Effetto Cassandra

Il culto dello sportello secondo Eugenio Benettazzo

Il tema del “il culto dello sportello” è stato affrontato diverse volte in questo blog, (vedi, per esempio qui, e qui) sulla base del concetto  che non di solo esaurimento delle risorse muore la civiltà. Può morire, (come insegna Joseph Tainter) anche per i ritorni decrescenti della eccessiva burocrazia.  Ecco una interpretazione sul tema  dal blog di Eugenio Benettazzo.  E’ discutibile il comportamento aggressivo di Benettazzo in questo frangente, come pure il fatto di considerare gli impiegati statali come “nemici del popolo”, da controllare e, se necessario, da punire senza pietà. Ma è  una storia meritevole di essere letta.

YOU ARE FIRED

Di Eugenio Benettazzo – pubblicato in data 12 Marzo 1015
fired

Tradotto dall’inglese il titolo di questo post significa “lei è licenziato”. Vi racconto un episodio che ho vissuto di recente. Mi sono recato presso un ente pubblico in una provincia del Veneto per richiedere un determinato certificato ai fini lavorativi per l’estero. Arriva il mio turno presso lo sportello preposto, mi consegnano i moduli da sottoscrivere per il rilascio di tale documentazione, dopo di che mi evidenziano che devo allegare anche marche da bollo per qualche dozzina di euro. Faccio presente che per i certificati sono esentati dall’imposta di bollo in quanto il soggetto richiedente è un altro stato comunitario ed inoltre la casistica per cui tale documentazione viene richiesta rientra in un caso di evidente esenzione. Ricordo inoltre al funzionario dello sportello che due anni fa feci la medesima richiesta e che lo sportello di allora evase il tutto senza applicazione di imposta di bollo. L’operatore preposto mi ribadisce che non può protocollare la richiesta di emissione del certificato senza le dovute (secondo lui) marche da bollo. Dopo insistenze varie da parte mia e tentativi di ragionamento inutili vista la chiusura mentale dell’operatore, alla fine proprio quest’ultimo mi indica di rivolgermi al dirigente di servizio al fine di avallare il deposito dell’istanza presso l’ente pubblico in assenza di imposta di bollo. Mi reco presso l’ufficio di questo dirigente, distante pochi metri dallo sportello aperto al pubblico, ed espongo la mia richiesta facendo notare che due anni prima era stata evasa senza tante difficoltà.

Risposta del dirigente: non è possibile accoglierla in quanto generica, deve indicare gli articoli di legge per cui le spetta l’esenzione. Esco dall’ufficio piuttosto infastidito, non tanto per il contenuto della risposta, quanto per il tono arrogante e indisponente di questo dirigente. In quel momento ho pensato: al diavolo questo ufficio, faccio la richiesta direttamente all’ambasciata tra qualche settimana che sono più cortesi e disponibili e so per certo che l’imposta di bollo non è dovuta. Tuttavia l’idea di avergliela lasciata vinta mi avrebbe rovinato la giornata, cosi sono ritornato allo sportello ed ho chiesto l’estratto della legge di riferimento da cui si evincono i casi di esenzione. Sempre con fare indisponente, l’operatore preposto mi fornisce una copia di tale provvedimento legislativo, sottolineando che loro non sono tenuti a fornire tale documentazione. Mi metto a leggere il tutto, non ricordandomi gli articoli del dispositivo ma i casi di esenzione e dopo quindici minuti finalmente individuo il mio caso specifico. A quel punto ricompilo il modulo di richiesta indicando la legge, l’articolo specifico e la finalità della richiesta. Mi rimetto in coda e quando arriva il mio turno consegno il tutto. L’operatore mi guarda con occhio indispettito e infastidito, mi dice che senza il benestare del suo dirigente la richiesta in ogni caso non può essere accolta e mi invita per questo a ritornare presso il suo ufficio. Nel frattempo avevo notato inconsciamente numerose lamentele anche di altri utenti per il modo di relazionarsi che aveva questo operatore di sportello.

Ritorno nell’ufficio del dirigente, presento il nuovo modulo con le indicazione specifiche di esenzione e faccio presente che allo sportello non sono disposti a protocollarlo. Risposta del dirigente: non basta l’indicazione che attesta l’esenzione, lei deve allegare anche la richiesta del soggetto che esige tale documentazione. Faccio presente che la eventuale richiesta che pretendete sarebbe scritta in inglese da un dipartimento ministeriale di un paese comunitario e che pertanto difficilmente sarebbe accettata in quanto non in lingua italiana. In ogni caso ribadisco che qualche minuto fa lei mi aveva richiesto solo di inserire gli articoli della tal legge dai quali si evince l’esenzione.

Risposta (gridando) del dirigente: adesso basta, non ho tempo da perdere con queste fesserie, vada fuori dai coglioni o chiamo la vigilanza. Il dirigente nell’esprimersi in questo modo si era anche alzato e mi aveva strappato di mano i moduli in questione, spingendomi verso la porta di uscita. Le grida hanno attirato l’attenzione di tutti i presenti, chi non aveva assistito al tutto immaginava una colluttazione o una rissa. Riprendo i miei moduli e ritorno allo sportello, non arrabbiato o adirato, ma ben motivato in quelle che sarebbero state le mie successive mosse. L’operatore, che nel frattempo aveva sentito la voce grossa di questo dirigente, mi ribadisce che non può ricevere i moduli di richiesta che voglio presentare. A quel punto chiedo a questo soggetto di fornire le sue generalità ovvero nome e cognome. Risposta evasiva di questa persona: non sono autorizzato a dirle come mi chiamo.

Il tutto aveva destato l’attenzione dei vari utenti presenti che erano allibiti per quanto stava succedendo. Ribadisco all’operatore che è tenuto a identificarsi, gli ricordo che sta aggravando la sua situazione e nel contempo richiedo il nome del direttore del personale. Spero mi crederete, la persona in questione si alza dalla sua postazione e va a nascondersi dietro agli armadi delle pratiche: gli altri utenti non credevano ai loro occhi. Dopo svariati richiami a uscire dal nascondiglio in cui tentava di celarsi, mi si avvicina una persona (che sembrava un altro utente) e mi dice che il dirigente delle risorse umane si chiama >>omissisis<< e che il suo ufficio è al terzo piano. Mi reco velocemente presso tale ufficio, busso, entro ed espongo quanto mi è appena accaduto.

Quest’altro dirigente mi risponde: io non ci posso fare niente. Lo invito a quel punto a scendere con me per avere un conforto anche dagli altri utenti che hanno assistito al tutto. Risposta: non mi posso muovere da questo ufficio se la deve vedere con i vari soggetti di persona; se ritiene di aver subito un torto scriva al Ministro. Aspettavo una risposta di questo tipo ed a quel punto ho calato l’asso. Faccio presente al dirigente in questione che questa conversazione è appena stata registrata, ed esibisco un registratore portatile dalla tasca. Provvederò ad inviare un esposto alla Procura della Repubblica per quanto subito e patito come utente di servizio pubblico e per la sua resistenza a verificare la gravità dei fatti esposti essendo il dirigente preposto alle risorse umane di tutto l’ente pubblico.

A quel punto il dirigente in questione ha cambiato improvvisamente atteggiamento, scusandosi per quanto accaduto e che probabilmente vi era stata un incomprensione. Mi ha invitato ad aspettarlo fuori del suo ufficio e che nel giro di una manciata di minuti avrebbe risolto il tutto parlando al telefono con i vari soggetti preposti. Attendo sul corridoio, dopo di che esce dall’ufficio dicendomi che è tutto sistemato, il modulo di richiesta verrà accolto con gli estremi di esenzione indicati e che a nome di tutto l’ente pubblico si scusa per il disagio che ho dovuto subire. Scendo e mi reco allo sportello incriminato: l’operatore di prima mi riceve con un sorriso imbarazzante, si scusa per quanto accaduto e garantisce l’evasione della pratica in tempi inferiori rispetto alla prassi. Solo il dirigente che mi aveva trattato con frasi e tono poco edificanti non si è fatto vivo. La soddisfazione non è stato ottenere quello che ti aspettava, quanto aver ricevuto il sostegno degli altri utenti che avevano assistito al tutto. Se fossimo stati in UK o negli USA l’operatore di sportello ed il primo il dirigente sarebbero stati licenziati in tronco seduta stante, il primo per essersi rifiutato di farsi identificare ed il secondo per il linguaggio oltraggioso ed il danno d’immagine procurato al medesimo ente pubblico. Una delle riforme strutturali strategiche e prioritarie che necessita l’Italia è il licenziamento dei dipendenti pubblici a fronte di meccanismi di valutazione a feedback negativo da parte degli stessi utenti fruitori del servizio finale. Chi ha avuto modo di leggere il MEI troverà nel PIVADIP (pag. 5 del Manifesto) proprio questa tipologia di proposta ovvero l’istituzione di una piattaforma di valutazione dei dipendenti pubblici.

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Le cause profonde dei cambiamenti nei sistemi complessi

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR

In un post recente ho detto che la trappola nascosta della ricerca delle cause radicali dei cambiamenti nei sistemi complessi è che tendenzialmente non ce n’è nessuna. Al posto delle cause radicali di solito troviamo una matassa ingarbugliata di anelli di retroazione. La credenza di aver trovato le cause è semplicemente una credenza ed una credenza fragile. Di solito basta una ricerca molto breve con una mente aperta per scoprire altri fattori che contribuiscono. L’investigazione finisce per rimettere in discussione quanto “profonda” possa davvero essere qualsiasi causa.

Ho compreso questa trappola nell’ultimo anno durante le mie investigazioni della scienza dei sistemi complessi e della cibernetica. Il soddisfacente senso di vendetta nella scoperta di una causa profonda “Be’, guarda, ECCO il tuo problema!”) si dissolve in una poltiglia man mano che le cause si rivelano essere anche degli effetti. La causa profonda candidata si rivela necessaria ma non sufficiente o mentre potrebbe essere esplicativa in alcune aree fallisce completamente nel fornire una lettura in altre.

Questa intuizione della possibile invalidità del “concetto di causa profonda” mi ha spinto a tornare sulle mie posizioni (tutte opportunamente registrate nel mio sito web) e a cominciare a scaricare in mare cause radicali come sacchi di patate andate a male. Le cause radicali candidate che ho scaricato nell’ultimo anno sono:

» Sovrappopolazione;
» Agricoltura;
» Combustibili Fossili;
» Tecnologia;
» Soldi;
» Urbanizzazione;
» Comportamento sociale;
» Capitalismo;
» Imperialismo;
» Comportamenti umani come visione a breve termine, avarizia, biasimo, competizione e politica; persino
» Termodinamica del non equilibrio

Ora, tutti questi fattori ovviamente giocano un ruolo nel Grande Casino Globale. La mia affermazione è che non possiamo indicare nessuno di questi e dire “Be’, guarda, ECCO il tuo problema!”.

