Effetto Cassandra

L’enciclica del papa è il “punto di non ritorno” in arrivo della percezione del cambiamento climatico: sarà abbastanza per risolvere il problema?

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi

Il problema della fame nel mondo non è stato riconosciuto fino a relativamente poco tempo fa, come mostrato nella ricerca “Ngram”. Tuttavia, l’interesse per il problema ha preso rapidamente velocità negli anni 60 e questo ha portato a sforzi considerevoli per risolvere il problema aumentando i rendimenti agricoli (la “Rivoluzione Verde”). Questi sforzi in generale hanno avuto successo, ma il problema è stato davvero risolto? O è stato soltanto spostato in avanti – o persino peggiorato – come risultato del fatto che l’agricoltura è diventata completamente dipendente dai combustibili fossili? Qualcosa di simile potrebbe succedere in futuro col problema del cambiamento climatico, che potrebbe essere riconosciuto, ma non necessariamente risolto.

A parte un piccolo manipolo persone con posizioni anti-scientifiche, la maggior parte delle persone sono perfettamente consapevoli che abbiamo un problema grave di cambiamento climatico. Sono solo confuse da un bombardamento di dichiarazioni contraddittorie fomentate nei media in una persistente campagna di propaganda contro la scienza. In queste condizioni è probabile che tutto ciò che serve per rendere l’opinione pubblica più consapevole della gravità del problema è una “spinta” nella giusta direzione e l’enciclica del Papa sul clima – attesa per questa settimana – potrebbe fare proprio questo.

Di conseguenza, potremmo arrivare al punto in cui l’idea che il cambiamento climatico non esista o che non sia causato dall’attività umana sarà considerata non solo sbagliata, ma positivamente pericolosa per la società. Qualcosa di paragonabile a idee, diciamo, come quella per cui non ci sono prove che il fumo provoca il cancro, che mettersi la cintura di sicurezza mentre si va in macchina sia inutile o che la cocaina non sia più pericolosa del caffè come droga.

Naturalmente, non possiamo essere sicuri del fatto che l’enciclica del papa avrà questo effetto. Ma supponiamo che sia così, cosa succede poi? Ottimisticamente, potremmo pensare che gran parte del lavoro sia fatto e che, da quel momento in avanti, verrà fatto qualcosa di serio ed efficace per fermare il riscaldamento globale. Sfortunatamente, le cose non saranno così semplici. Quanto è probabile che rimanga difficile agire sul cambiamento climatico potrebbe essere compreso considerando un altro grande e grave problema che affligge l’umanità: la fame nel mondo. Non è stata sempre riconosciuta ed è solo con gli anni 60 che è diventata un argomento standard del nostro orizzonte intellettuale. A quel punto, nessuno si sarebbe sognato di dire che la fame nel mondo era una truffa progettata da degli scienziati cospiratori che volevano conservare le loro grasse sovvenzioni per studiare un problema che non esiste. Il dibatto era effettivamente terminato ma questo, di per sé, non ha risolto il problema.

Principalmente, il tentativo di eliminare la fame nel mondo è stato fondato sulla forza bruta, vale a dire sull’aumento dei rendimenti agricoli. E’ stata quella che oggi chiamiamo la “Rivoluzione Verde”. Come sapete, i risultati di questi sforzi sono spesso descritti in termini entusiastici, un trionfo dell’ingegno umano sui limiti della natura. E’ vero anche, tuttavia, che il problema della fame nel mondo non è mai stato del tutto risolto, non poteva esserlo se ogni aumento dei rendimenti agricoli veniva compensato da un corrispondente aumento della popolazione umana. E potrebbe anche essere che la Rivoluzione Verde non sia stata soltanto una “non soluzione”, ma qualcosa che ha peggiorato il problema trasformando l’agricoltura in un’attività industriale completamente dipendente dai combustibili fossili e dai fertilizzanti artificiali.

Qualcosa di analogo potrebbe accadere se superiamo il punto di non ritorno della percezione del cambiamento climatico. I dati di Google Ngram, sotto, indicano che l’interesse per il problema sta crescendo rapidamente e che potremmo essere vicini al raggiungimento del punto di non ritorno nella percezione che la fame nel mondo ha raggiunto negli anni 60.

I risultati, tuttavia, potrebbero non essere tanto buoni quanto si potrebbe sperare. L’apparizione improvvisa della drammatica realtà del cambiamento climatico nella mediasfera potrebbe portare a dimenticare che il modo migliore (e probabilmente l’unico) per sbarazzarsi dei combustibili fossili abbastanza rapidamente per evitare un disastro climatico è quello di renderli obsoleti attraverso le energie rinnovabili. Quindi potremmo assistere ad una folle corsa verso soluzioni rapide e sporche. Di fatto delle non soluzioni o soluzioni che peggiorano il problema.

