Effetto Cassandra

Il risveglio dei Draghi.

Di Jacopo Simonetta

Il primo aprile 2015 sul sito ufficiale della prestigiosa rivista “Nature” è stato pubblicato un articolo che ha suscitato una certa sorpresa.

In questo “pesce d’aprile” in stile tipicamente britannico, gli autori sostengono che, fra le conseguenze più inattese e letali del riscaldamento climatico, potrebbe verificarsi, a breve termine, il risveglio in massa dei draghi che si troverebbero attualmente in letargo.   L’analisi di documentazione storica inedita, proverebbe infatti che questi animali esistono veramente e che in passato hanno a più riprese inferto gravi danni all’umanità.   Non a caso in corrispondenza delle fluttuazioni calde del clima terrestre.

In un mio precedente post ho sostenuto che ci sono solide ragioni scientifiche per ritenere che Godzilla non esista, mentre esiste un ben più temibile mostro: il Leviatano (sensu Hobbes).   Forte di questa esperienza, vorrei qui discutere se, dietro la goliardata, questo articolo non possa celare una verità la cui portata, forse, sfugge agli stessi autori.

Per cominciare, cosa sono i draghi?    Al di la di una miriade di varianti locali e temporanee; al di là soprattutto della loro completa demonizzazione perpetrata in Europa dalla Chiesa, i Draghi sono conosciuti praticamente in tutto il mondo con le seguenti caratteristiche:

  • Dimensioni gigantesche.
  • Corpo serpentiforme, con o senza arti.
  • Lanciano fiamme; di solito con la bocca, ma talvolta dagli occhi.
  • Volano, con o senza ali.
  • Sono strettamente associati sia all’acqua che al fuoco ed all’aria.
  • Sono osservabili specialmente in occasione delle tempeste.
  • Sono sempre estremamente pericolosi, ma non necessariamente ostili.   Talvolta possono anche giovare gli umani, ad esempio mediante la pioggia.
  • Contro la loro ira gli uomini non hanno altra difesa che nascondersi o fuggire.   Solo i maggiori fra gli Dei o fra gli eroi possono, in qualche caso, vincere un drago (in Europa ci sono riusciti Apollo, Perseo e S. Giorgio).
  • Sono irascibili e tendenzialmente feroci, ma talvolta elargiscono agli uomini tesori di una saggezza antica.
  • Quando non volano, sonnecchiano a guardia di luoghi od oggetti della massima importanza, come l’Albero Cosmico.   
  • I loro rifugi sono perlopiù sotto le montagne, o sotto le acque.

Alla nostra mente analitica e materialista, tutto ciò parla solo di contorti meccanismi psicologici e culturali che tessono fantastiche leggende attorno a fenomeni naturali incompresi.   Ma non dimentichiamoci che praticamente tutte le civiltà precedenti la nostra hanno invece praticato con estrema serietà e scrupolo una lettura simbolica della realtà.   I veggenti sono stati per millenni fondamentali nella formazione della cultura, almeno quanto lo sono oggi gli ingegneri e gli avvocati.

Se dunque facciamo un piccolo sforzo di lettura simbolica, non risulta difficile identificare il Drago con la Tempesta che, per l’appunto, associa in un unico fenomeno altamente pericoloso e spesso distruttivo il fuoco dei fulmini, l’acqua della pioggia e delle piene, il vento.   Anzi, il Drago potrebbe essere semplicemente la forma con cui i veggenti “vedono” la tempesta.

In quest’ottica, la sostanziale uniformità strutturale con cui vengono descritti i draghi, articolata però in una miriade di varianti, sarebbe il frutto dell’interazione tra un fenomeno reale ed universale, ma non dotato di una forma definita, con il bagaglio culturale e l’immaginazione (sensu Schopenhauer) dell’osservatore.

Certo, non tutti i draghi sono riconducibili a fenomeni meteorologici estremi, ma moltissimi si.   Se questa interpretazione fosse corretta, si dovrebbe riconoscere a Hansen il merito di aver compiuto lo sforzo maggiore per mettere in guardia l’umanità da questo flagello.   Non vi è alcun dubbio, infatti, che il riscaldamento climatico stia risvegliando i Draghi in tutto il mondo.   Forze incontrollabili che, in maniera del tutto imprevedibile, travolgono noi  e  le nostre città  con la stessa disinvoltura con cui gli umani travolgono e devastano gli ecosistemi.

Ma quale potrebbe essere la relazione fra le tempeste e l’Albero Cosmico?   Ovviamente dipende dall’interpretazione che diamo di questo simbolo.   La più accreditata è che si tratti dell’asse di rotazione terrestre, ma altre ne sono possibili e compatibili.   In fondo, la potenza della mitologia risiede proprio nel fatto che presenta numerose realtà contemporaneamente.  

Un’altra interpretazione possibile dell’Albero Cosmico è che rappresenti la struttura portante delle realtà in cui viviamo.   In quest’ottica, l’Albero rappresenterebbe quindi il mondo vegetale su cui vivono gli animali e che crea la vita, armonizzando i quattro elementi in cui è contemporaneamente immerso: Aria, Acqua, Terra e Fuoco.

In parole contemporanee: l’ecosistema globale, in cui la vegetazione crea sinergia tra i fattori abiotici (atmosfera, acqua, suolo, energia).   Ma possiamo immaginare che le Tempeste ne siano i guardiani?   Francamente non ne sono sicuro, ma forse si, nella misura in cui le avversità climatiche hanno sempre rappresentato un potente fattore limitante per l’umanità.    Perlomeno finché l’uso industriale del petrolio non ci ha permesso di sviluppare tecnologie talmente potenti da prevalere perfino sul clima.   Temporaneamente; perché le conseguenze inattese di questo fatto stanno destando una nuova razza di “Draghi” sempre più temibili, mentre le nostre risorse per contrastarli iniziano a scarseggiare.

E che la prudenza sia una consigliera più affidabile della superbia è forse uno dei tesori di saggezza antica che i Draghi stanno cercando di insegnarci.  Per il momento, invano.

Dunque, potremmo dire che i Draghi stanno attaccando il Leviatano.   Per ora si tratta di eventi che, per quanto tragici a livello locale, hanno un impatto molto marginale sull’umanità nel suo complesso.   E certamente il Leviatano ha ancora molte carte da giocare in materia di sviluppo tecnologico, ma nel suo slancio di crescita indefinita e di dominio assoluto, sta oramai digerendo il suo stesso corpo.   Questo lo indebolisce, mentre Draghi sempre più forti e numerosi stanno sorgendo dagli abissi del cielo e degli oceani.

Draghi contro Leviatano!   Non ci crederete, ma stiamo partecipando ad una battaglia mitologica, eppure tanto reale da causare migliaia di morti e miliardi di danni ogni anno.

Nel frattempo, una rapida incursione nell’iconografia popolare, dimostra che queste creature stanno vivendo un autentico “revival” nell’iperspazio virtuale.   Sempre più, i draghi dilagano infatti ovunque si lasci spazio alla fantasia: nel cinema, nei videogiochi, nell’arte, su internet, eccetera.    Ma ancora più interessante è il fatto che il nostro atteggiamento verso queste creature sta cambiando.   Da simbolo di un Male assoluto da distruggere, a simbolo di una Natura indomita, ma non intrinsecamente ostile.   Per alcuni, perfino un simbolo di speranza.
I Draghi non esistono come animali e non sono la causa delle tempeste o dei terremoti, ma esistono sicuramente come simboli.   Al di la degli scherzi, un così diffuso e radicale cambiamento di atteggiamento nei loro confronti potrebbe quindi essere indizio che qualcosa di molto profondo sta davvero ambiando nell’inconscio collettivo di una frazione marginale, ma consistente dell’umanità.
Come andrà a finire?   Si accettano profezie.

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Lo strano caso dei conciatori climatologi

Vero cuoio? Probabilmente si, ma sarà vera la lettera sul cambiamento climatico che è arrivata dall’unione nazionale industrie conciarie (UNIC)?

Che ne pensereste se un’associazione di climatologi si mettesse a spiegare ai conciatori come si conciano le pelli? Se per caso avvenisse una cosa del genere, come minimo i climatologi che ci si fossero impegnati andrebbero gentilmente indirizzati a uno psichiatra.

Altrettanto strano sarebbe che un’associazione di conciatori di pelli tirasse fuori un comunicato dove si spiega ai climatologi che hanno sbagliato tutto fino ad ora e che la vera scienza del clima la sanno loro, i conciatori!

Bene, sembra che sia avvenuta proprio una cosa del genere con l’Unione Nazionale Industria Conciaria (UNIC) che ha inviato ai propri associati delle lettere sul clima completamente assurde.

Nella prima lettera, datata il 20 Marzo 2015, si spiega, fra le altre cose, che il riscaldamento globale non esiste, che comunque è causato dal sole e che stiamo andando verso una nuova era glaciale. La lettera arrivava dal “Servizio Ambiente” dell’UNIC, con firma illeggibile. Qualche giorno dopo, in data 1 Aprile, è arrivata un’altra lettera sull’argomento, ancora più assurda e piena di errori (fra le altre cose, sbagliando l’IPCC con l’IPPC – che è tutta un’altra cosa). Questa seconda lettera è firmata da S. Mercogliano, Direttore Generale di UNIC.

Ora, queste due lettere avevano tutta l’aria di un pesce d’Aprile, specialmente la seconda. Ma non era chiaro e, comunque, come pesce d’Aprile sembrava alquanto di cattivo gusto. Perciò mi è parso il caso di scrivere a UNIC sul loro sito, chiedendo gentilmente se era opera loro (e, nel qual caso, come la si dovesse intendere) oppure se qualcuno avesse scritto questo documento per metterli in cattiva luce.

Due settimane dopo, nessuna risposta da UNIC.

