Author: Michele Migliorino

Perché non riusciamo a fare la Transizione? Il problema dell’economia (seconda parte)

 (Pubblicato anche su Appello per la Resilienza: https://appelloperlaresilienza.wordpress.com/)

 Post di Michele Migliorino

 

DISEGUAGLIANZE ECONOMICHE

Vi sono molti aspetti connessi con la nostra difficoltà di trovare soluzioni ai cambiamenti climatici e al problema delle risorse. Come cerco di dimostrare in questa serie di articoli, ciò sembrerebbe essere causato dal fatto che il sistema economico impedisce uno sviluppo etico e sociale autentico.

In questi ultimi anni si è fatto sempre più evidente il crescente divario dei redditi. Si tratta di una situazione generata dal funzionamento del sistema o è temporanea e risolvibile? In che modo va ad incidere questo sulla nostra capacità di trovare risposte pratiche ai problemi globali?

Non può esistere economia senza crescita. Ciò significa che la quantità di denaro nel mondo deve continuamente aumentare. Ma come si distribuisce la ricchezza?

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fonte: www.lteconomy.it

Il tema della disuguaglianza è anche emerso nel corso degli incontri al World Economic Forum a Davos (19 gennaio 2015), quando, Winnie Byanyima, direttore esecutivo di Oxfam International, ha presentato i risultati di una delle ultime pubblicazioni di Oxfam sulla disuguaglianza, ‘Wealth: Having It All and Wanting More,’ evidenziando che la ricchezza aggregata dell’ 1 per cento più ricco della popolazione mondiale supererà quella del restante 99 per cento entro il 2016. 

Nella prima parte avevo argomentato che il sistema economico si basa sulla crescita del capitale. Tutto ciò è noto sotto il nome di Capitalismo. Vediamo un paio di grafici la cui idea è mettere in relazione la grandezza del continente, la % di popolazione e la % di ricchezza. Qui sotto la situazione nel 1990.

fonte: www.wordmapper.org

Vediamo di seguito invece come sia cambiata nell’arco di quasi 30 anni. Il Sud del mondo si assottiglia ancora di più a favore del Nord, ma dopo 30 anni è l’Asia che sta crescendo, non l’Occidente.

fonte: www.wordmapper.org. La situazione odierna, nel 2015.

Ma sappiamo bene che è all’interno dei singoli paesi che si manifestano la diseguaglianze. Non v’è una distribuzione egualitaria della ricchezza e questo, secondo Thomas Piketty (Il Capitale nel XXI secolo; Income inequality in the US, 1913-1998) e Gail Tverberg (Why we have a wage inequality problem – Our finite world) è una componente fondamentale – se non primaria – dell’attuale crisi economica.

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fonte: google immagini.

L’Occidente e il mondo intero è travagliato dal problema delle diseguaglianze. Lo hanno dimostrato le lotte degli ultimi due secoli fra ricchi/poveri, capitalisti/comunisti. Sembra che il sistema sociale debba scindersi, per via delle condizioni necessarie alla creazione di capitale: chi stipendia e chi è stipendiato; chi possiede i mezzi per poter produrre e chi lavora; produttori e consumatori (è evidente che anche i “produttori” sono consumatori. Qui si allude a quella divisione dei redditi che avviene a monte del semplice atto di acquisto. Come produttori si intendono gli “imprenditori”. Ogni imprenditore è anche consumatore, in quanto vivente, e ogni consumatore contribuisce a produrre dei beni. Ciò non toglie che i capitali si spostino – come si vede qui di seguito – dalla parte di chi possiede i “mezzi di produzione”). 

E’ questa spaccatura la matrice di tutte le disuguaglianze sociali in quanto i profitti si spostano necessariamente dalla parte di chi possiede i “mezzi di produzione”. Da chi viene prodotta la ricchezza e in quali tasche finisce? Ai lavoratori o agli imprenditori? Questo spostamento graduale dei redditi è ben documentato.

