Il picco del diesel
su The
Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti
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da StreetsBlog.org |
Di ANTONIO TURIEL
“Continua
la mancanza di combustibile in quasi tutta la provincia di
Salta (Argentina)“, “I
lavoratori del settore del trasporto merci contestano il
profilo basso che il governo argentino dà alla scarsità di
combustibili“, “La
scarsità di diesel può durare per settimane nel Canada
occidenatale“, “Una
scarsità della produzione di diesel nel Regno Unito metterebbe
a rischio la sua sicurezza energetica“, “Si
profila una crisi della benzina in Russia mentre i prezzi
internazionali crescono“, “La
scarsità di diesel accende lo scontento in Cina“, “La
Cina fa importazioni straordinarie di diesel per far fronte
alla scarsità interna“, “La
scarsità di combustibile può portare a tagli di corrente,
secondo i residenti degli Emirati Arabi Uniti“, “Gli
yemeniti devono far fronte ad una crisi del combustibile nel
bel mezzo della protesta“…
Sono solo alcuni dei titoli apparsi
sulla stampa internazionale negli ultimi mesi. Dietro ai
problemi di scarsità ci sono una moltitudine di cause, reali
o presunte, ma hanno un curioso tratto in comune: in tutto
il mondo sono sempre più frequenti le notizie sulla scarsità
di combustibili, principalmente del diesel (potete vedere
altro su Energy Shortage, da dove provengono quelle che ho
riportato sopra).
Lo abbiamo già commentato
alla fine dello scorso anno: c’è un fantasma
che minaccia il mondo, quello della scarsità del diesel. Non
scarsità di petrolio (che anche è una minaccia ma a più
lungo termine), non la scarsità di altri combustibili (anche
questa finirà con l’arrivare), ma una minaccia già presente.
Non c’è sufficiente diesel per coprire la domanda mondiale
ed il problema ha tutta l’aria di aggravarsi. Ma, perché si
sta verificando questo problema? Come succede di solito, ci
sono vari fattori che influiscono, non tutti allo stesso
modo e non tutti si sviluppano alla stessa velocità. Questo
rende la previsione piuttosto difficile. Tuttavia dà
l’impressione che, per quanto riguarda il diesel, stiamo
giungendo ad un collo di bottiglia abbastanza definitivo.
Il grafico seguente è stato costruito sui dati della Joint
Oil Data Initiative. E’ un’iniziativa
per dar maggior trasparenza al mercato del petrolio e quello
che tenta di fare è omogeneizzare i dati sparpagliati del
mercato del petrolio e renderli più affidabili. Per questo,
a parte le compilazioni statistiche delle agenzie che vi
partecipano (fra queste le più importanti agenzie pubbliche
e private d’occidente), producono questionari trimestrali
che permettono di individuare le anomalie e correggerle –
con molti limiti, ovviamente. Non tutti i paesi vengono
revisionati dalla JODI (anche se la maggioranza sì) per cui
i loro dati non hanno una scala realmente globale. Anche
così, l’analisi dell’evoluzione della produzione di diesel
su scala globale che ci offre la JODI è abbastanza
rivelatrice:
La figura
corrisponde alla produzione sganciata dalle stazioni (per
compensare i diversi schemi di consumo a seconda della
stazione) facendo una media in ogni punto sui quattro
trimestri precedenti (questo implica, pertanto, che il
riferimento temporale di ogni punto dovrebbe essere spostato
di due trimestri verso sinistra, ma in ogni caso questo
dettaglio non ha importanza per l’esposizione che segue). Il
grafico è diverso da quelli ai quali siamo abituati per la
produzione di petrolio (vedete, per esempio, quella che
avevo preparato per il
post sullo sfasamento fra offerta e domanda), poiché la produzione di diesel
(gasolio per autotrazione) non ha raggiunto il tetto fino al
2008, nonostante la stagnazione della produzione di
petrolio. Poi, il calo per la crisi, un nuovo tetto nel 2011
e da lì una tendenza, anche se leggera, a calare, senza che
che si possa giustificare con una grande recessione (poiché
ha avuto inizio nei primi mesi del 2011). Cosa sta
succedendo?