A questo punto, dobbiamo veramente credere che il direttore Generale dell’Unione Nazionale Industria Conciaria si sia improvvisamente scoperto climatologo e abbia scritto delle lettere del genere? Lettere, poi, spedite a nome di un’associazione teoricamente seria e che dovrebbe rappresentare un’intera categoria di industrie italiane? E’ possibile che le industrie italiane del cuoio accetino di essere rappresentate da persone che si lanciano pubblicamente a scrivere colossali sciocchezze sul clima terrestre?

Non vi so che dire, l’unica cosa che posso commentare al momento è che non siamo ancora in Estate, per cui l’ipotesi di un colpo di sole sembrerebbe da scartare, almeno per ora.

Se qualcuno dell’UNIC, o lo stesso Sig. Mercogliano, vogliono smentire la provenienza di questi documenti, sarò lieto di pubblicare la loro smentita su questo blog. Altrimenti, mettiamo questa strana storia in archivio come “lo strano caso dei conciatori climatologi;” una delle tante assurdità del dibattito sul clima.

Di questa curiosa storia ha parlato anche Ocasapiens sul blog di Repubblica, come pure Daniele Pernigotti, qui, e qui (che ringrazio per avermi i documenti  dell’UNIC)

Ecco le due lettere

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La circolare n. 43 dell’UNIC (??)

Milano, 20 marzo 2015
 

CIRCOLARE N. 43 ALLE AZIENDE ASSOCIATE
RISCALDAMENTO GLOBALE?
 

La teoria del riscaldamento globale di origine antropica, propagandata da media e governi, risulta sempre più lontana dalla realtà. I fatti dicono che i ghiacci dell’Artico non stanno scomparendo, che dal 2000 al 2014 la temperatura media globale non è aumentata e le aree desertiche sono in diminuzione. Secondo alcuni studi scientifici, l’aumento della temperatura media del globo riscontrato nel secolo scorso è spiegabile sulla base dell’andamento dell’attività del Sole, deducibile dall’analisi delle macchie solari.

In base alle recenti rilevazioni compiute dai ricercatori, dal 1938 al 2000 l’attività delle macchie solari ha manifestato un periodo di forte intensità, indice di una maggiore radiazione solare (energia) trasmessa nello spazio circostante e quindi verso la Terra. Le variazioni di energia solare hanno un impatto sul clima terrestre sia diretto, tramite il calore che influisce direttamente sulla temperatura, che indiretto, attraverso la formazione delle nuvole (effetto raffreddante).

Dal 2000 l’analisi dei cicli di macchie solari mostra una diminuzione dell’attività solare e l’inizio di un “ciclo” freddo, che porterà nei prossimi anni ad un sensibile raffreddamento ed a maggiori precipitazioni. 

SERVIZIO AMBIENTE Prot. n. 123.436 SM/FO 


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UNIONE NAZIONALE INDUSTRIA CONCIARIA
Aderente a Confindustria
20123 Milano, Via Brisa, 3 – Italy
Tel. 02 880771.1 Fax 02 860032
e-mail unic@unic.it
www.unic.it
Milano, 1 aprile 2015
Prot. n. 123.452 SM/FO
 

ALLE AZIENDE INTERESSATE
RISCALDAMENTO GLOBALE
 

Steve Cohen, direttore dell’Earth Institute della Columbia University di New York, uno dei maggiori centri internazionali di studi ambientali, ha ammesso che il catastrofismo ha stancato.
 

Il filosofo francese Pascal Bruckner ha contestato le comunicazioni verdi “alla Al Gore”, tese a spaventare per estorcere sacrifici (e finanziamenti).
 

Naomi Klein, famosa no-global anti-capitalista, ha riconosciuto che il movimento ha fallito, sia per essersi affidato a testimoni messianici (Obama) sia per aver rifiutato sistematicamente senza alcuno spirito costruttivo.
 

I dati sul surriscaldamento terrestre oggi sono controversi.
 

L’Hadley Centre dell’ufficio meteorologico britannico ed il Climatic Research Unit dell’Università East Anglia hanno rilevato che l’aumento delle temperature si è fermato da un quindicennio.
 

Gli si contrappone, spinto da potenti lobby, l’IPPC, organismo ONU, che da decenni addossa ogni colpa alle emissioni di anidride carbonica provocate dall’uomo.
 

Nel frattempo multinazionali ed industrie private hanno adottato autonomamente processi ed impatti sostenibili, per risparmiare e per maggiore efficienza, come è avvenuto per la conceria italiana.
 

Chicco Testa, ex leader ambientalista e parlamentare di sinistra, ha constatato che la furia anti-capitalista di gran parte degli schieramenti ecologisti ha sbagliato; anzi, proprio gli imprenditori hanno saputo fare propri i temi e trasformarli in mode di consumo. Ha inoltre dichiarato che Greenpeace è diventata una società di comunicazione, che raccoglie soldi dai donatori attraverso la “spettacolarizzazione” continua dei problemi: balene, carbone, pozzi petroliferi. Gridando all’emergenza avrebbero racimolato l’anno scorso 200 milioni di dollari.
 

Il prof. Maurizio Masi, Direttore del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica del Politecnico di Milano, che collabora con noi, condivide l’approccio pragmatico verso l’uso razionale delle risorse, attestato da: report di sostenibilità, redazione di capitolati sostenibili, efficienza energetica. I calcoli attualmente in discussione sull’impronta ambientale (carbon footprint), che ci vedono penalizzati a causa degli atteggiamenti di burocrazia comunitaria e lobby di terzi (macellatori francesi), dovranno pertanto essere rivisti in chiave più favorevole alla concia.
 

Cordialità
 

S.Mercogliano

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La circolazione atlantica è la più debole degli ultimi mille anni

Da “Climate Central”. Traduzione di MR (h/t Michael Mann)

Di John Upton 

Un trascinante sistema di trasporto oceanico che introduce acque calde tropicali nel Nord Atlantico sembra avere parzialmente recuperato da un quasi collasso più o meno quando si sono sciolti i Beatles, ma il sistema rimane più debole di quanto fosse da quando gli esseri umani hanno trovato il modo di scrivere musica su una pagina. Le potenti correnti dell’Oceano Atlantico alimentano il i flussi del Golfo, condizionano i livelli del mare, riscaldano le città dell’Europa Continentale e del Nord America e trasportano i nutrienti in superficie dalle profondità dell’oceano che aiutano a sostenere gli ecosistemi marini e la pesca. Ma una valanga di acqua fredda proveniente dalla fusione della calotta glaciale della Groenlandia sembra che stia rallentando la circolazione oceanica a livelli mai verificatisi in più di 1.000 anni.

I cambiamenti delle correnti atlantiche possono aumentare i livelli del mare lungo la costa di New York. Foto: Cindy Higby/Flickr

E’ questa la conclusione di un nuovo e audace tentativo di combinare misurazioni della temperatura  e dati relativi al clima ottenuti faticosamente da campioni di corallo, carote di ghiaccio e anelli degli alberi per tracciare il preoccupante declino del cruciale fenomeno dell’Oceano Atlantico. La nuova ricerca, pubblicata lunedì su Nature Climate Change, ha usato osservazioni e studi delle temperature della superficie del mare per produrre un nuovo indice – uno che traci la forza in diminuzione della Circolazione Termoalina Meridionale Atlantica (Atlantic Meridional Overturning Circulation – AMOC), uno dei sistemi di circolazione più importanti del pianeta. L’indice rivela un moderno indebolimento della AMOC, compresi un netto rallentamento fra il 1970 e il 1990, che è già stato ampiamente rilevato, seguito da un parziale recupero che, ciononostante, non ha riportato il sistema al suo vigoroso stato preindustriale.

Il nuovo indice mostra l’indebolimento della circolazione di ribaltamento meridionale atlantica. Foto: Nature Climate Change

Se le relazioni climatiche identificate dai ricercatori, guidati dall’Istituto per la Ricerca sull’Impatto del Clima di Potsdam, in Germania, si rivelassero vere, i tassi di fusione in aumento in Groenlandia “potrebbero portare ad un ulteriore indebolimento della AMOC entro un decennio o due e probabilmente ad un arresto sempre più permanente” delle sue componenti fondamentali, avvertono gli scienziati nel loro saggio. Le scoperte della ricerca sono state “drammatiche”, ma coerenti con le proiezioni dei modelli climatici computerizzati, ha detto Stephen Griffies, un modellatore climatico ed oceanografico del NOAA. Griffies non è stato coinvolto nello studio. Ha contribuito alla recente ricerca collegando i cambiamenti improvvisi della AMOC con un picco storicamente senza precedenti dei livelli del mare lungo le linee costiere nordorientali degli Stati Uniti nel 2009 e 2010. Altri ricercatori hanno collegato lo stesso rallentamento della AMOC di cinque anni fa con gli inverni rigidi in Europa e con il picco dell’attività degli uragani.

“E’ inevitabile, dal mio punto di vista, che cominceremo a vedere sempre più prove del rallentamento della circolazione”, ha detto Griffies. “se la circolazione termoalina rallenta ulteriormente, questi eventi di livello del mare estremo sulla costa orientale diventeranno più frequenti”. Michael Mann, un professore dell’Università di Stato della Pennsylvania (Penn State) che dirige la scuola del Centro per la Scienza del Sistema Terrestre ed uno degli autori del nuovo studio, ha detto che il ghiaccio della Groenlandia sta fondendo prima del previsto, cosa che potrebbe spiegare perché la AMOC sembra rallentare “decenni prima del previsto”. Mann ha detto che l’improvviso rallentamento della AMOC intorno al 1970 “sembrava un collasso abortito” – e che un “collasso pieno” potrebbe essere possibile nei prossimi decenni. Le esatte conseguenze di un rallentamento in corso della AMOC sono difficili da prevedere, secondo Mann, ma ha avvertito che potrebbe ridurre la sicurezza alimentare globale trattenendo i nutrienti del mare profondo dalle catene del pesce ed alimentari che prosperano nelle acque più superficiali dell’Oceano Atlantico. “La regione più produttiva, in termini di disponibilità di nutrienti, sono le alte latitudini del Nord Atlantico”, ha detto Mann. Se le perdiamo, è una minaccia di fondo alla nostra capacità di continuare a pescare”.