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Al consumatore, ironicamente, viene lasciato il “potere d’acquisto” e l’illusione di poter partecipare attivamente alla vita economica mentre è del tutto eterodiretto dalle logiche commerciali globali (cosa può il piccolo agricoltore contro la FAO?). Ma come avviene questo spostamento? Un illustre sociologo italiano, Luciano Gallino, ha ben chiarito la questione nel libro Il colpo di stato di banche e governi (Einaudi, 2015) (e in Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegata ai miei nipoti – Einaudi, 2015). Dopo aver parlato delle origini strutturali della crisi attuale (2007-2008) – che hanno avuto origine negli anni ’80 quando è cominciato un predominio della finanza sull’economia reale come risposta alla crisi del regime di accumulazione – egli spiega che l’accumulazione è la:

crescita del capitale esistente mediante nuove dosi di altro capitale derivante da eccedenza del valore realizzato della produzione sul consumo in un determinato periodo. 

E continua dicendo:

L’accumulazione accresce costantemente la frazione di capitale investita in mezzi di produzione mentre diminuisce proporzionalmente la frazione investita in forza lavoro. 

Queste due citazioni difficili ci dicono che il capitale si accresce solo perché una parte sempre maggiore di profitto resta in mano all’imprenditore, mentre una sempre minore in mano al dipendente. E’ questo il processo che ha generato la grande disoccupazione di questi anni e la tendenza alla meccanizzazione/robotizzazione delle aziende: ridurre i costi di sussistenza dei lavoratori. I robot non hanno bisogno di stipendio! Qui di seguito Gail Tverberg mostra il trend di discesa dei redditi dal 2000.

  

Fonte: Gail Tverberg – Our Finite World. Rapporto fra i redditi (wage) e il PIL (GDP).

La maggior parte dei profitti generati dalla forza-lavoro finiscono all’imprenditore. Si alimenta sempre più il divario fra una popolazione disoccupata e con sempre minor salario e degli imprenditori ultra-ricchi. Si è visto sopra come questa situazione sia omogenea su tutto il pianeta per via del mercato “unico”, la globalizzazione. Una sola è la legge che unifica il Nord ricco e il Sud povero. Ma è una situazione che può durare? Il capitalismo può continuare ad esistere in eterno?

(La divisione che abbiamo creato fra i membri della nostra specie (infraspecifica, in termini ecologici), comporta un surplus di distruttività che si aggiunge a quella “naturale” relazione interspecifica che già da sola creava molti guai. Si veda per esempio la storia della diffusione nel pianeta dell’uomo cacciatore-raccoglitore come descritta da Jared Daimond nei primi capitoli di Armi, acciaio e malattie).

Marx credeva che il capitalismo portasse in sé i germi del suo superamento e che ciò sarebbe avvenuto già a fine XIX secolo attraverso una socializzazione della produzione ad opera delle masse dei lavoratori. Ciò non è avvenuto e un secolo di lotte comuniste si è risolta infine in una netta vittoria del neo-liberismo. Oggi del comunismo resta solo uno spettro. Perché ha perso? In definitiva il marxismo-comunismo restava solidale con quella “colossale visione del mondo” del suo acerrimo nemico capitalista. Non viene mai meno l’esigenza produttiva – e il capitalismo si è dimostrato più potente nel portare avanti questa logica.

Come hanno mostrato – fra gli altri – Jean Baudrillard e Naomi Klein, esso utilizza ogni mezzo per fortificarsi, persino la critica che gli viene rivolta – le lotte rivoluzionarie; il pensiero critico – viene ri-prodotta dal sistema per autoalimentarsi.

Voi potete redistribuire tutti i redditi che volete; potete regolare l’economia in maniera da facilitare le classi più povere e potete persino (forse) allungarne la vita in maniera che possa sembrare un sistema sempiterno, ma ciò non toglie che un sistema che vuole crescere indefinitamente dovrà prima o poi crollare. E’ l’effetto Seneca, una semplice legge di natura.

