Author: Massimiliano Rupalti (Rupo)

Il pericolo di un cambiamento climatico improvviso

Da “Counterpunch”. Traduzione di MR

Di Robert Hunziker

Il Consiglio Nazionale per le Ricerche delle Accademie Nazionali (National Research Council of the National Academies – NRCNA) ha pre-pubblicato (disponibile per il pubblico da dicembre 2013) un esteso studio di 200 pagine: “Impatti improvvisi del cambiamento climatico, prevedere le sorprese”. L’obbiettivo del rapporto è quello di preparare la società a prevedere “l’altrimenti imprevisto” prima che avvenga, compresi cambiamenti improvvisi nell’oceano, nell’atmosfera, negli ecosistemi e nelle regioni alle alte latitudini La scala temporale del NRCNA per il “cambiamento climatico improvviso” è definito in anni e decenni. “La storia del clima sul pianeta – letta in archivi come gli anelli degli alberi, i sedimenti oceanici e le carote di ghiaccio – è costellata di grandi cambiamenti avvenuti in modo rapido, nel corso di decenni e persino di pochi anni”[Impatti improvvisi del cambiamento climatico, prevedere le sorprese (versione pre-pubblicata) – Consiglio Nazionale per le Ricerche delle Accademie Nazionali, Edizioni delle Accademie Nazionali, Washington D.C., dicembre 2013]. Le agenzie di intelligence statunitensi, il NOAA, la Fondazione Nazionale per la Scienza e le Accademie Nazionali hanno sponsorizzato il rapporto. Le Accademie Nazionali comprendono: l’Accademia Nazionale delle Scienze, l’Accademia Nazionale di Ingegneria, l’Istituto di Medicina e il Consiglio Nazionale per le Ricerche. Il rapporto del NRCNA menziona tre aree principali di rischio di cambiamento climatico improvviso per questo secolo, che sono le seguenti:

Ghiaccio marino artico – Cambiamento climatico improvviso già in corso

Secondo l’analisi del NRCNA, è probabile che la rapida diminuzione della copertura di ghiaccio dell’Artico degli ultimi tre decenni abbia un impatto irreversibile sull’ecosistema dell’Artico. Questo evento di “cambiamento climatico improvviso” è già in movimento con la distruzione della rete alimentare marina e dell’habitat dei mammiferi, l’erosione le linee di costa e i cambiamenti nel clima e nei modelli meteorologici in tutto l’emisfero settentrionale. Ciò è già stato testimoniato attraverso 100 anni di alluvioni e gravi siccità integrate, così come periodi di condizioni meteo estreme in tutto l’emisfero. E’ interessante notare che il rapporto non si concentra sul pericolo di un rilascio improvviso di metano nell’Artico sul breve termine. Piuttosto, il rapporto del NRCNA ridimensiona uno scoppio improvviso di rilascio di metano, credendo che questo si spalmerà su un lungo periodo di tempo, improbabile in questo secolo. Tuttavia, c’è un’ampia gamma di opinioni scientifiche sul problema del metano dell’Artico ed una posizione sinistra è descritta nel seguente articolo “Salvare il clima globale del rilascio di metano fuori controllo e dalla perdita di ghiaccio marino” di John B. Davies, su Arctic News del 19 dicembre 2013, come segue: “Il riscaldamento dell’Artico è probabile che porti alla fusione totale del ghiaccio marino dell’Artico a fine estate non più tardi del 2018 e ad un massiccio rilascio di metano degli idrati di metano che fondono al di sotto della Banchisa Artica della Siberia Orientale per la stessa data, portando ad un riscaldamento globale fuori controllo ed alla fine di gran parte della vita sulla Terra”. Questa aspra previsione di John B. Davies è sostenuta da alcune delle menti più riconosciute del mondo nel campo del ghiaccio marino dell’Artico, come Peter Wadhams, che ha un dottorato di ricerca (Capo del Gruppo di Fisica dell’Oceano Polare, Università di Cambridge) e che ha, sin dal 1976, accuratamente misurato lo spessore del ghiaccio dell’Artico tramite sottomarini (Scienza basata sui Sottomarini, Peter Wadhams, Incontro Scientifico “Oceani 2025”, 11-13 maggio 2010). Ovviamente, la dichiarazione di Davids  “la fine di gran parte della vita della Terra” è una previsione chiassosa e coraggiosa. E’ anche molto difficile accettare l’idea della possibilità della fine di gran parte della vita. Situazioni del genere non accadono proprio… o accadono?

Sì, accadono.

Come spiegato nel film “Il giorno in cui la Terra è quasi morta” della BBC/Horizon, è accaduto 250 milioni di anni fa. Quasi ogni cosa vivente è morta improvvisamente. Studi geologici mostrano che il 95% delle forme di vita sono morte. Gli scienziati la chiamano Estinzione di Massa del Permiano, che è stata di gran lunga più terribile dell’ultima estinzione che ha spazzato via i dinosauri 65 milioni di anni fa, uccidendo il 60% di tutte le specie sul pianeta. Ci sono voluti 100.000 anni perché la Terra recuperasse.

Le estinzioni di sicuro avvengono.

Un nuovo film esamina quanto potremmo esserci vicini: Le ultime ore (settembre 2013), presentato da Thom Hartmann. I produttori sono George DiCaprio, Earl Katz e Mathew Schmid, la regia di Leila Conners. Il sottotitolo del film dice: “Sotto terra, sott’acqua e sotto il ghiaccio, una bomba ad orologeria sta ticchettando. Gli scienziati ne stanno vedendo le prove. Il cambiamento climatico fuori controllo potrebbe essere più vicino di quanto pensiamo”.

E la Bibbia parla di estinzione in Isaia 24:4-6:

“La Terra si secca e sbianca… gli esaltati della terra languiscono… perché hanno trasgredito le leggi, violato gli statuti e rotto i patti eterni. Pertanto una maledizione consuma la Terra; la sua gente deve solo sopportare la propria colpa”. A prescindere dalla credenza di come, quando e se un’estinzione può avvenire, le prove che i livelli di biossido di carbonio (CO2) sono i più alti in oltre 400.000 anni sono incontrovertibile e sono avviati su una strada che è paurosamente simile agli eventi estintivi del passato. E’ anche ampiamente accettato che bruciare combustibili fossili causa eccessive quantità di CO2. Ergo, sapendo questo, qual è il modo di procedere? Cosa fare? Non c’è un piano mondiale su come procedere per evitare un evento estintivo. Così, quando/se accade, sarà davvero il risultato di un imprevisto cambiamento climatico improvviso.

Vita marina e terrestre

Il rapporto del Consiglio Nazionale per le Ricerche delle Accademie Nazionali prevede anche una estinzione di massa finale di diverse specie, senza ulteriore cambiamento climatico, dovuta a distruzione dell’habitat, frammentazione e sovra-sfruttamento. Questa, dichiarano, equivarrebbe in dimensione alla scomparsa dei dinosauri, ma potrebbe essere probabilmente lontana di secoli. Tuttavia, il rapporto va avanti ad avvertire che, se le pressioni in corso da parte del cambiamento climatico continuano, potrebbero verificarsi livelli di estinzione comparabili prima del 2100, Quindi, in un inglese semplice, se l’umanità continua a bruciare combustibili fossili come una pazza nei prossimi decenni, si spengono le luci per molte specie del pianeta. Inoltre, secondo il rapporto del NRCNA, il cambiamento climatico da solo potrebbe causare un “collasso delle barriere coralline” entro il 2060. Attualmente, le barriere coralline sostengono 9 milioni di specie marine. Come tale, questa parte dell’analisi del NRCNA si incastra con una massiccia perdita di specie per il 2100. Infatti, come prova a supporto al di fuori del rapporto del NRCNA, diversi saggi peer-review pubblicati hanno già riportato il primo stadio dei segni distruttivi dell’acidificazione dell’oceano (causata da troppo CO2) che deteriorano la vita marina, per esempio “… quasi tutte le forme di vita marina che costruiscono conchiglie di carbonato di calcio e scheletri studiate dagli scienziati finora hanno dimostrato un deterioramento dovuto all’aumento dei livelli di biossido di carbonio nell’acqua di mare” (Dottor Richard Feely e Dott. Christopher Sabine, Oceanografi, Biossido di carbonio e la nostra eredità oceanica, Laboratorio Ambientale Marino del Pacifico del NOAA, aprile 2006). Ancora una volta, nell’oceano, così come sulla terraferma, il problema è l’eccessivo biossido di carbonio.

Ancora una volta, non c’è nessuno piano mondiale su come andare avanti per evitare un evento estintivo. Di conseguenza, a parte pochi scienziati, la comunità mondiale sarà scioccata dalla carneficina perché nessuno prevede davvero che accada. Altrimenti, i governi del mondo starebbero furiosamente lavorando sulle soluzioni, ma non è così. Gli scienziati hanno pubblicato rapporti minacciosi per anni in vano, perché non sono stati presi sul serio a sufficienza da sollecitare un’azione correttiva, come per esempio un passaggio in blocco dai combustibili fossili alle rinnovabili come eolico, solare, geotermico, biomassa, onde e idroelettrico.

Destabilizzazione della Calotta Glaciale dell’Antartico Occidentale

L’Antartico contiene l’85% ndel ghiaccio mondiale. Il comitato del NRCNA riconosce grandi incertezze sullo stato della stabilità della Calotta Glaciale dell’Antartico Occidentale (CGAO) e “..il comitato giudica che un cambiamento improvviso nella CGAO entro questo secolo sia plausibile, con una probabilità sconosciuta anche se probabilmente bassa”. Il rapporto del NRCNA dichiara ulteriormente: “.. una larga parte della CGAO, che rappresenta 3-4 metri di aumento del livello del mare potenziale, è in grado di fluire rapidamente nei bacini dell’oceano profondo. Siccome l’intera gamma di processi fisici che avvengono dove il ghiaccio incontra l’oceano non è inclusa nei modelli generali della calotta glaciale, rimane possibile che i tassi futuri di aumento del livello del mare da parte della CGAO siano sottostimati, forse in maniera sostanziale”. A questo proposito, il ghiacciaio di Pine Islad, come parte della CGAO, è una lingua di ghiaccio lunga 37 miglia. E’ di massimo interesse per gli scienziati del clima perché ha un contributo più alto di ghiaccio per il mare di qualsiasi altro bacino di drenaggio del mondo. Per decenni è stata considerata troppo pericolosa e troppo remota da esplorare. Solo di recente, nel 2012-2013, una squadra di scienziati climatici ha realizzato un’esplorazione dell’enorme ghiacciaio. Durante la spedizione, la fusione al di sotto del ghiacciaio di Pine Island è stata resa nei dettagli dal Naval Postgraduate School, Dipartimento di Oceanografia (Monterey, California) in tandem con l’Università Penn State, NASA, British Antarctic Survey e Università di New York. I loro risultati sono stati pubblicati nel Giornale della Scienza il 13 settembre 2013. Secondo Timothy Stanton, oceanografo della Naval Postgraduate School, “Questa è la prima osservazione della fusione reale al di sotto della colotta glaciale”, Ibid. Usando perforazioni ad acqua calda per penetrare la calotta glaciale di 1.460 piedi di spessore, hanno scoperto che l’acqua dell’oceano che si scalda sta mangiando la parte inferiore della calotta glaciale ad un tasso di 72 piedi all’anno nel mezzo dei canali. Inoltre, gli scienziati calcolano che la fusione sulla “linea di terra” sia di 144 piedi all’anno. Considerando il fatto che l’oceano ha assorbito il 90% del calore della Terra (fonte: Journal of Geophysical Research), la domanda del giorno è: per quanto tempo rimarrà stabile il ghiacciaio di Pine Island? Se si destabilizza, Miami è in pericolo, così come tutte le grandi città costiere. Ancora una volta, nell’oceano così come sulla terraferma, il problema è l’eccessivo biossido di carbonio. Ancora una volta, non c’è alcun piano mondiale su come andare avanti ed evitare un cambiamento climatico improvviso. Con una sola eccezione, la Scozia, che attualmente produce il 40% della sua elettricità con le rinnovabili, eolico, solare e onde. Il paese pianifica di diventare 100% verde per il 2020. Uhm, un intero paese alimentato al 100% ad energia rinnovabile!

Conclusione: sorprese inevitabili

“Mancando un’azione concertata delle nazioni del mondo, è chiaro che il clima futuro sarà più caldo, i livelli del mare saliranno, i modelli globali delle precipitazioni cambieranno e gli ecosistemi verranno alterati… L’attuale tasso di emissioni di carbonio sta cambiando il sistema climatico ad un ritmo accelerato, rendendo i cambiamenti che attraversano i punti di non ritorno sempre più probabili… di fatto le sorprese sono inevitabili” [Impatti improvvisi del cambiamento climatico, prevedere le sorprese (versione pre-pubblicata) – Consiglio Nazionale per le Ricerche delle Accademie Nazionali, Edizioni delle Accademie Nazionali, Washington D.C., dicembre 2013]. Tutti prima o poi si siedono ad un banchetto di conseguenze (Robert Louis Stevenson – Saggista scozzese, poeta e scrittore, 1850-1894)

P. S.: Buone notizie: l’impianto di stoccaggio solare di Gemasolar stabilisce un record di 36 giorni di produzione di 24/7, di Emma Fitzpatrick, Reneweconomy, 8 ottobre 2013:
Il Gemasolar, un impianto di solare a concentrazione, è il primo impianto al mondo su larga scala che usa il sale fuso per catturare il caldo durante il giorno di modo che possa produrre di notte. L’impianto può operare fino a 15 ore senza nessuna alimentazione solare. Per 36 giorni di fila l’impianto ha continuamente fornito alimentazione a 27.000 case vicino a Siviglia, in Spagna, evitando l’emissione di 30.000 tonnellate di CO2.

Robert Hunziker vive a Los Angeles e può essere contattato: roberthunziker@icloud.com 

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Temperature globali nel 2013: continua il riscaldamento planetario

Da “Climate crocks”. Traduzione di MR

RealClimate:

I dati della temperatura globale del 2013 ora sono stati pubblicati. Il 2010 e il 2005 rimangono gli anni più caldi da quando sono iniziate le registrazioni nel 19° secolo. Il 1998 si trova al secondo posto in due registrazioni e nell’analisi di Cowtan e Way, che interpola le regioni povere di dati dell’Artico con un metodo migliore, il 2013 è più caldo del 1998 (anche se il 1998 è stato un anno record per El Niño e il 2013 è stato neutrale).

La fine di gennaio, quando arrivano le misurazioni delle temperature dell’anno precedente, è sempre il momento di dare uno sguardo alla tendenza della temperatura globale (e, come ha giustamente osservato il Guardian, anche il momento in cui “i negazionisti della scienza del clima urlano febbrilmente […] che il riscaldamento globale si è fermato nel 1998”). Ecco la classifica degli anni più caldi nei quattro gruppi di dati disponibili delle temperature globali prossime alla superficie (1):

Novità di quest’anno: per la prima volta c’è una analisi meticolosa dei vuoti geografici dei dati – specialmente nell’Artico c’è un buco – e la loro interpolazione dei dati HadCRUT4. Così ora ci sono due gruppi di dati della temperatura di superficie con copertura globale (i dati GISTEMP della NASA hanno sempre compensato questi vuoti tramite interpolazione) In queste due serie di dati il 2007 si è classificato terzo. Il confronto diretto si presenta così:

Figura 1 Temperatura globale (valori annuali) nei dati dal GISS della NASA (arancio) e da Cowtan e Way (blu) , per esempio HadCRUT4 con vuoti di dati interpolati. Per approfondire: http://www.realclimate.org/index.php/archives/2014/01/global-temperature-2013/#sthash.02esfhhG.dpuf

Si può chiaramente vedere l’anno estremo 1998 che (grazie a El Niño record) spicca sulla tendenza a lungo termine come nessun altro. Ma anche prendendo questo anno anomalo come punto di partenza, la tendenza lineare 1998-2013 in tutti e quattro i gruppi di dati è positiva. E anche chiaramente visibile che il 2010 è l’anno più caldo da quando sono cominciate le registrazioni e le minime nel 2008 e 2011/2012. Ma proprio come i picchi stanno aumentando, queste minime sono sempre meno basse.

In queste curva di dati non riesco a vedere nessuna “pausa del riscaldamento” in corso particolarmente appariscente o significativa, anche se la tendenza al riscaldamento dal 2008 è naturalmente inferiore della tendenza a lungo termine. Anche su Nature c’è stato un recente contributo (giornalistico) che nella sua introduzione sovrastima fortemente questo presunto “iato”. Racconta una storia alla quale forse qualcuno non può resistere (“La tendenza al riscaldamento si è in qualche modo ridotta, ma entro la normale gamma di variazione” semplicemente non costituisce un buon titolo).

Il ruolo de El Niño e de La Niña

Il recente riscaldamento più lento è spiegato principalmente dal fatto che in anni recenti lo stato del La Niña nel Pacifico tropicale ha prevalso, in questo il Pacifico orientale è freddo e l’oceano immagazzina più calore (2). Questo è dovuto all’aumento nei venti di scambio che spingono l’acqua verso occidente attraverso il Pacifico tropicale, mentre a oriente l’acqua fredda dalle profondità viene in superficie (vedi l’ultimo grafico qui). In aggiunta, la forzante radiativa recentemente è cresciuta più lentamente (altro su questo argomento nell’analisi di Hansen et al.  – che vale decisamente la pena di leggere). La NASA mostra il seguente grafico, dove si può vedere che gli anni più caldi tendono ad essere quelli con El Niño nel Pacifico tropicale (anni rossi), mentre gli anni particolarmente freddi sono quelli con La Niña (anni blu).