Il Tratto di oceano che si raffredda a sud della Groenlandia
è collegata ai cambiamenti in corso della AMOC.
Foto: Nature Climate Change 

Senza l’AMOC che trasporta il calore lontano dai tropici e lo redistribuisce, ha detto Mann, parte dell’emisfero settentrionale potrebbe diventare più freddo. Ma ha anche detto che uragani, Noreaster e altre tempeste potrebbero diventare più comuni, fornendo al calore una strada alternativa sulla quale viaggiare. “Se si spegne questo modalità della circolazione oceanica, si nega al sistema climatico uno delle sua modalità di trasporto del calore”, ha detto Mann, “se gli si nega una modalità di trasporto, spesso succede che si vedano aumentare altre modalità di trasporto”. Il nuovo indice AMOC “attrarrà sicuramente molta attenzione”, ha detto Stephen Yeager, un ricercatore al dipartimento di oceanografia del Centro Nazionale per la Ricerca Atmosferica. Yeager ha detto che è rimasto scettico sull’affidabilità di alcuni dei dati delle temperature usati e che altre ricerche suggeriscono che l’aumento delle temperature giochino di più un ruolo nel rallentamento della circolazione del dilavamento di acqua di fusione dalla Groenlandia. “Il saggio presenta una nuova prospettiva stimolante£, ha detto Yeager. “Molte delle idee espresse in questo saggio richiederanno un ulteriore e sostanziale verifica e sperimentazione”.

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Livelli di metano inizio 2015

Da “Arctic News”. Traduzione di MR

Di Sam Carana

L’immagine sotto mostra le letture medie più alte di metano nello stesso giorno, in questo caso il 10 marzo, in tre anni diversi, 2013, 2014 e 2015, ad altitudini prestabilite. Il confronto indica che l’aumento di metano in atmosfera sta accelerando, specialmente ad altitudini maggiori.

La tavola sotto mostra le altitudini equivalenti in mb (millibar e piedi (p).

Questo aumento dei livelli globali medi di metano appare andare a braccetto con letture molto più  alte dei picchi, specialmente ad altitudini maggiori.

Dal primo gennaio a 20 marzo 2015, i livelli di metano hanno raggiunto livelli di 2619 parti per miliardo (ppmd) (il 12 gennaio 2015), mentre il picco medi dei livelli è stato di 2373 ppmd. All’inizio dell’anno, i livelli globali medi di metano raggiungono tipicamente il loro punto più basso, mentre i livelli medi vengono raggiunti tipicamente a settembre. I livelli giornalieri medi globali più alti di metano del periodo dal primo gennaio al 20 marzo 2015 sono andati da 1807 ppmd (6 gennaio 2015) a 1827 ppmd (5 marzo 2015).

Un ulteriore studio delle località con alti livelli di metano indica che gran parte del metano aggiuntivo sembra avere origine dal rilascio ad altitudini maggiori dell’Emisfero Nord, in particolare dall’Oceano Artico, da dove col tempo discende verso l’equatore (il metano si sposterà tipicamente più vicino all’equatore col tempo, in quanto sale di altitudine, come discusso in questo post precedente).

La più grande fonte di metano addizionale sembrano essere le emissioni dal fondo del mare dell’Oceano Artico. Le emissioni annuali dagli idrati sono state stimate in 99 Tg annuali in un post del 2014 (immagine sotto).

L’immagine sotto, basata sui dati dell’IPCC e della World Metereological Organization (WMO), con un’osservazione aggiunta da un’immagine del satellite MetOp del NOAA, illustra il recente aumento dei livelli di metano e la minaccia che i livelli di metano continuerà ad aumentare rapidamente.

Cosa causa le eruzioni di metano?
Le eruzioni di metano dal fondo dell’Oceano Artico sembrano essere causate principalmente dall’aumento del calore dell’oceano che viene portato dalla Corrente del Golfo nell’Oceano Artico. L’immagine sotto mostra le temperature della superficie del mare di 20,9°C (cerchio verde a sinistra) registrata al largo della costa del Nord America il 14 marzo, un’anomalia di 12,3°C. 
Inoltre, sia le eruzioni di metano dal fondo dell’Oceano Artico sia la scomparsa del ghiaccio marino dell’Artico e della copertura nevosa sono retroazioni che possono interagire ed amplificarsi a vicenda in modi non lineari, con conseguenti aumenti rapidi ed intensi della temperatura, come illustrato nell’immagine sotto.

Schema della sventura – per ulteriori sfondi, vedete le retroazioni 
Di quanto potrebbero aumentare le temperature?
La cosa preoccupante è che una tendenza non lineare è contenuta anche nei dati della temperatura che la NASA ha raccolto negli anni, come descritto in un post precedente. Una linea di tendenza polinominale indica anomalie della temperatura di oltre 4°C per il 2060, Ancora peggio, una tendenza polinominale per l’Artico mostra anomalie della temperatura di oltre 4°C per il 2020, 6°C per il 2030 e 15°C per il 2050, minacciando di causare l’intervento di grandi retroazioni, compresi cambiamenti dell’albedo e rilasci di metano che innescheranno un riscaldamento globale fuori controllo che alla fine sembra destinato a raggiungere il riscaldamento accelerato dell’Artico portando ad anomalie della temperatura globale di 16°C per il 2052.
Azione
La situazione è terribile e richiede un’azione complessiva ed efficace, come discusso sul blog Climate Plan.

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Dobbiamo farla finita con questa assurdità del “effetto sgocciolamento” una volta per tutte

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

La mercificazione delle nostre vite sta creando una società povera di tempo che danneggia la nostra felicità e il nostro pianeta e alla fine danneggerà anche la nostra economia

‘Storicamente, la crescita e la disuguaglianza sono state partner di una danza macabra di reciproca legittimazione’. Foto: Jorge Royan/Alamy 

Quali sono i mattoni di una politica post crescita? E come possiamo arrivarci da qui? Una parte cruciale della risposta è che ci serve una profonda riformulazione delle domande centrali della politica. In primo luogo, dovremmo parlare di meno di economia come macchina per produrre più beni (molti dei quali risultano essere dei ‘mali’). Dovremmo parlare di più dello scopo di un’economia: soddisfare bisogni, creare una società migliore e migliorare la nostra qualità di vita. Una volta fatto questo, vediamo che la crescita continua può essere controproducente, così come impossibile in un sistema finito come il pianeta in cui viviamo.

Il paradosso della felicità

La crescita non funziona. Secondo l’Ufficio Nazionale di Statistica. Il PIL è cresciuto di un fattore di 5 dal 1955, ma non siamo 5 volte più contenti. Infatti, gli economisti David Blanchflower e Andrew Oswald hanno mostrato che in un periodo di prosperità senza precedenti dai primi anni 70 ai tardi anni 90, i livelli rilevati di felicità sono scesi negli Stati Uniti e sono stati stabili nel Regno Unito. Questo mette a fuoco i problemi che sono realmente importanti, come l’uguaglianza. Come hanno mostrato Richard Wilkinson e Kate Pickett, i livelli di uguaglianza sono indicatori molto migliori della salute di una società della ricchezza media o complessiva. Virtualmente su tutti gli indicatori – salute mentale, gravidanze adolescenziali, abuso di droghe, benessere dei bambini, grandi popolazioni carcerarie, senso della comunità, sostenibilità ambientale – le società più eque fanno meglio. Ciò vale per il meglio così come per il peggio. Riconoscere questo ci aiuterebbe a costruire un senso di sazietà, di sufficienza, e a generare una fine alla cultura materialistica del più. Da questo punto di vista, una vita migliore è una vita costruita su un vero rispetto per la natura. Il concetto degli indios dell’America Latina del buen vivir è un buon punto di partenza.

La danza macabra fra crescita e disuguaglianza

La chiave di questa riformulazione trasformativa è l’idea della condivisione. Storicamente, crescita e disuguaglianza sono state partner in una danza macabra di legittimazione reciproca. La disuguaglianza è vista come necessaria alla crescita (se le persone sono uguali, perché qualcuno dovrebbe scomodarsi ad andare avanti?) e la crescita viene usata per far tacere le voci che chiedono più uguaglianza facendo la promessa di una torta ancora più grande, da cui alcune briciole sicuramente troveranno la strada per arrivare alle bocche dei meno fortunati. Dobbiamo farla finita con questa assurdità del “effetto sgocciolamento” una volta per tutte. Nel mondo riformulato, il buon senso diventerà “senso del bene comune”. Il concetto dei beni comuni si trova oltre i limiti della crescita. La ricerca di nuove frontiere infinite da trasformare in risorse e beni, la ricerca di profitto speculativo, la ricerca di accumulo – tutto può essere ritrasformato da un ritorno alla vita sui e fra i beni comuni. I beni comuni sono la nuova cornice che potrebbe tornare a ravvivare il pubblico e il sociale. La sfera pubblica è dove i membri di una società imparano cosa sia una risorsa comune e come averne cura. E’ dove le persone sviluppano abitudini con contrattuali. Imparano come affrontare i free rider senza cadere nella trappola di credere che la sola soluzione sia la “incentivazione” privatizzata – che peggiora soltanto il problema. Iniziative di finanza privata, contratti individuali di apprendistato, vendita di case popolari, bilanci delle biblioteche in diminuzione, tutto punta dal pubblico al privato, che è proprio la direzione sbagliata.