Sto per ripudiare ancora un’altra credenza che è stata alla base di gran parte del mio pensiero per gli ultimi sei anni. La credenza è l’idea che un qualche peculiare “senso della separazione” umano sia ciò che ci permette di vedere l’universo come un semplice sacco di risorse da usare a nostro piacimento per soddisfare i nostri bisogni percepiti. Ho scritto per la prima volta di questa credenza alla fine del 2008, nel saggio “Separazione, Risveglio e Rivoluzione”.

Mi sono gradualmente reso conto che di fatto TUTTI gli animali senzienti vedono l’universo in questo modo – o esplicitamente come fra i mammiferi come i coyote o gli esseri umani, o implicitamente come nel caso di insetti, serpenti o molluschi. La percezione del mondo come una serie di risorse esterne è alla base della rete alimentare in generale e del rapporto predatore-preda in particolare. Essere in grado di vedere “l’altro” come cibo per sé stessi rende possibile il comportamento “prendi ciò di cui hai bisogno” che è universale per gli organismi viventi.

L’Homo Sapiens si comporta esattamente come ogni altro animale in questo senso, ma con due aggiunte cruciali: la nostra capacità di formare pensieri complessi ed astratti e le nostre capacità di risoluzione dei problemi esageratamente buone.

La nostra natura animale fondamentale (insieme ai vari principi che governano la crescita, l’acquisizione e la competizione per le risorse) stabiliscono le direttive del nostro comportamento generale. La nostra capacità tipicamente umana di risolvere i problemi attraverso la logica e l’astrazione ci trasforma quindi negli esecutori mangia-mondo di quelle direttive.

Una capacità che da un’enorme spinta alla nostra impresa di consumare il mondo è la nostra abilità di reinquadrare i nostri “desideri” come “bisogni”, dandoci così una giustificazione conveniente per la loro soddisfazione. L’abilità di ingannarci in questo modo sembra essere ancora un altro risultato della nostra abilità di creare astrazioni – stavolta dai concetti di “desiderio” e “bisogno”. L’astrazione ci aiuta a combinare le due cose mentre le analizziamo usando processi cognitivi di alto livello.

Sospetto che questo fondamento comportamentale sia piuttosto indipendente da fattori culturali. Diverse culture potrebbero avere modi molto diversi di eseguire le direttive di base, i programmi culturali che sono pesantemente influenzati dallo loro situazione locale particolare nel tempo e nello spazio. Tuttavia secondo me diverse culture NON eseguono diverse direttive di base – il programma fondamentale è coerente in tutti gli organismi (noi compresi), come espresso dalle loro interazioni coi loro ambienti locali.

Di fronte a questo, non c’è alcun bisogno di coinvolgere o dare la colpa alla cognizione, alla consapevolezza di sé o alla coscienza per lo scatenarsi del nostro processo di crescita collettiva. La consapevolezza di sé naturalmente gioca un ruolo nella nostra capacità di applicare l’astrazione e la logica alle nostre attività di risoluzione dei problemi. Ma finora non ho visto nessuna prova convincente del fatto che il sistema ha bisogno di noi per essere consapevole di sé per funzionare come funziona. E’ probabilmente per questo il perché gli esseri umani possono far funzionare una civiltà con così poche prove di introspezione, obbiettività o consapevolezza di sé.

Come gli altri candidati che ho elencato sopra, la consapevolezza di sé probabilmente non è una causa profonda del “singhiozzo del mondo” – per la semplice ragione che non ce n’è una.

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L’attuale modello di sviluppo economico è morto – dobbiamo abbandonarlo

DaThe Guardian”. Traduzione di MR

Di Andrew Simms

Un radicale cambiamento a favore dei più poveri è il solo modo per riconciliare le sfide gemelle di fermare il cambiamento climatico catastrofico e mettere fine alla povertà

La crescita della Cina guidata dalle esportazioni sta danneggiando l’ambiente e beneficiando i ricchi, non i poveri. Sopra, pedoni che indossano maschere per proteggersi dall’inquinamento dell’aria mentre attraversano una strada trafficata a Pechino. Foto: Ng Han Guan/AP

Cos’è lo sviluppo? Per troppi economisti convenzionali è stato la Cina, anche se non senza ironia. Il suo modello di sviluppo guidato dalle esportazioni e i relativi vantaggi in tutti i settori economici hanno creato il suo status di superpotenza ed ha generato globalmente la grande maggioranza di coloro che sono fuoriusciti dalla povertà. Ma c’è un problema col modello: “Pechino non è una città vivibile”, ha detto il sindaco della città Wang Anshun di recente. Il prezzo della rapida industrializzazione ed urbanizzazione è stato l’inquinamento: aria non più adatta da respirare e numero di visitatori in declino – una specie di anti-sviluppo. E’ una crisi riecheggia in India, dove una ricerca recente ha stimato che l’inquinamento ha creato una perdita collettiva di 2,1 miliardi di anni di vita. Sapendo che questo è un problema, l’India ha annunciato un piano per raddoppiare le tasse sul carbone per pagare energie alternative pulite e rinnovabili. In Cina, il premier Li Keqiang ha annunciato un obbiettivo di crescita economica inferiore, una linea molto più dura sulla  salvaguardia ambientale ed una dipendenza ridotta dalla produzione energeticamente intensiva per l’esportazione. La Cina pianifica di ridurre l’uso di energia per unità di PIL del 3,1% nel 2015 ed ha un’ambizione più a lungo termine per la metà del secolo di limitare l’uso del carbone alla metà del consumo totale di energia.

Ma una crescita inferiore significa comunque crescita al 7%. A quel tasso, l’economia cinese, già la seconda del mondo, raddoppierà in dimensioni in 10 anni. Per sottolineare un fatto ovvio ma trascurato, in termini di cambiamento climatico non importa quanto venga migliorata l’intensità energetica dell’economia se l’economia in sé cresce di un fattore più alto. Le emissioni aumentano comunque. E’ questo l’attuale quadro globale. I miglioramenti relativi dell’efficienza di alcune nazioni, come il Regno Unito, possono anche illudere per poi deludere, perché non tengono conto di come le economie che diventano maggiormente alimentate dai servizi tendono ad esportare le loro emissioni con la loro produzione manifatturiera.

La Cina è relativamente povera di risorse. Per alimentare la sua straordinaria crescita delle esportazioni, dai primi anni 70 ha avuto bisogno di più risorse naturali di quante il suo ecosistema possa fornire. L’impronta ecologica della Cina per persona è più che doppia di quanto terra, pesca e foreste nazionali possano fornire.

Le emissioni di carbonio sono a loro volta una grande parte di quell’impronta, anche se una parte significativa di queste sono relative alla produzione di beni consumati altrove. Ed è qui la sfida. In decine di milioni in Cina vivono ancora al di sotto della soglia di povertà assoluta di 1,25 dollari al giorno e la nazione si è affidata ad un modello di sviluppo alimentato dalle esportazioni che fa uso di molte risorse per affrontare questa situazione. Una cosa che in sé dipende da un modello per cui le persone ricche e consumiste del mondo comprino ancora di più delle loro esportazioni.

Questo, a sua volta, mette più pressione sulle terre e le foreste dell’Africa, di altre parti dell’Asia e dell’America Latina, visto che la Cina rastrella il mondo per le risorse. Togliete, però la Cina dall’equazione della riduzione della povertà e rimane un progresso infinitamente piccolo. Ora, i costi dell’approccio cinese, sia all’interno che all’esterno, stanno costringendo ad un ripensamento. Ma tutto il mondo è parte del modello che indica la necessità di un cambiamento sistemico.

Alla fine di quest’anno il mondo si accorderà per una nuova serie di obbiettivi globali sullo sviluppo sostenibile per rimpiazzare gli obbiettivi dello sviluppo del millennio (OSM). Fra molti altri obbiettivi, questi comprenderanno impegni per la fine della povertà in tutte le sue forme e dappertutto, evitare il cambiamento climatico pericoloso e promuovere una crescita economica sostenuta e sostenibile.

Ma con gli attuali modelli economici, questi obbiettivi sono lontanamente compatibili? Un nuovo saggio della rivista World Economic Review mostra l’economia su una traiettoria fortemente iniqua che rende questo non solo improbabile, ma assurdo. Aggiornando e sviluppando ulteriormente la nostra ricerca congiunta del 2006, David Woodward rivela come la percentuale di crescita economica che va ai poveri del mondo si è ridotta nei tre decenni dal 1980.

Coloro che vivono al di sotto degli 1,25 e i 2 dollari al giorno sono hanno avuto una fetta sempre più piccola di una torta in crescita. Ciò significa, paradossalmente, che il mondo già ricco deve consumare sproporzionatamente di più per aumentare i redditi dei poveri. Di conseguenza, mettere fine alla povertà con l’attuale modello è lento, inefficiente e incorre in problemi partici e planetari. La scala dell’economia globale ci sta già spingendo in overshoot ecologico.

Woodward calcola che a causa del divario fra ricchi e poveri, con le attuali tendenze, per portare tutte le persone nel mondo almeno alla cifra piuttosto miserabile di 1,25 dollari al giorno della soglia di povertà assoluta, ci vorrebbero ancora 100 anni. Servirebbe inoltre un’economia globale 10 volte più grande di quella sovraccarica che abbiamo oggi. Nel mondo, il reddito medio pro capite dovrebbe essere di 100.000 dollari. Per un progresso significativoportare tutti a 5 dollari al giorno, che è più in linea col soddisfacimento dei bisogni fondamentalici vorrebbero due secoli e richiederebbe un PIL per persona di 1 milioni di dollari.

E’ il motivo per cui Woodward ha chiamato il suo saggio ‘Incrementum ad Absurdum’ e perché commenta, comprensibilmente, “Non possiamo realisticamente sperare di ottenere questo con gli strumenti esistenti di politica dello sviluppo”.

Ipotizzare che un tale corso delle azioni si praticabile richiede pensiero magico e negare il modo in cui è ancora permesso di operare all’economia. Solo il mese scorso il boss di della BP ha avuto un aumento del 25% della paga mentre i salari della società sono stati congelati e il capo della banca Barclays ha preso 5,5 milioni di sterline di paga mentre la banca stava per tagliare 19.000 posti di lavoro. Le decisioni economiche che vanno dall’ampliamento di un aeroporto alla deforestazione tropicale vengono giustificati per il loro contributo allo sviluppo – ma sono solo dalla parte di chi sviluppa.

Ma sta diventando di moda dire che il dibattito climatico non dovrebbe essere caricato della ambizioni più ampie delle politiche progressiste, per ottenere un accordo migliore per i poveri e i marginalizzati. E se questi due problemi fossero realmente e strettamente legati? Il mondo sta firmando per mettere fine alla povertà. La fisica dei limiti planetari significa che in termini complessivi dobbiamo consumare di meno. Quindi, per stare dal lato giusto delle soglie ambientali, un cambiamento radicale nella distribuzione per favorire i più poveri diventa il solo modo per riconciliare le sfide gemelle di fermare l’ascesa del cambiamento climatico e ‘mettere fine alla povertà’.