Figura 2 I dati del GISS, con evidenziate le condizioni di El Niño e de La Niña. Gli anni neutrali come il 2013 sono in grigio. Fonte: NASA. 

Qualità dell’interpolazione

Qual è la qualità dell’interpolazione nelle regioni non coperte regolarmente dalle stazioni meteorologiche? In ogni caso, naturalmente, meglio che ignorare semplicemente i vuoti, come hanno fatto finora i dati HadCRUT e NOAA. La vera media globale è importante, visto che solo questa è direttamente collegata al bilancio energetico del nostro pianeta e così la forzante radiativa ai gas serra. Una media di una solo parte del globo non lo è. L’Artico si è riscaldato in modo sproporzionato negli ultimi 10-15 anni.

Ma quanto funziona bene l’interpolazione lo sappiamo bene solo dall’importante lavoro di Cowtan e Way. Questi colleghi si sono presi il disturbo di validare accuratamente il loro metodo. Anche se non ci sono stazioni meteorologiche permanenti nell’Artico, ci sono dati intermittenti da boe e da rianalisi modelli meteorologici coi quali hanno potuto verificare il proprio metodo. Negli ultimi decenni Cowtan e Way hanno anche fatto uso dei dati satellitari (altro su questo nel nostro articolo sul riscaldamento sottostimato). Pertanto presumo che i dati di Cowtan e Way siano metodologicamente parlando la stima migliore della temperatura media globale che abbiamo al momento. Questa correzione naturalmente è piccola (meno di un decimo di grado) e non cambia la tendenza a lungo termine del riscaldamento globale – ma se si guarda più in profondità a periodi di tempo più brevi, può fare una notevole differenza. Il confronto coi dati non corretti di HadCRUT4 si mostra così:

Figura 3: Confronto di dati interpolati e non interpolati dei dati HadCRUT4, come medie in variabili su 12 mesi. Fonte: Kevin Cowtan, Università di York.

E qui uno sguardo in dettaglio allo scorso anno:

Figura 4: I dati HadCRUT4 interpolati (media annuale) dal 1970. Fonte: Kevin Cowtan, Università di York.

Seguendo l’analisi, il 2013 è stato quindi anche più caldo dell’anno record de El Niño del 1998.

Conclusione

  • In tutte le quattro serie di dati della temperatura dell’aria vicino alla superficie, la tendenza lineare, persino dall’anno estremo de El Niño, il 1998, è positiva, per esempio, mostra un riscaldamento continuo, nonostante la scelta di un anno insolitamente caldo come anno iniziale. 
  • In tutte le quattro serie di dati della temperatura dell’aria, il 2010 è stato l’anno più caldo registrato, seguito dal 2005. 
  • L’anno 1998 è, al massimo, al terzo posto – negli attuali dati migliori di Cowtan e Way, il 1998 in realtà si classifica solo settimo. Anche il 2013 è – senza El Niño – più caldo del 1998.

Il nuovo sito tedesco di Der Spiegel presenta questi fatti sotto il titolo Il riscaldamento dell’aria si è fermato per 16 anni (traduzione mia). Il titolo della nuova pubblicazione della NASA, La NASA scopre la tendenza al riscaldamento del clima a lungo termine, è così completamente ribaltato. Questo non sorprenderà nessuno che abbia seguito i servizi sul clima di Der Spiegel negli ultimi anni. Al contrario – i colleghi esprimono la loro sorpresa pubblicamente quando su quel giornale appare un articolo sensibile su questo tema. Per anni, Der Spiegel ha agito come portale perle dichiarazioni dubbiose degli “scettici del clima” nei media tedeschi mentre cercava di discreditare i migliori scienziati del clima (abbiamo riportato almeno un esempio qui).

I lettori di Der Spiegel ne sanno di più (come recita la pubblicità) di NASA, NOAA, Hadley Centre e Organizzazione Meteorologica Mondiale messi insieme? O sono stati semplicemente presi per i fondelli per motivi politici?

Note a piè di pagina

(1) In aggiunta ai dati della temperatura dell’aria vicino alla superficie, che sono composti di misurazioni da stazioni meteorologiche e temperature della superficie del mare, ci sono anche i dati sulle microonde dai satelliti, che possono essere usati per stimare le temperature dell’aria nella troposfera entro alcuni chilometri di altitudine. Nella tendenza del clima a lungo termine dall’inizio delle misurazioni satellitari nel 1979, le temperature troposferiche mostrano un riscaldamento analogo a quello delle temperature di superficie, ma le fluttuazioni a breve termine nella troposfera sono significativamente diverse da quelle vicino alla superficie. Per esempio, il picco de El Niño nel 1998 è circa il doppio nella troposfera rispetto ai dati di superficie, vedi Foster e Rahmstorf 2011. Nel loro tendenza dal 1998, le due serie satellitari si contraddicono a vicenda: UAH mostra un +0.05 ° C a decennio (un po’ più di HadCRUT4), RSS mostra un -0.05 ° C a decennio.

(2) Un altro grafico per illustrare il cambiamento fra El Niño e la Niña: l’Indice de El Niño Oceanico, l’indice standard del NOAA per descrivere l’altalena nel Pacifico tropicale.

Figura 5 L’Indice ONI. Le frecce aggiunte da me indicano alcuni anni globalmente caldi o freddiThe ONI index. (da confrontare con le Figure 1 o 4). Fonte: NOAA .

Link

L’altalena della temperatura globale (una panoramica del dibattito sulla “pausa”)
Cosa rivela il riscaldamento degli oceani sul riscaldamento globale

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La furia dei predatori apicali

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Tendo a pensare che gran parte di quello che sta avvenendo intorno a noi oggigiorno possa essere spiegato se vediamo il sistema sociale come un ecosistema. Sappiamo che gli ecosistemi hanno “catene alimentari” o “cascate trofiche”. In un post precedente ho detto che i governi si stanno comportando come predatori apicali nel sistema socio economico.

Un problema dei predatori apicali è che – per definizione – non hanno meccanismi per limitare il proprio numero se non la disponibilità di cibo. Visto che i predatori biologici (ed anche i governi) non sono normalmente in grado di pianificare per il futuro, tendono a distruggere la loro stessa fonte di cibo tramite un’eccessiva predazione: si chiama “overshoot” (superamento). Questo fenomeno è stato studiato già circa un secolo fa da Lotka e Volterra, che hanno creato un modello che, oggi, è conosciuto col loro nome (Modello LV o, a volte, come il “modello delle volpi e dei conigli”). Ecco una sequenza tipica del modello:

Si vedono oscillazioni dovute al fatto che i predatori vanno periodicamente in overshoot, uccidono troppe prede e finiscono per esaurire il cibo per loro stessi. E’ una semplificazione spinta, naturalmente. Gli ecosistemi reali sono molto più complessi di un semplice sistema a due specie e di solito non mostrano delle oscillazioni così regolari. Ma tuttavia il modello ci da delle idee sulle forze in gioco e di come il comportamento dei predatori potrebbe andare fuori controllo.

Sotto, vedete una simulazione del modello LV (fatta usando Vensim) dove ho ipotizzato che le prede non si riproducono; un’ipotesi vicina alla realtà in un sistema economico basato su risorse non rinnovabili. Nel grafico mostro anche il tasso di predazione. Si vede che i predatori continuano nell’uccisione furiosa di un gran numero di prede senza rendersi conto che stanno distruggendo la loro stessa fonte di sussistenza.  

Ovviamente si tratta di un’interpretazione qualitativa, ma sembra che ci stia dicendo qualcosa quando ci rendiamo conto che il predatore apicale nel nostro sistema socio economico è il governo, sotto forma delle sue numerose agenzie (la polizia, la magistratura, l’agenzia delle entrate, ecc.). Date un’occhiata all’articolo sotto del New Yorker e ditemi se non avete l’impressione di un predatore andato su tutte le furie. 

Presi 

In un regime di confisca civile, dei cittadini americani che non sono stati accusati di atti illeciti possono venire spogliati del loro contante, delle loro automobili e persino delle loro case. E’ tutto qui quello che perdiamo?
Di Sarah Stillman, 12 agosto 2013
In un luminoso giovedì pomeriggio del 2007, Jennifer Boatright, una cameriera al bar tavola calda di Houston, guidava coi suoi giovani figli ed il suo ragazzo, Ron Henderson, sulla statale 59 verso Linden, la città natale di Henderson, vicino al confine fra Texas e Louisiana. Facevano il viaggio ogni aprile, ai primi segni di primavera, per camminare sui sentieri locali pieni di fiori selvatici e passare un po’ di tempo col padre di Henderson. Quest’anno, hanno deciso di comprare un’auto usata a Linden, che ne ha un sacco in vendita, e quindi hanno impacchettato i loro risparmi in contanti nel cruscotto della vettura. Appena dopo il crepuscolo, superano un segnale che diceva “Benvenuti a Tenaha: una piccola città con un grande potenziale!”
Si sono infilati in un piccolo negozio per uno spuntino. Tornati in autostrada, 10 minuti più tardi, la Boatright, una “contadina del Texas di Lubbock”, per sua stessa ammissione, ed Henderson, che è latino, hanno notato qualcosa di strano. La stessa auto della polizia che il loro figlio undicenne aveva ammirato nel parcheggio del piccolo negozio li stava inseguendo. Vicino ai confini della città, un poliziotto alto e dalle spalle da toro di nome Barry Washington li ha fatti accostare.
Ha chiesto se Henderson sapeva di aver guidato sulla corsia di sisnistra per oltre mezzo miglio senza superare.
No, ha replicato Henderson, dicendo di essersi spostato sulla corsia di sinistra per favorire l’ingresso dell’auto della polizia in autostrada. 
C’erano droghe in macchina? Quando Henderson e la Boatright hanno detto di no, il poliziotto ha chiesto se lui e il suo collega potevano perquisire la macchina.
I poliziotti hanno trovato il contante della coppia e un tubo di vetro marmorizzato che, a dire della Boatright, era un regalo peri sua cognata, così li hanno scortati alla stazione di polizia. Lì, in un angolo, c’erano due tavoli colmi di gioielli, lettori DVD, cellulari e cose simili. Secondo il rapporto della polizia, la Boatright e Henderson corrispondevano al profilo di corrieri della droga: stavano andando da Houston, “un posto famoso per la distribuzione di narcotici illegali”, a Linden, “un posto conosciuto per lo spaccio di narcotici illegali”. 
Il rapporto descrive i loro bambini come possibili esche intese a distrarre la polizia mentre la coppia percorreva la strada con disinvoltura, fumando marijuana. (Non ne è stata trovata in macchina anche se Washington ha dichiarato di averne sentito l’odore).
L’avvocato del distretto della contea, una donna di 57 anni coi capelli cotonati alla Charlie’s Angels di nome Lynda K. Russell, è arrivata un’ora dopo. La Russel che faceva un secondo lavoro a livello locale come cantante country, ha detto a  Henderson e alla Boatright che avevano due opzioni. Potevano affrontare accuse penali per “riciclaggio di denaro sporco” e “messa in pericolo di minori”, nel qual caso sarebbero andati in prigione e i loro figli sarebbero stati dati in affidamento. O potevano firmare per lasciare il loro contante alla città di Tenaha e rimettersi in viaggio. “Non deve essere depositata nessuna accusa penale”, c’era scritto su una rinuncia che lei aveva redatto, “e i vostri bambini non devono essere affidati al CPS (Child Protective Services). “Dove siamo?” Ricorda di aver pensato la Boatright. “E’ un qualche paese straniero in cui svendono i bambini delle persone”? Tenendo la sua bambina di 16 mesi sull’anca, è scoppiata in lacrime. Più tardi, ha appreso che gli accordi che prevedono contanti in cambio della libertà sono diventati un punto di orgoglio per Tenaha e che quelle versioni della tattica venivano usate in tutto il paese. “Essere sicuri e continuare il buon lavoro”, ha scritto lo sceriffo della città a Washington, in seguito ad una raffica di lamentele da parte di guidatori da fuori città che dichiaravano di essere stati fermati a Tenaha e derubati di contante, valori e, in almeno un caso, di un neonato, senza nessuna prova evidente di contrabbando.
Clicca qui per leggere l’articolo intero (in inglese) sul “New Yorker”

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Picco della salute?

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Dati Eurostat per l’aspettativa di vita sana in alcuni paesi europei, come riportato in un saggio caricato su arXiv da Ugo Bardi e Virginia Pierini. Misurare la “salute” comporta incertezze, ma questi dati difficilmente si conformano alla percezione comune di condizioni di salute sempre migliori in Europa.
Noi tutti sappiamo che viviamo vite lunghe, almeno nei paesi ricchi. Ma stiamo anche vivendo vite sane? Ciò non è evidente. Al contrario, a volte sembra che gli anziani stiano pagando per i loro anni in più di vita in termini di ogni sorta di malattie croniche e handicap. 
Tuttavia, questa è solo una percezione qualitativa che dovrebbe essere supportata da dati se dobbiamo considerarla degna di attenzione. Sfortunatamente, il concetto di “salute” è piuttosto difficile da definire; ciononostante ci sono dati che riportano un parametro chiamato “Aspettativa di Vita Sana” (Healthy Life Years Expectancy – HLYE) che misura il numero previsto di anni “senza disabilità” delle nostre vite. 
L’analisi di questi dati è il tema di un saggio che io e la mia collaboratrice Virginia Pierini abbiamo recentemente caricato su ArXiv. Abbiamo scoperto che secondo i dati EUROSTAT, diversi paesi europei (e l’Italia in particolare) hanno vissuto un declino nelle aspettative di vita sane a partire dal 2003. 
Circa questi risultati, è necessaria una premessa. Il solo modo per determinare la HYLE è chiedere alle persone come stanno riguardo alla propria salute. Le loro risposte dipendono dalla loro percezione ed anche dal modo in cui è posta la domanda. Quindi, quello che questi dati misurano potrebbe essere un declino del modo in cui le persone percepiscono la loro salute, piuttosto della loro salute reale. E qui c’è l’ulteriore complicazione che nel 2004 alcuni elementi sono cambiati nel modo in cui viene fatta la misurazione. In effetti, In un commento, Piergentili ha suggerito che il cambiamento osservato nella HYLE potrebbe essere un artefatto della misurazione.

Ma non possiamo nemmeno escludere che qualche cambiamento esterno reale abbia modificato la salute delle persone, o la percezione della propria salute. Nel saggio, abbiamo esplorato anche la possibilità che questo cambiamento potrebbe essere collegato all’ondata di calore che ha colpito l’Europa nel 2003 – un fenomeno che, infatti, ha avuto un effetto rilevabile sui dati dell’aspettativa di vita standard. 

Nel complesso, i dati sono troppo incerti per essere usati per arrivare a delle conclusioni sicure. Ma abbiamo pensato che valesse la pena di riportare questi dati, se non altro come punto interrogativo diretto alla comunità scientifica su cui commentare. Stiamo affrontando qui un punto fondamentale: la “salute” è spesso considerata come l’equivalente dell’aspettativa di vita ma dovrebbe essere vista più correttamente in termini di aspettativa di vita sana; anche in relazione ai cambiamenti che stiamo causando nell’ambiente. Speriamo che questo modesto tentativo da parte nostra possa essere di stimolo ad approfondire questo tema.

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Il collasso del predatore apicale

 

(immagine da legacysecurity.com) Il post che segue, di Dmitri Orlov, è il risultato di uno scambio di mail sulle somiglianze del collasso dell’Unione Sovietica (di trent’anni fa) e quello (in corso) dei paesi mediterranei, in particolare dell’Italia. Leggetelo per vedere l’interpretazione di Orlov su un fenomeno che io tendo a vedere come dovuto al comportamento dei cosiddetti “predatori apicali” (“top predator” in inglese). Se vi occupate di sistemi socioeconomici, potete notare come ci siano delle notevoli somiglianze con gli ecosistemi biologici. In particolare, in un sistema socioeconomico si può pensare che il “predatore apicale” sia il governo; ovvero quell’entità che controlla la polizia e le forze armate e che ha il potere di tassare i cittadini senza nessun limite prestabilito. Ora, in tutti questi sistemi c’è la tendenza ad andare in “overshoot” quando un predatore preleva più prede di quanto queste si possano riprodurre – oppure quando le prede hanno distrutto a loro volta le loro fonti di sostentamento. In questo caso, il predatore distrugge la popolazione delle prede, dopo di che non gli rimane che scomparire a sua volta. Tuttavia, i modelli mostrano che il predatore apicale è l’ultimo a sparire nell’ecosistema. Ovvero, il governo di uno stato tende a perdurare finché i cittadini posseggono qualcosa che può essere tassato. Ma, se la ricchezza dei cittadini dipende da risorse non rinnovabili, come i combustibili fossili, a lungo andare non rimane più nulla da tassare. A questo punto il governo diventa un predatore senza più prede e non gli rimane che sparire. Questa potrebbe essere una buona interpretazione di quello che sta succedendo oggi in molti paesi. (UB) 

Come cronometrare il collasso

Da “Club Orlov”. Traduzione di MR
di Dmitri Orlov

Douglas Smith
Zeus

Durante gli ultimi 5 anni ho fatto diverse previsioni dettagliate sul collasso: Come è possibile che si sviluppi, quali le sue varie manifestazioni possibili e come colpirà i vari gruppi e categorie di persone. Ma sono rimasto di proposito vago sui tempi del collasso e dei suoi vari stadi. Non stavo trattenendo per me delle informazioni e non facevo il timido; non avevo realmente modo di calcolare quando avverrà il collasso – fino a cinque giorni fa, quando, dal nulla, ho ricevuto la seguente e-mail da Ugo Bardi:

Ciao Dmitry,

Ti potrebbe interessare questo mio post.