Verso una politica post crescita

Dovremmo anche scavare molto di più nella politica della vita personale e sociale – cosa può fare il mondo politico per migliorare le relazioni familiari, far crescere le comunità e l’amicizia e anche per affrontare la libertà e i valori personali? E’ qui che l’agenda dei valori di Tom Cromptone e dei suoi colleghi della Causa Comune (pdf) è assolutamente giusta. E’ anche dove dovremmo parlare ancora una volta di alcune delle idee che sono emerse dal femminismo degli anni 70 e 80: l’agenda “il personale è politico”. Prendiamoci più tempo libero dal lavoro, più soddisfazione nel suo svolgimento e incoraggiamo questi spazi in cui i valori personali e sociali si intersecano. Poi possiamo infine muoverci verso una società del tempo libero in cui la distinzione fra occupazione e lavoro sia stata spezzata. I verdi dovrebbero diffidare dal mettere tutte le loro uova nel paniere col nome “posti di lavoro”; l’occupazione dev’essere ripartita, gran parte di noi deve lavorare di meno e in ambienti meno alienanti. Poi possiamo cominciare a vivere di più, in modi che non hanno bisogno di essere mercificati o progettati per essere comprati da gente a corto di tempo incapace di coltivare il proprio cibo o di condividere una vita collettiva. Poi, e solo poi, vivremo in un mondo post crescita di buon senso in cui abbiamo più spazio per la nostra terra verde e piacevole, per pensare, camminare ed esserci.

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Il contesto del nostro collasso

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR

Cari lettori,

qualche giorno fa la rivista L’esprill (www.uv.es/lespill) ha pubblicato un articolo (nel numero 48) che ho scritto per loro qualche mese fa. Col loro permesso, pubblico qui la traduzione in castigliano (e quindi in italiano) dello stesso.

Saluti cordiali,
Antonio

Il contesto del nostro collasso

Antonio Turiel

Dopo quasi cinque anni a fare divulgazione sui gravi problemi di sostenibilità della nostra società, in particolare della crisi energetica, attraverso il blog The Oil Crash, le molteplici conferenze che tengo e alcune interviste che mi sono state richieste dai mezzi di comunicazione, ho osservato che c’è una domanda che la gente mi fa in continuazione. Molte volte sostengo che se non si prendono misure decise che rompano col paradigma irrazionale e suicida della nostra società dei consumi – unico modo per uscire da questa crisi economica senza fine – , questo impasse storico del nostro sistema economico causerà una disfunzionalità crescente della nostra società e alla fine ci porterà al collasso. L’idea del collasso, e ancora di più del collasso sociale, era un concetto per niente abituale nelle conversazioni di qualche anno fa, anche se ora si sta trasformando in un tema ricorrente, specialmente da quando la NASA (1) o grandi ditte di intermediazione finanziaria (2) pubblicano studi sul tema. Quando emerge questa parola, collasso, di solito si hanno due tipi di reazione, una minoritaria e l’altra maggioritaria. La minoranza mi chiede cosa sia un “collasso sociale”, nonostante che più o meno tutti abbiano un’immagine mentale di questo tipo di evento (non necessariamente tutti, comunque, hanno la stessa idea di cosa sia un collasso). La maggioranza mi chiede una cosa ben diversa, cioè quando sopraggiungerà questo collasso che prevedo.

Quando. Non tutti coloro che mi chiedono quando si verificherà il collasso hanno le stesse motivazioni, ma disgraziatamente quasi tutti giungono alla stessa conclusione: l’inazione.

Alcuni chiedono del momento del collasso per puro cinismo. Non riescono a credere alla veridicità implacabile dei dati che presento loro (la produzione di petrolio greggio convenzionale in caduta dal 2005 (3), la rovina del fracking (4), l’arrivo prossimo dello zenit delle altre materie prime energetiche non rinnovabili, le importanti limitazioni delle fonti rinnovabili (5), eccetera) ma sono troppo pigri per andarsi a controllare i dati e verificare la dura realtà. Confidano che qualche miracolo insperato ci debba salvare e preferiscono confortarsi coi sogni di abbondanza senza limiti in cui si prodigano, con sempre minor fondamento, i supplementi color salmone dei quotidiani domenicali. Vogliono una mia previsione, senza capire che io sono solo uno scienziato e non un chiromante o uno che fa i tarocchi. Non c’è nulla nella mia scienza che mi permetta di prevedere il futuro minuto per minuto. La scienza, tuttavia, mi permette di sapere cosa non è possibile e cosa non succederà. Allo stesso modo in cui una palla lanciata in aria ricadrà a terra, so per esempio che non tornerà ad esserci crescita economica sostenuta ma una caduta a gradini, che ogni piccola ripresa apparente del PIL durerà poco e verrà seguita da discese più forti. So anche che la disponibilità di risorse sarà, con alti e bassi, sempre minore. Tutto questo ai più cinici non fa differenza: loro, in fondo, vogliono che “mi sbagli” dando date esatte, perché così se alla fine le cose non succedono nel momento esatto “previsto”, anche se lo sfasamento temporale fosse di qualche mese, possano discreditare tutto quello che dico per quell’errore di previsione. O meglio, se le mie previsioni di collasso sono “molto” lontane nel tempo (“molto” in questo contesto può significare qualche decennio), possono non preoccuparsene perché, alla fine, “io non lo vedrò”.

Lasciando da parte i più cinici, bisogna dire che la maggioranza delle persone che chiedono quando si verificherà il collasso non dubitano dei miei dati. Accettano anche la relativa prossimità temporale di questo momento critico della nostra società. Vogliono sapere, ne hanno bisogno. Voglio saperlo perché, in fondo, non contemplano un cambiamento drastico nelle loro vite fino al momento in cui la realtà del collasso sia tanto evidente ed indubitabile per tutti che il costo sociale di intraprendere questo non sia grande. Cioè, non dover lottare con la famiglia, nella coppia, con gli amici e l’ambiente sociale e non dover passare per una persona eccentrica che si protegge eccessivamente da un pericolo sulla cui imminenza non c’è consenso sociale. Comprendo perfettamente questa posizione perché, in fondo, faccio la stessa cosa, perché la maggioranza sta facendo la stessa cosa. Chi dovrebbe rinunciare a un lavoro, a una carriera professionale, a un suolo, all’accettazione all’interno del nostro piccolo ambiente sociale, a delle aspettative di vita… per adattarsi ad una realtà nuova e più dura che alla fine dei conti nessuno sa come sarà? La posizione più ragionevole è, effettivamente, tenere conto degli avvertimenti ed essere consapevoli di ciò che può accadere, ma non fare cambiamenti, o perlomeno non importanti al punto che quello che si sta abbozzando non venga esibito del tutto apertamente.

Tuttavia, ci sono due problemi gravi in questo atteggiamento di “aspettare e guardare” il collasso.

Il primo è che la Storia ci insegna che un collasso non è un momento ma un processo, che non sempre è facile riconoscere finché non è troppo tardi perché le misure per fermarlo possano avere efficacia. I collassi dei grandi imperi della Storia sono stati processi che in alcuni casi sono durati secoli e persino in mezzo ai collassi più repentini ci sono voluti diversi decenni perché si rendesse evidente la discesa. Nonostante che nel nostro caso tutto indica che la discesa sarà relativamente rapida, non per questo non durerà diversi decenni duranti i quali sentiremo progressivamente di stare sempre peggio. La generazione dei nostri figli vivrà peggio di noi e quella dei nostri nipoti vivrà in modo completamente diverso da quello attuale. Il fatto che questo mondo sia un inferno o un luogo degno dipende completamente dalle decisioni che dobbiamo prendere noi in questo momento.

Il secondo problema che implica l’attesa del collasso è che in realtà stiamo già cominciando a collassare; sta collassando la nostra economia, il nostro habitat (e con esso la nostra ecologia), le nostre risorse e la nostra società. Il processo non è lento, in realtà, ma è sufficientemente progressivo perché la nostra psiche di primati poco evoluti non sia in grado di identificare il filo conduttore con un nesso esplicativo comune e ci conformiamo ad una moltitudine di spiegazioni parziali. In questa dissonanza influisce molto una delle sostanze più tossiche che l’Uomo abbia mai prodotto: la propaganda.

Vediamo le guerre civili e fra paesi, per le quali troviamo una pletora di spiegazioni sempre più complicate e ad hoc, e non vediamo, non vogliamo crederci, che lo sfondo dei conflitti in Egitto, Siria, Libia, Iraq, Sudan del sud, Nigeria, Ucraina e persino in Palestina, e prossimamente in Yemen, Algeria o Iran, è sempre una lotta nascosta per il controllo delle ultime risorse di petrolio e gas (6). Anche la conflittualità crescente in Venezuela, Brasile e Messico, ha alle sue origini il crollo ormai innegabile della produzione di petrolio in quei paesi e le difficoltà a mantenere un bilancio commerciale stabile che si basava sull’esportazione di oro nero. Preferiamo al contrario ogni sorta di spiegazioni basate su fattori culturali, sociali, etnici, politici… i quali evidentemente sono fattori che contribuiscono e in qualche caso scatenano i problemi descritti, ma il fattore di maggior peso e che è il vero filo conduttore della decadenza della nostra società globale è la fine del petrolio a buon mercato (eufemismo per far riferimento alla caduta della produzione del petrolio, perché se il petrolio è troppo caro, semplicemente non ce lo possiamo permettere (7)) e che ben presto succederà la stessa cosa col gas, il carbone e l’uranio. Queste quattro materie prime rappresentano il 92% dell’energia primaria che viene consumata oggi nel mondo, secondo il Rapporto Statistico Annuale della BP (8).

Sappiamo che ci sono problemi ecologici gravi e parliamo spesso di “salvare il pianeta”, senza tenere conto del fatto che non è il pianeta che è in pericolo, né lo è la continuità della vita sulla sua superficie; in realtà parliamo di salvare il nostro habitat, quello che rende possibile la nostra mera esistenza. Preferiamo pensare che siccome siamo tanto buoni e consapevoli, facciamo un atto altruistico per Madre Natura, quando in realtà, consapevolmente o meno, stiamo tentando di salvare le nostre vite e la nostra continuità come specie.