Una di queste non soluzioni è la “geoingegneria” come viene normalmente descritta, per esempio distribuire uno strato riflettente nell’alta atmosfera. Questo farebbe qualcosa per ridurre il riscaldamento globale, ma niente per evitare l’acidificazione degli oceani e i suoi effetti climatici regionali (vedi siccità) sono ancora tutti da scoprire. O pensare alla cattura e stoccaggio del carbonio: un tentativo disperato e costoso di continuare ad usare combustibili fossili (“mangiarsi la torta ed averla ancora”) spazzando letteralmente il problema sotto al tappeto – dove nessuno può garantire per quanto a lungo ci può restare. E i biocombustibili? Un eccellente modo per affamare una gran quantità di persone perché una piccola élite possa continuare ad usare i propri costosi giocattoli di metallo chiamati “automobili”.

Sappiamo tutti che il cambiamento climatico è un problema tremendo. Probabilmente, nel prossimo futuro, scopriremo quanto esattamente si tremendo. Forse il papa stesso ci dirà di non aspettarci dei miracoli. Solo di continuare a lavorare duro che forse ce la possiamo fare. Forse.

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Turista fai da te a Firenze? Ahi, ahi, ahi!

Qualche giorno fa, il centro di Firenze sembrava una scena del film “Blade Runner”: caldo bestiale, pioggia, turisti con l’ombrello, fitti che non si riusciva a muoversi. Nella gran confusione, sono stato vittima di una piccola estorsione pensata per derubare i turisti. 

Le varie leggende sugli imbrogli che ti propinano quando fai il turista in un paese straniero hanno un fondo di verità. Se viaggi molto, ti ritrovi spesso a combattere con vari piccoli imbroglioni che ti mettono sovrapprezzi sui taxi, sugli alberghi, sui ristoranti, e cose del genere. E’ normale e, alle volte, non hai altra scelta che pagare per non infilarti in qualche bega assurda.

Ora, l’Italia si suppone sia un paese civile, ma queste cose succedono anche qui anche se noi Italiani non ce ne accorgiamo spesso, perché non siamo il bersaglio principale. Però, vi posso riferire di una piccola esperienza, abbastanza orrenda, che mi è capitata la settimana scorsa in un parcheggio nel centro di Firenze.

Allora, era una giornata terrificante: il centro di Firenze sembrava l’uscita di una delle stazioni della metropolitana di Tokio all’ora di punta; incluso il caldo afoso, la pioggia universale, la folla di gente talmente fitta che non si riusciva a camminare.  Nella grande confusione, mi presento a ritirare la macchina che avevo parcheggiato in uno dei parcheggi sotterranei del centro e mi accorgo di aver perso lo scontrino. Una seccatura, ma mi immagino che, alla peggio, mi faranno pagare fin dall’ora di apertura del parcheggio – magari dieci euro in più. Invece, se premi il tasto “biglietto perso” sulla macchinetta per i pagamenti viene fuori che devi pagare 237 Euro! Alla faccia!

Mi fiondo dal tizio che sta nell’ufficietto del parcheggio. Gli dico, “Ma siete matti?” Lui mi risponde, “guardi, questo è il regolamento del parcheggio.” Gli dico, “e se uno non vuole pagare?” “Non sono autorizzato a farlo uscire.”

A questo punto, considero l’ipotesi di chiamare i carabinieri e denunciare questi qua per estorsione e sequestro di persona. Ma mi viene in mente che i carabinieri hanno probabilmente cose più importanti da fare. A parte che, nella bolgia infernale che c’è fuori, l’unico modo con cui potrebbero arrivare dentro il parcheggio sarebbe con una macchina volante, tipo quelle di “Blade Runner.”

Faccio due chiacchere con il tizio nella gabbietta che, poveraccio, che si dimostra abbastanza gentile e che non ha nessuna colpa per la faccenda. Fra l’altro, è uno che si sorbisce tutti i giorni il caldo bestiale e il puzzo degli scarichi di un parcheggio sotterraneo. Mi racconta che succedono le cose più turpi con quelli che perdono il biglietto di ingresso. Molta gente si arrabbia a morte e alcuni arrivano alle minacce fisiche.  Alcunialtrichiamanoveramenteicarabinieri. Nella maggior parte dei casi, finiscono per pagare (**).