A partire da questo, sto cercando di trovare un parallelo fra il collasso dell’Unione Sovietica e l’imminente collasso dell’Italia. Ci sono, come sempre, similitudini e differenze. In particolare, l’Unione Sovietica è collassata quasi immediatamente dopo che la produzione di petrolio si è appiattita ed ha iniziato a declinare. Al contrario, il governo italiano sopravvive nonostante una perdita del 36% del consumo di petrolio. 

La mia impressione è che sia tutto collegato ai diversi metodi di tassazione. Mi sembra di capire che il sistema fiscale dell’Unione Sovietica era basato principalmente su tasse sui beni e sulla produzione. Quando la produzione è entrata in stallo, le persone non avevano niente da comprare e il governo non aveva niente da tassare, perché la maggior parte delle persone non possedeva niente ed aveva pochi o nessun risparmio in banca. Quindi il governo non ha avuto scelta che salutare e scomparire. 

Invece, il sistema italiano è basato in gran parte sulla tassazione dei redditi e della proprietà. Il governo sta perdendo introiti sulle tasse dei beni (per esempio sulla benzina), ma può compensare con le tasse sulla proprietà. Gli italiani, in media, sono “ricchi”, nel senso che hanno risparmi in banca e sono in gran parte proprietari delle proprie case. Quindi, il governo può tassare le loro proprietà e i loro risparmi. Finché gli italiani avranno ancora qualcosa di tassabile, il governo sopravviverà. Scomparirà soltanto quando sarà riuscito a spogliare completamente i cittadini di tutto quello che hanno. 

Sei d’accordo con questa interpretazione? (A proposito, l’Italia come Stato potrebbe essere anche più culturalmente variegato rispetto a com’era la vecchia Unione Sovietica).

Ugo

Ho risposto:

Ciao Ugo,

articolo molto interessante. Sì, tutto l’arco meridionale dell’UE si trova in una qualche stadio iniziale di collasso, ma finora non mi era capitato di pensare a dei paralleli con l’ex URRS. Ora che ci penso sopra, il parallelo è ovvio: è un collasso finanziario innescato da qualcosa che ha a che fare col petrolio, ma con le polarità invertite e ritardato da un periodo di distruzione della ricchezza. 

Nel caso dell’ex URRS, la tassazione non era realmente una fonte di reddito per il governo. L’economia nazionale era basata sulla proprietà del governo di tutto, sulla pianificazione centralizzata e sui bilanci e un sistema di assegnazione ministeriale dei contratti alle imprese possedute dai ministri. L’economia esterna era una questione di esportazione di idrocarburi in cambio di moneta estera, che veniva usata per comprare grano – in prevalenza granaglie per alimentazione animale, senza la quale la popolazione sarebbe diventata povera di proteine e malnutrita. Durante il cosiddetto periodo di “stagnazione” degli anni 80, l’economia sovietica è stata svuotata a causa di diverse tendenze. L’eccessiva spesa nella difesa era una di queste. Un’altra era che l’investimento in beni cruciali (macchinari, impianti e attrezzature) ha raggiunto il punto dei ritorni decrescenti, che è molto difficile da caratterizzare ma non così difficile da vedere. Infine, Solzhenitsyn e il movimento dei dissidenti hanno fatto un danno irreparabile al prestigio sovietico, distruggendone il morale. Il colpo di grazia, quando è arrivato, consisteva in due parti. Una era l’incapacità di aumentare la produzione di petrolio dato lo stato della tecnologia di estrazione del petrolio sovietico dell’epoca. L’altro è stato il crollo dei prezzi del petrolio, fino a 10 dollari al barile a un certo punto, perché il Mare del Nord e l’Alaska sono entrate entrambe in produzione e i sauditi pompavano quanto più petrolio potevano sulla base di un tacito accordo con gli Stati Uniti per abbassare i prezzi del petrolio e far collassare così i sovietici. In questo hanno avuto un grande successo. L’URRS si è fortemente indebitata con l’occidente e, alla fine, ha avuto bisogno del credito occidentale per mantenere le luci accese al Cremlino. Una delle scene finali rappresentava Gorbaciov al telefono con Helmut Khol che chiedeva di chiedere agli americani di sbloccare un po’ di fondi. 

Ora posso vedere dei paralleli a questo in quanto sta accadendo ora negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, ma con tutte le polarità invertite: qui il petrolio entra e i soldi escono e il colpo di grazia sarà dovuto agli alti costi del petrolio piuttosto che quelli bassi. Al posto dei fallimenti nella pianificazione centralizzata, che non è riuscita a distribuire in modo efficace la produzione, abbiamo fallimenti del mercato globalizzato, dove la produzione è efficacemente globalizzata ma il consumo non è efficacemente localizzato fra i ricchi e gli ex ricchi e deve essere alimentato dal credito. Al posto dei ritorni decrescenti dalla distribuzione di beni capitali, abbiamo ritorni decrescenti dalla distribuzione del capitale stesso, dove un’unità di nuovo debito ora produce molto meno di un’unità di crescita economica. Il danno alla reputazione e al morale è in gran parte dal lato statunitense dell’Atlantico, dove al posto di Solzhenitsyn e il movimento dissidente abbiamo lo scandalo di Abu Ghraib,  Wikileaks di Julian Assange e Edward Snowden. Per quanto riguarda la UE, gran parte del danno ha a che fare con la sperimentazione di disparità economica fra il cuore ricco e la periferia sempre più impoverita. La recente mossa dell’Ucraina di andarsene dall’UE e il caos successivo finanziato dall’occidente a Kiev, spettacolo il cui fiorire è a sua volta al di fuori della UE. La spesa militare fuori controllo è ugualmente in gran parte un problema statunitense, anche se i fallimenti epocali in Afghanistan, Libia e Siria, nei quali la UE è complice, è probabile che abbiano a loro volta qualche effetto. 

Confrontare l’ex URRS con l’Italia è difficile a causa della differenza di scala: 1/5 della superficie terrestre contro una penisola piuttosto piccola; un’economia che è lentamente decaduta nell’isolamento contro una parte integrante dell’UE; un paese dove la scelta è fra bruciare idrocarburi o morire di freddo contro uno in cui la scelta è fra andare in scooter o prendere l’autobus; un paese con un settore agricolo devastato incapace di produrre sufficienti calorie proteiche contro un paese di buongustai dove i negozi di alimentari costituiscono dei buoni soggetti per dei quadri ad olio. Ma penso che quando si tratta del collasso reale, quando alla fine arriva, ci saranno sempre similitudini identificabili. Il collasso finanziario arriva sempre prima: ogni sorta di accordo finanziario collassa quando il centro diventa incapace di far galleggiare la periferia e in risposta la periferia comincia a rifiutare la cooperazione economica. Il risultato è un crollo delle catene di fornitura, chiusura della produzione e, subito dopo, chiusura del commercio. Nel caso dell’ex URRS, questo si è verificato nel 1989-1991 quando le varie repubbliche e regioni hanno rifiutato di cooperare con Mosca. Sospetto che questo accadrà anche nella UE, a un certo punto. Ma ma penso che tu abbia proprio ragione che mentre il cittadino medio sovietico non poteva essere spennato più di tanto, l’Italia, e gran parte della UE, ha ancora un sacco di pecore grasse che il governo può tosare per continuare a fa funzionare le cose. Così parliamo di qualche altro anno di declino costante prima che le luci si comincino a spegnere. Questa, quindi, è la distinzione chiave: l’ex URRS è collassata subito perché era già pelle e ossa, mentre gli Stati uniti e l’Unione Europea hanno ancora molto grasso sottocutaneo da bruciare. Ma di fatto lo stanno bruciando. E quindi la conclusione è che il collasso arriverà, ma qui ci vorrà un po’ di più.

Dmitry

Ugo ha risposto:

Sono d’accordo con te, naturalmente. Ha perfettamente senso secondo me ed è il punto principale che stavo proponendo: il governo sovietico non poteva tassare troppo i cittadini sovietici perché questi avevano ben poco. 


Il governo italiano invece ha un po’ più di fortuna, nel senso che gli italiani hanno qualche risparmio e gran parte di loro possiede la propria casa. Così, il governo sta progressivamente strangolando i suoi cittadini per spremere da loro tutto quello che hanno – finché hanno ancora qualcosa. 

L’ultimo giro di aumenti delle tasse in Italia ha colpito le case e sta facendo molto, molto male, specie ai poveri. Qui si può essere poveri e avere comunque una casa ereditata dai propri genitori. Ora il governo ti chiede di pagare come se quella casa fosse un reddito! Questo è realmente un male. Le persone che non hanno soldi per pagare questa tassa di proprietà si possono solo indebitare con le banche (o peggio). Alla fine, dovranno vendere le proprie case o darle alle banche (o alla Mafia) – il risultato è un disastro per tutti, banche comprese, e persino per il governo. Ma tutta questa cosa ha una logica perversa. Ha il vantaggio che genera qualche contante immediato, di cui il governo ha disperatamente bisogno, e chi se ne frega del futuro. La prossima fase sarà colpire i conti in banca. Alla fine, quando non resterà più nulla, il governo toglierà le tende e saluterà tutti. Accidenti, in che razza di pianeta sono atterrato…



Ugo

Quindi ecco il profilo per calcolare la tempistica dei collassi:

1. Scoprire quando parte il cronometro del collasso cercando un significativo crollo del consumo di energia

2. Calcolare quanto andrà avanti il cronometro dividendo la ricchezza totale della cittadinanza per il deficit dell’economia in contrazione

Per ogni economia industriale il cronometro del collasso parte quando il consumo di idrocarburi fossili comincia a calare in modo apprezzabile. A volte è difficile dire se questo è già avvenuto, se il paese in questione è ancora un grande produttore di idrocarburi. I numeri della produzione lorda possono ancora mantenersi costante, o anche apparire in leggero aumento, ma una volta sottratta tutta l’energia che viene spesa nella stessa produzione di energia, e nell’inutile mitigazione delle sue conseguenze indesiderate, siamo in grado di vedere un declino più prima che poi. Segnatamente, il rendimento energetico netto, o EROEI, è molto basso per tutte le nuove fonti non convenzionali che sono state strombazzate come la panacea negli ultimi anni, come quelle che richiedono la fratturazione idraulica, le trivellazioni in acqua profonde, le sabbie bituminose e così via. (Le cosiddette “rinnovabili” come eolico, solare e biocombustibili, sono uno scherzo ancora più grande, perché tutte, con l’eccezione degli impianti idroelettrici, hanno un’energia netta che è troppo bassa per sostenere un’economia industriale, in più dipendono da tecnologie che sono “non rinnovabili” a meno che il paese non mantenga una vasta base industriale che è alimentata dai combustibili fossili). Quindi il calo nel consumo dell’energia netta è chiaro per quanto riguarda l’Italia, che produce il 7% del petrolio che consuma e importa il resto, mentre il quadro è in qualche modo meno chiaro per gli Stati Uniti, che riescono ancora a produrre circa un terzo del proprio petrolio.

Visto che tutte le economie industriali sono letteralmente alimentate dai combustibili fossili, un minore consumo di energia si traduce immediatamente in un minore livello di attività economica e ad un’economia in contrazione. Il divario fra le aspettative di crescita economica che vengono composte in tutti gli accordi finanziari e la realtà del declino economico alimentato dalla minore disponibilità di energia, deve essere collegato ai risparmi della popolazione. Ci sono diversi modi per espropriare la ricchezza, che provengono genericamente da diversi tipi di misure di tassazione furtiva, a misure più evidenti, all’espropriazione diretta. Prendendo gli Stati Uniti come esempio (visto che ho più familiarità con loro) l’espropriazione a cascata procede come segue:

1. La politica della Banca Centrale di azzeramento dei tassi di interesse sui risparmi è combinata con una massiccia stampa di denaro. Questo spinge i soldi nei mercati speculativi (azioni, edilizia, ecc.) creando enormi bolle finanziarie; quando queste bolle scoppiano, si dice che i risparmi vengono distrutti, ma in realtà quei soldi sono già stati spesi dal governo o usati per riempire le casse private di coloro che sono strettamente legati al governo.

2. La politica di governo di annullare i pensionamenti o i pensionati a breve. Il governo federale ha lavorato duramente per prendere le sue misure ufficiali di inflazione del tutto senza senso, in modo da giustificare la propria politica di fare gli adattamenti al costo della vita ai pagamenti della sicurezza sociale che sono di gran lunga inferiori degli aumenti reali del costo della vita. Un altro schema di espropriazione federale è attraverso i prestiti garantiti agli studenti, che non possono essere scaricati attraverso la bancarotta e che hanno creato un’intera classe di servi a contratto. A livello locale, i governi dello stato e quelli municipali stanno tagliando o cancellando i programmi di pensionamento in virtù del fallimento.

3. Obblighi di segnalazione sempre più onerosi per le transazioni finanziarie, specialmente per coloro che cercano di lasciare il paese e di portare i propri risparmi all’estero. Tutti i conti bancari esteri ora devono essere segnalati e le persone che lavorano all’estero ora sono costrette a schedare voluminosi rapporti annuali che costano migliaia di dollari da preparare. Coloro che decidono di ripudiare la propria cittadinanza statunitense sono costretti a pagare una grossa tassa di espatrio. Ciononostante, numeri record di cittadini statunitensi hanno fatto proprio questo. Il solo fatto di avere un passaporto statunitense rende spesso impossibile creare conti presso istituzioni finanziarie straniere, che hanno poca voglia di soddisfare le richieste di informativa finanziaria degli Stati Uniti.

Sono queste le misure che ci sono già. Guardando quello che è stato tentato, qui e altrove, possiamo vedere quali altre misure sono in preparazione. Fra queste:

1. I cosiddetti “salvataggi” dove le istituzioni finanziarie insolventi vengono salvate confiscando i fondi dei correntisti. Possiamo aspettarci che la storia  sia simile a quanto avvenuto a Cipro: i correntisti politicamente ben connessi vengono avvertiti in anticipo e prelevano i loro soldi immediatamente; tutti gli altri vengono pelati.

2. Limiti ai prelievi in banca. Potremmo ancora “avere” soldi in banca, ma quello è l’unico posto in cui possiamo “averli”. La semantica del verbo “Avere” può essere molto ingannevole, capite…

3. Tasse sempre in aumento su proprietà che finiscono nella confisca della proprietà. Funziona così: il governo stampa soldi e li passa agli amici; gli amici li usano per far salire il valore della proprietà; le tasse catastali salgono al punto in cui i proprietari non possono pagarle; i proprietari perdono le loro proprietà. E’ sconcertante che il 63% degli acquisti immobiliari in Florida lo scorso dicembre siano stati fatti in contanti.

4. Vari tipi di regolamenti improvvisi, nuovi, super complessi, la cui inosservanza porta a multe molto alte. A sua volta, il non pagamento di queste multe porta alla perdita del patrimonio. Gli Stati Uniti hanno alcune leggi molto curiose, secondo le quali oggetti inanimati come macchine, barche e case possono essere accusate di un crimine, sequestrate e vendute all’asta. Possiamo aspettarci molti più accaparramenti di proprietà in futuro.

5. Confisca dell’oro, che è già avvenuta una volta negli Stati uniti, quindi c’è anche un precedente. So che questo farà incavolare molta gente, ma devo ancora sentire un argomento convincente per la quale il governo statunitense non debba ricorrere alla confisca dell’oro quando questa risulta essere una delle poche carte rimastegli da giocare.

Quest’elenco non è in alcun modo completo. Se pensate che abbia tralasciato qualcosa di importante, per favore aggiungetelo con un commento e valuterò di aggiungerlo. Ora, sarebbe bello se tutte queste misure funzionassero come un orologio, producendo sempre la giusta quantità di confisca di ricchezza per far levitare il governo, e lo schema finanziario sul quale si basa, un po’ più a lungo. Ahimè, come con la maggior parte delle cose, qualcosa è destinato ad andare storto ad un certo punto, molto probabilmente quando meno ce lo aspettiamo. E sembra certo come la morte che qualcosa andrà di fatto storto molto prima che l’ultimo cittadino americano venga privato di tutta la ricchezza accumulata e lasciato alla sua vita pacifica in un fosso lungo la strada, indossando un attraente perizoma ed un elegante impacco di fango come cappello, perfezionando in silenzio una nouvelle cuisine che ha come protagonista le lumache au jus (in brodo) insalata di tarassaco au chaume (alle stoppie). Forse potete immaginarlo, ma io no. Oltre un certo punto, posso solo immaginare notizie di “disordini pubblici” diffusi seguiti da “collasso di ordine e legge”.

Tuttavia, spero che questo contesto ci permetterà di impostare un limite massimo per quanto a lungo un collasso può essere differito in ogni paese specifico. Una volta che il consumo di idrocarburi diminuisce in modo apprezzabile, il cronometro parte. Quindi è possibile stimare quanto a lungo può teoricamente scorrere il cronometro dividendo il patrimonio netto rimanente della popolazione per la dimensione del buco nell’economia creato dal crollo nel consumo di energia.

Ma dopo che le cose si complicano. Alcuni paesi si svuoteranno molto pacificamente e entreranno dolcemente nella notte, mentre altri esploderanno e avanzeranno velocemente lungo la sequenza del collasso finanziario-commerciale-politico. Quindi forse la cosa più utile da sapere è se il cronometro del collasso è già partito per ogni singolo paese perché, se è già partito, diventa un gioco stupido aspettare l’inevitabile conseguenza.

Un approccio ragionevole è quello di avere un altro passaporto e di riposizionarsi silenziosamente in un altro paese. E’ importante che questo paese sia uno per il quale il cronometro del collasso non sia già partito e non partirà ancora per molto. Idealmente questo sarebbe un paese sicuro, politicamente stabile, energeticamente indipendente, militarmente invincibile, sotto-popolato e che non prevede estradizione che sarà fra gli ultimi ad essere gravemente distrutti dal cambiamento climatico e dove potreste pranzare con Edward Snowden. Ma questo approccio non attrae tutti, e lo capisco.