I problemi ecologici non sono solo il Cambiamento Climatico, che ora sembra accaparrarsi tutta l’attenzione del pubblico. Pur essendo grave, il Cambiamento Climatico è un effetto in più dell’a “esternalizzazione ambientale” dell’attività industriale, un eufemismo per definire l’inquinamento e il degrado degli habitat che per ragioni economiche vengono inflitti al nostro ambiente. Ma i problemi sono gravi e molteplici: l’aria che respiriamo è terribilmente contaminata (l?OMS di recente riconosceva che una morte su otto nel mondo è attribuibile alla contaminazione dell’aria (9) e questo solo per gli esseri umani), l’acqua potabile comincia a scarseggiare nel mondo (10) e i mari subiscono una pressione brutale, col prevedibile collasso di tutta la pesca in un lasso di tempo al massimo di qualche decennio (11), una forte contaminazione di metalli pesanti e plastiche, la formazione di veri e propri continenti di rifiuti in mezzo all’oceano, ecc. L’elenco delle aggressioni ambientali alla terra, all’acqua, all’aria e al resto degli esseri viventi sarebbe interminabile. Una delle grandi schizofrenie dell’industrializzazione è che ci ha fatto credere che siamo una cosa diversa dagli animali e che non abbiamo le stesse necessità naturali che hanno loro. Con questa alienazione inculcata da quando siamo molto piccoli, non vediamo il fatto che distruggere l’ambiente implica a lungo termine la nostra autodistruzione.

Le risorse stanno collassando, l’ambiente sta collassando e alcuni paesi stanno collassando. Dal punto di vista di un paese opulento del primo Mondo come la Spagna, tuttavia, i sintomi di questo collasso già in atto non sono tanto evidenti.

Stimato lettore, pensa davvero questo?

Concentriamoci sul caso della Spagna. Stiamo parlando di un paese che ha un tasso di disoccupazione che da un paio d’anni si trova intorno al 25% della popolazione attiva, tasso che arriva al 50% se parliamo dei più giovani. Un paese dove un quarto della popolazione si trova al di sotto della soglia di povertà o a rischio di esclusione sociale (12). Mentre scrivo queste righe (estate 2014), da parte del Governo dello Stato e dei mezzi di comunicazione si stanno creando grandi aspettative di una presunta ripresa economica già in corso e che starebbe cominciando a creare impiego, nonostante che dall’Europa non giungano notizie tanto buone. Di fatto, diversi indicatori economici avanzati indicano un rischio che si scateni una nuova ondata recessiva su scala globale in qualsiasi momento durante i prossimi mesi, mentre la ripresa spagnola sembra essere alimentata dall’aumento dell’indebitamento pubblico e dall’ultimo sforzo delle famiglie, che hanno voluto credere che alla fine sarebbe arrivata la ripresa ed hanno speso i loro ultimi risparmi per cercare di aiutare un famigliare perennemente disoccupato a mettere in piedi un piccolo negozio 8una panetteria, una caffetteria, un ferramenta) che lo possa tenere occupato. Deboli fondamenta di questa ripresa spagnola, che molto presto affonderà, lasciando una parte ancora più grande della vecchia classe media impoverita e vulnerabile.

Perché, insomma, è così che la maggior parte delle civiltà corre verso il collasso, così come è collassato l’Impero Romano, così probabilmente collasserà la nostra società occidentale, se non reagiamo presto. La gente tende a pensare che il collasso sia segnato da grandi catastrofi naturali o indotte dalla mano dell’uomo. Al contrario, in generale il corso del collasso è relativamente lento. Durante il collasso ci sono, certo, sporadici incidenti, eventi collettivamente traumatici: una guerra, un’invasione, un’epidemia… Pietre miliari che rimangono impressi a fuoco nella memoria collettiva dei popoli, ma che in sé stessi non spiegano il lento ed amaro declino. La maggioranza del tempo durante il collasso, ciò che succede è che le cose funzionano sempre peggio, Non è niente in concreto ed è tutto. Tutto cambia poco a poco senza che sappiamo il perché, fino a che un giorno guardiamo il volto del mondo e non li riconosciamo. E cosa sono queste cose che vanno cambiando? Cose inizialmente piccole che nel tempo diventano gravi: niente si ripara, niente funziona, non ci sono pezzi di ricambio, … gli stipendi dei funzionari arrivano in ritardo e smettono di arrivare, gli ospedali chiudono, le scuole anche, sanità e istruzione smettono di essere universali e gratuite… l’elettricità si trasforma in un lusso del quale si gode sporadicamente, mancano gli alimenti, ci sono carestie, la gente lotta per strada per un tozzo di pane, la politica diventa completamente inesistente, inetta, corrotta o inverosimilmente tutto insieme, lo Stato si trasforma in un ricordo lontano… la gente sopravvive praticando nuove occupazioni o imbrogliando e rubando, gli assalti alla fabbriche ora vuote sono continui, alla ricerca di qualsiasi oggetto di valore; la vita umana non vale più nulla, si uccide per niente o quasi… Non possiamo renderci conto nel momento in cui succede, ma ci sarà un giorno in cui prenderemo l’ultimo caffè, un giorno per l’ultimo analgesico, un giorno per l’ultimo antibiotico… prodotti che continueranno ad essere alla portata dei benestanti ma non della popolazione comune e che determinano il peggioramento e l’accorciamento della propria vita. Funziona così il collasso. Analogamente al modo in cui l’esplosiva crescita della popolazione è stato silenzioso e quasi inevitabile, il rapido declino della popolazione e del suo benessere sarà ugualmente quasi impercettibile durante il collasso, finché un giorno ci guarderemo indietro e penseremo: “Cosa siamo diventati…”.

La bruttezza del mondo durante il collasso ci sarebbe insopportabile se si presentasse di colpo, ma il suo arrivo lento fa in modo che ci adattiamo, che poco a poco finiremo per accettare cose alle quali 5 o 10 anni fa semplicemente ci saremmo opposti con forza. Nel mondo attuale sono frequenti, soprattutto al cinema, sogni di collassi rapidi e molto violenti, alla “Max Max”, il film di riferimento per quanto riguarda i collassi energetici degli anni 80 del secolo scorso. E data la grande forza dei mezzi di comunicazione, nel momento di modellare persino la nostra immaginazione, i nostri sogni, molta gente crede fermamente che è questo tipo di discesa drastica il prototipo di ciò che deve essere un collasso. Partendo da questa percezione erronea, tutti si immaginano come i protagonisti di uno di questi film, un eroe duro ma giusto che lotta senza sosta contro un mondo che impazzisce durante la caduta. Niente di più lontano dalla realtà. Non c’è un nemico contro cui lottare mentre collassiamo, solo rassegnazione, solo l’utilizzo di frasi fatte per cose fatte: è il “è questo quello che c’è”, di fronte ad una nuova perdita di diritti o di servizi; “Cosa vuoi? Non c’è niente da fare”, sotterrando un altro amico, mangiato dalla fame e dai germi. Il declino è triste e deprimente, è grigiore e fame, è agonia e disperazione. Non c’è la possibilità di niente di eroico nel collasso, non c’è spazio perché una persona versata all’individualismo egoista occidentale, il proto consumatore che è stato issato su un piedistallo dalla attuale società del consumo, possa uscire trionfante, semplicemente perché le sfide che ha di fronte non sono niente che possa descrivere, distruggere o dominare. Il capitalismo si inganna e ci inganna anche nell’immaginare la sua fine.

Il collasso è terribile, certo, ma non è obbligatorio. Non è inesorabile, non è la nostra destinazione finale forzata. Senza dubbio è dove andremo a parare se continuiamo senza tirare le redini della nostra società, se continuiamo a delegare ciecamente il nostro dovere inderogabile di vegliare sul nostro futuro e su quello dei nostri figli. A volte mi ritrovo che, spiegando i gravi problemi ai quali ci vediamo sottomessi a causa della nostra indolenza, alcune persone mi diano del catastrofista, di richiamare tempi infausti. E’ esattamente il contrario. Coloro che si negano di pensare di fare cambiamenti non tanto necessari, quanto imprescindibili, coloro che pensano che non ci sia alternativa al modo distruttivo e folle in cui si comporta il capitalismo globale, coloro che negano i segnali evidenti del degrado e del declino riempendosi la bocca di scuse ad hoc per giustificare ogni sintomo del malato globale, sono esattamente quelli che spingono i conduttori della nostra società ad andare avanti ad ogni costo e a non pensare che di fronte abbiamo un dirupo. Denunciare le conseguenze prevedibili di questa corsa di pazzi, evidenziare con dati e fatti la falsità che si nasconde dietro a tante notizie che sono solo pubblicità pagata da interessi economici inconfessabili, educare la cittadinanza sulla realtà economica e ambientale del nostro mondo… insomma, allertare la società della strada verso il collasso che seguiamo assurdamente si è trasformato, per un pugno di accademici e tecnici fra i quali mi conto, in un dovere di cittadinanza ineludibile (per il quale non poche volte veniamo criticati crudelmente dagli stessi che ci fanno avanzare allegramente verso il dirupo). Ma noi vogliamo evitare l’arrivo del collasso e siamo convinti che lo possiamo evitare, se si informa con esattezza e obbiettività la società per che questa sia consapevole e possa prende re le decisioni logiche per determinare il proprio futuro.