A questo punto, viene fuori che c’è un trucco nel regolamento del parcheggio per liberarsi senza dover pagare la taglia. Mi faranno uscire se faccio una denuncia di smarrimento del biglietto alla polizia e glie ne porto una copia. E’ una cosa assurda, ma non ho molta scelta. Così, mi incammino fino al posto di polizia – per fortuna non lontano. Spiego la cosa, i poliziotti sono abbastanza seccati di dover perdere tempo in questa scemenza, ma mi fanno un foglio con adeguati timbri e firme,  Lo porto al tizio nel gabbiotto, lui mi fa un duplicato del biglietto e mi fa pagare esattamente quello che avrei dovuto pagare normalmente: quattro euro e mezzo in tutto. Nel complesso, mi è andata di lusso perché alla polizia non c’era quasi nessuno e tutta la bega mi ha preso circa un’ora. Se c’era la coda, ci schiacciavo l’intero pomeriggio.

Ora, riflettendo su questa vicenda, è evidente che non è una questione di incompetenza o di follia burocratica. Questa esosa sovrrattassa è calibrata esattamente sui turisti, specialmente gli stranieri. Immaginatevi di trovarvi nella situazione che vi ho descritto in un paese dove il tizio nella gabbia di vetro non parla la vostra lingua e nemmeno l’inglese. Se in qualche modo riuscite a comunicare, quello vi dice che dovete presentarvi alla polizia a fare qualcosa che non sapete bene cosa. E alla polizia, probabilmente, non parlano bene inglese neppure loro. E poi, anche se parlate bene la lingua del posto, se siete turisti non potete perdere un pomeriggio a litigare. Insomma, alla fine non avete altra scelta che pagare i 237 euro e questo è di sicuro un ottimo affare per i gestori del parcheggio..

Come dicevo all’inizio, sono cose che succedono e la “caccia al turista” è aperta più o meno in tutti i posti del mondo dove i turisti vanno. Quello che stupisce in questa storia è che, apparentemente, le autorità, a Firenze, non hanno il potere e/o la volontà di dire ai gestori di un parcheggio che non possono sequestrare la gente contro la loro volontà. Ma, in realtà, e una conseguenza del fatto che in Italia ci stiamo muovendo nella direzione di basare tutta l’economia su un’industria parassitica e inefficiente, quella del turismo internazionale. Non è soltanto un’industria inefficiente, ma un’industria fragile. C’è tantissima concorrenza nel mondo, e a furia di trattar male i turisti, se la voce si sparge, finisce che quelli vanno in un altro posto. E una bella crisi internazionale, di quelle serie, può peggiorare le cose di parecchio. In quel caso, sarà dura per chi campa della caccia al turista. Purtroppo, non sarà dura solo per loro.

* Vedi anche ilmio post in Inglese su questo argomento

** C’è stato anche un articolo sulla “Nazione” su questa cosa, dove si dice che i pensionati che si trovano di fronte all’esoso salasso si mettono a piangere. Una roba da tragedia greca. 

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Grandi terremoti stanno scuotendo la Groenlandia e gli scienziati hanno appena scoperto l’inquietante motivo per cui succede

Da “The Washington Post”. Traduzione di MR (via Alexander Ač)

La superficie del ghiacciaio Helheim è incredibilmente irregolare ed ampia (Foto: Nick Selmes, Swansea University) 
Di Chris Mooney 

Se la Groenlandia se ne va, sta diventando evidente che non se ne andrà in silenzio. Gli scienziati hanno già documentato interi laghi di acqua di fusione che svaniscono nel giro di ore dalla superficie della grande calotta glaciale della Groenlandia, man mano che si aprono enormi crepacci sotto di loro. Ed ora gli scienziati hanno fatto luce sui meccanismi che stanno dietro ad un altro effetto geofisico drammatico portato dalla massa di ghiaccio, non di rado spessa chilometri, che sussulta e fonde: i terremoti. In un nuovo saggio sulla rivista Science, una squadra di ricercatori dell’Università di Swancity nel Regno Unito, l’Osservatorio Terrestre di Lamont-Doherty dell’Università della Columbia e diverse altre istituzioni, spiegano in che modo la perdita di ghiaccio della Groenlandia possa generare terremoti glaciali. In breve: quando grandi iceberg si staccano dalle estremità dei ghiacciai che si estendono in mare, cadono in acqua e spingono i ghiacciai stessi all’indietro. Il risultato è un evento sismico rilevabile sulla Terra.