Quindi un altro approccio è di adattarsi a ciò che sta arrivando rimanendo negli Stati uniti, o in qualsiasi altro paese per il quale il cronometro del collasso sia partito, rendendo se stessi e la propri ricchezza, se se ne ha una, illeggibile. Ecco un articolo molto carino di un leccapiedi intelligente di nome Venkatesh Rao sul concetto di illeggibilità. E qui c’è un un testo di base molto carino su come essere una persona illeggibile. Questo tipo di illeggibilità non ha niente a che vedere con lo scrivere a mano; si tratta di essere nascosti in piena vista. Leggetelo per favore come compito a casa, perché avrò molto da dire su questo argomento nel prossimo futuro. E mi piacerebbe vedere una lista di paesi per i quali il cronometro del collasso è già partito, insieme a stime di prim’ordine su quanto potrebbe durare per ciascuno, sulla base del patrimonio netto della popolazione e del deficit economico del paese. Ma siccome questo post ha appena superato le 3000 parole, lascio questo esercizio al lettore.

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Futuro Profondo: l’altro lato del picco del carbonio


Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR

Una recensione del libro di Curt Stager

Di Ugo Bardi

Avevo grandi aspettative per  questo libro, ma sono rimasto deluso. Non che sia un brutto libro, al contrario, è pieno di informazioni interessanti. Tuttavia, mi sono positivamente irritato leggendolo. Ma se qualcosa ti fa arrabbiare ci devono essere delle ragioni e, se si comprendono le ragioni, si ha una possibilità di imparare qualcosa. Così, una cosa che ho imparato da questo libro è una migliore comprensione della difficoltà di mantenere un atteggiamento puramente razionale sul cambiamento climatico, anche per coloro fra noi che sono formati all’approccio scientifico.



Finora, la questione del cambiamento climatico è stata dominata da un atteggiamento che dice – più o meno – che il clima è un grosso problema, certo, ma abbiamo le soluzioni e non succederà niente di terribile, basta che facciamo poche piccole cose come installare finestre a doppi vetri e andare di più in bici al lavoro. Sfortunatamente, ormai è chiaro che non sarà facile. Finora non è stato fatto nulla ed è probabile che nulla si farà prima che sia troppo tardi (sempre che non lo sia già). Quindi, siamo stati presi in una gigantesca tempesta planetaria provocata da noi stessi e ci stiamo tuffando dritti in un futuro in cui il clima gestirà noi, piuttosto che l’opposto. Cosa ci accadrà, quindi?

Un sacco di gente sembra essere convinta che il riscaldamento planetario non sarà poi così male – al contrario, porterà dei vantaggi, dall’idea ingenua di poter risparmiare sul riscaldamento di casa a quella che un oceano Artico senza ghiaccio sarà un a cuccagna per trivellare petrolio. Sul breve termine, entrambe queste aspettative potrebbero risultare soddisfatte – in parte. Ma quale sarà il destino dell’umanità dopo il grande impulso di carbonio? Non molti testi affrontano questo argomento. Uno è il libro di Curt Stager “Futuro Profondo” (Deep Future, 2011), che esamina il futuro fino a 100.000 anni da adesso. Un tentativo ardito di affrontare con un tema affascinante, purtroppo non completamente riuscito.

Un problema di questo libro è l’insistenza di Stager nel sostenere che i cambiamenti futuri saranno dolci e graduali, dando alla gente un sacco di tempo per adattarsi. Questo atteggiamento porta Stager ad alcune dichiarazioni che lasciano perplessi, come “… l’aumento dei livelli del mare saranno più una costosa seccatura che una catastrofe” (p. 132). Capisco che questa frase è stata scritta prima degli uragani Sandy e Haiyan, ma questo non la rende meno fastidiosa. Poi, riguardo al caldo estremo nelle regioni tropicali, Stager sembra pensare di poter dimostrare quanto sia facile adattarsi dichiarando (p. 186) “Non dimenticherò mai di essere rimasto a bocca aperta per lo stupore mentre colonne di muscolosi soldati francesi della Legione Straniera si urtavano e manovravano fra i miraggi ondeggianti di Gibuti, una sacca di depressioni e creste di lava come una fornace…” Coloro fra di noi che non sono dei “muscolosi legionari” potrebbero trovare questo leggermente indisponente, per non dire offensivo.

Di tanto in tanto, l’insistenza di Stager sui cambiamenti lenti e graduali condiziona negativamente anche il contenuto scientifico del libro. Per esempio, non ci troverete una parola sull’anossia dell’oceano – una delle conseguenze a lungo termine più pericolose del cambiamento climatico. E’ un’omissione curiosa, perché Stager ci racconta (p. 45) che lui stesso ha navigato le acqua del lago Nyos, in Camerun, solo un anno prima che una gigantesca eruzione di CO2 emessa dal lago uccidesse quasi 2000 persone. Il lago Nyos è anossico, proprio come si ritiene siano stati gli oceani durante le fasi climatiche che hanno portato alle estinzioni di massa. Ma queste eruzioni killer di gas passate non vengono mai menzionate nel libro, probabilmente perché sono in contrasto con la tesi di Stager che i cambiamenti sono sempre lenti e graduali.

L’atteggiamento di Stager si palesa anche dai suoi punti di vista su ciò che gli scienziati del clima dovrebbero dire sul cambiamento climatico. E’ chiaro che vede l’atteggiamento di molti dei suoi colleghi come eccessivamente catastrofista. Per esempio, a pagina 240 dice “So anche che almeno una figura ben nota della comunità climatica ha di proposito esagerato i pericoli del riscaldamento globale nelle presentazioni pubbliche, perché me lo ha detto a una conferenza. La sua giustificazione è stata questa: ‘Se la gente non è spaventata, non presta attenzione’” Ora, questa dichiarazione è profondamente ingiusta – se non offensiva – rispetto alla comunità scientifica. Se Stager vuole accusare gli scienziati di “esagerare di proposito” i pericoli del riscaldamento globale (e lo fa diverse volte nel libro) deve fornire dati ed esempi. Limitarsi a citare una fonte anonima e non verificabile non è il modo di farlo. (Notate, per inciso, che nelle migliaia di messaggi rubati della controversia del “climategate”, la truppa anti-scienza non è riuscita a trovare una singola frase che indicasse che gli scienziati stessero esagerando alcunché di proposito).

Quindi, un libro interessante, guastato da un atteggiamento che porta spesso l’autore fuori strada nel suo tentativo di minimizzare i pericoli che abbiamo di fronte. Ma merita di essere letto per la sua ampia perlustrazione di un futuro remoto al quale la maggior parte di noi non si ferma mai a pensare. Ci sarà vita dopo il grande impulso di carbonio? La risposta di Stager forse è troppo ottimistica, ma è una possibilità concreta. L’umanità, intesa come specie, potrebbe sopravvivere al cambiamento, anche se la perdita di vite umane potrebbe essere enorme.

Ma la cosa interessante del libro è che evidenzia che ognuno di noi è prevenuto quando guarda ai risultati finali del cambiamento climatico. Di fronte alla catastrofe imminente, alcuni di noi tendono a negarla (li chiamiamo “negazionisti”). Altri, come Stager, non negano il cambiamento, ma cercano di fare del loro meglio per minimizzarlo. E molti di noi reagiscono con un frenetico attivismo climatico mentre, allo stesso tempo, cerchiamo di non guardare il vero volto del disastro imminente. Tuttavia, il grande picco del carbonio è in atto e siamo diretti verso una Terra così diversa che la possiamo considerare un altro pianeta. Prima di atterrarci, possiamo cercare di capire cosa ci troveremo. 



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Futuro Profondo: l’altro lato del picco del carbonio


Da “The frog that jumped out”. Traduzione di MR

Una recensione del libro di Curt Stager

Di Ugo Bardi

Avevo grandi aspettative per  questo libro, ma sono rimasto deluso. Non che sia un brutto libro, al contrario, è pieno di informazioni interessanti. Tuttavia, mi sono positivamente irritato leggendolo. Ma se qualcosa ti fa arrabbiare ci devono essere delle ragioni e, se si comprendono le ragioni, si ha una possibilità di imparare qualcosa. Così, una cosa che ho imparato da questo libro è una migliore comprensione della difficoltà di mantenere un atteggiamento puramente razionale sul cambiamento climatico, anche per coloro fra noi che sono formati all’approccio scientifico.



Finora, la questione del cambiamento climatico è stata dominata da un atteggiamento che dice – più o meno – che il clima è un grosso problema, certo, ma abbiamo le soluzioni e non succederà niente di terribile, basta che facciamo poche piccole cose come installare finestre a doppi vetri e andare di più in bici al lavoro. Sfortunatamente, ormai è chiaro che non sarà facile. Finora non è stato fatto nulla ed è probabile che nulla si farà prima che sia troppo tardi (sempre che non lo sia già). Quindi, siamo stati presi in una gigantesca tempesta planetaria provocata da noi stessi e ci stiamo tuffando dritti in un futuro in cui il clima gestirà noi, piuttosto che l’opposto. Cosa ci accadrà, quindi?

Un sacco di gente sembra essere convinta che il riscaldamento planetario non sarà poi così male – al contrario, porterà dei vantaggi, dall’idea ingenua di poter risparmiare sul riscaldamento di casa a quella che un oceano Artico senza ghiaccio sarà un a cuccagna per trivellare petrolio. Sul breve termine, entrambe queste aspettative potrebbero risultare soddisfatte – in parte. Ma quale sarà il destino dell’umanità dopo il grande impulso di carbonio? Non molti testi affrontano questo argomento. Uno è il libro di Curt Stager “Futuro Profondo” (Deep Future, 2011), che esamina il futuro fino a 100.000 anni da adesso. Un tentativo ardito di affrontare con un tema affascinante, purtroppo non completamente riuscito.

Un problema di questo libro è l’insistenza di Stager nel sostenere che i cambiamenti futuri saranno dolci e graduali, dando alla gente un sacco di tempo per adattarsi. Questo atteggiamento porta Stager ad alcune dichiarazioni che lasciano perplessi, come “… l’aumento dei livelli del mare saranno più una costosa seccatura che una catastrofe” (p. 132). Capisco che questa frase è stata scritta prima degli uragani Sandy e Haiyan, ma questo non la rende meno fastidiosa. Poi, riguardo al caldo estremo nelle regioni tropicali, Stager sembra pensare di poter dimostrare quanto sia facile adattarsi dichiarando (p. 186) “Non dimenticherò mai di essere rimasto a bocca aperta per lo stupore mentre colonne di muscolosi soldati francesi della Legione Straniera si urtavano e manovravano fra i miraggi ondeggianti di Gibuti, una sacca di depressioni e creste di lava come una fornace…” Coloro fra di noi che non sono dei “muscolosi legionari” potrebbero trovare questo leggermente indisponente, per non dire offensivo.

Di tanto in tanto, l’insistenza di Stager sui cambiamenti lenti e graduali condiziona negativamente anche il contenuto scientifico del libro. Per esempio, non ci troverete una parola sull’anossia dell’oceano – una delle conseguenze a lungo termine più pericolose del cambiamento climatico. E’ un’omissione curiosa, perché Stager ci racconta (p. 45) che lui stesso ha navigato le acqua del lago Nyos, in Camerun, solo un anno prima che una gigantesca eruzione di CO2 emessa dal lago uccidesse quasi 2000 persone. Il lago Nyos è anossico, proprio come si ritiene siano stati gli oceani durante le fasi climatiche che hanno portato alle estinzioni di massa. Ma queste eruzioni killer di gas passate non vengono mai menzionate nel libro, probabilmente perché sono in contrasto con la tesi di Stager che i cambiamenti sono sempre lenti e graduali.

L’atteggiamento di Stager si palesa anche dai suoi punti di vista su ciò che gli scienziati del clima dovrebbero dire sul cambiamento climatico. E’ chiaro che vede l’atteggiamento di molti dei suoi colleghi come eccessivamente catastrofista. Per esempio, a pagina 240 dice “So anche che almeno una figura ben nota della comunità climatica ha di proposito esagerato i pericoli del riscaldamento globale nelle presentazioni pubbliche, perché me lo ha detto a una conferenza. La sua giustificazione è stata questa: ‘Se la gente non è spaventata, non presta attenzione’” Ora, questa dichiarazione è profondamente ingiusta – se non offensiva – rispetto alla comunità scientifica. Se Stager vuole accusare gli scienziati di “esagerare di proposito” i pericoli del riscaldamento globale (e lo fa diverse volte nel libro) deve fornire dati ed esempi. Limitarsi a citare una fonte anonima e non verificabile non è il modo di farlo. (Notate, per inciso, che nelle migliaia di messaggi rubati della controversia del “climategate”, la truppa anti-scienza non è riuscita a trovare una singola frase che indicasse che gli scienziati stessero esagerando alcunché di proposito).

Quindi, un libro interessante, guastato da un atteggiamento che porta spesso l’autore fuori strada nel suo tentativo di minimizzare i pericoli che abbiamo di fronte. Ma merita di essere letto per la sua ampia perlustrazione di un futuro remoto al quale la maggior parte di noi non si ferma mai a pensare. Ci sarà vita dopo il grande impulso di carbonio? La risposta di Stager forse è troppo ottimistica, ma è una possibilità concreta. L’umanità, intesa come specie, potrebbe sopravvivere al cambiamento, anche se la perdita di vite umane potrebbe essere enorme.

Ma la cosa interessante del libro è che evidenzia che ognuno di noi è prevenuto quando guarda ai risultati finali del cambiamento climatico. Di fronte alla catastrofe imminente, alcuni di noi tendono a negarla (li chiamiamo “negazionisti”). Altri, come Stager, non negano il cambiamento, ma cercano di fare del loro meglio per minimizzarlo. E molti di noi reagiscono con un frenetico attivismo climatico mentre, allo stesso tempo, cerchiamo di non guardare il vero volto del disastro imminente. Tuttavia, il grande picco del carbonio è in atto e siamo diretti verso una Terra così diversa che la possiamo considerare un altro pianeta. Prima di atterrarci, possiamo cercare di capire cosa ci troveremo. 



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Dahr Jamail – Il segnapunti del cambiamento climatico

Da “Tomdispatch”. Traduzione di MR

 Da quando un’arma nucleare e’ stata lanciata su Hiroshima, abbiamo vissuto con visioni di catastrofe globale, fine dei tempi apocalittica e estinzione che una volta era appannaggio soltanto della religione. Dal 6 agosto 1945 ci è stato possibile immaginare come gli esseri umani, non Dio, potrebbero metter fine alle nostre vite su questo pianeta. Concettualmente parlando, questo potrebbe essere il più impressionante singolo sviluppo della nostra era e, ad oggi, rimane terrificante e difficile da accettare. Ciononostante, le possibilità di apocalisse che si celano nel nostro sviluppo scientifico-militare ha agitato la cultura popolare nei decenni ad un’orgia di possibilità per la fine del mondo.

Nei decenni più recenti, una seconda possibilità per la fine del mondo (o almeno la fine del mondo come lo conosciamo) si è insinuata nella coscienza umana. Fino a relativamente poco tempo fa, il nostro bruciare combustibili fossili e sputare biossido di carbonio nell’atmosfera rappresentava un approccio così al rallentatore per rappresentare la fine dei tempi che non abbiamo neanche notato cosa stesse accadendo. Solo negli anni 70 l’idea del riscaldamento globale o cambiamento climatico ha iniziato a penetrare nella comunità scientifica, mentre negli anni 90 è arrivata nel resto del mondo e lentamente anche nella cultura popolare.

Eppure, nonostante le distruzioni meteorologiche sempre più forti – ciò che i notiziari ora amano chiamare “eventi meteo estremi”, compresi tifoni, uragani e tempeste invernali, incendi, ondate di calore, siccità e record della temperatura globale – il disastro sembrava ancora abbastanza lontano. Nonostante le notizie martellanti sugli allarmanti cambiamenti ambientali – massicce fusioni di ghiaccio nelle acqua dell’Artico, ghiacciai che si ritirano in tutto il mondo, la calotta glaciale della Groenlandia che comincia a fondersi, così come l’aumento dell’acidificazione delle acque oceaniche – niente di tutto questo, nemmeno la super tempesta Sandy che si abbatte sull’iconica capitale globale, New York, allagando parte del suo sistema di metropolitane, ha fatto breccia come 11 settembre climatico. Non negli Stati Uniti comunque.

Siamo passati, cioè, da nessun movimento al movimento lento e poi a una specie di negazione del movimento. Eppure nella comunità scientifica, dove le persone continuano a studiare gli effetti del riscaldamento globale, il tono sta cambiando. Sta diventando, si potrebbe dire, più apocalittico. Solo nelle ultime settimane un rapporto dell’Accademia Nazionale degli Scienziati ha suggerito che “cambiamenti improvvisi difficili da prevedere” nell’ambiente dovuti agli effetti del cambiamento climatico potrebbero portare il pianeta ad un “punto di non ritorno”. Oltre a questo, “[potrebbero] avvenire cambiamenti grandi e rapidi” – e questi potrebbero essere devastanti, compreso quel “jolly”, l’improvvisa fusione di parti della vasta calotta glaciale dell’Antartide, portando i livelli del mare molto più in alto.

Allo stesso tempo, il famoso scienziato del clima James Hansen e 17 colleghi hanno pubblicato un rapporto che fa accapponare la pelle sulla rivista PloS. Suggeriscono che l’obbiettivo accettato di mantenere l’aumento di temperatura a 2°C è un incarico da sciocchi. Se le temperature globali si avvicinano a quei valori – l’aumento finora è stato di meno di 1°C da quando è iniziata la rivoluzione industriale – sarà già tardi, dichiarano, per evitare conseguenze disastrose.