Con questo spirito, nell’inverno del 2014 un piccolo gruppo di tecnici ed accademici di tutta la Spagna, poco più di una decina, abbiamo preparato e promosso un manifesto che è stato tradotto in molte lingue e in particolare in catalano (e in italiano, ndt). Questo manifesto si chiama “Ultima Chiamata”, in vista del fatto che, secondo noi, non c’è molto margine di tempo per evitare le conseguenze più indesiderabili del collasso in arrivo. Non c’è niente di radicalmente nuovo nel manifesto, si potrebbe dire che un “aggiornamento” al contesto spagnolo del manifesto che più di dieci anni fa ha promosso l’Unione degli Scienziati Preoccupati degli Stati Uniti (13). Non è nemmeno un testo tecnico, cosa che alcuni adepti incondizionati di questa religione che chiamiamo “neoliberismo” criticano, visto che vorrebbero giustificati e dettagliati i sintomi del collasso in questo testo, per potersi inerpicare nella discussione di dettagli assurdi e poter così sviare l’attenzione, come se i promotori del manifesto non avessero scritto già migliaia di pagine spiegando tutti i punti e le virgole dei numerosi problemi di sostenibilità che pesano sul nostro mondo. E per concludere, è un testo con alcuni limiti, frutto di un lavoro di consenso fra le sensibilità molto diverse dei suoi diversi promotori. Ma nonostante questo “Ultima Chiamata” è un testo con molta forza ed alcune semplici verità. E’ tanto forte che in seguito ha ricevuto l’appoggio di numerose personalità politiche e professionisti, cosicché il giorno in cui i mezzi di comunicazione hanno cominciato a farsene eco, questo contava già centinaia di adesioni, che ora sono migliaia.

Il nostro futuro non è scritto, ma lo è il nostro passato e il nostro passato ci mostra che alcune civiltà, superbe nella loro magnificenza, hanno disprezzato la possibilità di un collasso e sono collassate. La Storia ci mostra anche l’esempio di altre civiltà che sono state capaci di invertire il declino quando sono apparsi i primi segnali del declino imminente, fermando e facendo marcia indietro rispetto alle loro pratiche autodistruttive. Pertanto il collasso non è un colpo impossibile da parare, ma bisogna affrontarlo e serve metterci buon senso. Ci è già arrivato l’avviso, ci mettiamo all’opera?

Bibliografia

1) Safa Motesharrei, Jorger Rivas & Eugenia Kalnay, 2014: «Human and nature dynamics (HANDY): Modeling inequality and use of resources in the collapse or sustainability of societies», Ecological Economics 101, 92-102: http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0921800914000615
2) Tim Morgan, 2013: «Perfect storm – energy, finance and the end of growth». Tullet Prebon Strategy Insights, numero 9: http://www.tullettprebon.com/Documents/strategyinsights/TPSI_009_Perfect_Storm_009.pdf
3) Antonio Turiel, 2012: «WEO 2012: la IEA riconosce il declino della produzione di petrolio greggio». http://ugobardi.blogspot.it/2012/12/weo-2012-la-iea-riconosce-il-declino.html 
4) Dave Huges, 2013: «Trivella, ragazzo, trivella!», Post Carbon Institute Editions:  http://assets-production-webvanta-com.s3-us-west-2.amazonaws.com/000000/03/97/original/reports/Perfora%20Chico%20Perfora_FINAL.pdf
5) Antonio Turiel, 2013: «La verità in faccia».
http://ugobardi.blogspot.it/2013/05/la-verita-in-faccia.html
6) Antonio Turiel, 2014: «Guerre in prestito».
http://ugobardi.blogspot.it/2014/02/guerre-in-prestito.html
7) Antonio Turiel, 2010, «Diciamocelo Forte e Chiaro: questa crisi non finirà mai!». http://ugobardi.blogspot.it/2011/12/diciamocelo-forte-e-chiaro-questa-crisi.html
8) BP Annual Statistical Review, 2014: http://www.bp.com/content/dam/bp/pdf/Energy-economics/statistical-review-2014/BP-statistical-review-of-world-energy-2014-full-report.pdf
9) OMS, 2014: «7 milioni di morti ogni anno dovuti all’inquinamento atmosferico», Comunicato stampa: http://www.who.int/mediacentre/news/releases/2014/air-pollution/es/
10) Peakwater.org
11) FAO, 2012: «The state of World fisheries and aquaculture»: http://www.fao.org/docrep/016/i2727e/i2727e.pdf
12) Rete Europea di Lotta alla Povertà e all’Esclusione Sociale, http://eapn.es/
13) Union of Concerned Scientists, 1992: «Warning to Humanity»: http://www.ucsusa.org/about/1992-world-scientists.html

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Estinzioni: addio ai rinoceronti

da “Desdemona Despair” – traduzione di Massimiliano Rupalti

Gli ultimi 3 rinoceronti più rari al mondo sono incapaci di riprodursi – ‘L’avidità e l’ego umani hanno massacrato questa specie fino alla catastrofe irreversibile’


Sudan, l’ultimo maschio di rinoceronte bianco del nord sul pianeta. Foto: Ed Barthrop / Ol Pejeta Conservancy

Di Tisha Wardlow

Il Piano A era di rendere le condizione di procreazione il più perfette possibile per gli ultimi rinoceronti bianchi settentrionali rimasti. Ol Pejeta ha fatto tutto ciò che poteva per renderlo possibile.

Il Piano B era di incrociare i rinoceronti bianchi settentrionali con quelli del sud per perpetuare almeno questo prezioso pool genetico. In qualche modo, avrebbero continuato a vivere come parte dei geni delle popolazioni di rinoceronti a venire.

Ma per l’ultimo esemplare maschio, Sudan, e per le due femmine rimaste, Najin e la figlia Fatu, non ci sarà questa possibilità. Tutti e tre sono avanti con l’età. Najin (25 anni) ha le ginocchia deboli e non può sostenere i tentativi di fecondazione. In un crudele scherzo del destino, Fatu (14 anni) è sterile e Sudan (38 anni) ha lo sperma debole.

E adesso? Non c’è superuomo, né miracolo dell’undicesima ora, non ci rimane nessuna opzione conosciuta. Questa è l’estinzione. Guardateli, apprezzateli ed ammirateli finché respirano.

L’avidità  e l’ego umani hanno massacrato questa specie fino alla catastrofe irreversibile. Stiamo vedendo gli ultimi rinoceronti bianchi settentrionali. E’ inevitabile.

Ma la grande domanda è: impareremo da questo? Permetteremo che accada ancora? I rinoceronti di Sumatra, quelli di Java, anche loro sono pericolosamente vicini allo stesso destino. I rinoceronti bianche e neri con un solo corno non sono troppo lontani.

Non dobbiamo permettere che i rinoceronti bianchi settentrionali muoiano invano. E’ nostra responsabilità imparare da loro e impedire la futura decimazione dei rinoceronti e di altre specie sul nostro pianeta. Il futuro dei rinoceronti non è condannato, è in bilico, in attesa che noi ne determiniamo il risultato. Vigilanza, impegno e determinazione possono preservare il destino dei rinoceronti e, alla fine, anche il nostro.

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La guerra dei mondi: sta arrivando per davvero!

di Jacopo Simonetta

Gli appassionati di fantascienza conoscono molto molto bene questo autentico “cult” dell’ormai lontano 1897.   Da allora, infinite sono state le fantasie circa un’invasione extraterrestre, eppure per assistere ad una guerra fra popoli alieni non c’è bisogno di aspettare l’improbabile arrivo di navi spaziali.   E’ già in corso sotto i nostri occhi ed è probabile che il grosso debba ancora arrivare.
Ovvio che dietro ogni guerra vi siano punti di vista tanto diversi e tanto forti da indurre la gente a pensare che valga la pena di morire per essi.   Ma non necessariamente si tratta di guerre fra genti aliene.

Per spiegarmi, farò due esempi: la guerra russo-ucraina e la Jihad dell’ISIL, ma prima è necessaria una premessa antropologica.

Sicuramente la più peculiare delle prerogative umane, quella che più ci distingue dagli altri animali, è la necessità che abbiamo di dare un significato ed uno scopo alla nostra vita.   Tutti gli altri esseri vivono, godono e soffrono; poi muoiono e basta.   Noi no.   Se non siamo in grado di assegnare un significato ed uno scopo alla nostra esistenza semplicemente non riusciamo a vivere. Depressione, droga, autolesionismo, violenza gratuita e molti altri sono i sintomi di questo tipo di patologia.   Ma cosa c’entra questo con la guerra e le invasioni aliene?   Ci arriveremo.

L’uomo industriale non solo ha elaborato stili di vita e tecnologie uniche nella storia.   Assai più importante è il fatto che si è dato uno scopo: soggiogare la Natura ed un significato: essere Dio.   Due affermazioni che necessitano di una giustificazione.

Per quanto riguarda lo scopo, si può facilmente obbiettare che la stessa identica idea l’avevano anche i nostri antenati e gli altri popoli della Terra; la differenza è che noi ci siamo riusciti o quasi.   Un’opinione estremamente diffusa, ma non corroborata da alcun documento disponibile non solo circa i popoli “primitivi”, ma anche dei nostri stessi antenati.   Beninteso, vivere comodi ed a lungo è sempre stata cosa gradita e perseguita, ma di solito non se ne faceva uno scopo di vita.   Per noi, sono viceversa valori fondanti che danno un senso alla nostra esistenza.   Anzi, la sicumera con cui attribuiamo ad altri questi stessi ideali la dice lunga su come questi siano profondamente radicati nella nostra mente individuale e collettiva.

Per quanto riguarda il secondo punto, essere Dio, ovviamente non intendo dire che ognuno di noi pensi di essere un dio in terra.   Intendo dire che, collettivamente, riteniamo che l’umanità nel suo insieme sia qualcosa di intrinsecamente ed infinitamente superiore a qualunque altra cosa esistente.
L’idea di essere superiori agli Dei non è nuova.   Perlomeno fra i classici greci e latini si trova un’ampia casistica, mirabilmente riassunta da Ovidio nelle “Metamorfosi”.   Ma si chiamava Hybris e, nel loro modo di ragionare, era un viatico sicuro per la dannazione eterna.   Ovidio stesso pagò con l’esilio il suo punto di vista quanto mai “contemporaneo”  in proposito e, per un romano, l’esilio era qualcosa di molto vicino alla dannazione.