(continua…)

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Perché non riusciamo a fare la Transizione? Il problema dell’economia (prima parte)

Guest Post di Michele Migliorino. 

Introduzione

Forse non abbiamo ancora compreso fin dove arriva il “problema umano” dietro a tutta questa faccenda delle risorse e del picco del petrolio.

In accordo con la nostra epoca scientifica, siamo convinti che per poter dare risposte alla “crisi” siano sufficienti i mezzi tecnici, mentre dovrebbe apparire evidente – dopo secoli di guerre e distruzione ambientale – che la tecnologia nelle mani dell’uomo può portare più danni dei benefici che crea.
E’ importante ricordare l’avvertimento di quel grande pensatore che ha dato inizio allo studio del Sistema-Terra in maniera così innovativa, Dennis Meadows:

Ci comportiamo come se il cambiamento tecnologico possa sostituire il cambiamento sociale“. (fonte: http://ugobardi.blogspot.it/2014/06/dennis-meadows-e-troppo-tardi-per-lo.html)

Bisognerebbe chiedersi dunque, che cosa blocca lo sviluppo sociale? Il che equivarrebbe a domandare: perché i nostri tentativi di operare dei cambiamenti concreti (la transizione alle rinnovabili) non riescono ad arrivare a buon fine? Perché la società è così lenta nel cercare di salvare se stessa?

E qui troviamo un aspetto ancora del tutto incompreso che cercherò di chiarire, infatti: il problema è l’Economia. Non perché non abbiamo abbastanza denaro da mettere in campo – ora che siamo al termine della partita? – ma perché pretendiamo di risolvere il problema esattamente nel modo in cui l’abbiamo creato. Ricordiamo le parole di Einstein:

Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo

Infatti il problema non è il petrolio di per sé (o qualsiasi altra fonte energetica), bensì il fatto che ne abbiamo subordinato l’estrazione e l’utilizzo alle dinamiche economiche, le quali sviluppano un sistema e una logica che non dipende più dagli attori che vi partecipano, ma che li trascende (in un sistema il tutto è “maggiore” della somma delle parti).

Sebbene abbia generato una enorme “complessità” in termini di sviluppo scientifico e sociale, l’Economia è quella cosa che ci impedirà di giungere all’obiettivo di una “società solare” basata su energie rinnovabili (nel senso indicato per esempio da Ugo Bardi nel libro La Terra svuotata) – obiettivo che sarebbe degno di una specie umana compiuta.

In questi cinque articoli cercherò di mostrare che Economia non è una così bella parola e non può aiutarci nel viaggio verso un futuro sostenibile – un futuro che sembra drammaticamente vicino in realtà, perché come ci ricorda sempre Dennis Meadows:

è tardi per lo sviluppo sostenibile, dobbiamo mettere più enfasi sulla resilienza del sistema” (fonte: articolo sopra citato)

La domanda che si pone è dunque a) se è possibile può fare la transizione energetica all’interno del sistema economico, e b) se non lo è, che soluzioni ci rimangono? Perché ci è così difficile pensare in termini diversi da quello che Serge Latouche chiamava “immaginario economico”?

Il cambio di paradigma che ci serve non riguarda il tipo di energia che dobbiamo utilizzare o quali tecnologie mettere in campo, bensì la necessità di uscire dalla “legge del valore”. La nostra cultura erige lo scambio monetario a valore imprescindibile, ma questo è basato su di un meccanismo che lo porta ad una accumulazione senza via d’uscita (la ben nota “crescita”). Ovviamente, non si tratta di qualcosa di così semplice nè da comprendere nè da accettare, perché coinvolge l’intera cultura sopra la quale “prosperiamo”.

Crescita e sistema monetario

“Dal 1820 al 2003 l’economia è cresciuta con un tasso medio del 2.25% l’anno” (fonte: David Korowicz, Trade-off. Financial System Supply-chain Cross Contagion – a Study in Global Systemic Collapse, www.davidkorowicz.com).