“Sono circa della magnitudo da 4,6 a 5,2 della scala Richter, molto prossimi alla magnitudo 5”, dice Meredith Nettles dell’Osservatorio Terrestre di Lamont-Doherty dell’Università della Columbia, una coautrice dello studio. “che è unterremotopiuttosto forte”. La cosa sicura è che questi terremoti non avvengono per caso – sono causati da movimenti massicci di ghiaccio e da come impattano sul terreno sottostante. In confronto ai primi anni 90, dice Nettles, gli scienziati ora stanno misurando sette volte tanto di questi terremoti glaciali che provengono dalla Groenlandia – il tasso è schizzato man mano che la calotta glaciale ha cominciato a perdere più massa a causa del distacco di iceberg dalla parte terminale del ghiacciaio. Per capire le dinamiche che ci sono sotto al modo in cui avvengono questi terremoti glaciali, i ricercatori hanno messo strumenti GPS al di sopra del ghiacciaio Helheim, che è in rapido movimento e che si trova nella parte sudorientale della Groenlandia, attraverso lo stretto fra Danimarca e Islanda. Hanno anche monitorato il fronte di distacco del ghiacciaio, dove incontra l’acqua, con una telecamera ed hanno usato i dati sismici globali per tracciare gli eventi sismici.

Per avere un’idea migliore di ciò che hanno scoperto, dovete fare mente locale su quanto siano realmente grandi questi iceberg che si distaccano. La quantità di massa ghiacciata che si stacca in grandi distacchi di iceberg dal ghiacciaio Helheim, spiega Nettles, è intorno ad una gigatonnellata, o un miliardo di tonnellate. “Se prendessimo il Nationa Mall e lo coprissimo di ghiaccio fino all’altezza di quattro volte il monumento di Washington, “ dice Nettels, avremmo circa una gigatonnellata di ghiaccio. “Dalla scalinata del Campidoglio al Lincoln Memorial”. Misurato in spazio piuttosto che in massa, un grande iceberg che si distacca dal Helheim può essere di 4 km di lunghezza. Quindi forse non sorprende che un corpo così grande possa scuotere la Terra quando si muove – specialmente quando getta il suo peso contro un altro oggetto solido, come avviene durante un distacco di un iceberg. L’iceberg, quando si distacca dal fronte del ghiacciaio, è alto e relativamente sottile (in confronto al ghiacciaio, in ogni caso) ed in effetti “sta eretto” verticalmente. Se si potesse vedere una sezione incrociata di quello che stava succedendo quando si stava distaccando, potrebbe apparire come tagliare una fetta piuttosto spessa da una pagnotta di pane. Ma dal momento che l’iceberg si distacca, questi comincia rapidamente a capovolgersi. Mentre accade questo, il suo vertice (sopra l’acqua) cade e va a premere contro il ghiacciaio, anche se la sua base (sotto l’acqua) si solleva verso la superficie, facendo alla fine in modo che l’iceberg galleggi orizzontale sull’acqua. O questo è perlomeno il processo solito. Ecco un video del processo simulato, da parte dei ricercatori, in una cisterna:

In questo video, che è stato rallentato di cinque volte rispetto alla velocità reale, un iceberg di plastica che si capovolge mentre viene tracciato digitalmente attraverso due puntini neri. Il muro rigido a destra misura la pressione idrodinamica dell’acqua, che gioca un ruolo importante nell’origine dei terremoti glaciali generati dal capovolgimento degli iceberg. (Justin C. Burton e L. Mac Cathles)


Duranteilcapovolgimento, vengono generate due forzeenormi. La prima, e più ovvia, si verifica quando il vertice in caduta dell’iceberg spinge contro il ghiacciaio e di fatto sposta la piattaforma di ghiaccio all’indietro verso la terraferma. “Durante i terremoti, la regione prossima al fronte di distacco mostra una drammatica inversione di scorrimento, muovendosi verso monte del ghiacciaio per diversi minuti mentre si muove simultaneamente a valle”, scrivono gli autori. “Il movimento orizzontale e verticale rimbalza quindi rapidamente”, continuano. Ma nel frattempo, è abbastanza da scuotere la Terra. “Quell’iceberg che si distacca spinge il resto del ghiacciaio all’indietro in modo abbastanza forte da poterlo misurare, abbastanza forte da invertire temporaneamente lo scorrimento complessivo del fronte del ghiacciaio”, dice Nettles. “Ed è quella forza che preme sul resto del ghiacciaio e le pietre sotto di esso che ci dà l’attività sismica”. 