Ma se la reverenza verso il divino ha trovato spiriti critici ed oppositori in ogni epoca e luogo, noi abbiamo fatto di più.   Abbiamo acquisito la capacità di plasmare a nostro piacimento la Natura.   Dal genoma alla geografia di intere regioni, dalla composizione chimica dell’atmosfera a quella degli oceani.    Siamo in grado di raggiungere altri corpi celesti e di realizzare macchine che simulano molte delle funzioni della vita.   Tutto questo  ci ha inconsapevolmente portati a pensare che non ognuno di noi singolarmente,  bensì l’Uomo (rappresentazione astratta dell’umanità intera) sia oramai l’unico arbitro del proprio destino.   Come dire che l’umanità è la forza suprema dell’universo; o perlomeno del mondo.   Per dirla all’antica, sentiamo che l’Uomo sia ormai capace di modificare il Fato, ciò che neppure i più venerati Dei dell’antichità hanno mai potuto fare.   E questo ci rende superiori a qualsiasi altra cosa.   In una parola, ci rendedivini”.   Né il disdegnare tale etichetta intacca minimamente il nostro smisurato ego collettivo.

Ovviamente, non si tratta di un’idea razionalmente espressa, bensì di un sentimento profondo e più o meno inconscio,  che da fondamento al nostro mondo, attribuisce un significato alla nostra vita, plasma le nostre scelte personali e collettive.

Georges Dumézil , uno dei massimi studiosi di mitologia, definì la religione con queste parole:  “La religione è una spiegazione generale e coerente dell’universo, che sostiene ed anima la vita delle società e degli individui.”   Se accettiamo questa definizione molto ampia, non c’è dubbio che “il Progresso” sia a tutti gli effetti di una vera e propria religione.   Senza dare la benché minima accezione negativa a questo termine.

A volte un’immagine è più significativa di tante parole.  

Dal blog Energia e Motori.

Torniamo dunque ai mondi in guerra. Quanto sopra è importante perché nell’uomo esiste quella che viene chiamata “costruzione sociale della realtà”.   Con ciò, generalmente, si intende che il condizionamento sociale del bambino ne plasma gli archetipi mentali ed i valori di riferimento.   In altre parole, plasma il modo in cui la realtà viene percepita e, dunque, le decisioni.   Ma soprattutto definisce lo scopo ed il significato della sua vita.

Dunque, individui nati e cresciuti in comunità che concepiscono il mondo e la vita in modo completamente diverso, anche se condividono la stessa realtà fisica, vivono psicologicamente e spiritualmente in mondi fra loro alieni.   Non meno di quanto fossero Marte e la Terra nell’idea di Orwell.   Così sono apparsi i conquistadores agli aztechi e viceversa.   Per fare un esempio assai meno cruento, fra “picchisti” e “crescisti“  si può dialogare allo sfinimento ed entrambi possono imparare cose interessanti, ma nessuno dei due convincerà mai  l’altro semplicemente perché stanno parlando di mondi diversi.

Fino al XX secolo, un gran numero di “mondi” conviveva sullo stesso pianeta, ma con l’affermazione globale della civiltà industriale questa diversità si è ridotta a fenomeni residuali o di nicchia.   Un unico mondo, governato dall’ineluttabile destino di un progresso infinito, ha dominato la Terra e, soprattutto, la mente dei terrestri.

Contrariamente alle altre grandi religioni che la hanno preceduta, la fede nel progresso è devota all’Uomo e non ad un Dio.   Un dettaglio che le ha permesso di stratificarsi sulle precedenti fedi con relativa facilità, assorbendole senza che la maggior parte dei fedeli se ne rendesse neppure conto.   Per essere chiari, si può essere contemporaneamente progressista e cattolico, oppure mussulmano, protestante, ecc.    Ma, a differenza di tante altre religioni, il Progresso non ha promesso il paradiso in una prossima ed ipotetica vita, bensì in questa.  O perlomeno, ha promesso di potercisi avvicinare.   Una differenza fondamentale che ha conquistato i cuori e le menti di quasi tutta l’umanità nei decenni in cui sembrava che questo stesse davvero avvenendo.

Ma il Fato, sotto forma di leggi fisiche e biologiche, non poteva essere violato e, dove prima e dove dopo, il paradiso a cominciato a sfumare.   Pian piano, un numero crescente di persone si sono guardate intorno e si sono rese conto che la loro vita stava peggiorando.   Che le prospettive erano sempre più fosche e che tutto ciò per cui avevano lavorato o combattuto si stava sciogliendo, come i ghiacciai.   Insomma, si sono visti in un mondo molto diverso da quello in cui pensavano di vivere.

Così, come già era accaduto per le religioni precedentemente decadute o scomparse, la gente ha cominciato a cercare una diversa spiegazione generale e coerente dell’universo.   Cioè una nuova fede capace di attribuire alla vita di ognuno significati, valori e scopi per cui valga la pena di vivere, lavorare, combattere ed eventualmente morire.

Alcuni non ne hanno trovati e si sono ammalati.   Altri li hanno trovati in nuovi sistemi di archetipi.   Come dire: in altri mondi.   Talvolta si tratta di costruzioni ex novo, ma assai più spesso si tratta di reinvenzioni post-moderne di tradizioni più o meno antiche, spesso assai vagamente ricordate.   E da sempre si sa che gli apostati sono i più feroci avversari della fede che hanno rinnegato.   Di qui la guerra.   Una guerra che non è solo fra eserciti e popoli, ma fra mondi alieni che si odiano e non possono trovare alcun compromesso perché non condividono la stessa realtà.

Giungiamo così al nostro esempio.

La guerra fra Ucraina e Russia è una guerra fra due stati, ognuno dei quali pensa di poter lenire i suoi drammatici problemi interni combattendo con l’altro.
Ma appartengono allo stesso mondo.   Non è detto che trovino un accordo, ma è possibile perché vi sono limiti che ognuno dei due, per ora, pensa che non gli convenga valicare.   Ma soprattutto perché quando i generali ed i ministri parlano fra loro si capiscono: parlano della stessa realtà.

Viceversa, credo che la guerra condotta dalle varie milizie jihadiste abbia motivazioni diverse.    Naturalmente, anche a loro interessano il petrolio, il potere ed il denaro, ma non è questo che da significato alla loro vita ed alla loro morte.   Si tratta di una sensazione del tutto personale, ma ho l’impressione che la molla principale che spinge tanti giovani, anche europei ed americani, ad arruolarsi tra le loro fila sia dare uno scopo alla propria esistenza.

John Kerry ha dichiarato che l’ISIL deve essere sconfitto non solo sul piano militare, ma anche su quello economico ed ideologico.  Sui primi due punti vedo buone possibilità, ma nessuna sul terzo perché cosa si potrebbe offrire in cambio del sogno di ripristinare il califfato e la presunta vera fede?   Un sogno che somiglia molto ad un’allucinazione o ad un incubo, ma non è che il “sogno americano” abbia molto da offrire, oggi come oggi.

Del resto, lo zelo fanatico di soggetti come i fratelli Koch o Sarah Palin non è meno ottuso di quello degli imam del califfato.   Certo non sono mandanti od esecutori di brutali delitti, ma il perseguimento dei loro scopi non è certo privo di sangue.    Se ci pare normale è solo perché, malgrado possiamo detestarli, appartengono al nostro stesso mondo.   Altri potrebbero pensarla diversamente.
Con ciò, tengo a precisare, non voglio fornire la benché minima giustificazione all’operato delle milizie e dell’ISIL, i cui nemici principali non siamo noi, bensì i governi arabi e le minoranze religiose locali.   Voglio solo far osservare che gli occidentali semplicemente non capiscono come ragiona questa gente.  

Viceversa, sembra che loro conoscano noi piuttosto bene, ma questo potrebbe essere argomento per un altro articolo.

Temo comunque che negli anni a venire la nebulosa in cui si sta dissolvendo l’ordinato mondo industriale sarà esplorata da un numero crescente di popoli alieni.   Tutti profughi di un unico mondo in agonia, ma in cerca di spiagge molto diverse su cui approdare.    E spesso mortali nemici fra loro.

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Estinzioni: addio alle api, e non solo

Da “Desdemona Despair” 1, 2. Traduzione di MR (h/t Maurizio Tron)

Quasi una specie su dieci di api si sta estinguendo in Europa mentre la situazione di più della metà delle specie rimane sconosciuta – un rapporto di IUCN

19 marzo 2015 (International Union for Conservation of Nature – IUCN) – La prima valutazione mai fatta di tutte le specie di api selvatiche mostra che il 9,2% sono minacciate di estinzione, mentre il 5,2% è probabile che siano minacciate nel prossimo futuro. Un totale del 56.7% delle specie sono classificate come “Dati insufficienti”, in quanto la mancanza di esperti, dati e finanziamento hanno reso impossibile valutare il loro rischio di estinzione.

La valutazione è stata pubblicata come parte della Lista Rossa delle Api Europee del IUCN e del progetto Status e Tendenze dei Impollinatori Europei (STIE), entrambi finanziati dalla Commissione Europea. La valutazione fornisce – per la prima volta – informazioni su tutte le 1965 specie di api selvatiche presenti in Europa, compreso il loro status, la distribuzione, le tendenze della popolazione e le minacce.

“Questa valutazione è lo stato dell’arte della conoscenza che abbiamo avuto finora sulle api selvatiche in Europa”, dice Jean-Christophe Vié, vice Direttore del Programma Globale delle Specie del IUCN. “Tuttavia, la nostra conoscenza su di loro è incompleta in quanto siamo di fronte ad una allarmante mancanza di competenza e risorse. Le api giocano un ruolo essenziale nell’impollinazione delle nostre colture. Dobbiamo investire urgentemente in ulteriorie ricerca per fornire le migliori raccomandazioni possibili su come invertire il loro declino”.

Il rapporto mostra che il 7,7% delle specie ha una popolazione in declino, il 12,6% è stabile e lo 0,7% è in crescita. Le tendenze della popolazione del restante 79% delle specie di api sono sconosciute.