Sta succedendo che il mondo sta rimanendo senza capacità di
produrre più diesel e questo è un fenomeno nuovo con una
dinamica propria, non completamente coincidente con quella
del petrolio. Ovviamente la scarsità di petrolio porterà
inevitabilmente ad una scarsità di diesel, ma ci può essere
scarsità di diesel prima che arrivi la scarsità di petrolio.
Di fatto, è esattamente quello che sta succedendo e le
ragioni di questa diversa dinamica sono fondamentalmente
due.
Sapete già che da
un decennio la IEA sì è inventata un termine che definisce
“tutti i liquidi del petrolio” e che equivale a tutte le
sostanze, estratte e sintetizzate, che più o meno possono
fare le veci del petrolio. Questo utile concetto è stato
introdotto per dissimulare il fatto che la produzione di
petrolio greggio (quello che realmente si estrae dal
sottosuolo) stava giungendo al suo picco di produzione, al
suo zenit, e nella categoria “tutti i liquidi” entrano tutte
le sostanze che si possono sintetizzare e processare come
succedanei del petrolio (per questo si parla di “produzione
di petrolio” invece di “estrazione di petrolio”, perché il
petrolio in parte si fabbrica, in realtà). Quello che
succede è che questi petroli, petroli non convenzionali, di
alcuni dei quali abbiamo già parlato in altre occasioni, non
sono esattamente spendibili o buoni sostituti del petrolio
greggio. In particolare, non tutti sono adatti a produrre
diesel. Ed ecco la prima causa di scarsità del diesel: di
tutti i tipi di petrolio che entrano nella lista “tutti i
liquidi” quelli che sono aumentati di più sono i cosiddetti
“liquidi del gas naturale” (NGL, il loro acronimo inglese). Questi NGL
sono idrocarburi di catena corta che sono il risultato della
“pulizia” del gas che esce dai pozzi, e anche se si possono
usare per sintetizzare diesel, risulta molto costoso
(ricordate che fattibile
e redditizio non sono la
stessa cosa)
tanto energeticamente quanto economicamente. Di fatto, il
petrolio soggetto ad essere convertito in diesel è già
sicuramente in leggero declino.
Questa mancanza di diesel è abbastanza grave, perché la
maggior parte delle macchine di questo mondo sono diesel,
così come tutto il trasporto su gomma di merci e una parte
sempre più grande di automobili (a causa del miglior
rendimento del motore diesel rispetto a quello a benzina).
Di fatto, la domanda di diesel nel periodo in questione non
ha fatto altro che aumentare, a causa, fra le altre cose,
del disastro di Fukushima, che ha fatto sì che il Giappone
aumentasse le sue importazioni (le
centrali nucleari del Giappone che vengono fermate per
manutenzione non vengono riattivate, secondo un piano del
Governo per denuclearizzare il paese e il fabbisogno di elettricità viene
affidato ai generatori diesel ed alle centrali termiche
alimentate col diesel). Questo spiega la scarsità di diesel
in tutto il mondo e rende molto complicata la vita a chi
sostiene la teoria del “peak demand”, il picco della domanda
(che
abbiamo già commentato in questo blog) e
che sostengono che la riduzione della produzione in realtà
una diminuzione cercata e pilotata del consumo per via,
essenzialmente, dei miglioramenti nell’efficienza, e non di
quello che sembra stia accadendo, che è la distruzione della
domanda.
C’è, tuttavia, un secondo effetto che si sente sempre di
più: la diminuzione dei margini di
raffinazione nelle raffinerie.
Questi “margini di raffinazione” si riferiscono al
differenziale del prezzo dei prodotti raffinati rispetto a
quello del petrolio dal quale si estraggono. Le raffinerie
hanno un controllo abbastanza puntuale sui loro costi
operativi, ma non tanto sul prezzo al quale viene loro
venduto il petrolio ed a quello che pagano loro per la
benzina e gli altri distillati.