Mentre i cittadini di Nuova Dehli e Pechino affogano nello smog per andare al lavoro ogni giorno ora dobbiamo sbirciare fra i veli di modelli di sviluppo defunti per trovarne un futuro diverso, migliore e collettivo.

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CRESCITA, DEBITO E BANCA MONDIALE.

Di Herman Daly
Traduzione e chiose di Jacopo Simonetta.

Si tratta di un articolo un po’ datato (15 agosto 2011), ma sempre attuale.   Lo propongo perché mi pare spieghi molto bene come funzionano gli istituti finanziari internazionali e come ragionano i loro dirigenti. 

Quando andavo alla scuola superiore di economia, nei primi anni ’60, pensavamo che il capitale fosse il fattore limitante della crescita e dello sviluppo.

  Pensavamo che bastasse iniettare capitale in un’economia e questa sarebbe cresciuta.   E man mano che l’economia cresce, è possibile reinvestire l’incremento del capitale generato dalla crescita e così crescere esponenzialmente.   Alla fine l’economia sarebbe stata ricca.   All’inizio, per avviare il processo, il capitale poteva provenire dal risparmio, da confische, da investimenti od aiuti internazionali, ma comunque la crescita avrebbe poi alimentato se stessa.   Il capitale incarnava la tecnologia, la fonte del suo potere.

  Il capitale era qualcosa di magico, ma era scarso.    Tutto ciò sembrava convincente allora.

(Un’opinione questa condivisa dagli economisti più illustri, si veda qui n.d.t)

Molti anni dopo, quando lavoravo per la Banca Mondiale, era chiaro che il capitale non era più il fattore limitante, ammesso che mai lo fosse stato.   Trilioni di dollari di capitale circolavano per il mondo cercando progetti in cui essere investiti e quindi crescere.   La Banca Mondiale capì che il fattore limitante era quello che chiamavano “progetti bancabili” – cioè investimenti che potevano concretizzare il capitale finanziario virtuale e farne crescere il valore ad un tasso accettabile, in genere 10% annuo o più, raddoppiando ogni 7 anni.
Poiché non c’erano abbastanza progetti bancabili per assorbire il capitale finanziario disponibile affinché crescesse, la WB decise di stimolare la creazione di tali progetti tramite delle “squadre per lo sviluppo dei paesi”,  spedite nei paesi indebitati ed assistiti dalla WB stessa.

Non ho dubbi che molti di questi progetti fossero utili (io invece si n.d.t) ma erano praticamente impossibili tassi di crescita del 10% e più senza deportazioni o abbattimento del capitale naturale, calcolando questo fra le entrate.  Entrambe cose che venivano fatte su grande scala.    E così i prestiti venivano ripagati.    Certamente che venivano restituiti, ma in genere non grazie ai proventi dei progetti, solitamente deludenti, bensì grazie ai proventi della tassazione generale dei paesi debitori.   Prestare a governi sovrani in grado di esigere tasse incrementa considerevolmente le probabilità di essere ripagati –  e forse incoraggia anche un certo lassismo nel giudicare i progetti.

Da dove venivano tutti questi capitali in eccesso?   Non dal risparmio – eccetto che per la Cina.

(In Cina, mi risulta che il capitale di partenza sia stato l’investimento estero richiamato mediante la protezione del medesimo in vari modi.   Bassi salari, nessun diritto dei lavoratori, nessuna legge ambientale, facilitazioni fiscali, popolazione disciplinata, polizia molto efficace, ecc.  N.d.t.).

Bensì da soldi nuovi e credito facile generato dalla riserva frazionaria del nostro sistema bancario, amplificata ed accresciuta dalla “leva finanziaria”.  
Destinatari della nuova offerta di denaro erano lontani dagli usi correnti al fine di ricavare un prezzo maggiore.

Se ci sono risorse inutilizzate e se i nuovi usi sono redditizi, il temporaneo aumento dei prezzi è controbilanciato dall’aumento della produzione – cioè dalla crescita.

Ma la scarsità di risorse e di ambienti, insieme con una carenza di progetti bancabili, bloccano questo tipo di crescita e ne risulta un eccesso di capitale finanziario che cerca di concretizzarsi in pochi progetti bancabili.

Così la WB doveva capire perché i suoi progetti davano bassi ritorni.   La risposta abbozzata sopra era ideologicamente inaccettabile perché sottintendeva un limite ecologico alla crescita.  

Una risposta più accettabile divenne presto chiara agli economisti della WB: progetti di micro livello non potevano essere produttivi in un macro ambiente di politica governativa irrazionale ed inefficiente.   La soluzione era dunque ristrutturare le macro economie mediante “aggiustamenti strutturali” – cioè libero mercato, crescita orientata all’esportazione, bilanci in pareggio, stretto controllo dell’inflazione, eliminazione dei sussidi sociali, deregolamentazione, sospensione delle leggi di tutela dell’ambiente e del lavoro – il cosiddetto “Washington Consensus”.

(Oggi si chiama “austerità”, ma la sostanza è la stessa.  Se farlo agli altri è una carognata, che dire del farlo a noi stessi? N.d.t.).

Ma come convincere i paesi debitori a realizzare questi penosi “aggiustamenti strutturali” al macro livello al fine di creare un ambiente in cui i progetti finanziati dalla WB potessero essere produttivi?   La risposta fu, convenientemente, una nuova forma di debito: i prestiti all’aggiustamento strutturale, con cui incoraggiare o comprare le riforme politiche ritenute necessarie.  

Un’ulteriore ragione per gli aggiustamenti strutturali, o “prestiti alla politica”, era la necessità di spostare rapidamente molti soldi verso paesi, come il Messico, per sostenere le loro bilance dei pagamenti, in difficoltà nel restituire i prestiti ricevuti dalle banche private americane.   Inoltre, i prestiti politici, attualmente circa metà dei crediti della WB, non richiedevano la complessa e costosa pianificazione e supervisione richieste dal finanziamento di progetti.   Il denaro si muoveva rapidamente.

La definizione di “efficienza” della WB divenne, apparentemente, “muovere il massimo dei soldi con il minimo di pensiero”.

Perché, qualcuno potrebbe chiedersi, un paese dovrebbe prendere in prestito del denaro ad interesse per fare quei cambiamenti politici che potrebbe fare da solo e senza costi, se pensasse che tali politiche sono buone?   Forse non sono veramente favorevoli a tali politiche e, dunque, necessitano di essere corrotti per fare quello che è nel loro personale interesse.   Forse lo scopo dei normali governi debitori era quello di avere un nuovo prestito, spalmare i soldi in giro tra amici e parenti, lasciando il seguente governo a restituirlo con gli interessi.

Simili considerazioni ebbero poca attenzione alla WB che era ossessionata dallo spettro di un imminente “flusso di pagamento negativo”.   Che significa: ammontare del rimborso di vecchi prestiti più gli interessi maggiore del volume di nuovi prestiti.    La WB si sarebbe contratta fino a sparire perché inutile?   Un pensiero orribile per qualsiasi burocrazia !   Ma l’alternativa ad un flusso di pagamenti negativo per la WB è un debito dei paesi sempre in crescita.

 Naturalmente la WB non dichiarò che il suo business era accrescere l’indebitamento paesi poveri.   Piuttosto che era favorire la crescita, iniettando capitale ed incrementando la capacità dei paese debitori di assorbire ulteriore capitale dall’esterno.   Se il debito cresceva, anche il PIL cresceva.   Il presupposto era che l’economia reale sarebbe cresciuta altrettanto rapidamente del settore finanziario – cioè che la ricchezza fisica poteva crescere altrettanto rapidamente del debito monetario.

 (Non solo c’è un problema di diversa velocità fra grandezze virtuali (titoli di credito/debito) e reali (impianti, aziende, strutture, ecc.).  C’è anche il fatto che le grandezze virtuali (dipendenti da leggi arbitrarie inventate dai finanzieri) possono effettivamente crescere all’infinito.   Viceversa, le grandezze reali dipendono ostinatamente dalle leggi delle fisica, della chimica e dell’ecologia, del tutto refrattarie ai desideri ed alla volontà umana. N.d.t.).

Lo scopo principale della WB è di fare prestiti, di spingere i soldi fuori dalla porta, di essere una pompa da soldi.   Se il capitale finanziario fosse effettivamente il fattore limitante, i paesi farebbero la coda con dei buoni progetti e la WB dovrebbe razionare il capitale disponibile fra di essi.   Ma il capitale finanziario è sovrabbondante ed i buoni progetti pochi, così la WB deve spingere attivamente i soldi.

Per accelerare la pompa, spediscono in giro delle “squadre per lo sviluppo dei Paesi” che inventano dei progetti.   E se i progetti falliscono, inventano dei prestiti per gli aggiustamenti strutturali finalizzati a creare un ambiente macroeconomico più favorevole.   Se i prestiti per gli aggiustamenti strutturali sono trattati come bustarelle da governi corrotti, la WB non protesta troppo per timore di rallentare la pompa da soldi ed incorrere in un “flusso negativo di pagamento”.

Se il capitale non è più il magico fattore limitante la cui presenza scatena la crescita economica, che cosa è?

“Capitale” dice Frederick Soddy, “ significa meramente un guadagno non incassato, diviso per il tasso di interesse e moltiplicato 100” (Cartesian Economics, p. 27).   Più avanti spiega che: “Sebbene il finanziatore possa essere confortato dal pensiero che la sua ricchezza esista ancora da qualche parte sotto forma di capitale, in realtà è stata usata dal finanziato sia per investimenti che per consumi; ma il cibo od i combustibili non possono più essere usati.   Anzi è diventata un debito, cioè un’incognita sui futuri guadagni….”

In altre parole, in senso finanziario, il capitale è il futuro presunto rendimento netto di un progetto, diviso per il tasso di interesse e moltiplicato 100.   Piuttosto che un potere magico, è un’incognita, un pegno, sulla futura produzione economica reale.   Se il progetto finanziato potrà in futuro estrarre maggiori risorse ed impiegare maggiore lavoro per aumentare il reddito complessivo della società, i debiti potranno essere pagati con gli interessi.   Mentre una parte dei proventi extra rimarranno come profitto.   Ma tutto ciò richiede un incremento di produttività della materia ed un aumento del lavoro.  In altre parole: richiede una crescita fisica dell’economia.  Un tipo di crescita che nel mondo di ieri, economicamente vuoto, era ragionevole; mentre non lo è più nel mondo odierno, economicamente pieno.

Oramai è generalmente riconosciuto che c’è troppo debito nel mondo, sia pubblico che privato.   La ragione per cui ci troviamo con così tanto debito è che abbiamo avuto delle aspettative di crescita assurdamente irrealistiche.   Non ci saremmo mai aspettati che la crescita stessa potesse cominciare a costarci più di quanto vale, rendendoci più poveri anziché più ricchi.   Ma lo ha fatto.
E l’unica soluzione che i nostri economisti, banchieri e politici hanno trovato è: “di più del medesimo!”

Non potremmo almeno prenderci un breve intervallo per discutere l’idea di un’economia stazionaria?