Lo scopo primario di un’economia oltre alla produzione di merci, lo sappiamo tutti, è ottenere denaro. Ora, non c’è crescita senza aumento di denaro. La produzione di merci è contrassegnata nel nostro sistema da un simbolo, la moneta, che utilizziamo per valutare (dar-valore) le merci. Siamo abituati a considerare in termini monetari quasi ogni attività che facciamo. Per questo il PIL (in inglese GDP) è considerato l’indicatore principale delle economie.

Ma al di là di questo vi sono questioni decisive connesse all’uso del denaro come mediatore delle attività economiche. Esser parte del sistema economico significa condividerne implicitamente alcuni assunti. Qualunque attività commerciale o azienda, pubblica o privata, per sussistere dovrà adeguarsi ad una regola fondamentale: il capitale finale deve essere più grande del capitale iniziale.

E’ evidente: se dalla mia attività non ho ricavato un surplus, o sono in pareggio o sono in rosso, entrambi risultati negativi. L’unico risultato possibile in economia è il profitto. Ogni azienda, ogni attività che produce reddito ha questa esigenza. Tutti devono “crescere”, ciò implica che: la quantità di denaro pro capite deve aumentare progressivamente

Anche una persona povera dovrà avere alla fine di più di quanto aveva all’inizio (in intervalli di tempo), altrimenti dovrà affidarsi ad altri o perirà. Il passo successivo è comprendere le implicazioni di questo meccanismo a livello macroeconomico, infatti: la quantità totale di denaro nel mondo deve aumentare progressivamente 

https://www.blia.it/debitopubblico/grafico2012.png

fonte:www.blia.it. A sinistra la percentuale debito/PIL in % visualizzata dalle colonne in blu. L’andamento del grafico illustra la serie storica per l’ITALIA dal 1861 al 2012.

Il grafico mostra la tendenza alla crescita, macroscopica soprattutto nella parte destra in corrispondenza della fine della Seconda guerra mondiale e del boom economico. Condizione della crescita oltre alla disponibilità di risorse naturali, è il “debito”. Per far si che il denaro nel mondo possa aumentare continuamente vi deve essere un meccanismo che ne permette l’espansione. (Su questo Gail Tverberg: https://ourfiniteworld.com/2016/05/02/debt-the-key-factor-connecting-energy-and-the-economy/ la quale cita Kenneth Rogoff: http://voxeu.org/article/debt-supercycle-not-secular-stagnation ).

Come “produrre” denaro se tutti devono ottenere un aumento relativo del loro capitale? Ciò è possibile solamente tramite lo scambio del denaro stesso. Il denaro è debito di per se stesso! Come si vede dal grafico, vi è una netta correlazione fra la crescita della moneta e la crescita del debito. Ciò non è un effetto casuale prodotto dal sistema ma è il funzionamento stesso della moneta, in quanto è necessario che lo scambio di denaro-con-merce produca un surplus del denaro iniziale, altrimenti non si potrebbe creare alcuna “circolazione” e non vi sarebbe crescita.

Tale meccanismo è possibile grazie all’ammontare di una quantità di denaro “fantasma” – il debito appunto – che funge da “pompa” (leva finanziaria) per la crescita. Ebbene, i debiti non possono venire ripagati perché è il debito che fornisce al sistema la possibilità stessa dello scambio di denaro e dunque gli permette di crescere.

Scopriamo così che la struttura stessa della nostra economia si regge su di un meccanismo paradossale. In quanto fornitrici di credito, gli istituti bancari sono i principali strumenti di leveraggio della nostra economia (nonchè dello Stato, che così si trova in posizione scomoda di sudditanza). E’ noto quale è stato il loro ruolo in numerose crisi finanziarie (fenomeni di “bank run”). Per ulteriori spiegazioni: Luciano Gallino, Il colpo di stato di banche e governi; anche Il denaro, il debito e la doppia crisi, oppure Chris Martenson, Crash course visibile su https://www.youtube.com/watch?v=Ec85sWSn7iQ&list=PLB048101DAAD68046&index=10
(continua)

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