Considerate questa come la “temperatura” di fondo per l’ultimo pezzo di Dahr Jamail per TomDispatch, un’esplorazione di ciò che gli scienziati del clima appena oltre il mainstream pensano su come il cambiamento climatico colpirà la vita su questo pianeta. Qual è, in altre parole, la cosa peggiore che probabilmente potremmo affrontare nei decenni a venire? La risposta: uno scenario da incubo. Quindi allacciate le vostre cinture di sicurezza. Ci aspetta un viaggio tumultuoso. Tom

Stiamo cadendo nel precipizio climatico? Gli scienziati prendono in considerazione l’estinzione.

Di Dahr Jamail

Sono cresciuto programmando il mio futuro, chiedendomi in quale college sarei andato, cosa studiare e poi dove lavorare, quali articoli scrivere, quale sarebbe stato il mio prossimo libro, come pagare un mutuo e quale prossimo viaggio alpinistico mi sarebbe piaciuto fare.

Ora, mi interrogo sul futuro del nostro pianeta. Durante una recente visita ai miei nipoti di 8, 10 e 12 anni, mi sono trattenuto dal chiedere loro cosa volevano  fare da grandi, o qualsiasi altra domanda orientata al futuro che ero solito porre a me stesso. Ho fatto così perché la realtà della loro generazione potrebbe essere che domande come dove lavoreranno potrebbero essere sostituite da: dove prenderanno l’acqua potabile? Quale cibo sarà disponibile? E quali parti del loro paese e del resto del mondo saranno ancora abitabili?

La ragione, naturalmente, è il cambiamento climatico – e quanto brutta possa essere mi e’ venuto a dimostrarlo a casa nel 2010. Stavo salendo sul monte Raineir, nello Stato di Washington, prendendo lo stesso sentiero che avevo usato per la mia scalata del 1994. Anziché sentire le punte di metallo dei ramponi attaccati ai miei scarponi scricchiolare sul ghiaccio di un ghiacciaio, mi rendevo conto che, a grandi altitudini, stavano ancora grattando contro la nuda roccia vulcanica. Poco prima dell’alba, i m miei passi facevano scintille.

Il sentiero era cambiato in modo sufficientemente drammatico da stordirmi. Ho fatto una pausa ad un certo punto per guardare giù alle ripide scogliere presso un ghiacciaio illuminate dal chiaro di luna 100 metri al di sotto. Mi è mancato il respiro quando mi sono reso conto che stavo guardando quello che era rimasto di un enorme ghiacciaio che avevo scalato nel 1994, quello che – proprio a questo punto – aveva fatto sì che i ramponi scricchiolassero sul ghiaccio. Mi sono fermato sulle mie tracce, respirando l’aria rarefatta di quelle altitudini, mentre la mia mente lavorava duramente per cogliere il dramma indotto dal cambiamento climatico che si era dispiegato da quando ero stato l’ultima volta in quel luogo.

Non sono tornato al monte Rainier solo per vedere quanto è ulteriormente retrocesso il ghiacciaio negli ultimi anni, ma di recente ho intrapreso una ricerca per scoprire quanto la situazione potrebbe essere brutta. Ho scoperto una serie di scienziati del tutto seri – non la maggioranza degli scienziati del clima, ad ogni modo, ma degli anomali riflessivi – che suggeriscono che la situazione non è solo molto, molto brutta; è catastrofica. Alcuni di loro pensano persino che, se i rilasci di biossido di carbonio in corso nell’atmosfera, grazie alla combustione di combustibili fossili, vengono aiutati e spalleggiati da enormi rilasci di metano, un gas serra ancora più potente, la vita come noi esseri umani l’abbiamo conosciuta potrebbe giungere ad una fine su questo pianeta. Sono spaventati dal fatto che potremmo trovarci rapidamente– o aver superato – ad un precipizio del cambiamento climatico da pelle d’oca.

Pensate che la tipologia di scienziati climatici più prudente, rappresentata dal prestigioso IPCC, disegnano scenari che sono solo leggermente meno da pelle d’oca. Ma passiamo un po’ di tempo, come ho fatto io, con coloro che potremmo definire scienziati ai margini e ad ascoltare cosa hanno da dire.

“Non ci siamo mai trovati in questa situazione come specie”

“Noi come specie non abbiamo mai provato 400 parti per milione di biossido di carbonio nell’atmosfera” mi ha detto Guy McPherson, professore emerito di biologia evolutiva, risorse naturali ed ecologia all’Università dell’Arizona ed esperto di cambiamento climatico da 25 anni. “Non siamo mai stati su un pianeta senza ghiaccio artico e raggiungeremo le 400 ppm… nei prossimi 2 anni. In quel momento ci sarà anche la perdita del ghiaccio artico in estate… Questo pianeta non ha mai avuto un Artico senza ghiaccio per almeno gli ultimi 3 milioni di anni”.

Per i non iniziati, nei termini più semplici, ecco cosa significherebbe un Artico senza ghiaccio quando si tratta di riscaldamento del pianeta: minore copertura di ghiaccio riflettente sulle acqua dell’Artico, la radiazione solare verrebbe assorbita, non riflessa, dall’Oceano Artico. Ciò riscalderebbe quelle acque, e quindi il pianeta, ulteriormente. Questo effetto ha il potenziale per cambiare gli schemi meteorologici globali, variare il flusso dei venti e probabilmente un giorno anche di alterare la posizione della corrente a getto (jet stream). La corrente a getto polare sono fiumi di vento che fluiscono velocemente a grandi altitudini nell’atmosfera terrestre che muovono le masse di aria calda e fredda, giocando un ruolo cruciale nel determinare il meteo del nostro pianeta.

McPherson, che cura il blog “Nature Bats Last”, ha aggiunto “Non ci siamo mai trovati in questa situazione come specie e le implicazioni sono davvero spaventose e profonde per la nostra specie e il resto del pianeta vivente”.

Mentre la sua prospettiva è più estrema di quella della comunità scientifica mainstream, che vede il disastro vero di molti decenni nel futuro, McPherson è ben lontano dall’essere l’unico scienziato che esprime tali preoccupazioni. Il professor Peter Wadhams, un importante esperto dell’Artico all’Università di Cambridge, ha misurato il ghiaccio artico per 40 anni e le sue scoperte sottolineano le paure di McPherson. “il crollo del volume del ghiaccio è così rapido che ci porterà allo zero molto rapidamente”, ha detto Wadhams ad un giornalista. Secondo i dati attuali, Wadhams stima “col 95% di certezza” che l’Artico sarà completamente libero da ghiaccio in estate dal 2018. (I ricercatori della Marina statunitense hanno previsto un Artico libero dal ghiaccio persino prima, nel 2016).

Lo scienziato britannico John Nissen, presidente del Gruppo di Emergenza per il Metano Artico – Arctic Methane Emergency Group – (di cui Wadhams è membro), suggerisce che se la perdita di ghiaccio estivo marino supera “il punto di non ritorno” e entrano in gioco “le retroazioni catastrofiche del metano artico”, ci troveremo in una “emergenza planetaria istantanea”.

McPherson, Wadham e Nissen rappresentano solo la punta di un iceberg di scienziati che ci stanno mettendo in guardia sul disastro che incombe, in particolar modo per quanto riguarda i rilasci di metano artico. In atmosfera, il metano è un gas che, su scala temporale relativamente a breve termine, è di gran lunga più distruttivo del CO2. E 23 volte più potente rispetto al CO2 per molecola su una scala temporale di 100 anni, 105 volte più potente quando si tratta del riscaldamento del pianeta su una scala temporale di 20 anni – e il Permafrost artico, sulla terraferma o in mare, è pieno di questa roba. “Il letto del mare”, dice Wadham, “è permafrost marino, ma ora si  sta scaldando e fondendo. Ora stiamo osservando grandi pennacchi di metano che gorgogliano nel Mar Siberiano… milioni di miglia quadrate dove la copertura di metano viene rilasciata”.

Secondo uno studio appena pubblicato su Nature Geoscience, dalla Banchisa Artica della Siberia Orientale viene rilasciato il doppio del metano di quanto precedentemente pensato, un’area di 2 milioni di chilometri quadrati al largo della Siberia Settentrionale. I suoi ricercatori hanno scoperto che almeno 17 teragrammi (un milione di tonnellate) di metano viene rilasciato ogni anno nell’atmosfera, mentre uno studio del 2010 aveva trovato solo 7 teragrammi diretti in atmosfera.

Il giorno dopo che Nature Geoscience ha pubblicato il suo studio, un gruppo di scienziati di Harvard ed altre eminenti istituzioni accademiche hanno pubblicato un rapporto negli Atti della Accademia Nazionale delle Scienze che mostra che la quantità di metano emesso negli Stati Uniti da parte di operazioni petrolifere ed agricole potrebbe essere del 50% maggiore di quanto stimato precedentemente e 1,5 volte più alta di quanto stimato dalla EPA (Environmental Protection Agency).

Quant’è grave l’accumulo potenziale di metano? Non tutti gli scienziati pensano che sia una minaccia immediata o che sia la minaccia più importante che affrontiamo, ma Ira Leifer, uno scienziato dell’atmosfera e del mare all’Università della California a Santa Barbara ed uno degli autori del recente studio sul metano artico mi ha sottolineato il fatto che “l’estinzione di massa del Permiano avvenuta 250 milioni di anni fa è collegata al metano e si pensa che sia la chiave di ciò che ha causato l’estinzione di gran parte delle specie sul pianeta”. In quell’episodio estintivo, viene stimato che il 95% di tutte le specie sono state spazzate via.

Conosciuta anche come “La Grande Moria”, è stata innescata da un massiccio flusso di lava in un’area della Siberia che ha portato ad un aumento delle temperature globali di 6°C. Questo, a sua volta, ha causato la fusione dei depositi di metano congelato sotto i mari. Rilasciato in atmosfera, il metano ha causato un’ulteriore impennata delle temperature. Tutto questo è avvenuto in un periodo di circa 80.000 anni.

Attualmente ci troviamo in mezzo a quello che gli scienziati considerano la sesta estinzione di massa nella storia del pianeta, dove fra le 150 e le 200 specie si estinguono ogni giorno, un ritmo 1.000 volte superiore del tasso di estinzione “naturale” o di “fondo”. Questo evento potrebbe già essere paragonabile, o persino superare, alla velocità e all’intensità dell’estinzione di massa del Permiano. La differenza è che la nostra è causata dagli esseri umani, non impiegherà 80.000 anni, è durata finora solo qualche secolo ed ora sta prendendo velocità in modo non lineare.

E’ possibile che, al di là delle vaste quantità di biossido di carbonio da combustibili fossili che continuano ad entrare nell’atmosfera in quantità record annualmente, un aumentato rilascio di metano potrebbe segnalare l’inizio del tipo di processo che ha portato alla Grande Moria. Alcuni scienziati temono che la situazione sia già così grave e che ci siano così tanti anelli di retroazione positivi in gioco da pensare che siamo già nel processo di causare la nostra stessa estinzione. Peggio ancora, alcuni sono convinti che potrebbe accadere di gran lunga più rapidamente di quanto si creda generalmente possibile – persino nel corso dei prossimi decenni.

Il gigante addormentato si scuote

Secondo un rapporto di ricerca della NASA, “C’è un gigante climatico che si agita nell’Artico? “Per centinaia di millenni, i suoli del permafrost artico hanno accumulato enormi riserve di carbonio organico – una stima di 1.400-1.850 petagrammi (un petagrammo è 2,2 trilioni di once o un miliardo di tonnellate). E’ circa la metà di tutto il carbonio organico immagazzinato nei suoli terrestri. In confronto, da tutta la combustione di combustibili fossili e dalle attività umane dal 1850, sono stati emessi circa 350 petagrammi. Gran parte di questo carbonio situato nel suolo superficiale vulnerabile allo scongelamento, entro i 10 piedi (3 metri) dalla superficie”.

Gli scienziati della NASA, insieme ad altri, stanno imparando che il permafrost artico – e la sua riserva di carbonio – potrebbero non essere così permanentemente ghiacciati come farebbe presumere il nome. Lo scienziato ricercatore del Jet Propulsion Laboratory della Nasa Charles Miller è il ricercatore principale del Carbon in Arctic Reservoirs Vulnerability Experiment  (CARVE) – Esperimento sulla Vulnerabilità del Carbonio nelle Riserve dell’Artico – , una campagna di 5 anni condotta dalla NASA per studiare come il cambiamento climatico condiziona il ciclo del carbonio dell’Artico. Miller ha detto alla NASA che “i suoli del permafrost si stanno scaldando anche più rapidamente delle temperature dell’aria artica – da 2,7 a 4.5°F (da 1,5 a 2,5°C) nei solo 30 anni passati. Quando il calore dalla superficie della Terra penetra nel permafrost, minaccia di mobilitare queste riserve di carbonio organico e di rilasciarle nell’atmosfera sotto forma di biossido di carbonio e metano, sconvolgendo l’equilibro del carbonio dell’Artico e peggiorando grandemente il riscaldamento globale”.

Miller teme che i risultati potenziali sarebbe che abbia luogo una fusione su scala globale del permafrost. Come sottolinea, “i cambiamenti potrebbero innescare delle trasformazioni che sono semplicemente non reversibili entro le nostre vite, che causano potenzialmente cambiamenti rapidi nel sistema terrestre e che richiederanno adattamenti da parte delle persone e degli ecosistemi”.

Il recente studio della NASA evidenzia la scoperta di sfiati attivi e crescenti di metano fino a 150 chilometri di diametro. Uno scienziato su una nave di ricerca nell’area ha descritto ciò come un gorgoglio a perdita d’occhio in cui il mare sembra come una grande piscina di seltzer. Fra le estati del 2010 e del 2011, infatti, gli scienziati hanno scoperto che nel corso di un anno gli sfiati di metano di soli 30 centimetri di diametro sono diventati larghi chilometri, un aumento del 3.333% ed un esempio della rapidità non lineare con la quale parti del pianeta stanno rispondendo alla distruzione climatica.

Miller ha rivelato un’altra allarmante scoperta: “Alcune delle concentrazioni di metano e biossido di carbonio che abbiamo misurato sono state grandi e stiamo vedendo schemi molto diversi da quelli suggeriti dai modelli”, ha detto di alcune delle scoperte più recenti di CARVE. “Abbiamo visto grandi esplosioni e su larga scala di biossido di carbonio e metano al di sopra della norma nell’Alaska interna e lungo La Pendice Nord durante lo scongelamento primaverile che sono durate fino a poco dopo il ricongelamento autunnale. Per citare un altro esempio, nel luglio 2012 abbiamo visto i livelli di metano al di sopra delle paludi di Innoko Wilderness che erano di 650 parti per miliardo più alte dei normali livelli di fondo. Sono simili a quelli che potete trovare in una grande città”.

Spostandosi al di sotto dell’Oceano Artico dove si trovano gli idrati di metano – spesso descritti come gas metano circondato da ghiaccio – un rapporto del marzo del 2010 su Science indicava che questi contengono cumulativamente l’equivalente di 1.000-10.000 gigatonnellate di carbonio, in confronto alle 240 gigatonnellate di carbonio emesse dall’umanità nell’atmosfera da quando è iniziata la rivoluzione industriale.

Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature lo scorso luglio, suggeriva che un “rutto” di 50 gigatonnellate di metano dallo scongelamento del permafrost artico al di sotto del mare orientale della Siberia è “altamente possibile in qualsiasi momento”. Sarebbe l’equivalente di almeno 1.000 gigatonnellate di biossido di carbonio.

Anche il relativamente compassato IPCC ha avvertito della possibilità di tale scenario: “La possibilità del cambiamento climatico improvviso e(o di cambiamenti improvvisi nel sistema terrestre innescati dal cambiamento climatico, con conseguenze potenzialmente catastrofiche, non può essere esclusa. Le retroazioni positive del riscaldamento potrebbero causare il rilascio di carbonio o metano dalla biosfera terrestre e dagli oceani”.

Negli ultimi due secoli, la quantità di metano nell’atmosfera è aumentata da 0,7 parti per milione a 1,7 parti per milione. L’introduzione del metano in tali quantità nell’atmosfera potrebbe, temono alcuni scienziati, rendere inevitabile un aumento della temperatura globale da 4 a 6°C.
La capacità della psiche umana di accettare e cogliere una tale informazione è stata messa alla prova. E mentre questo sta accadendo, sempre più dati continuano a pervenire – e le notizie non sono buone.

Dalla padella alla brace

Considerate questa linea temporale:

* Fine 2007: l’IPCC annuncia che il pianeta un aumento di temperatura di 1°C dovuto al cambiamento climatico per il 2100.

* Fine 2008: il Centro Hadely per la Ricerca Meteorologica  prevede un aumento di 2°C per il 2100.

* Metà 2009: il Programma Ambientale dell’ONU prevede un aumento di 3,5°C per il 2100. Tale aumento rimuoverebbe l’habitat per gli esseri umani su questo pianeta, in quanto quasi tutto il plancton negli oceani verrebbe distrutto e le fluttuazioni delle temperature associate ucciderebbero molte piante terrestri. Gli esseri umani non sono mai vissuti su un pianeta con 3,5°C in più come riferimento di base.

* Ottobre 2009: October 2009: il Centro Hadely per la Ricerca Meteorologica pubblica una previsione aggiornata, suggerendo un aumento di temperatura di 4°C per il 2060.

* Novembre 2009: il Global Carbon Project, che monitorizza il ciclo globale del carbonio e la Diagnosi di Copenhagen, un rapporto sulla scienza climatica, prevedono rispettivamente aumenti di temperatura di 6 e 7°C per il 2100.