(Forse no, perché i tempi per fermare la crescita sono passati.  Ora che è iniziata la recessione  dobbiamo occuparci di gestire la decrescita.    E’ poco probabile che sussistano ancora le condizioni per stabilizzare l’economia ad un qualunque livello.   E comunque non è di questo che si stanno occupando enti ed autorità di ogni ordine, grado e colore politico. N.d.T).

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Cambiamento climatico e fame nel mondo: come ingigantire i problemi invece di risolverli

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi

Risultati di una ricerca del termined “fame nel mondo” (world hunger) usando Google Ngram Viewer. E’ chiaro che la percezione della fame come un grande problema mondiale è relativamente recente: ha raggiunto il picco negli anni 80 ed è rimasta ben radicata nella consapevolezza collettiva di oggi. Il cambiamento climatico mostrerà la stessa traiettoria in futuro? Se lo farà, questo significa che il problema può essere risolto? O non renderemo i problemi più grandi nel tentativo di risolverli

Di certo, si sta accumulando uno slancio verso qualche tipo di azione nei riguardi del clima, anche se il negazionismo sta ancora opponendo una forte resistenza. Quindi, in un certo senso, le cose vanno bene, ma è abbastanza? Abbiamo ancora tempo per un’azione significativa contro il cambiamento climatico? E se ci impegneremo in tale azione, prenderemo le decisioni giuste?

Di solito, la chiave del futuro sta nel passato e possiamo esaminare la nostra attuale situazione del clima alla luce di un problema più vecchio: la fame nel mondo, che è passata attraverso un percorso di percezione ed azione che potrebbe andare in parallelo col problema climatico.

Le carestie hanno una storia lunga e, in tempi antichi, venivano spesso percepite come “atti di Dio”. L’idea che si potesse fare qualcosa contro la fame impiegava del tempo a penetrare la consapevolezza del genere umano e forse possiamo trovarne un primo assaggio nel saggio satirico intitolato “Una modesta proposta” scritto nel 1729 da Jonathan Swift (più famoso per i suoi “Viaggi di Gulliver”), dove proponeva che gli irlandesi poveri dovessero vendere i loro figli come cibo agli inglesi ricchi. Leggendolo, si percepisce la frustrazione che sentiva Swift per il modo in cui venivano percepiti i problemi dell’Irlanda ai suoi tempi e, chiaramente, la fame non era una preoccupazione per l’élite di quel tempo. Uno dei risultati è stata la risposta lenta ed inefficace del governo britannico alle carestie irlandesi che sono sopravvenute in seguito, in particolare la grande carestia del 1845 che ha ucciso milioni di persone.

Le percezioni sulla fame nel mondo sono cambiate a metà del XX secolo e l’interesse per il problema è cresciuto rapidamente ed ha raggiunto un picco negli anni 80.Da lì in poi è diminuito, ma è rimasto un problema chiaramente visibile, una cosa sulla quale siamo tutti d’accordo che bisogna agire. Possiamo sperare per un’evoluzione simile del concetto di cambiamento climatico? Se usiamo Google Ngram viewer, possiamo confrontare i termini “fame nel mondo” (world hunger) e “cambiamento climatico” (climate change) ed ecco il risultato:

Non dovremmo prestare troppa attenzione alla grandezza relativa delle curve. Ciò che conta è che la curva del “cambiamento climatico” non si è ancora saturata, ma l’uso del termine sta crescendo rapidamente. La curva potrebbe impiegare ancora del tempo prima di raggiungere il picco, ma potrebbe arrivare un momento in cui l’importanza del cambiamento climatico diventa ovvia e nessuno lo negherà più.

Sono buone notizie, ma c’è un problema. Supponiamo che arrivi il momento in cui tutti sono d’accordo che il cambiamento climatico è un grosso problema e che dobbiamo fare qualcosa per questo. Verrà fatto qualcosa? Verrà fatto qualcosa sufficientemente in fretta? E verranno fatte le cose giuste? Su questo punto, ho paura che ci saranno problemi. Grossi problemi.

Torniamo alla fame nel mondo: la maggior parte delle persone oggi sembra essere d’accordo sul fatto che sia una storia finita bene e che il problema sia stato risolto dalla cosiddetta “rivoluzione verde,” ovvero con un forte aumento della produzione di cibo il tutto il mondo. E’ stato sicuramente un notevole successo tecnologico, ma ha risolto il problema? O non ha semplicemente creato una folle corsa fra produzione di cibo e popolazione? In questo caso, rendiamo soltanto il problema più grande, al posto di risolverlo (un caso della trappola del “cigno nero”). E la rivoluzione verde è tutta basata sull’idea di trasformare i combustibili fossili in cibo. Ma se la popolazione continua ad aumentare, mentre le riserve di combustibili fossili possono solo diminuire, avremo grossi problemi. In realtà, problemi enormi. Non risolveremo mai il problema della fame se non riusciamo a stabilizzare la popolazione umana.

La reazione della specie umana al cambiamento climatico potrebbe essere la stessa cosa. Una volta che riconosceremo finalmente che è un problema, potremmo cercare alcune soluzioni tecnologiche rapide per risolverlo e questo potrebbe soltanto rendere il problema più grande. Pensate alle varie proposte di ingegneria climatica che comportano la diffusione di sostanze riflettenti nell’alta atmosfera. Se qualcuna di queste proposte fosse messa in pratica, potremmo continuare ad emettere gas serra senza generare riscaldamento atmosferico, e probabilmente lo faremmo. Quindi, con le emissioni che aumentano, avremo bisogno di più schermatura dei raggi del Sole e, con più schermatura, continueremmo ad emettere sempre di più. Sarebbe un’altra folle corsa fra emissioni e schermatura. E se qualcosa andasse storto con la gestione della radiazione solare? Qualcosa che non abbiamo previsto e che non abbiamo capito? Ci troveremmo in grossissimi guai (qualcuno ha detto “cigno nero?”). Non risolveremo mai il problema climatico se non riusciamo a stabilizzare la concentrazione di gas serra nell’atmosfera.

A nessuno piace di giocare il ruolo del catastrofista ma qui è chiaro che abbiamo un problema gigantesco. Non è tanto un problema fisico o tecnologico, è che non abbiamo mai sviluppato metodi per risolvere problemi complessi mondiali, tendiamo più che altro a peggiorarli. Succede sempre (solo come un altro esempio, viene in mente la situazione politica in Nord Africa e in Medio Oriente). Ci sono stati diversi tentativi di sviluppare modi nuovi e più efficaci per affrontare grandi problemi, come concentrarsi sui punti di leva del sistema. Questi metodi fanno veramente una differenza, ma ci sarà mai qualche decisore politico che vi presterà attenzione?

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Il dragone, dopotutto, non si è mangiato il sole: la figuraccia di Terna con l’ordinanza di spegnimento degli impianti fotovoltaici per l’eclissi solare

Si racconta che nei tempi antichi, in Cina, quando arrivava un’eclissi di sole, si usasse battere i tamburi per cacciar via il dragone che si stava mangiando il sole. Metodo probabilmente efficace, dato che il sole c’è ancora, ma comunque un po’ fuori moda al giorno d’oggi.

Tuttavia, sembra che un terrore ancestrale associato alle eclissi solari abbia colpito anche Terna s.p.a., l’azienda che gestisce la rete elettrica in Italia. Il 13 Marzo, una settimana prima dell’eclissi, tutti gli operatori fotovoltaici in Italia hanno ricevuto una lettera appropriatamente draconiana dove ENEL comunicava che, “Terna S.p.A. ci ha comunicato la determinazione di imporre la riduzione a zero della produzione di energia elettrica degli impianti di produzione” tutto il giorno dell’eclisse.

La lettera era accompagnata da minacce altrettanto draconiane qualora gli operatori non avessero obbedito all’ordine; una specie di “grida” manzoniana alla quale mancava solo la nota sulle pene contro i “bravi”, “aumentabili ad arbitrio” Ci mancava solo che ordinassero di mettersi a battere i tamburi intorno agli impianti per cacciare il dragone che si stava mangiando il sole.

Ora, è vero che l’eclissi solare avrebbe ridotto la produzione fotovoltaica e, in teoria, questo avrebbe potuto portare a dei problemi di stabilità della rete elettrica. E’ anche vero, però, che questa riduzione era perfettamente prevedibile e che la chiusura di tutti gli impianti FV per tutto il giorno era del tutto ingiustificata.

La lettera draconiana di ENEL ha così generato molte proteste, nonché una convocazione urgente di Terna alla X commissione in Senato da parte del senatore Girotto (M5S). E’ stato fatto notare a Terna che lo “ENTSOE”, l’ente che gestisce la rete elettrica europea aveva studiato il problema dell’eclisse in dettaglio e, pur raccomandando massima attenzione, NON aveva raccomandato lo spegnimento degli impianti fototovoltaici nei paesi interessati. E’ stato anche fatto notare a Terna che l’anno scorso, lo stesso giorno di Marzo, gli impianti fotovoltaici italiani avevano prodotto un ragguardevole quantità di energia, 66 GWh, e che in tutto il mese Marzo avevano prodotto oltre l’8% del totale. Anche tenendo conto del parziale oscuramento del sole del 2015, forzare lo spegnimento di tutti gli impianti voleva dire essere costretti a rimpiazzare questa energia con energia importata, o importando combustibili fossili per generarla qui da noi. Qualche milioncino di euro in più da mandare all’estero. L’ “azienda Italia” sarebbe sopravvissuta a questo extra costo, ma perché sobbarcarselo se se ne poteva fare a meno?

Quando è venuto fuori che nessuno degli altri produttori europei (inclusi quelli più grandi, Spagna e Germania) programmava di spegnere i propri impianti, la cosa si è fatta imbarazzante per Terna, che doveva barcamenarsi fra l’accusa di incompetenza e quella di voler fare un regalino pasquale ai produttori di energia fossile. Per non parlare dell’accusa di voler, semplicemente, fare uno “sgarbo” all’odiato fotovoltaico.

Alla fine, hanno revocato l’ordinanza il giorno prima dell’eclissi! (anche se non per tutti gli impianti). E, come prevedibile, non c’è stato nessun problema in Italia, come non ce ne sono stati in Spagna e in Germania.

Il dragone, dopotutto, non si è mangiato il sole!

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Lettera ricevuta dagli operatori fotovoltaici il 13 Marzo 2015

Spett.le Produttore,

Le comunichiamo che Terna S.p.A. ci ha comunicato la determinazione di imporre la riduzione a zero della produzione di energia elettrica degli impianti di produzione appartenenti al GDPRO, così come previsto nell’Allegato A.72 al Codice di Rete di Trasmissione Nazionale predisposto da Terna S.p.A. ed approvato con la delibera 344/12/R/eel del 2 agosto 2012, e ci ha quindi chiesto di dare avvio alle procedure per l’esecuzione del suddetto ordine.

