è anche giusto si continui a farla vivere.
Ho iniziato dicendo che non è facile, o meglio che non si
può esaurire in poco tempo il discorso acqua.
Ci sono tante altre cose di cui parlare. L’intenzione è di
farlo in qualche altro articolo.

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