mercato dei prodotti petroliferi, è norma comune siglare
contratti differiti nel tempo, per esempio, a un mese, tre
mesi o sei mesi. I problemi arrivano quando ti tocca
pagare per il petrolio la stessa cifra che ricavi dalla
vendita della benzina, gasolio, ecc, soprattutto quando
gli orizzonti temporali di quello che compri e vendi non
collimano (per esempio, petrolio a un mese e vendita della
benzina a tre mesi). Le raffinerie tendono a fissare un
margine di raffinazione di alcuni dollari al barile,
normalmente intorno ai 10 dollari, ma non
è la stessa cosa guadagnare 10 dollari quando il prezzo medio
di un barile è 40 dollari, rispetto a quando è 140 dollari; Piccole fluttuazioni del prezzo del
petrolio, quando questo è alto, possono far crollare
facilmente il margine di raffinazione fino a renderlo
negativo, come è successo
nel 2009 o è
successo ad alcune industrie petrolifere nel 2010. Nel caso delle raffinerie che
appartengono ad un’industria petrolifera questo non è un
problema, ma durante gli ultimi decenni le industrie hanno
esternalizzato questa parte degli affari, che hanno sempre
avuto margini più scarsi, migliorando così le proprie
rendite, ma rendendo ancora più fragile il mercato del
petrolio. Per peggiorare le cose, le raffinerie si
confrontano col problema di avere un eccesso di benzina.
Infatti, raffinando il petrolio si può leggermente variare
la quantità delle due grandi categorie di prodotti di
raffinazione (benzina e distillati), ma non quanto si
vorrebbe, poiché la quantità di petrolio che finisce
convertito in benzine oscilla fra la metà ed i due terzi,
nei lavorati più comuni. Tuttavia, salvo negli Stati Uniti,
in tutto il mondo c’è stata una tendenza a convertire la
mobilità privata al diesel, diminuendo così il consumo di
benzina. Dall’altra parte, la benzina è usata praticamente
solo per la mobilità privata, il settore che ha ridotto di
più i consumi durante la crisi. Così allora, le raffinerie
devono equilibrare la vendita di un prodotto che ha un calo
di domanda, la benzina – che è la metà o più della
produzione – con quella di un insieme di prodotti, fra i
quali anche il diesel, che hanno un aumento della domanda.
Non possono alzare molto il margine perché affogherebbero
nella benzina invenduta, né abbassarlo troppo perché si
rovinerebbero. Conseguenza: le raffinerie non trovano la
loro posizione di redditività e cominciano a fallire o a
chiudere sine die. Negli Stati Uniti notano preoccupati
che, nonostante la crisi e la caduta della domanda di
benzina, il
suo prezzo non smette di salire per colpa della chiusura delle
raffinerie. Almeno cinque
raffinerie della costa est degli Stati uniti hanno chiuso
nelle ultima settimane, il che da l’idea
di come si stia aggravando il problema. Il problema sta
diventando sistemico anche in Europa: settanta
(sì, 70!) raffinerie in tutta Europa hanno chiuso o stanno per
chiudere; nella notizia che
linko dicono che è “per l’embargo all’Iran”, sapete già, che
questo non entrerà in vigore fino a giugno prossimo e per il
quale, come dice il nostro ministro, potremo trovare
petrolio da altri fornitori. Segno sempre più evidente della
difficoltà di accettare una realtà più complessa e
sgradevole. E non pensate che chiudano solo piccole
raffinerie: Petroplus, la più grande d’Europa, che forniva
il 4,4% di tutti i prodotti consumati nel vecchio continente
e le cui difficoltà
sono state recentemente commentate su Crisis Energética, alla fine ha
fallito.
Senza dubbio stiamo vivendo un momento storico. Sembra
sempre più probabile che si realizzi la previsione che aveva
fatto il
rapporto dei Lloyd’s nel 2010, cioè che ci potrebbero essere
dei problemi di fornitura nel 2013. Il
resto del mondo, come accertano le notizie linkate
all’inizio del post, è già lì. Manchiamo solo noi. Come
verranno interpretate mediaticamente queste difficoltà?
Quante guerre per le risorse si potranno giustificare a
seconda della lunghezza delle code alle stazioni di
servizio?
Nota finale: in Italia c’è stato un blocco di
diversi giorni da parte dei camionisti, degli agricoltori e
dei pescatori che protestavano per gli alti prezzi del
carburante. E’
stato molto esteso al sud, dove è durato quasi due settimane e
causando problemi gravi, compresa la
mancata fornitura di alimenti. Un nuovo promemoria della fragilità
del nostro sistema e del fatto che i
problemi gravi sono più vicini di quanto pensiamo. Però
Voi non avete sentito niente di tutto questo, perché
questa notizia conviene metterla a tacere, non sia mai che
la gente se ne faccia un’idea. E’ il
picco dell’informazione.
Saluti,
AMT
Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti
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