L’ordine di riduzione a zero degli impianti di produzione di tipo GDPRO, cui appartiene l’impianto di cui ci risulta essere titolare, sarà operativo il giorno 20 marzo 2015, dalle ore 00:00 alle ore 24:00, ed  interesserà:

–       aree interessate: tutte

–       gruppi di distacco interessati: tutti

–       livello di severità: massimo (L5)

In considerazione di quanto sopra dovrà procedere, autonomamente e sotto la Sua diretta responsabilità, al distacco dalla rete elettrica del Suo impianto di produzione, identificato dal codice POD IT001E41428955 per il giorno 20 marzo 2015 dalle 00:00 alle 24:00 così come richiesto da Terna S.p.A.

Al contempo Le facciamo presente che sarà chiamato a rispondere, nelle opportune sedi giudiziarie, sia civili che penali, dei danni che dovessero verificarsi al sistema elettrico nazionale a causa della mancata esecuzione dell’ordine impartito da Terna e da noi  comunicato con la presente lettera.

Le evidenziamo, poi, che l’ordine di distacco di cui alla presente comunicazione rimane valido salvo revoca che Terna S.p.A. dovrà comunicare ai distributori almeno due giorni prima del giorno in cui è previsto il distacco stesso; in tale eventualità sarà cura di Enel Distribuzione comunicarLe l’intervenuta revoca dell’ordine in questione.

Le ricordiamo che il codice del Gruppo di Distacco del proprio impianto è disponibile sul sito internet di Enel Distribuzione S.p.A.:

Distinti saluti

Enel Distribuzione S.p.A.

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Lettera ricevuta dagli operatori fotovoltaici il 19 Marzo 2015 (nota, alcuni impianti sono stati comunque spenti, questa è quella ricevuta da chi non doveva spegnere)

Spett.le Produttore,

Le comunichiamo che, in considerazione delle ulteriori analisi e valutazioni svolte Terna S.p.A. sulla base di previsioni meteorologiche più aggiornate, la stessa ci ha informato in data odierna della determinazione di REVOCARE l’ordine di riduzione a zero della produzione di energia elettrica degli impianti appartenenti ai gruppi di distacco G3 e G4 (categoria GDPRO), e oggetto di nostra precedente comunicazione relativa all’attivazione della procedura di riduzione della generazione distribuita.

In considerazione di quanto sopra, la precedente informativa da noi trasmessa in esecuzione dell’ordine impartito da Terna S.p.A. di riduzione della potenza a zero per l’intera giornata del 20 marzo 2015, è pertanto annullata e sostituita dalla presente.

Tenuto conto che il Suo impianto di produzione, identificato dal codice POD XXXX, appartiene al gruppo G3, NON  dovrà procedere al distacco dello stesso per il giorno 20 marzo 2015 così come precedentemente richiesto da Terna S.p.A.

Le ricordiamo che il codice del Gruppo di Distacco del proprio impianto è disponibile sul sito internet di Enel Distribuzione S.p.A.:


Distinti saluti

Enel Distribuzione S.p.A.

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Record negativo del massimo invernale per il ghiaccio marino dell’Artico

DaThe Guardian”. Traduzione di MR

Il record minimo della copertura di ghiaccio di questo inverno è causato dal cambiamento climatico e dal clima mite anomalo, dicono gli scienziati


Ghiaccio marino che fonde al largo dell’Alaska. Foto: MODIS/Aqua/NASA


Di Karl Mathiesen

Il ghiaccio marino dell’Artico ha stabilito un record minimo della sua estensione massima invernale, che gli scienziati dicono essere il risultato del cambiamento climatico e del clima mite anomalo. Il Centro Dati Nazionale per la Neve e il Ghiaccio (NSIDC) degli Stati Uniti giovedì ha detto che il suo picco di ghiaccio ha coperto solo circa 14,5 milioni di chilometri quadrati dei mari del nord. Circa 130.000 chilometri quadrati in meno del precedente massimo più basso del 2011. Il picco si è verificato il 25 febbraio, cosa di cui il ricercatore senior del NSIDC Ted Scambos ha detto che è stato “molto presto mano non senza precedenti”. Il cambiamento climatico sta alimentando il declino della copertura di ghiaccio nell’Artico, con uno studio recente che scopre che il ghiaccio è anche diventato significativamente più sottile, diminuito del 65% dal 1975. Scambos ha detto che gli oceani del nord si sono progressivamente riscaldati a causa del cambiamento climatico. Quest’inverno, i mari più caldi si sono uniti al clima mite per creare condizioni eccezionalmente negative per il gelo annuale. “[Il record minimo di estensione] è significativo, in quanto mostra che l’Artico viene seriamente alterato dal nostro clima che si scalda”, ha detto Scambos. “In generale, il ritiro del ghiaccio marino ha proceduto più velocemente di quanto previsto dai modelli nell’Artico, anche se i modelli si stanno mettendo in pari”.

Bob Ward, all’Istituto di Ricerca sul Cambiamento Climatico e l’Ambiente di Grantham al LSE, ha detto: “Questa è un’ulteriore prova che il riscaldamento globale ed i suoi impatti non si sono fermati nonostante le affermazioni imprecise e fuorvianti degli ‘scettici’ del cambiamento climatico”.  “Nelle ultime settimane, c’è stato un aumento della quantità di disinformazione da parte degli ‘scettici’ del cambiamento climatico nel Regno Unito e altrove, inteso a fuorviare il pubblico e i politici per far loro credere che gli effetti del riscaldamento globale sulle regioni polari siano assenti o trascurabili”. L’alterazione più pronunciata dalla copertura media 1981-2010 è stata nei mari di Bering e Okhotsk nel Pacifico settentrionale. Lassù, il bordo del ghiaccio in un anno normale era di 100-200 chilometri più a nord. Dopo marzo comincerà lo scioglimento estivo, col ghiaccio che si ritira verso il suo minimo estivo, che di solito si verifica in settembre. La copertura estiva di ghiaccio dell’Artico si trova a sua volta in un declino a lungo termine, anche se Scambos dice che un massimo invernale basso non indica necessariamente che un minimo basso sia in arrivo. La perdita di ghiaccio dall’Artico ha sollevato domande su quando la regione avrà la prima estate senza ghiaccio. Scambos ha detto che prevede che il minimo estivo scenda al di sotto di 1 milione di chilometri quadrati entro i prossimi 15 anni. A quel punto, ha detto, l’Artico sarà profondamente cambiato.

 “Un’estate con meno di 1 chilometro quadrato significherebbe che il Polo Nord sarebbe oceano aperto, che esisterebbe una via marittima a nord della Siberia e che grandi ecosistemi e fauna verrebbero gravemente colpiti. La mia ipotesi è che raggiungeremo questo livello intorno al 2030”. L’assenza di ghiaccio marino e il clima mite anomalo colpisce le comunità e la vita selvatica che sono adattate a condizioni estreme, nel circolo Artico. A  Svalbard, Kim Holmén, il direttore internazionale dell’Istituto Polare Norvegese, ha detto che i fiordi lì sono rimasti privi di ghiaccio e, al posto della normale neve, l’isola ha avuto pioggia che si è poi congelata quanto a toccato terra. “Gran parte di Svalbard è ricoperta di ghiaccio, che è uno stato fatale per le renne. Quando il territorio è coperto di ghiaccio non si possono muovere e non possono mangiare”. Troppo ghiaccio sulla terra e niente sul mare hanno anche reso la vita difficile alle 2.600 persone che vivono a Svalbard. “Il terreno ghiacciato è terribile da attraversare con la motoslitta o con gli sci”, ha detto Holmén. “Non possiamo guidare le nostre motoslitte attraverso i fiordi e ci sono posti irraggiungibili per le persone. Abbiamo avuto eventi tragici con le valanghe. Vivendo a Svalbard, abbiamo sempre avuto le valanghe, ma abbiamo avuto una vittima quest’anno. Alcuni dei rischi stanno cambiando perché abbiamo più eventi di gelo”. Holmén ha detto che questo tipo di tempo è previsto diventare normale in un clima che cambia. “Quest’inverno è un esempio di quello che crediamo diventerà più comune ed ha una profonda influenza sulle renne e i Lagopus [una specie di uccelli] ed altre creature che si aggirano sulla terraferma”, ha detto. Questa settimana, dal lato opposto dell’Oceano Artico, la corsa con le slitte Iditarod dell’Alaska è stata costretta a spostare il punto di partenza 362 km più verso nord a causa della mancanza di neve. Questo è accaduto una sola volta, in 43 anni di storia della corsa, nel 2003. Nel frattempo, il NSIDC ha detto che i banchi di ghiaccio che circondano l’Antartide hanno raggiunto un minimo estivo relativamente alto il 20 febbraio. L’estensione del ghiaccio è stata di 1,38 milioni di chilometri quadrati, la quarta più ampia  mai registrata. L’estensione del ghiaccio marino antartico, crescendo negli ultimi anni, ha confuso alcuni modelli scientifici. Ci sono diverse teorie sul perché il ghiaccio aumenti nonostante una tendenza generale al riscaldamento sul continente meridionale. “Questa è materia di un considerevole dibattito”, ha detto Scambos. “la cosa importante da dire è che l’Antartide sta certamente assistendo agli effetti del riscaldamento e dei cambiamenti della circolazione – sta partecipando al ‘riscaldamento globale’ a suo modo. Ci sono diversi effetti in gioco. Principalmente sembra che l’aumentata forza delle aree di alta pressione vicino a Ross e Weddel stiano spingendo il ghiaccio verso l’esterno del continente”.

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Affrontare l’industrialismo: non fare niente che poi non potrai ripulire!

Da “The Ecologist”. Traduzione di MR (h/t Gianni Tiziano)  

Di Derrick Jensen

La centrale elettrica e la raffineria petrolifera di Fawley nell’Hampshire, in Inghilterra, vista dalla spiaggia di Hillhead. Foto: Anguskirk via Flickr (CC BY-NC-ND 2.0). 


 
Il moderno capitalismo industriale è basato su una semplice premessa, scrive Derrick Jensen: la nostra madre Terra è un grande magazzino di materie prime che possiamo saccheggiare ed un grande bidone della spazzatura per i nostri infiniti volumi di spazzatura, non importa quanto persistenti e mortali. Come si può cambiare questo? Per prima cosa dobbiamo recuperare la nostra sanità mentale.

Alcune delle domande più importanti che abbiamo di fronte sono: cosa dobbiamo fare dei rifiuti industriali di questa cultura, dai gas serra ai pesticidi alla microplastica negli oceani? Le risposte diventano chiare se contestualizzate.

Cominciamo parlando del contesto con due indovinelli che non sono molto divertenti.

Domanda: Cosa si ottiene se si incrociano una lunga dipendenza da droghe, irascibilità ed una pistola?

Risposta: Due ergastoli per omicidio, con la prima data di rilascio per il 2026.

E,

D: Cosa si ottiene se si incrociano una grande multinazionale, due stati nazionali, 40 tonnellate di veleno e almeno 8.000 esseri umani morti?

R: Pensionamento con piena retribuzione e benefici. Warren Anderson, AD della Union Carbide. Bhopal.