* Dicembre 2010: il Programma Ambientale dell’ONU prevede un aumento fino a 5°C per il 2050.

* 2012: il prudente rapporto della IEA World Energy Outlook di quell’anno dichiara che siamo sulla strada per raggiungere un aumento di 2°C per il 2017.

* Novembre 2013: la IEA  prevede un aumento di 3,5°C per il 2035

Un briefing fornito alla fallita Conferenza delle Parti a Copenhagen nel 2009 aveva questo sommario: “Il livello del mare a lungo termine che corrisponde all’attuale concentrazione di CO2 è di circa 23 metri al di sopra dei livelli odierni e le temperature saranno di 6°C ed oltre più alte. Queste stime sono basate su registrazioni reali a lungo termine, non su modelli”.

Il 3 dicembre, uno studio di 18 eminenti scienziati, compreso l’ex capo dell’Istituto Goddard per gli Studi Spaziali della NASA, James Hansen, ha mostrato che l’obbiettivo di lunga data concordato a livello internazionale per limitare gli aumenti delle temperature globali a 2°C era sbagliato e di gran lunga al di sopra di 1°C che dovrebbe essere mantenuto per evitare gli effetti di un cambiamento climatico catastrofico.

E tenente a mente che le varie grandi valutazioni delle temperature globali future di rado presumono il peggio sui possibili anelli di retroazione auto rinforzanti come quello del metano.

“Le cose sembrano davvero terribili”

La mortalità collegata al cambiamento climatico è già stimata in 5 milioni di persone all’anno e il processo sembra che stia accelerando più rapidamente di quanto gran parte dei modelli climatici abbiano suggerito. Anche senza tenere in considerazione il rilascio del metano ghiacciato nell’Artico, alcuni scienziati stanno già dipingendo un quadro davvero cupo per il futuro dell’umanità. Prendete il biologo del Servizio Antincendio Canadese Neil Dawe, che ad agosto ha detto a un giornalista che non sarebbe sorpreso se la generazione dopo la sua fosse testimone dell’estinzione dell’umanità. Tutt’intorno all’estuario vicino al suo ufficio sull’isola di Vancouver, Dawe è stato testimone del disfacimento della “rete della vita” e “sta avvenendo molto rapidamente”.

“La crescita economica è la più grnde distruttrice dell’ecologia”, dice Dawe. “Coloro che pensano di poter avere un’economia in crescita ed una mbiente sano si sbagliano. Se non riduciamo i nostri numeri, la natura lo farà per noi”. E non ha molte speranze che gli esseri umani saranno in grado di salvarsi. “Tutto è peggiorato e noi continuiamo a fare ancora le stesse cose. Siccome gli ecosistemi sono così resilienti, non esigono una punizione immediata della stupidità”.

Guy McPherson dell’Università dell’Arizona ha timori analoghi. “Ci saranno molto pochi esseri umani sul pianeta a causa della mancanza di habitat”, dice. Degli studi recenti che mostrano il tributo di aumenti della temperatura che avranno luogo su quell’habitat, aggiunge: “Tengono conto solo del CO2 in atmosfera”.

Ecco la domanda: potrebbe o no una qualche versione di estinzione o di quasi estinzione sopraffare l’umanità, grazie al cambiamento climatico e probabilmente con incredibile velocità? Cose del genere sono accadute in passato. 55 milioni di anni fa, un aumento di 5°C nelle temperature globali medie sembra sia avvenuta in soli 13 anni, secondo uno studio pubblicato nel numero di ottobre 2013 degli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze. Un rapporto nel numero di agosto di Science ha rivelato che il clima della terra a breve termine cambierà 10 volte più rapidamente che in qualsiasi altro momento negli ultimi 65 milioni di anni.

“L’Artico si sta scaldando più rapidamente di qualsiasi altro posto nel pianeta”, ha detto lo scienziato climatico James Hansen. “Ci sono effetti potenziali irreversibili nella fusione del ghiaccio marino dell’Artico. Se ciò cominciasse a favorire il riscaldamento dell’Oceano Artico e scaldasse il fondo dell’oceano, allora cominceremo a rilasciare gli idrati di metano. E se lasciamo accadere questo, sarebbe un potenziale punto di non ritorno che non vogliamo che avvenga. Se bruciamo tutti i combustibili fossili allora di sicuro causeremo, alla fine, la fuoriuscita degli idrati di metano, causando diversi gradi di riscaldamento in più. Non è chiaro se la civiltà possa sopravvivere un tale cambiamento climatico estremo”.

Tuttavia, molto prima che l’umanità abbia bruciato tutte le riserve di combustibili fossili sul pianeta, saranno state rilasciate quantità enormi di metano. Mentre il corpo umano è potenzialmente in grado di gestire un aumento da 6 a 9°C della temperatura planetaria, le colture e l’habitat che usiamo per la produzione di cibo non lo sono. Come dice McPherson, “Se avremo un aumento di 3,5-4°C rispetto al normale, non vedo alcun modo di avere un habitat. Ci troviamo a 0,85°C al di sopra della norma ed abbiamo già innescato tutti questi anelli di retroazione auto rinforzanti”.

E aggiunge: “Tutte le prove indicano un aumento certo da 3,5 a 5°C della temperatura globale al di sopra della “norma” del 1850 per metà secolo, probabilmente molto prima. Questo garantisce una retroazione positiva, già in arrivo, che porta a 4,5-6°C al di sopra della “norma” e questo è un livello letale per la vita. Ciò è dovuto parzialmente al fatto che gli esseri umani devono mangiare e le piante non possono adattarsi abbastanza rapidamente da renderlo possibile per 7-9 miliardi di noi – quindi moriremo”.

Se pensate che il commento di McPherson sulla mancanza di adattabilità sia al di sopra delle righe, considerate che il tasso di evoluzione trascina il tasso di cambiamento climatico di un fattore di  10,000, secondo un saggio nel numero di agosto 2013 di Ecology Letters. Inoltre, David Wasdel, direttore del Progetto Apollo-Gaia ed esperto nelle dinamiche con retroazioni multiple, dice: “Stiamo vivendo un cambiamento 2-300 volte più rapidamente di qualsiasi grande evento estintivo precedente”.

Wasdel cita con particolare allarme i rapporti scientifici che mostrano che gli oceani hanno già perso il 40% del loro fitoplancton, la base della catena alimentare globale dell’oceano, a causa dell’acidificazione ed alle variazioni atmosferiche della temperatura indotte dal cambiamento climatico. (Secondo il Centro per le Soluzioni Oceaniche: “Gli oceani hanno assorbito quasi la metà delle emissioni umane di CO2 dalla Rivoluzione Industriale. Anche se questo ha attenuato l’effetto delle emissioni di gas serra, sta alterando chimicamente gli ecosistemi marini 100 volte più rapidamente di quanto siano cambiati perlomeno negli ultimi 650.000 anni”.)

“Questo è già un evento di estinzione di massa”, aggiunge Wadsel. “La domanda è, fin dove si spingerà? Quanto diventerà grave? Se non siamo in grado di fermare il tasso di aumento della temperatura stessa e rimetterla sotto controllo, allora un evento di alta temperatura, forse altri 5-6°C, oblitererebbe almeno il 60-80% delle popolazioni e delle specie di vita sulla Terra”.

Cosa viene dopo?

Nel novembre 2012, anche Jim Yong Kim, presidente del Gruppo Banca Mondiale (un’istituzione finanziaria internazionale che fornisce prestiti ai paesi in via di sviluppo), ha avvertito che “un mondo più caldo di 4°C può, e deve, essere evitato. La mancanza d’azione sul cambiamento climatico minaccia di rendere il mondo che erediteranno i nostri figli completamente diverso da quello in cui viviamo oggi”.

Un rapporto commissionato dalla Banca Mondiale ha avvertito che siamo già sulla strada per un “mondo con 4°C in più” segnato da ondate di calore estreme e un aumento del livello del mare che minaccia la vita.

I tre diplomatici viventi che hanno condotto le trattative sul cambiamento climatico dichiarano che ci sono poche possibilità che il prossimo trattato sul clima, se verrà mai approvato, impedirà il surriscaldamento del mondo. “Non c’è niente che su cui ci si possa accordare nel 2015 che sia coerente con i 2°C”, dice Yvo de Boer, che è stato segretario esecutivo del United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) nel 2009, quando i tentativi di raggiungere un accordo ad un summit a Copehagen è andato in frantumi. “Il solo modo in cui un accordo nel 2015 possa ottenere l’obbiettivo dei 2°C è quello di chiudere l’intera economia globale”.

La scienziata dell’atmosfera e del mare Ira Leifer è particolarmente preoccupata dal cambiamento degli schemi delle precipitazioni che una bozza di rapporto  recentemente trapelato dal IPCC ha indicato per il futuro: “Quando guardo a ciò che hanno previsto i modelli per un mondo con 4°C in più, vedo vedo poca pioggia su ampie fasce di popolazioni. Se la Spagna diventa come l’Algeria, dove prenderanno tutti gli spagnoli l’acqua per sopravvivere? Ci sono parti del mondo dove ci sono popolazioni elevate e che hanno molte precipitazioni e raccolti e quando quelle precipitazioni e quei raccolti sparisce e il paese comincia a sembrare più un paese del Nord Africa, cosa tiene in vita la gente?”

Il rapporto del IPCC suggerisce che possiamo aspettarci uno spostamento generalizzato degli schemi globali delle piogge verso nord, spogliando aree che ora hanno piogge abbondanti delle future disponibilità d’acqua. La storia ci mostra che quando le disponibilità di cibo collassano, cominciano le guerre, mentre la carestia e la malattia di diffondono. Tutte queste cose che ora gli scienziati temono, potrebbero accadere su una scala senza precedenti, specialmente data la natura interconnessa dell’economia globale.

“Alcuni scienziati stanno indicando che dovremmo fare piani per adattarci ad un mondo con 4°C in più”, commenta Leifer. Sebbene con prudenza, ci si chiede quale percentuale della popolazione vivente ora si potrebbe adattare ad un mondo del genere e il mio punto di vista è che sono solo poche migliaia di persone [che cercano rifugio] nell’Artico e nell’Antartico”.

Non soprende che gli scienziati con una tale visione spesso non siano i tipi più popolari in circolazione. McPherson, per esempio, è stato spesso soprannominato “McStinction” – al che lui risponde “Sto solo riportando i risultati di altri scienziati. Quasi tutti quei risultati sono pubblicati nella letteratura istituzionale e stimata. Non penso che nessuno voglia creare un problema con la NASA, o Nature, o Science, o con gli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze. [Quelli] e gli altri che riporto sono ragionevolmente conosciuti e provengono da fonti legittime, come il NOAA [National Oceanic and Atmospheric Administration], per esempio. Non mi sto inventando queste informazioni, sto solo collegando un paio di puntini ed è qualcosa che molta gente ha difficoltà a fare”.

McPherson non ha molte speranze per il futuro, né per la volontà governativa di fare qualcosa che somigli ai cambiamenti radicali che sarebbero necessari per alleggerire rapidamente il flusso di gas serra nell’atmosfera; né si aspetta che i media mainstream profondano un grande sforzo nel riferire su tutto questo perché come dice, “Non ci sono molti soldi nella fine della civiltà ed ancora meno se ne possono fare con l’estinzione dell’umanità”. La distruzione del pianeta, dall’altro lato, è una bella scommessa, crede, “perché ci sono soldi in questo e finché sarà così, continuerà”.

Leifer, tuttavia, è convinta che ci sia un obbligo morale di non arrendersi mai e che il sentiero per la distruzione globale possa essere cambiato. “A breve termine, se lo riesce fare nell’interesse economico della gente di fare la cosa giusta, succederà molto rapidamente”. Leifer offre un’analogia in quanto a se l’umanità sarà disposta ad agire per mitigare gli effetti del cambiamento climatico: “La gente fa di tutto per abbassare il proprio rischio di cancro, non perché sia garantito di non prenderselo, ma perché si fa quello che si può mettendo in atto le protezioni sanitarie e le assicurazioni di cui si ha bisogno per cercare di abbassare il proprio rischio di prenderselo”.

I segni di una crisi climatica in peggioramento sono tutti intorno a noi, che ci permettiamo di vederli o no. Di sicuro, la comunità scientifica li comprende. Come fanno innumerevoli comunità intorno al globo dove gli effetti del cambiamento climatico sono già stati vissuti in modi impressionanti e i preparativi locali per i disastri climatici, comprese alluvioni sempre più forti, siccità, incendi, ondate di calore e tempeste sono già in corso. Le evacuazioni dalle isole pianeggianti del sud del Pacifico sono già cominciate. La gente in tali aree, per necessità, stanno cominciando a provare ad insegnare ai propri figli come adattarsi e a vivere in quello che stiamo facendo diventare il nostro mondo.

I miei nipoti stanno facendo qualcosa di simile. Stanno coltivando verdure in un orto sotto casa e le loro 8 galline forniscono uova più che sufficiente per la famiglia. I loro genitori sono intenti ad insegnar loro come essere sempre più autosufficienti. Ma nessuna di queste sentite azioni possono mitigare ciò che è già in corso quando si tratta del clima globale.

Ho 45 anni e spesso mi chiedo come sopravviverà la mia generazione alla crisi climatica imminente. Cosa accadrà al nostro mondo se le acqua estive dell’Artico saranno effettivamente senza ghiaccio fra pochi anni? Come sarà la mia vita se dovrò sperimentare un aumento della temperatura di 3,5°C?

Soprattutto, mi chiedo come sopravviveranno le future generazioni.

Dahr Jamail ha scritto sul cambiamento climatico così come del disastro petrolifero della BP nel Golfo del Messico. E’ destinatario di numerosi premi, compreso il Premio Martha Gellhorn per il giornalismo e il Premio James Aronson Award per il giornalismo di Giustizia Sociale. E’ autore di due libri: Beyond the Green Zone: Dispatches from an Unembedded Journalist in Occupied Iraqand e The Will to Resist: Soldiers Who Refuse to Fight in Iraq and Afghanistan. Attualmente lavora per la versione inglese di al-Jazeera a Doha, in Qatar. 

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Dahr Jamail – Il segnapunti del cambiamento climatico

Da “Tomdispatch”. Traduzione di MR

 Da quando un’arma nucleare e’ stata lanciata su Hiroshima, abbiamo vissuto con visioni di catastrofe globale, fine dei tempi apocalittica e estinzione che una volta era appannaggio soltanto della religione. Dal 6 agosto 1945 ci è stato possibile immaginare come gli esseri umani, non Dio, potrebbero metter fine alle nostre vite su questo pianeta. Concettualmente parlando, questo potrebbe essere il più impressionante singolo sviluppo della nostra era e, ad oggi, rimane terrificante e difficile da accettare. Ciononostante, le possibilità di apocalisse che si celano nel nostro sviluppo scientifico-militare ha agitato la cultura popolare nei decenni ad un’orgia di possibilità per la fine del mondo.

Nei decenni più recenti, una seconda possibilità per la fine del mondo (o almeno la fine del mondo come lo conosciamo) si è insinuata nella coscienza umana. Fino a relativamente poco tempo fa, il nostro bruciare combustibili fossili e sputare biossido di carbonio nell’atmosfera rappresentava un approccio così al rallentatore per rappresentare la fine dei tempi che non abbiamo neanche notato cosa stesse accadendo. Solo negli anni 70 l’idea del riscaldamento globale o cambiamento climatico ha iniziato a penetrare nella comunità scientifica, mentre negli anni 90 è arrivata nel resto del mondo e lentamente anche nella cultura popolare.

Eppure, nonostante le distruzioni meteorologiche sempre più forti – ciò che i notiziari ora amano chiamare “eventi meteo estremi”, compresi tifoni, uragani e tempeste invernali, incendi, ondate di calore, siccità e record della temperatura globale – il disastro sembrava ancora abbastanza lontano. Nonostante le notizie martellanti sugli allarmanti cambiamenti ambientali – massicce fusioni di ghiaccio nelle acqua dell’Artico, ghiacciai che si ritirano in tutto il mondo, la calotta glaciale della Groenlandia che comincia a fondersi, così come l’aumento dell’acidificazione delle acque oceaniche – niente di tutto questo, nemmeno la super tempesta Sandy che si abbatte sull’iconica capitale globale, New York, allagando parte del suo sistema di metropolitane, ha fatto breccia come 11 settembre climatico. Non negli Stati Uniti comunque.

Siamo passati, cioè, da nessun movimento al movimento lento e poi a una specie di negazione del movimento. Eppure nella comunità scientifica, dove le persone continuano a studiare gli effetti del riscaldamento globale, il tono sta cambiando. Sta diventando, si potrebbe dire, più apocalittico. Solo nelle ultime settimane un rapporto dell’Accademia Nazionale degli Scienziati ha suggerito che “cambiamenti improvvisi difficili da prevedere” nell’ambiente dovuti agli effetti del cambiamento climatico potrebbero portare il pianeta ad un “punto di non ritorno”. Oltre a questo, “[potrebbero] avvenire cambiamenti grandi e rapidi” – e questi potrebbero essere devastanti, compreso quel “jolly”, l’improvvisa fusione di parti della vasta calotta glaciale dell’Antartide, portando i livelli del mare molto più in alto.

Allo stesso tempo, il famoso scienziato del clima James Hansen e 17 colleghi hanno pubblicato un rapporto che fa accapponare la pelle sulla rivista PloS. Suggeriscono che l’obbiettivo accettato di mantenere l’aumento di temperatura a 2°C è un incarico da sciocchi. Se le temperature globali si avvicinano a quei valori – l’aumento finora è stato di meno di 1°C da quando è iniziata la rivoluzione industriale – sarà già tardi, dichiarano, per evitare conseguenze disastrose.