Cambiare le pratiche agricole e aumentare l’intensificazione dell’agricoltura ha portato a perdite e degrado su vasta scala degli habitat delle api – una delle principali minacce alla loro sopravvivenza.

Per esempio, la produzione intensiva di foraggio fresco di insilare – a spese del fieno – causa perdite di praterie ricche di erbe e fioriture di lunga stagione, che costituiscono fonti importanti di cibo per gli impollinatori. L’uso diffuso di insetticidi a sua volta danneggia le api selvatiche e gli erbicidi riducono la disponibilità di fiori dai quali dipendono. L’uso di fertilizzanti promuove praterie vigorose, che sono scarse in piante fiorite e specie leguminose – le risorse di cibo preferite da molte specie di api.

L’agricoltura intensiva e le pratiche agricole hanno causato un netto declino dell’area di superficie di steppe secche, che ospitano l’ape Vulnerabile Andrana Transitoria – una specie un tempo comune del Mediterraneo orientale diffusa dalla Sicilia all’Ucraina e in Asia Centrale. L’aratura, lo sfalcio o il pascolo sulle piante da fiore, così come l’uso di insetticidi, hanno portato ad un 30% di declino della popolazione della specie nell’ultimo decennio e la sua estinzione in determinati paesi.

Il cambiamento climatico è un altro motore importante del rischio di estinzione di gran parte delle specie di api, in particolare dei bombi. Forti piogge, siccità, ondate di calore e temperature più alte possono alterare gli habitat a cui si sono adattate le singole specie e si prevede che riducano drammaticamente l’area del loro habitat, portando al declino della popolazione. Un totale del 25,8% delle specie di bombi europei sono minacciati di estinzione, secondo la valutazione.
Lo sviluppo urbano e l’aumentata frequenza degli incendi minacciano a loro volta la sopravvivenza delle specie di api selvatiche in Europa, secondo gli esperti.

Il rapporto include anche una valutazione dell’Ape Mellifica (Apis Mellifera) – l’impollinatrice più famosa. L’Ape Mellifica ha una distribuzione nativa in gran parte dell’Europa ma non è certo se attualmente questo avvenga come specie genuinamente selvatica piuttosto che domestica. Siccome la Lista Rossa copre le specie selvatiche – non quelle domestiche – è stata valutata come ‘Dati insufficienti’. Serve un’ulteriore ricerca per distinguere fra colonie selvatiche e non selvatiche e per capire meglio gli impatti della malnutrizione, dei pesticidi e dei patogeni sulle colonie dell’ape mellifica, secondo il IUCN.

“L’attenzione pubblica e scientifica tende a concentrarsi sull’Ape Mellifica come l’impollinatrice chiave, ma non dobbiamo dimenticare che gran parte dei fiori selvatici e le colture vengono impollinate da tutta una gamma di specie di api diverse”, dice Simon Potts, il coordinatore del progetto STIE. “Ci servono azioni lungimiranti per aiutare ad aumentare le popolazioni degli impollinatori selvatici e di quelli addomesticati. Fare questo porterà enormi benefici alla vita selvatica, alla campagna e alla produzione di cibo”.

“La nostra qualità di vita – e il nostro futuro – dipende dai molti servizi che la natura fornisce gratuitamente”, dice Karmenu Vella, Commissario per l’Ambiente, gli Affari marittimi e la Pesca dell’UE. “L’impollinazione è uno di questi servizi, quindi è molto preoccupante apprendere che alcuni dei nostri principali impollinatori sono a rischio! Se non affrontiamo le ragioni che stanno dietro a questo declino delle api selvatiche, e non agiamo con urgenza per fermarlo, potremmo pagare di fatto un prezzo molto alto”.

Gli autori del rapporto fanno appello ad una maggiore attenzione per le api nella gestione delle aree protette e nelle politiche agricole in Europa. Enfatizzano anche la necessità di un sostegno maggiore ai programmi tassonomici e di indagine a livello nazionale ed europeo per assicurare un monitoraggio a lungo termine dello status delle api e azioni di conservazione efficaci.
Le api sono essenziali sia per gli ecosistemi selvatici sia per l’agricoltura. Forniscono l’impollinazione delle colture per un valore stimato di 153 miliardi di euro globalmente e 22 miliardi di euro in Europa ogni anno. Gli impollinatori sostengono colture che costituiscono il 35% dei volumi della produzione agricola globale.

Delle principale colture coltivate per il consumo umano in Europa, l’84% richiede l’impollinazione degli insetti per migliorare la qualità di produzione e il rendimento (per esempio, molti tipi di frutta, verdure e noci). L’impollinazione viene fatta da una gamma di insetti, comprese l’ape mellifica selvatica e domestica, il bombo e molti altre specie di api selvatiche ed altri insetti.
La Lista Rossa delle Api europea arriva in un momento in cui è in atto una revisione della strategia di implementazione dell’Europa per fermare la perdita di biodiversità. I risultati di questa valutazione sottolineano la necessità di una piena implementazione della strategia per la Biodiversità UE 2020 per centrare l’obbiettivo di ‘fermare la perdita di biodiversità e il degrado dei servizi ecosistemici in UE per il 2020 e ripristinarli al più presto possibile’.

Per ulteriori informazioni o per organizzare interviste, site pregati di contattare:

Ewa Magiera, relazioni coi media di IUCN Media Relations t +41 22 999 0346
+41 22 999 0346 m +41 76 505 33 78 +41 76 505 33 78, ewa.magiera@iucn.org

Angelika Pullen, ufficio di rappresentanza della UE del IUCN, t +32 473 947 966
+32 473 947 966, angelika.pullen@iucn.org

Enrico Brivio, Commissione Europea, t +32 229 56172 +3222956172, enrico.brivio@ec.europa.eu

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La ricerca del capro espiatorio

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR

L’antropologo Ernest Becker (1924-1974) fornisce un punto di vista molto interessante sulle questioni di moralità e comportamento umano nel suo libro postumo “Fuga dal Male”. Becker ha usato un contesto psicoanalitico basato sul lavoro di Otto Rank e Norman O. Brown ed ha concluso che gli uomini fanno del male a causa delle, non nonostante le, buone intenzioni. La breve presentazione è una cosa del genere:

“Gli esseri umani sono i soli animali consapevoli della propria morte. Ciò è terrificante per noi e, per ridurre l’ansia, facciamo tutto ciò che possiamo per garantire la nostra sopravvivenza, come individui o come gruppi sociali in cui proiettiamo la nostra individualità collettiva. Questo impulso a trascendere la nostra morte, di cui abbiamo preso consapevolezza, ci porta a compiere atti eroici costruttivi nel tentativo di raggiungere un qualche tipo di immortalità. Ci porta anche a proiettare qualsiasi rischio percepito per la nostra sopravvivenza verso l’esterno, su altri gruppi o individui. Questi comportamenti di ricerca di un capro espiatorio e di sacrificio hanno l’intento inconscio di purificare l’ambiente fisico e psicologico in cui viviamo.  

Gli esempi di atti eroici costruttivi abbondano – la civiltà stessa ricade in questa categoria. Esempi recenti di ricerca del capro espiatorio comprendono i neri, gli ebrei, i musulmani e gli atei, la CIA, i socialisti, i capitalistivirtualmente ogni gruppo identificabile ha funto da capro espiatorio per qualche altro gruppo. Gli esempi indigeni di sacrificio includono il sacrificio umano rituale, i festeggiamenti ritualizzati, l’etica del “niente prigionieri” in combattimento e il Potlatch (sacrificio di cibo e beni)”. 

Becker traccia questo effetto psicologico attraverso la storia e vede il suo zampino nella cultura militarista e del consumismo usa e getta così come nelle culture indigene. Mi attengo ancora al mio punto di vista per cui le origini della moralità, specialmente nelle sue specificità, si possono trovare nelle storie regionali e negli ambienti biofisici locali. Le scelte morali che la collettività allargata ritiene permissibili sembrano essere limitate da coloro che promuovono i sistemi di credenze eroiche che sconfiggono la morte come descritto da Becker. Questo dominio limitato del moralmente permissibile è intrecciato con la serie limitata di scelte orientate alla crescita che sono permissibili nei domini economico e sociale. I due sembrano sostenersi a vicenda. Tali scelte eroiche, morali ed economiche sembrano richiedere l’esistenza di un surplus di risorse nell’ambiente naturale come punto di partenza. La ricerca pubblicata nel 2003 da Dwight Read e Steven LeBlanc osserva che sia conflitto che crescita nelle società ad alta crescita sono bassi quando ci sono poche risorse disponibili, come affermato nella seguente citazione:

“I gruppi di cacciatori_raccoglitori che vivono in aree a bassa densità di risorse è più probabile che mostrino una stabilità demografica a lungo termine e più alta è la densità di risorse, più è probabile il verificarsi di conflitti fra gruppi o di limiti alla crescita malthusiani come malattie e fame”. 

Suggerirei anche che gli ambienti a basse risorse sono un fattore primario nello sviluppo di vari codici morali che riducono la crescita ed onorano la Terra. Ciò spiega la progressiva perdita di questo aspetto della nostra moralità man mano che il nostro accesso alle risorse della Terra è aumentato. Sfortunatamente, le conclusioni di Becker mi lasciano ancora più convinto che l’inizio dei limiti delle risorse globali si dimostrerà psicologicamente dannoso su una scala molto ampia, in quanto diventa impossibile negare la morte imminente del nostro gruppo di appartenenza primario, l’Homo Sapiens. Questa consapevolezza porterà probabilmente ad un’orgia di capri espiatori e le prime avvisaglie di quest’onda sono già visibili. Vedremo probabilmente un’orgia parallela di consumo sacrificale, identico nell’origine psicologica ma molto più ampio, su scala fisica, delle iconiche teste di pietra dell’Isola di Pasqua.

https://www.academia.edu/819616/Population_growth_carrying_capacity_and_conflict

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