Il punti di questi indovinelli non è semplicemente che quando si tratta di omicidio e molte altre atrocità, si applicano leggi diverse al povero rispetto al ricco. E non è semplicemente che la ‘produzione economica’ è un lasciapassare per uscire di galera per qualsiasi atrocità commettano i ‘produttori’, che sia genocidio, femminicidio, ecocidio, schiavitù, omicidio di massa, avvelenamento di massa e così via.

Ce ne importa qualcosa? Sappiamo già che a loro non importa… 

Il punto qui è che questa cultura chiaramente non è particolarmente interessata a ripulire i suoi casini tossici. Ovviamente, altrimenti non continuerebbe a produrne. Non permetterebbe a coloro che fanno questi casini di farlo impunemente. Certamente non premierebbe coloro che li fanno. No so se questo potrebbe o meno essere il momento di menzionare che questa cultura ha creato, per esempio, 14 quadrilioni (sì, quadrilioni) di dosi letali di Plutonio 239, che ha un’emivita di oltre 24.000 anni, il che significa che in ‘soli’ 100.000 anni quel numero scenderà fino a ‘solo’ circa 3,5 quadrilioni di dosi: evvai!

E premiarli socialmente funziona. Avrei potuto usare tutta una serie di esempi oltre a Warren Anderson, che stava giocando sul retro nove lunghi anni dopo il giorno in cui avrebbe dovuto essere impiccato (è stato condannato a morte, in contumacia, ma gli Stati Uniti hanno rifiutato la sua estradizione). C’è Tony Hayward, che ha supervisionato la devastazione della BP nel Golfo del Messico e che è stato ‘punito’ per questo con una buonuscita di 30 milioni di dollari. Oppure potremmo farvi un altro paio di indovinelli, che poi sono gli stessi indovinelli:

D: Come chiamate uno che mette del veleno nella metropolitana di Tokyo?
R: Un terrorista.

D: Come chiamate uno che mette veleno (cianuro) nelle acque di falda?
R: un capitalista: l’AD di una multinazionale che estrae oro.

Potremmo parlare dei fracker, che fanno soldi mentre avvelenano l’acqua di falda. Potremmo parlare di chiunque abbia a che fare con Monsanto. Potete aggiungere i vostri esempi. Direi che potete ‘scegliere il vostro veleno’ ma naturalmente non potete. Quelli li scelgono per voi coloro che avvelenano.

La capacità della civiltà di superare il nostro buon senso

Continuo a pensare ad una delle affermazioni sensate fondamentali (e fondamentalmente disattesa)  che abbia mai ascoltato. Dopo Bhopal, uno dei dottori che cercavano di aiutare i sopravvissuti ha affermato che alle multinazionali (e per estensione tutte le organizzazioni e gli individui) “non dovrebbe essere permesso di fare un veleno per cui non esiste l’antidoto”. Per favore notate, a proposito, che lungi dall’avere antidoti, nove su dieci delle sostanze chimiche usate nei pesticidi negli Stati Uniti non sono state testate accuratamente per la tossicità (umana). Non è una cosa che dovremmo imparare quando abbiamo tre anni? Non è questa una delle prime lezioni che i nostri genitori dovrebbero darci? Non fate casino se non potete pulire! Eppure è esattamente la motivazione fondante di questa cultura.

Certo, possiamo usare frasi altisonanti per descrivere i processi che creano casini che non abbiamo alcuna intenzione di ripulire e che in molti casi non possiamo ripulire. E quindi abbiamo frasi come ‘sviluppo delle risorse naturali’, o ‘sviluppo sostenibile’, o ‘progresso tecnologico’ (come l’invenzione e la produzione di plastiche, il cesso del mondo degli interferenti endocrini e così via), o ‘estarre’, o ‘agricoltura’, o ‘la Rivoluzione Verde’, o ‘alimentare la crescita’, o ‘creare posti di lavoro’, o ‘costruire l’impero’ o il ‘commercio globale’. Ma la realtà fisica è sempre più importante di come cerchiamo di spiegarla. E la verità è che questa cultura è basata sulla privatizzazione dei benefici e l’esternalizzazione dei costi. In altre parole, sullo sfruttare gli altri e lasciarsi dietro dei casini. Diamine, le chiamano ‘multinazionali ad affidabilità limitata’ perché uno scopo primario è quello di limitare l’affidabilità legale e finanziaria di coloro che beneficiano delle azioni delle multinazionali per il danno causato da queste azioni.

Internalizzare la pazzia

Questo non è il modo di educare l’infanzia ed è un modo ancora peggiore di educare una cultura. Sta uccidendo il pianeta. Parte del problema è che gran parte di noi sono pazzi, resi pazzi da questa cultura. Non dobbiamo mai dimenticare quello che ha scritto RD Laing sulla pazzia:

“Per giustificare il nostro complesso industriale-militare [e direi questo intero stile di vita, compresa la creazione di casini che non abbiamo né l’interesse né la capacità di ripulire], dobbiamo distruggere la nostra capacità di vedere chiaramente di nuovo ciò che abbiamo davanti ai nostri nasi e cosa abbiamo dietro. Molto prima che possa verificarsi una guerra termonucleare, ci saremo devastati per la nostra stessa follia”. 

“Cominciamo coi bambini. E’ imperativo prenderli in tempo. Senza il più accurato e rapido lavaggio del cervello le loro menti perverse vedrebbero attraverso i nostri trucchi perversi. I bambino non sono ancora dei pazzi, ma dobbiamo trasformarli in imbecilli come noi, se possibile con un QI alto”. 

Abbiamo tutti visto questo troppe volte. Se chiedete a qualsiasi bambino di sette anni ragionevolmente intelligente come fermare il riscaldamento globale causato in gran misura dalla combustione di petrolio e gas e dalla distruzione di foreste, praterie e paludi, questo bambino direbbe tranquillamente “Smettendo di bruciare petrolio e gas e smettendo di distruggere foreste, praterie e paludi!”. Se lo chiedete ad un tredicenne ragionevolmente intelligente che lavora per un’industria ‘verde’ hig tech, probabilmente avrete una risposta che aiuta in primo luogo l’industria che paga il suo stipendio. Parte del processo di lavaggio del cervello che ci trasforma in imbecilli consiste nel portarci ad identificarci più da vicino con questa cultura – e averne più a cuore il destino – piuttosto che con il mondo reale fisico. Ci viene insegnato che l’economia è il ‘mondo reale’ è che il mondo reale e giusto un luogo dal quale rubare e sul quale scaricare le esternalità.

E’ la natura che si deve adattare a noi o noi alla natura?

Gran parte di noi interiorizza la lezione in modo così completo che diventa del tutto trasparente per noi. Anche gran parte degli ambientalisti interiorizzano questo. Cosa hanno in comune gran parte delle soluzioni mainstream? Danno tutte l’industrialismo, e che il mondo naturale si debba conformare ad esso,  per scontato. Danno tutte per scontato l’impero. Danno tutte per scontato l’overshoot. Tutto ciò è letteralmente folle, in quanto a perdita di contatto con la realtà fisica. Il mondo reale dev’essere sempre più importante del nostro sistema sociale, in parte perché senza mondo reale non può esserci alcun sistema sociale. E’ imbarazzante scrivere questo. Upton Sinclair è famoso per aver detto che è difficile far capire qualcosa ad un uomo se il suo lavoro dipende da quella cosa. Aggiungerei che è difficile far capire qualcosa ad un uomo se i benefici che accumula grazie al suo stile di vita di sfruttamento e distruzione dipendono dal non capirlo. Quindi diventiamo improvvisamente stupidi riguardo ai prodotti di scarto generati da questa cultura.

Quando le persone si chiedono come possono smettere di inquinare gli oceani con la plastica, non intendono realmente “Come possiamo smettere di inquinare gli oceani con la plastica?” Intendono “Come possiamo smettere di inquinare gli oceani con la plastica e continuare ad avere questo stile di vita?” E quando si chiedono come si può fermare il riscaldamento globale, in realtà intendono “Come possiamo fermare il riscaldamento globale senza fermare questo livello di uso dell’energia?” Quando si chiedono come avere acqua pulita, in realtà intendono “Come possiamo avere acqua pulita mente continuiamo ad usare e diffondere nell’ambiente migliaia di sostanze chimiche utili ma tossiche che finiscono nelle falde acquifere?” La risposta a tutte queste domande è: non si può.

Per prima cosa dobbiamo recuperare la nostra sanità mentale. Poi dobbiamo agire

Mentre stavo scrivendo questo saggio sui casini causati da questa cultura, c’è un’immagine allegorica che non riesco a togliermi dalla mente. E’ quella di una mezza dozzina di Medici di Pronto Soccorso che fanno un bendaggio ad una persona che è stata assalita da uno psicopatico armato di coltello. I medici stanno disperatamente cercando di impedire che questa persona si dissangui. E’ tutto molto teso e incerto riguardo al fatto che saranno in grado di stagnare la fuoriuscita di sangue prima che la persona muoia. Ma ecco il problema: mentre i medici stanno facendo il bendaggio più velocemente che possono, lo psicopatico continua ad accoltellare la vittima. Peggio ancora, lo psicopatico sta infierendo ferite più rapidamente di quanto i medici siano in grado di bendarle. E lo psicopatico è pagato molto bene per accoltellare la vittima, mentre gran parte dei medici stanno bendando la vittima nel tempo libero. E infatti la salute dell’economia è basata su quanto sangue perde la vittima – e questa cultura, dove la produzione economica è misurata con la conversione della base di terra vivente in materie prime, per esempio foreste viventi  in listelli standard da costruzione, montagne viventi in carbone.

Come impediamo alla vittima di morire dissanguata? Qualsiasi bambino ve lo può dire. E qualsiasi persona sana di mente che abbia a cuore più la salute della vittima di quella dell’economia che è basata sullo smembramento della vittima ve lo può dire. La prima cosa che dovete fare è fermare l’accoltellamento. Nessuna quantità di bende compenserà un assalto che continua, di fatto un assalto che accelera. Cosa facciamo rispetto alla produzione di rifiuti industriali di questa cultura? Il primo passo è interrompere la loro produzione. In realtà il primo passo è quello di recuperare la nostra sanità mentale, cioè, trasferire la nostra lealtà dagli psicopatici alla vittima, verso, in questo caso il pianeta che è la nostra casa. Una volta fatto questo, tutto il resto è tecnico. Come li fermiamo? Li fermiamo.

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Il probabile nuovo grande picco di riscaldamento dell’atmosfera nei prossimi 5 anni

Da “Motherboard”. Traduzione di MR (h/t Micheal Mann)


Di Nafeez Ahmed

Lasciate perdere la cosiddetta “pausa” del riscaldamento globale – una nuova ricerca dice che dovremmo essere prossimi ad un’era di riscaldamento profondamente accelerato. Mentre il tasso di riscaldamento atmosferico ha effettivamente rallentato negli ultimi anni a causa di diversi cicli meteorologici naturali – dai quali nascono le tiritere degli scettici sulla “pausa” – il riscaldamento globale, complessivamente, non si è fermato. Anzi. In realtà ha accelerato, drammaticamente, ma mano che il calore in eccesso è stato assorbito dagli oceani. Abbiamo solo cominciato a renderci conto della portata di questo fenomeno negli ultimi anni, dopo che gli scienziati hanno sviluppato nuove tecnologie capaci di misurare le temperature dell’oceano con una profondità ed una precisione precedentemente non disponibili.