Considerate questa come la “temperatura” di fondo per l’ultimo pezzo di Dahr Jamail per TomDispatch, un’esplorazione di ciò che gli scienziati del clima appena oltre il mainstream pensano su come il cambiamento climatico colpirà la vita su questo pianeta. Qual è, in altre parole, la cosa peggiore che probabilmente potremmo affrontare nei decenni a venire? La risposta: uno scenario da incubo. Quindi allacciate le vostre cinture di sicurezza. Ci aspetta un viaggio tumultuoso. Tom

Stiamo cadendo nel precipizio climatico? Gli scienziati prendono in considerazione l’estinzione.

Di Dahr Jamail

Sono cresciuto programmando il mio futuro, chiedendomi in quale college sarei andato, cosa studiare e poi dove lavorare, quali articoli scrivere, quale sarebbe stato il mio prossimo libro, come pagare un mutuo e quale prossimo viaggio alpinistico mi sarebbe piaciuto fare.

Ora, mi interrogo sul futuro del nostro pianeta. Durante una recente visita ai miei nipoti di 8, 10 e 12 anni, mi sono trattenuto dal chiedere loro cosa volevano  fare da grandi, o qualsiasi altra domanda orientata al futuro che ero solito porre a me stesso. Ho fatto così perché la realtà della loro generazione potrebbe essere che domande come dove lavoreranno potrebbero essere sostituite da: dove prenderanno l’acqua potabile? Quale cibo sarà disponibile? E quali parti del loro paese e del resto del mondo saranno ancora abitabili?

La ragione, naturalmente, è il cambiamento climatico – e quanto brutta possa essere mi e’ venuto a dimostrarlo a casa nel 2010. Stavo salendo sul monte Raineir, nello Stato di Washington, prendendo lo stesso sentiero che avevo usato per la mia scalata del 1994. Anziché sentire le punte di metallo dei ramponi attaccati ai miei scarponi scricchiolare sul ghiaccio di un ghiacciaio, mi rendevo conto che, a grandi altitudini, stavano ancora grattando contro la nuda roccia vulcanica. Poco prima dell’alba, i m miei passi facevano scintille.

Il sentiero era cambiato in modo sufficientemente drammatico da stordirmi. Ho fatto una pausa ad un certo punto per guardare giù alle ripide scogliere presso un ghiacciaio illuminate dal chiaro di luna 100 metri al di sotto. Mi è mancato il respiro quando mi sono reso conto che stavo guardando quello che era rimasto di un enorme ghiacciaio che avevo scalato nel 1994, quello che – proprio a questo punto – aveva fatto sì che i ramponi scricchiolassero sul ghiaccio. Mi sono fermato sulle mie tracce, respirando l’aria rarefatta di quelle altitudini, mentre la mia mente lavorava duramente per cogliere il dramma indotto dal cambiamento climatico che si era dispiegato da quando ero stato l’ultima volta in quel luogo.

Non sono tornato al monte Rainier solo per vedere quanto è ulteriormente retrocesso il ghiacciaio negli ultimi anni, ma di recente ho intrapreso una ricerca per scoprire quanto la situazione potrebbe essere brutta. Ho scoperto una serie di scienziati del tutto seri – non la maggioranza degli scienziati del clima, ad ogni modo, ma degli anomali riflessivi – che suggeriscono che la situazione non è solo molto, molto brutta; è catastrofica. Alcuni di loro pensano persino che, se i rilasci di biossido di carbonio in corso nell’atmosfera, grazie alla combustione di combustibili fossili, vengono aiutati e spalleggiati da enormi rilasci di metano, un gas serra ancora più potente, la vita come noi esseri umani l’abbiamo conosciuta potrebbe giungere ad una fine su questo pianeta. Sono spaventati dal fatto che potremmo trovarci rapidamente– o aver superato – ad un precipizio del cambiamento climatico da pelle d’oca.

Pensate che la tipologia di scienziati climatici più prudente, rappresentata dal prestigioso IPCC, disegnano scenari che sono solo leggermente meno da pelle d’oca. Ma passiamo un po’ di tempo, come ho fatto io, con coloro che potremmo definire scienziati ai margini e ad ascoltare cosa hanno da dire.

“Non ci siamo mai trovati in questa situazione come specie”

“Noi come specie non abbiamo mai provato 400 parti per milione di biossido di carbonio nell’atmosfera” mi ha detto Guy McPherson, professore emerito di biologia evolutiva, risorse naturali ed ecologia all’Università dell’Arizona ed esperto di cambiamento climatico da 25 anni. “Non siamo mai stati su un pianeta senza ghiaccio artico e raggiungeremo le 400 ppm… nei prossimi 2 anni. In quel momento ci sarà anche la perdita del ghiaccio artico in estate… Questo pianeta non ha mai avuto un Artico senza ghiaccio per almeno gli ultimi 3 milioni di anni”.

Per i non iniziati, nei termini più semplici, ecco cosa significherebbe un Artico senza ghiaccio quando si tratta di riscaldamento del pianeta: minore copertura di ghiaccio riflettente sulle acqua dell’Artico, la radiazione solare verrebbe assorbita, non riflessa, dall’Oceano Artico. Ciò riscalderebbe quelle acque, e quindi il pianeta, ulteriormente. Questo effetto ha il potenziale per cambiare gli schemi meteorologici globali, variare il flusso dei venti e probabilmente un giorno anche di alterare la posizione della corrente a getto (jet stream). La corrente a getto polare sono fiumi di vento che fluiscono velocemente a grandi altitudini nell’atmosfera terrestre che muovono le masse di aria calda e fredda, giocando un ruolo cruciale nel determinare il meteo del nostro pianeta.

McPherson, che cura il blog “Nature Bats Last”, ha aggiunto “Non ci siamo mai trovati in questa situazione come specie e le implicazioni sono davvero spaventose e profonde per la nostra specie e il resto del pianeta vivente”.

Mentre la sua prospettiva è più estrema di quella della comunità scientifica mainstream, che vede il disastro vero di molti decenni nel futuro, McPherson è ben lontano dall’essere l’unico scienziato che esprime tali preoccupazioni. Il professor Peter Wadhams, un importante esperto dell’Artico all’Università di Cambridge, ha misurato il ghiaccio artico per 40 anni e le sue scoperte sottolineano le paure di McPherson. “il crollo del volume del ghiaccio è così rapido che ci porterà allo zero molto rapidamente”, ha detto Wadhams ad un giornalista. Secondo i dati attuali, Wadhams stima “col 95% di certezza” che l’Artico sarà completamente libero da ghiaccio in estate dal 2018. (I ricercatori della Marina statunitense hanno previsto un Artico libero dal ghiaccio persino prima, nel 2016).

Lo scienziato britannico John Nissen, presidente del Gruppo di Emergenza per il Metano Artico – Arctic Methane Emergency Group – (di cui Wadhams è membro), suggerisce che se la perdita di ghiaccio estivo marino supera “il punto di non ritorno” e entrano in gioco “le retroazioni catastrofiche del metano artico”, ci troveremo in una “emergenza planetaria istantanea”.

McPherson, Wadham e Nissen rappresentano solo la punta di un iceberg di scienziati che ci stanno mettendo in guardia sul disastro che incombe, in particolar modo per quanto riguarda i rilasci di metano artico. In atmosfera, il metano è un gas che, su scala temporale relativamente a breve termine, è di gran lunga più distruttivo del CO2. E 23 volte più potente rispetto al CO2 per molecola su una scala temporale di 100 anni, 105 volte più potente quando si tratta del riscaldamento del pianeta su una scala temporale di 20 anni – e il Permafrost artico, sulla terraferma o in mare, è pieno di questa roba. “Il letto del mare”, dice Wadham, “è permafrost marino, ma ora si  sta scaldando e fondendo. Ora stiamo osservando grandi pennacchi di metano che gorgogliano nel Mar Siberiano… milioni di miglia quadrate dove la copertura di metano viene rilasciata”.

Secondo uno studio appena pubblicato su Nature Geoscience, dalla Banchisa Artica della Siberia Orientale viene rilasciato il doppio del metano di quanto precedentemente pensato, un’area di 2 milioni di chilometri quadrati al largo della Siberia Settentrionale. I suoi ricercatori hanno scoperto che almeno 17 teragrammi (un milione di tonnellate) di metano viene rilasciato ogni anno nell’atmosfera, mentre uno studio del 2010 aveva trovato solo 7 teragrammi diretti in atmosfera.

Il giorno dopo che Nature Geoscience ha pubblicato il suo studio, un gruppo di scienziati di Harvard ed altre eminenti istituzioni accademiche hanno pubblicato un rapporto negli Atti della Accademia Nazionale delle Scienze che mostra che la quantità di metano emesso negli Stati Uniti da parte di operazioni petrolifere ed agricole potrebbe essere del 50% maggiore di quanto stimato precedentemente e 1,5 volte più alta di quanto stimato dalla EPA (Environmental Protection Agency).

Quant’è grave l’accumulo potenziale di metano? Non tutti gli scienziati pensano che sia una minaccia immediata o che sia la minaccia più importante che affrontiamo, ma Ira Leifer, uno scienziato dell’atmosfera e del mare all’Università della California a Santa Barbara ed uno degli autori del recente studio sul metano artico mi ha sottolineato il fatto che “l’estinzione di massa del Permiano avvenuta 250 milioni di anni fa è collegata al metano e si pensa che sia la chiave di ciò che ha causato l’estinzione di gran parte delle specie sul pianeta”. In quell’episodio estintivo, viene stimato che il 95% di tutte le specie sono state spazzate via.

Conosciuta anche come “La Grande Moria”, è stata innescata da un massiccio flusso di lava in un’area della Siberia che ha portato ad un aumento delle temperature globali di 6°C. Questo, a sua volta, ha causato la fusione dei depositi di metano congelato sotto i mari. Rilasciato in atmosfera, il metano ha causato un’ulteriore impennata delle temperature. Tutto questo è avvenuto in un periodo di circa 80.000 anni.

Attualmente ci troviamo in mezzo a quello che gli scienziati considerano la sesta estinzione di massa nella storia del pianeta, dove fra le 150 e le 200 specie si estinguono ogni giorno, un ritmo 1.000 volte superiore del tasso di estinzione “naturale” o di “fondo”. Questo evento potrebbe già essere paragonabile, o persino superare, alla velocità e all’intensità dell’estinzione di massa del Permiano. La differenza è che la nostra è causata dagli esseri umani, non impiegherà 80.000 anni, è durata finora solo qualche secolo ed ora sta prendendo velocità in modo non lineare.

E’ possibile che, al di là delle vaste quantità di biossido di carbonio da combustibili fossili che continuano ad entrare nell’atmosfera in quantità record annualmente, un aumentato rilascio di metano potrebbe segnalare l’inizio del tipo di processo che ha portato alla Grande Moria. Alcuni scienziati temono che la situazione sia già così grave e che ci siano così tanti anelli di retroazione positivi in gioco da pensare che siamo già nel processo di causare la nostra stessa estinzione. Peggio ancora, alcuni sono convinti che potrebbe accadere di gran lunga più rapidamente di quanto si creda generalmente possibile – persino nel corso dei prossimi decenni.

Il gigante addormentato si scuote

Secondo un rapporto di ricerca della NASA, “C’è un gigante climatico che si agita nell’Artico? “Per centinaia di millenni, i suoli del permafrost artico hanno accumulato enormi riserve di carbonio organico – una stima di 1.400-1.850 petagrammi (un petagrammo è 2,2 trilioni di once o un miliardo di tonnellate). E’ circa la metà di tutto il carbonio organico immagazzinato nei suoli terrestri. In confronto, da tutta la combustione di combustibili fossili e dalle attività umane dal 1850, sono stati emessi circa 350 petagrammi. Gran parte di questo carbonio situato nel suolo superficiale vulnerabile allo scongelamento, entro i 10 piedi (3 metri) dalla superficie”.

Gli scienziati della NASA, insieme ad altri, stanno imparando che il permafrost artico – e la sua riserva di carbonio – potrebbero non essere così permanentemente ghiacciati come farebbe presumere il nome. Lo scienziato ricercatore del Jet Propulsion Laboratory della Nasa Charles Miller è il ricercatore principale del Carbon in Arctic Reservoirs Vulnerability Experiment  (CARVE) – Esperimento sulla Vulnerabilità del Carbonio nelle Riserve dell’Artico – , una campagna di 5 anni condotta dalla NASA per studiare come il cambiamento climatico condiziona il ciclo del carbonio dell’Artico. Miller ha detto alla NASA che “i suoli del permafrost si stanno scaldando anche più rapidamente delle temperature dell’aria artica – da 2,7 a 4.5°F (da 1,5 a 2,5°C) nei solo 30 anni passati. Quando il calore dalla superficie della Terra penetra nel permafrost, minaccia di mobilitare queste riserve di carbonio organico e di rilasciarle nell’atmosfera sotto forma di biossido di carbonio e metano, sconvolgendo l’equilibro del carbonio dell’Artico e peggiorando grandemente il riscaldamento globale”.

Miller teme che i risultati potenziali sarebbe che abbia luogo una fusione su scala globale del permafrost. Come sottolinea, “i cambiamenti potrebbero innescare delle trasformazioni che sono semplicemente non reversibili entro le nostre vite, che causano potenzialmente cambiamenti rapidi nel sistema terrestre e che richiederanno adattamenti da parte delle persone e degli ecosistemi”.

Il recente studio della NASA evidenzia la scoperta di sfiati attivi e crescenti di metano fino a 150 chilometri di diametro. Uno scienziato su una nave di ricerca nell’area ha descritto ciò come un gorgoglio a perdita d’occhio in cui il mare sembra come una grande piscina di seltzer. Fra le estati del 2010 e del 2011, infatti, gli scienziati hanno scoperto che nel corso di un anno gli sfiati di metano di soli 30 centimetri di diametro sono diventati larghi chilometri, un aumento del 3.333% ed un esempio della rapidità non lineare con la quale parti del pianeta stanno rispondendo alla distruzione climatica.

Miller ha rivelato un’altra allarmante scoperta: “Alcune delle concentrazioni di metano e biossido di carbonio che abbiamo misurato sono state grandi e stiamo vedendo schemi molto diversi da quelli suggeriti dai modelli”, ha detto di alcune delle scoperte più recenti di CARVE. “Abbiamo visto grandi esplosioni e su larga scala di biossido di carbonio e metano al di sopra della norma nell’Alaska interna e lungo La Pendice Nord durante lo scongelamento primaverile che sono durate fino a poco dopo il ricongelamento autunnale. Per citare un altro esempio, nel luglio 2012 abbiamo visto i livelli di metano al di sopra delle paludi di Innoko Wilderness che erano di 650 parti per miliardo più alte dei normali livelli di fondo. Sono simili a quelli che potete trovare in una grande città”.

Spostandosi al di sotto dell’Oceano Artico dove si trovano gli idrati di metano – spesso descritti come gas metano circondato da ghiaccio – un rapporto del marzo del 2010 su Science indicava che questi contengono cumulativamente l’equivalente di 1.000-10.000 gigatonnellate di carbonio, in confronto alle 240 gigatonnellate di carbonio emesse dall’umanità nell’atmosfera da quando è iniziata la rivoluzione industriale.

Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature lo scorso luglio, suggeriva che un “rutto” di 50 gigatonnellate di metano dallo scongelamento del permafrost artico al di sotto del mare orientale della Siberia è “altamente possibile in qualsiasi momento”. Sarebbe l’equivalente di almeno 1.000 gigatonnellate di biossido di carbonio.

Anche il relativamente compassato IPCC ha avvertito della possibilità di tale scenario: “La possibilità del cambiamento climatico improvviso e(o di cambiamenti improvvisi nel sistema terrestre innescati dal cambiamento climatico, con conseguenze potenzialmente catastrofiche, non può essere esclusa. Le retroazioni positive del riscaldamento potrebbero causare il rilascio di carbonio o metano dalla biosfera terrestre e dagli oceani”.

Negli ultimi due secoli, la quantità di metano nell’atmosfera è aumentata da 0,7 parti per milione a 1,7 parti per milione. L’introduzione del metano in tali quantità nell’atmosfera potrebbe, temono alcuni scienziati, rendere inevitabile un aumento della temperatura globale da 4 a 6°C.
La capacità della psiche umana di accettare e cogliere una tale informazione è stata messa alla prova. E mentre questo sta accadendo, sempre più dati continuano a pervenire – e le notizie non sono buone.

Dalla padella alla brace

Considerate questa linea temporale:

* Fine 2007: l’IPCC annuncia che il pianeta un aumento di temperatura di 1°C dovuto al cambiamento climatico per il 2100.

* Fine 2008: il Centro Hadely per la Ricerca Meteorologica  prevede un aumento di 2°C per il 2100.

* Metà 2009: il Programma Ambientale dell’ONU prevede un aumento di 3,5°C per il 2100. Tale aumento rimuoverebbe l’habitat per gli esseri umani su questo pianeta, in quanto quasi tutto il plancton negli oceani verrebbe distrutto e le fluttuazioni delle temperature associate ucciderebbero molte piante terrestri. Gli esseri umani non sono mai vissuti su un pianeta con 3,5°C in più come riferimento di base.

* Ottobre 2009: October 2009: il Centro Hadely per la Ricerca Meteorologica pubblica una previsione aggiornata, suggerendo un aumento di temperatura di 4°C per il 2060.

* Novembre 2009: il Global Carbon Project, che monitorizza il ciclo globale del carbonio e la Diagnosi di Copenhagen, un rapporto sulla scienza climatica, prevedono rispettivamente aumenti di temperatura di 6 e 7°C per il 2100.