Nel 2011, un saggio su Geophysical Research Letters ha fatto la somma totale dei dati del riscaldamento di terra, aria e oceani. Nel 2012, l’autore principale di quello studio, l’oceanografo John Church, ha aggiornato la sua ricerca. Quello che ha scoperto è stato scioccante: negli ultimi decenni, il cambiamento climatico ha aggiunto in media intorno ai 125 trilioni di Joule di energia termica agli oceani al secondo. Come trasmettere questo fatto straordinario? La sua squadra si è inventata un’analogia: era più o meno la stessa quantità di energia che sarebbe stata rilasciata dalla detonazione di due bombe atomiche della dimensione di quella di Hiroshima. In altre parola, questi scienziati hanno scoperto che il clima dell’antropocene sta scaldando gli oceani ad un tasso equivalente a due bombe di Hiroshima al secondo. Ma man mano che arrivavano i nuovi dati, la situazione sembrava peggiore: negli ultimi 17 anni, il tasso di riscaldamento è raddoppiato a circa quattro bombe al secondo. Nel 2013, il tasso di riscaldamento è triplicato, diventando l’equivalente di 12 bombe di Hiroshima al secondo.

Quindi non solo il riscaldamento si sta intensificando, sta anche accelerando. Bruciando combustibili fossili, gli esseri umani stanno di fatto facendo scoppiare 370 milioni di bombe atomiche all’anno negli oceani – questo, insieme all’eccessivo assorbimento di biossido di carbonio da parte dell’oceano, ha alimentato l’acidificazione degli oceani e ora minaccia l’intera catena alimentare marina così come gli animali che si alimentano di specie marine. Come, ehm, molti esseri umani.

Secondo il nuovo saggio di una squadra altamente specializzata di scienziati del clima, una ragione chiave per la quale gli oceani stanno assorbendo tutto questo calore negli ultimi decenni (mascherando così la portata del riscaldamento globale permettendo alle temperature medie atmosferiche di aumentare più lentamente) è dovuto all’Oscillazione Decennale del Pacifico (ODP) uno schema meteorologico simile a El Niño che può durare fra i 15 e i 30 anni.

Nella sua fase positiva precedente, che è stata fra il 1977 e il 1998, la ODP ha significato che gli oceani assorbivano meno calore, operando quindi da acceleratore sulle temperature atmosferiche. Dal 1998, la ODP è stata in una fase ampiamente negativa, durante la quale gli oceani assorbono più calore dall’atmosfera.

Tali cicli oceanici decennali si sono interrotti di recente e sono diventati più sporadici. L’ultima fase prevalentemente negativa, è stata intervallata da una breve fase positiva che è durata tre anni fra il 2002 e il 2005. Gli autori del nuovo studio, il climatologo della Penn State Michael Mann, il geologo dell’Università del Minnesota Byron Steinman e il meteorologo della Penn State Sonya Miller, sottolineano che la ODP, così come l’Oscillazione Atlantica Multidecennale (OAM), hanno così giocato un grande ruolo nello smorzamento temporaneo del riscaldamento atmosferico.

“In altre parole, il ‘rallentamento è transitorio e probabilmente scomparirà presto”.

Cos’è successo quindi? Durante questo periodo, mostrano Mann e la sua squadra, c’è stato un aumento del “seppellimento di calore” nell’Oceano Pacifico, cioè un maggiore assorbimento di tutto il calore equivalente di centinaia di milioni di bombe di Hiroshima. Per alcuni, ciò ha creato la falsa impressione, osservando soltanto le temperature medie globali dell’aria di superficie, di “pausa” del riscaldamento. Ma come ha detto Mann, la combinazione della OAM e della ODP “probabilmente compensano il riscaldamento antropogenico dell’ultimo decennio”. Pertanto, la “pausa” in realtà non esiste, piuttosto è un artefatto delle limitazioni dei nostri diversi strumenti di misura.

“La ‘falsa pausa’ viene in parte spiegata dal raffreddamento dell’Oceano pacifico negli ultimi 1-2 decenni”, mi ha detto Mann, “ma è probabile che si inverta presto: in altre parole, il ‘rallentamento’ è transitorio e probabilmente sparirà presto”.

La scomparsa del ‘rallentamento’ significherà, in termini tangibili, che gli oceani assorbiranno meno calore. Mentre tutto il calore accumulato nell’oceano “certamente non tornerà fuori”, mi ha detto lo scienziato climatico capo della NASA, il dottor Gavin Schmidt, è probabile che significhi che meno riscaldamento atmosferico finirà per essere assorbito. “I cicli oceanici possono modulare l’assorbimento di calore antropogenico, come alcuni hanno speculato per quanto riguarda l’ultimo decennio circa, ma… il prossimo flusso andrà ancora nell’oceano”.

Secondo Mann e la sua squadra, a un certo punto ciò si manifesterà sotto forma di un’accelerazione dell’aumento delle temperature globali medie dell’aria di superficie. Nel loro studio su Science, osservano: “Dati gli schemi delle variazioni storiche passate, questa tendenza probabilmente si invertirà con la variabilità interna, aggiungendosi al riscaldamento antropogenico nei prossimi decenni”.

Quindi ad un certo punto, nel prossimo futuro, la ODP passerà dalla sua attuale fase negativa ad una positiva, riducendo la capacità degli oceani di accumulare calore dall’atmosfera. Questa fase positiva della ODP vedrà quindi un rapido aumento delle temperature globali dell’aria di superficie, man mano che la capacità degli oceani di assorbire tutte quelle bombe di Hiroshima equivalenti declina – e le lascia accumulare nei nostri cieli. In altre parole, dopo anni di riscaldamento più lento del previsto, potremmo improvvisamente sentire il calore.

Quando accadrà? Nessuno lo sa per certo, ma alla fine dello scorso anno, sono emersi dei segnali che il passaggio di fase ad una ODP positiva potrebbe avvenire proprio in questo momento. Nei cinque mesi prima di novembre 2014, le differenze delle misure della temperatura di superficie nel Pacifico sono diventate positive, secondo il NOAA. Questo è il passaggio positivo più lungo rilevato in circa 12 anni. Anche se è troppo presto per determinare con certezza se questo sia, di fatto, l’inizio di un passaggio della ODP ad una nuova fase positiva, questa interpretazione è coerente con le attuali variazioni di temperatura, che durante una fase ODP positiva dovrebbe essere relativamente te calda nel Pacifico tropicale e relativamente fredda nelle regioni a nord di circa 20 gradi di latitudine.

Nel gennaio 2015, sono emersi ulteriori segni del fatto che la ODP ora è in transizione verso una nuova fase calda. “Il riscaldamento globale sta per subire una spinta”, ha azzardato il meteorologo Eric Holthaus. I dati recenti che includono l’intensificazione della siccità e gli avvistamenti di pesci tropicali al largo della costa dell’Alaska “sono ulteriori prove di un riscaldamento dell’oceano inconsueto”, che suggerisce che una transizioni della ODP “potrebbe già essere in corso una nuova fase calda”.

Mentre non è ancora chiaro se la ODP stia realmente passando ad una nuova fase proprio ora, quando lo farà non sarà bello. Gli scienziati del britannico Hadley Centre del Met Office condotti dal dottor Chris Roberts del Gruppo per gli Oceani e la Criosfera, stimano in un nuovo saggio su Nature che c’è un 85% di possibilità che la “falsa pausa” finirà entro i prossimi 5 anni, seguita da uno scoppio di riscaldamento che probabilmente consisterà in un decennio circa di oscillazioni di oceano caldo. Roberts e la sua squadra hanno scoperto che un periodo di “rallentamento” di solito (60% delle volte) è seguito da un rapido riscaldamento al doppio del tasso di fondo per almeno cinque anni e potenzialmente più a lungo. E principalmente, questo riscaldamento sarebbe concentrato nell’Artico, una regione dove le temperature sono già più alte della media globale e che è riconosciuto essere il barometro della salute del clima globale perché i cambiamenti nell’Artico alterano drammaticamente le tendenze altrove. I recenti eventi meteorologici estremi in tutto il mondo sono stati attribuiti alla fusione delle calotte glaciali dell’Artico  e all’impatto sulle circolazioni oceaniche e il jet stream.

Ciò che questo significa, se il Met Office ha ragione, è che probabilmente abbiamo cinque anni (probabilmente di meno) prima di essere testimoni di un’ondata sovraccarica di rapido riscaldamento globale che potrebbe durare un decennio, destabilizzando ulteriormente il sistema climatico in modi profondamente imprevedibili.

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La cultura del danno massimo

Da “Films For Action”. Traduzione di MR (h/t Ellen Bermann)


Di Daniel Quinn / ishmael.org

Questo è un estratto da Oltre la Civiltà, pagine 109-118. Potete leggere di più qui o potete cercare nella vostra libreria locale e comprarne una copia.

I popoli hanno vissuto in molti modi diversi su questo pianeta, ma circa 10.000 anni fa ne è apparso uno che credeva che tutti nel mondo dovessero vivere in un solo modo – il loro modo, che consideravano il solo modo “giusto”. Dopo 10.000 anni di duro lavoro, questo unico popolo che ho chiamato i “Prenditori (Takers)”, hanno conquistato ogni continente sul pianeta e dominato completamente il mondo. Durante la loro conquista, i Prenditori hanno invaso, inghiottito, sfollato o eliminato qualsiasi altra cultura e civiltà, nel loro cammino. Una volta distrutte le civiltà del Nuovo Mondo, rimaneva solo una civiltà nel mondo – quella dei Prenditori: la nostra. Da quel punto in avanti, civiltà è stata sinonimo di nostra civiltà.

Al momento, gli Stati Uniti rappresentano il punto di massima opulenza che la nostra civiltà abbia raggiunto. Non c’è luogo al mondo in cui la gente ha di più, usa di più o spreca di più che negli Stati Uniti. Anche se altre nazioni non hanno ancora raggiunto questo punto, anelano a raggiungerlo. Non hanno altro obbiettivo. C’è solo un modo giusto per vivere e il popolo degli Stati Uniti lo incarna. Tutti nel mondo dovrebbero avere una casa, una macchina, un computer, un televisore, un telefono e così via – almeno uno di ognuno, possibilmente diversi. Questa la chiamo “la cultura del danno massimo”, una cultura in cui tutti i membri si dedicano al raggiungimento del punto massimo di opulenza (e ad aumentare all’infinito il punto di massima opulenza).

Ma come possiamo contenere la loro espansione?

Mi hanno chiesto, “Se non distruggiamo del tuttola cultura del Prenditore, non succederà che questo tornerà a e comincerà ad espandersi di nuovo?” Il Medio Evo è potuto rimanere l’Era della Fede soltanto finché la mitologia cristiana ha dominato la mente delle persone, dai servi della gleba ai re. Dopo che quella mitologia è stata avvilita e superata durante il Rinascimento, era inconcepibile che una tale Era della Fede potesse tornare. Mai più una intera civiltà abbraccerà la visione che ha dominato il Medio Evo. La stessa cosa vale per la mitologia del Prenditore. Una volta che è stato messo a nudo per ciò che è – un insieme di illusioni velenose – non sarà più in grado di esercitare il potere che ha esercitato su di noi negli ultimi 10.000 anni. Chi, sapendo che non c’è un solo modo giusto di vivere, afferrerà la spada per diffondere la visione del Prenditore? Chi, sapendo che la civiltà non è l’ultima invenzione dell’umanità, difenderà la gerarchia come se fosse l’istituzione più sacra dell’umanità? Ma gli ultimi faraoni, nella loro folle ira, non punteranno il loro arsenale nucleare su di noi? Forse lo farebbero se potessero, ma dove ci troveranno se non a vivere proprio di fianco a loro nelle loro città? Vedendo il potere scivolargli via di mano, il presidente/presidentessa bombarderà Washington D.C. per distruggere i popoli tribali che ci vivono? Il governatore di New York bombarderà Manhattan?

Qualcosa di meglio in cui sperare

Siccome tutti e sei i miliardi (il libro è del 1999, ndt) di membri della cultura del danno massimo si stanno sforzando per massimizzare la loro opulenza, non dovremmo essere allarmati soltanto da quel 1% che vive come signore dell’universo. Dobbiamo essere ugualmente allarmati per l’altro 99% che spera di vivere come signore dell’universo. Probabilmente non saranno le pop star miliardarie, gli eroi dello sport e quelli che fanno affari che ci guideranno fuori dalla prigione che dividiamo con loro. E’ il resto di noi che deve trovare la via d’uscita, che deve scoprire qualcosa di meglio da sperare di abitare una cella foderata di zibellino vicino a Barbra Streisand, Michael Jordan o Donald Trump. Il mondo può sostenere qualche milione di faraoni, ma non può sostenere 6 miliardi di faraoni.

Qualcosa di meglio in cui sperare…” Per caso si tratta di un riferimento a ciò che ho chiamato “un’altra storia in cui trovarsi” in Ishmael? E’ ciò che intendevo quando ho detto che “le persone hanno bisogno di una visione del mondo e di sé stesse che le ispiri”? E’ ciò che intendevo quando ho detto su La Storia di B che “Se il mondo viene salvato, sarà salvato perché le persone che ci vivono hanno una nuova visione”? Certo che è così.

Un obbiettivo intermedio: meno dannoso

Se per caso non fosse evidente, sto ancora lavorando sulla domanda del mio studente: “In che modo allontanarci dalla civiltà ci aiuta a vivere in modo innocuo come gli squali, le tarantole e i serpenti a sonagli?” Qualsiasi passo oltre la civiltà rappresenta un passo di allontanamento dalla cultura del danno massimo e pertanto riduce la vostra dannosità. Saltare oltre il muro della prigione non vi renderà istantaneamente innocui come uno squalo, una tarantola o un serpente a sonagli, ma mi farà fare istantaneamente un passo in quella direzione. Guardatela in questo modo: nessun passo oltre la civiltà andrà sempre a finire in maggiore danno. Se volete fare danno, vi dovete attenere alla civiltà. E’ solo all’interno di quel contesto che potete casualmente far saltare una barriera corallina con la dinamite solo perché vi crea un inconveniente. Andare oltre la civiltà limita automaticamente il vostro accesso agli strumenti necessari per far danno. La gente del Circo Flora non costruirà mai un bombardiere Stealth e non aprirà un’acciaieria – non solo perché non vorrebbero , ma perché anche se volessero, non avrebbero accesso agli strumenti. Per riconquistare l’accesso agli strumenti, dovrebbero lasciare il circo e trovare altri luoghi per sé stessi all’interno della cultura del danno massimo.

Ma è sufficientemente “meno dannoso”?

Anche se è un inizio buono e necessario, essere meno dannosi non è abbastanza. Siamo nel bel mezzo di una corsa al cibo che è più mortale di quanto fossero le armi della Guerra Fredda, per noi e per il mondo intorno a noi. E’ una corsa fra produzione di cibo e crescita della popolazione. I seguaci di oggi dell’economista inglese Thomas Malthus (1766-1834), come quelli del passato, vedono la produzione di cibo sufficiente per nutrire la nostra popolazione come una “vittoria”, proprio come i Guerrieri Freddi americani vedevano la produzione di armi sufficienti per distruggere l’Unione Sovietica come una “vittoria”. Non vedono che, proprio come ogni “vittoria” americana stimolava una “vittoria” sovietica in risposta, ogni “vittoria” nella produzione di cibo stimola una “vittoria” nella crescita della popolazione.

Ora la nostra corsa al cibo sta rapidamente trasformando la biomassa del nostro pianeta in biomassa umana. Questo è quello che accade quando disboschiamo un pezzo di terra selvaggio e ci piantiamo colture umane. Quella tera stava sostenendo una biomassa che comprende migliaia di specie e decine di milioni di individui. Ora tutta la produttività di quella terra viene trasformata in massa umana, letteralmente in carne umana. Ogni giorno in tutto il mondo la diversità sta scomparendo man mano che sempre di più della biomassa del pianeta viene trasformata in massa umana. E’ questa la corsa al cibo. E’ esattamente questa la corsa al cibo: ogni anno trasformare più della biomassa del nostro pianeta in massa umana.

Mettere fine alla corsa al cibo

La corsa agli armamenti si poteva fermare solo in due modi, o con una catastrofe nucleare o con l’uscita dei partecipanti da essa. Fortunatamente, è avvenuta la seconda. I sovietici si sono ritirati e non c’è stata alcuna catastrofe. La corsa fra cibo e popolazione è la stessa cosa. Può terminare in catastrofe, quando troppa della biomassa del pianeta è collegata agli esseri umani e sistemi ecologici fondamentali collassano, ma non deve finire in quel modo. Può finire nel modo in cui è finita la corsa agli armamenti, semplicemente con la gente che se ne allontana. Possiamo dire, “Ora capiamo che non ci può essere un trionfo finale del cibo e della popolazione. Questo perché ad ogni vittoria ottenuta da parte del cibo risponde una vittoria da parte della popolazione. Dev’essere così, è sempre stato così e possiamo capire che non smetterà mai di essere così”.

Ma non succederà a causa di queste poche parole – nemmeno delle migliaia che ho dedicato a questo negli altri miei libri e discorsi. Questo tema attacca la nostra mitologia culturale al livello più profondo – un livello di gran lunga più profondo di quanto immaginassi quando ho pensato che potesse essere gestito con poche pagine su Ishmael. E’ il Minotauro che mangia l’uomo al centro del labirinto della nostra cultura… ben oltre lo scopo della presente spedizione.

100 anni oltre la civiltà

Ci saranno ancora persone viventi qui fra 100 anni – se cominciamo a vivere in un nuovo modo, presto. Ma come ci arriviamo e come sarà? Gli utopisti non riescono a mollare l’idea che subentrerà gente più dolce, gentile e amorevole. Io preferisco guardare ciò che ha funzionato per milioni di anni per le persone come sono. La santità non è richiesta. Per proiettare nel futuro: man mano che le persone cominciano ad andare oltre il muro nei primi decenni del nuovo millennio, i nostri guardiani sociali sono i primi ad allarmarsi, vedendo la cosa come foriera della fine della civiltà come la conosciamo. Cercano di alzare il muro con filo spinato sociale ed economico ma si rendono conto presto della sua futilità. Le persone continueranno a trascinare pietre se sono convinte che non ci sia un altro modo di fare, ma una volta che si apre un altro modo, niente li può fermare dalla defezione. Inizialmente i disertori deriveranno il loro sostentamento dai costruttori di piramidi, proprio come fanno i circhi oggi. Col passare del tempo, tuttavia, cominciano ad essere meno dipendenti dai costruttori di piramidi. Interagiscono sempre di più fra loro, costruendo la loro economia intertribale. Dopo cento anni la civiltà esisterà ancora a metà della sua dimensione attuale. Metà della popolazione mondiale appartiene ancora alla cultura del danno massimo, ma l’altra metà, vivendo in modo tribale, si gode uno stile di vita più modesto, diretto più ad ottenere ciò che le persone vogliono (contrariamente al semplice ottenere di più).

200 anni oltre la civiltà

Gradualmente, l’equilibrio di potere economico passa dalla “civiltà” (da questo momento sempre appesantita dalle virgolette) e “oltre la civiltà” che la circonda. Sempre più persone vedono che possono barattare una gran quantità di cose che non vogliono profondamente (potere, status sociale e i suoi presunti vantaggi, amenità e lussi) per cose che vogliono davvero profondamente (sicurezza, un lavoro che ha senso, più tempo libero ed equità sociale – tutti prodotti dello stile di vita tribale). “L’economia”, non più legata ad un mercato in continua espansione, è diventata una questione sempre più locale, man mano che le imprese nazionali e multinazionali perdono gradualmente la loro ragione di essere.  Dopo 200 anni, la cosa che chiamiamo civiltà è alle spalle e sembra curiosamente obsoleta come la teocrazia di Oliver Cromwell. Le città ci sono ancora – dove dovrebbero andare? – così come le arti, le scienze e la tecnologia, ma non sono più strumenti e incarnazioni della cultura del danno massimo. Non mi abbandono a queste speculazioni per far valere i poteri della profezia. Li butto nell’acqua per mostrarvi a quale parte dello stagno sto puntando… e vi faccio seguire le onde fino alla spiaggia del presente.

Ma dove si trova esattamente l’”oltre”?

Nello scenario utopico paradigmatico, si mettono insieme gli amici, ci si attrezza con strumenti agricoli e si trova un angolo di paradiso selvaggio verso il quale fuggire ed allontanarsi da tutto. L’apparente attrazione di questa vecchia fantasia stanca è che non richiede alcuna immaginazione (essendo già bella e pronta), può essere messa in pratica quasi da tutti con i dovuti finanziamenti e a volte funziona davvero per più di qualche mese. Sostenerla come soluzione generale per sei miliardi di persone stabilirebbe il record assoluto di inanità. La civiltà non è un territorio geografico, è un territorio sociale ed economico dove i faraoni regnano e le piramidi vengono costruite dalle masse. Analogamente, oltre la civiltà non è un territorio geografico, è un territorio sociale ed economico dove le persone in tribù aperte perseguono obbiettivi che potrebbero essere o meno riconosciuti come “civilizzati”. Non si deve “andare da qualche parte” per andare oltre la civiltà. Devi condurre la tua vita in modo diverso.

Daniel Quinn è famoso come autore di Ishmael, usato nelle classi dalle scuole medie alle superiori in tutto il mondo. Altri lavori comprendono La Storia di B, Il mio Ishmael, Oltre la Civiltà, Dopo Dachau, Il Sacro, I Racconti di Adamo e Se ti danno un quaderno a righe, scrivi di traverso.

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