* Dicembre 2010: il Programma Ambientale dell’ONU prevede un aumento fino a 5°C per il 2050.

* 2012: il prudente rapporto della IEA World Energy Outlook di quell’anno dichiara che siamo sulla strada per raggiungere un aumento di 2°C per il 2017.

* Novembre 2013: la IEA  prevede un aumento di 3,5°C per il 2035

Un briefing fornito alla fallita Conferenza delle Parti a Copenhagen nel 2009 aveva questo sommario: “Il livello del mare a lungo termine che corrisponde all’attuale concentrazione di CO2 è di circa 23 metri al di sopra dei livelli odierni e le temperature saranno di 6°C ed oltre più alte. Queste stime sono basate su registrazioni reali a lungo termine, non su modelli”.

Il 3 dicembre, uno studio di 18 eminenti scienziati, compreso l’ex capo dell’Istituto Goddard per gli Studi Spaziali della NASA, James Hansen, ha mostrato che l’obbiettivo di lunga data concordato a livello internazionale per limitare gli aumenti delle temperature globali a 2°C era sbagliato e di gran lunga al di sopra di 1°C che dovrebbe essere mantenuto per evitare gli effetti di un cambiamento climatico catastrofico.

E tenente a mente che le varie grandi valutazioni delle temperature globali future di rado presumono il peggio sui possibili anelli di retroazione auto rinforzanti come quello del metano.

“Le cose sembrano davvero terribili”

La mortalità collegata al cambiamento climatico è già stimata in 5 milioni di persone all’anno e il processo sembra che stia accelerando più rapidamente di quanto gran parte dei modelli climatici abbiano suggerito. Anche senza tenere in considerazione il rilascio del metano ghiacciato nell’Artico, alcuni scienziati stanno già dipingendo un quadro davvero cupo per il futuro dell’umanità. Prendete il biologo del Servizio Antincendio Canadese Neil Dawe, che ad agosto ha detto a un giornalista che non sarebbe sorpreso se la generazione dopo la sua fosse testimone dell’estinzione dell’umanità. Tutt’intorno all’estuario vicino al suo ufficio sull’isola di Vancouver, Dawe è stato testimone del disfacimento della “rete della vita” e “sta avvenendo molto rapidamente”.

“La crescita economica è la più grnde distruttrice dell’ecologia”, dice Dawe. “Coloro che pensano di poter avere un’economia in crescita ed una mbiente sano si sbagliano. Se non riduciamo i nostri numeri, la natura lo farà per noi”. E non ha molte speranze che gli esseri umani saranno in grado di salvarsi. “Tutto è peggiorato e noi continuiamo a fare ancora le stesse cose. Siccome gli ecosistemi sono così resilienti, non esigono una punizione immediata della stupidità”.

Guy McPherson dell’Università dell’Arizona ha timori analoghi. “Ci saranno molto pochi esseri umani sul pianeta a causa della mancanza di habitat”, dice. Degli studi recenti che mostrano il tributo di aumenti della temperatura che avranno luogo su quell’habitat, aggiunge: “Tengono conto solo del CO2 in atmosfera”.

Ecco la domanda: potrebbe o no una qualche versione di estinzione o di quasi estinzione sopraffare l’umanità, grazie al cambiamento climatico e probabilmente con incredibile velocità? Cose del genere sono accadute in passato. 55 milioni di anni fa, un aumento di 5°C nelle temperature globali medie sembra sia avvenuta in soli 13 anni, secondo uno studio pubblicato nel numero di ottobre 2013 degli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze. Un rapporto nel numero di agosto di Science ha rivelato che il clima della terra a breve termine cambierà 10 volte più rapidamente che in qualsiasi altro momento negli ultimi 65 milioni di anni.

“L’Artico si sta scaldando più rapidamente di qualsiasi altro posto nel pianeta”, ha detto lo scienziato climatico James Hansen. “Ci sono effetti potenziali irreversibili nella fusione del ghiaccio marino dell’Artico. Se ciò cominciasse a favorire il riscaldamento dell’Oceano Artico e scaldasse il fondo dell’oceano, allora cominceremo a rilasciare gli idrati di metano. E se lasciamo accadere questo, sarebbe un potenziale punto di non ritorno che non vogliamo che avvenga. Se bruciamo tutti i combustibili fossili allora di sicuro causeremo, alla fine, la fuoriuscita degli idrati di metano, causando diversi gradi di riscaldamento in più. Non è chiaro se la civiltà possa sopravvivere un tale cambiamento climatico estremo”.

Tuttavia, molto prima che l’umanità abbia bruciato tutte le riserve di combustibili fossili sul pianeta, saranno state rilasciate quantità enormi di metano. Mentre il corpo umano è potenzialmente in grado di gestire un aumento da 6 a 9°C della temperatura planetaria, le colture e l’habitat che usiamo per la produzione di cibo non lo sono. Come dice McPherson, “Se avremo un aumento di 3,5-4°C rispetto al normale, non vedo alcun modo di avere un habitat. Ci troviamo a 0,85°C al di sopra della norma ed abbiamo già innescato tutti questi anelli di retroazione auto rinforzanti”.

E aggiunge: “Tutte le prove indicano un aumento certo da 3,5 a 5°C della temperatura globale al di sopra della “norma” del 1850 per metà secolo, probabilmente molto prima. Questo garantisce una retroazione positiva, già in arrivo, che porta a 4,5-6°C al di sopra della “norma” e questo è un livello letale per la vita. Ciò è dovuto parzialmente al fatto che gli esseri umani devono mangiare e le piante non possono adattarsi abbastanza rapidamente da renderlo possibile per 7-9 miliardi di noi – quindi moriremo”.

Se pensate che il commento di McPherson sulla mancanza di adattabilità sia al di sopra delle righe, considerate che il tasso di evoluzione trascina il tasso di cambiamento climatico di un fattore di  10,000, secondo un saggio nel numero di agosto 2013 di Ecology Letters. Inoltre, David Wasdel, direttore del Progetto Apollo-Gaia ed esperto nelle dinamiche con retroazioni multiple, dice: “Stiamo vivendo un cambiamento 2-300 volte più rapidamente di qualsiasi grande evento estintivo precedente”.

Wasdel cita con particolare allarme i rapporti scientifici che mostrano che gli oceani hanno già perso il 40% del loro fitoplancton, la base della catena alimentare globale dell’oceano, a causa dell’acidificazione ed alle variazioni atmosferiche della temperatura indotte dal cambiamento climatico. (Secondo il Centro per le Soluzioni Oceaniche: “Gli oceani hanno assorbito quasi la metà delle emissioni umane di CO2 dalla Rivoluzione Industriale. Anche se questo ha attenuato l’effetto delle emissioni di gas serra, sta alterando chimicamente gli ecosistemi marini 100 volte più rapidamente di quanto siano cambiati perlomeno negli ultimi 650.000 anni”.)

“Questo è già un evento di estinzione di massa”, aggiunge Wadsel. “La domanda è, fin dove si spingerà? Quanto diventerà grave? Se non siamo in grado di fermare il tasso di aumento della temperatura stessa e rimetterla sotto controllo, allora un evento di alta temperatura, forse altri 5-6°C, oblitererebbe almeno il 60-80% delle popolazioni e delle specie di vita sulla Terra”.

Cosa viene dopo?

Nel novembre 2012, anche Jim Yong Kim, presidente del Gruppo Banca Mondiale (un’istituzione finanziaria internazionale che fornisce prestiti ai paesi in via di sviluppo), ha avvertito che “un mondo più caldo di 4°C può, e deve, essere evitato. La mancanza d’azione sul cambiamento climatico minaccia di rendere il mondo che erediteranno i nostri figli completamente diverso da quello in cui viviamo oggi”.

Un rapporto commissionato dalla Banca Mondiale ha avvertito che siamo già sulla strada per un “mondo con 4°C in più” segnato da ondate di calore estreme e un aumento del livello del mare che minaccia la vita.

I tre diplomatici viventi che hanno condotto le trattative sul cambiamento climatico dichiarano che ci sono poche possibilità che il prossimo trattato sul clima, se verrà mai approvato, impedirà il surriscaldamento del mondo. “Non c’è niente che su cui ci si possa accordare nel 2015 che sia coerente con i 2°C”, dice Yvo de Boer, che è stato segretario esecutivo del United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) nel 2009, quando i tentativi di raggiungere un accordo ad un summit a Copehagen è andato in frantumi. “Il solo modo in cui un accordo nel 2015 possa ottenere l’obbiettivo dei 2°C è quello di chiudere l’intera economia globale”.

La scienziata dell’atmosfera e del mare Ira Leifer è particolarmente preoccupata dal cambiamento degli schemi delle precipitazioni che una bozza di rapporto  recentemente trapelato dal IPCC ha indicato per il futuro: “Quando guardo a ciò che hanno previsto i modelli per un mondo con 4°C in più, vedo vedo poca pioggia su ampie fasce di popolazioni. Se la Spagna diventa come l’Algeria, dove prenderanno tutti gli spagnoli l’acqua per sopravvivere? Ci sono parti del mondo dove ci sono popolazioni elevate e che hanno molte precipitazioni e raccolti e quando quelle precipitazioni e quei raccolti sparisce e il paese comincia a sembrare più un paese del Nord Africa, cosa tiene in vita la gente?”

Il rapporto del IPCC suggerisce che possiamo aspettarci uno spostamento generalizzato degli schemi globali delle piogge verso nord, spogliando aree che ora hanno piogge abbondanti delle future disponibilità d’acqua. La storia ci mostra che quando le disponibilità di cibo collassano, cominciano le guerre, mentre la carestia e la malattia di diffondono. Tutte queste cose che ora gli scienziati temono, potrebbero accadere su una scala senza precedenti, specialmente data la natura interconnessa dell’economia globale.

“Alcuni scienziati stanno indicando che dovremmo fare piani per adattarci ad un mondo con 4°C in più”, commenta Leifer. Sebbene con prudenza, ci si chiede quale percentuale della popolazione vivente ora si potrebbe adattare ad un mondo del genere e il mio punto di vista è che sono solo poche migliaia di persone [che cercano rifugio] nell’Artico e nell’Antartico”.

Non soprende che gli scienziati con una tale visione spesso non siano i tipi più popolari in circolazione. McPherson, per esempio, è stato spesso soprannominato “McStinction” – al che lui risponde “Sto solo riportando i risultati di altri scienziati. Quasi tutti quei risultati sono pubblicati nella letteratura istituzionale e stimata. Non penso che nessuno voglia creare un problema con la NASA, o Nature, o Science, o con gli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze. [Quelli] e gli altri che riporto sono ragionevolmente conosciuti e provengono da fonti legittime, come il NOAA [National Oceanic and Atmospheric Administration], per esempio. Non mi sto inventando queste informazioni, sto solo collegando un paio di puntini ed è qualcosa che molta gente ha difficoltà a fare”.

McPherson non ha molte speranze per il futuro, né per la volontà governativa di fare qualcosa che somigli ai cambiamenti radicali che sarebbero necessari per alleggerire rapidamente il flusso di gas serra nell’atmosfera; né si aspetta che i media mainstream profondano un grande sforzo nel riferire su tutto questo perché come dice, “Non ci sono molti soldi nella fine della civiltà ed ancora meno se ne possono fare con l’estinzione dell’umanità”. La distruzione del pianeta, dall’altro lato, è una bella scommessa, crede, “perché ci sono soldi in questo e finché sarà così, continuerà”.

Leifer, tuttavia, è convinta che ci sia un obbligo morale di non arrendersi mai e che il sentiero per la distruzione globale possa essere cambiato. “A breve termine, se lo riesce fare nell’interesse economico della gente di fare la cosa giusta, succederà molto rapidamente”. Leifer offre un’analogia in quanto a se l’umanità sarà disposta ad agire per mitigare gli effetti del cambiamento climatico: “La gente fa di tutto per abbassare il proprio rischio di cancro, non perché sia garantito di non prenderselo, ma perché si fa quello che si può mettendo in atto le protezioni sanitarie e le assicurazioni di cui si ha bisogno per cercare di abbassare il proprio rischio di prenderselo”.

I segni di una crisi climatica in peggioramento sono tutti intorno a noi, che ci permettiamo di vederli o no. Di sicuro, la comunità scientifica li comprende. Come fanno innumerevoli comunità intorno al globo dove gli effetti del cambiamento climatico sono già stati vissuti in modi impressionanti e i preparativi locali per i disastri climatici, comprese alluvioni sempre più forti, siccità, incendi, ondate di calore e tempeste sono già in corso. Le evacuazioni dalle isole pianeggianti del sud del Pacifico sono già cominciate. La gente in tali aree, per necessità, stanno cominciando a provare ad insegnare ai propri figli come adattarsi e a vivere in quello che stiamo facendo diventare il nostro mondo.

I miei nipoti stanno facendo qualcosa di simile. Stanno coltivando verdure in un orto sotto casa e le loro 8 galline forniscono uova più che sufficiente per la famiglia. I loro genitori sono intenti ad insegnar loro come essere sempre più autosufficienti. Ma nessuna di queste sentite azioni possono mitigare ciò che è già in corso quando si tratta del clima globale.

Ho 45 anni e spesso mi chiedo come sopravviverà la mia generazione alla crisi climatica imminente. Cosa accadrà al nostro mondo se le acqua estive dell’Artico saranno effettivamente senza ghiaccio fra pochi anni? Come sarà la mia vita se dovrò sperimentare un aumento della temperatura di 3,5°C?

Soprattutto, mi chiedo come sopravviveranno le future generazioni.

Dahr Jamail ha scritto sul cambiamento climatico così come del disastro petrolifero della BP nel Golfo del Messico. E’ destinatario di numerosi premi, compreso il Premio Martha Gellhorn per il giornalismo e il Premio James Aronson Award per il giornalismo di Giustizia Sociale. E’ autore di due libri: Beyond the Green Zone: Dispatches from an Unembedded Journalist in Occupied Iraqand e The Will to Resist: Soldiers Who Refuse to Fight in Iraq and Afghanistan. Attualmente lavora per la versione inglese di al-Jazeera a Doha, in Qatar. 

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La sensitività della Terra al cambiamento climatico: il doppio delle stime precedenti

Da “The Geological Society”. Traduzione di MR

La sensitività del clima terrestre al CO2 potrebbe essere doppia di quanto precedentemente stimato, secondo una dichiarazione pubblicata dalla Società Geologica di Londra. In un allegato a “Cambiamento climatico: prove dalle registrazioni geologiche” del 2010, la dichiarazione nota che molti modelli climatici di solito guardano a breve termine, a fattori rapidi, mentre calcolano la sensitività climatica terrestre – definita come l’aumento della temperatura globale terrestre apportato da un raddoppio del CO2 atmosferico. E’ risaputo che un raddoppio dei livelli del CO2 atmosferico potrebbero sfociare in aumenti di temperatura fra 1,5 e 4,5°C, a causa dei rapidi cambiamenti come la fusione di neve e ghiaccio e il comportamento delle nuvole e del vapore acqueo. Le prove geologiche da studi del cambiamento climatico passato ora suggeriscono che se viene tenuto conto di fattori a lungo termine, come lo scioglimento delle grandi calotte polari e l’effetto del ciclo del carbonio, la sensitività della Terra ad un raddoppio di CO2 potrebbe essere doppio rispetto a quanto previsto da gran parte dei modelli climatici. Il dottor  Colin Summerhayes, che ha condotto il gruppo che ha fatto la bozza della dichiarazione, dice che “gli studi geologici del cambiamento climatico passato stanno gettando una luce nuova su come potrebbe rispondere la Terra alle emissioni di CO2 in aumento. La sensitività climatica suggerita dai moderni modelli climatici potrebbe essere buona per il breve termine, ma non comprende la gamma completa di cambiamento atteso sul lungo termine mentre il clima terrestre si sposta lentamente verso l’equilibrio”.

I livelli di carbonio atmosferici sono attualmente appena al di sotto delle 400 ppm – una cifra vista l’ultima volta durante il Pliocene, fra i 5,3 e i 2,6 milioni di anni fa. A quel tempo, le temperature globali erano di 2-3° superiori a quelle di oggi e i livelli del mare erano di diversi metri più alti, a causa della parziale fusione della calotta glaciale dell’Antartide. Se l’attuale tasso di aumento (2 ppm all’anno) continuasse, i livelli di CO2 potrebbero raggiungere le 600 ppm per la fine del secolo; livelli che, dice Summerhayes, “non si sono visti per 24 milioni di anni”. La dichiarazione sottolinea le prove secondo le quali un aumento relativamente modesto dei livelli atmosferici di CO2 e della temperatura risulterebbe in un aumento significativo del livello del mare, come nel Massimo Termico del Paleocene-Eocene (Paleocene-Eocene Thermal Maximum – PETM) di 55 milioni di anni fa che ha causato crisi marine ed estinzioni e con il sistema terrestre che ha impiegato circa 100.000 anni per recuperare. “Ora siamo ancora più sicuri dalle registrazioni geologiche” dice Summerhayes, “che la sola spiegazione plausibile per l’attuale riscaldamento è l’aumento esponenziale senza precedenti del CO2 e di altri gas serra. Le recenti raccolte di dati sul clima del passato, insieme ai calcoli astronomici, mostrano che i cambiamenti dell’orbita e dell’asse terrestri hanno raffreddato il mondo negli ultimi 10.000 anni. Normalmente ci si sarebbe aspettati che questo raffreddamento continuasse per almeno altri 1000 anni. “Tuttavia le registrazioni paleoclimatiche dell’Artico mostrano che il periodo 1950-200 è stato il più caldo intervallo di 50 anni in 2000 anni. Dovremmo raffreddarci ma non lo facciamo”.

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