C’è anche una seconda forza coinvolta. Man mano che l’iceberg si separa dal ghiacciaio, si apre un vuoto in cui l’acqua si precipita. La regione ha una pressione idrica minore e questo riduce la pressione dell’acqua e del ghiaccio sulla Terra. E questo porta ad “un’azione di forza verso l’alto sulla terra solida, come osservato nella nostra analisi sismica”, osservano i ricercatori. Se tutto questo non fosse abbastanza, glieventicreanoancheun “grande tsunami”, dice Nettles. Ciò si verifica quando il ghiacciaio che cade e si rovescia spinge l’acqua verso l’esterno attraverso il fiordo che porta al ghiacciaio. “Lo tsunami è causato perché l’iceberg deve spostare molta acqua dal suo percorso mentre si ribalta”, spiega Nettles. Mettendo da parte la drammaticità degli tsunami e dei terremoti glaciali, la cosa fondamentale è quanto tutto questo contribuisca all’aumento del livello dei mari – perché, naturalmente, questo sta succedendo in continuazione. In oltre 55 giorni, alla fine dell’estate del 2013, i ricercatori hanno osservato “10 grandi eventi di distacco e relativi terremoti” – ed un ritiro totale del ghiacciaio Helheim di 1,5 km. E Helheim è solo uno dei molti ghiacciai della Groenlandia che stanno perdendo ghiaccio. 

Ogni iceberg da una gigatonnelklata equivarrebbe circa ad un quarto di percentuale delle 378 gigatonnellate annuali stimati di perdita di ghiaccio della Groenlandia. Ci voglio 360 gigatonnellate per aumentare il livello globale del mare di un millimetro, quindi la Groenlandia lo sta facendo circa ogni anno, man mano che gli iceberg cadono in mare ed i ghiacciai si ritirano ulteriormente. (In tutto, la piattaforma glaciale contiene acqua sufficiente ad aumentare il livello globale del mare di 6 metri). La perdita di ghiaccio avviene sia col distacco di iceberg – il che spiega quasi la metà della perdita totale della Groenlandia, secondo il nuovo studio – e meccanismi come il semplice drenaggio. Qui, man mano che l’acqua di fusione in cima alla calotta glaciale trova le strade verso l’oceano scorrendo fino alla sua base (a volta il prosciugamento improvviso dei laghi), in seguito trova le strade verso l’oceano. Ma entrambi i meccanismi hanno i loro elementi esplosivi – terremoti, tsunami, sparizione di laghi – anche se in modi molto diversi. “I terremoti non destabilizzano di per sé la calotta glaciale, dice Nettles, “ma sono un segno del fatto che la calotta glaciale si sta riducendo e ritirando”. 
Ed è qui che arriva la buona notizia, certamente piccola, di tutto questo. Siccome i terremoti sono molto forti e rilevabili ovunque con apparecchiature sismiche, possono di fatto essere usati per tracciare quanto ghiaccio della Groenlandia stiamo perdendo. Sono come la pulsazione della perdita di ghiaccio. Quindi siccome la Groenlandia non se ne andrà in silenzio, perlomeno sapremo quanto rapidamente ci sta lasciando. 

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Un bambino che nasce oggi potrebbe assistere alla fine dell’umanità, a meno che…

Da “Reuters”. Traduzione di MR (via Cristiano Bottone)

Di David Auerbach

Un paio di abbracci su un’area collinare con vista sul Cairo in un giorno polveroso e nebbioso in cui le temperature hanno raggiunto i 45°C il 27 maggio 2015. REUTERS/Asmaa Waguih

Gli esseri umani si estingueranno entro 100 anni perché il pianeta sarà inabitabile, secondo il microbiologo australiano Frank Fenner, uno dei leader nel tentativo di debellare il vaiolo negli anni 70. Fenner incolpa il sovraffollamento, le risorse prosciugate e il cambiamento climatico. La previsione di Fenner non è una scommessa sicura, ma ha ragione a dire che in nessuno modo le riduzioni di emissioni siano sufficienti per salvarci dalla nostra tendenza verso la catastrofe. E non sembra che ci sia alcuna grande corsa globale alla riduzione delle emissioni, in ogni caso. Quando il G7 ha invitato tutti i paesi a ridurre le emissioni di carbonio a zero nei prossimi 85 anni, la reazione della scienza è stata unanime: è troppo tardi.

E nessun possibile accordo che emerge dall’attuale United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) a Bonn, in Germania, in preparazione della conferenza sul clima di novembre a parigi, sarà sufficiente. A questo punto, diminuire le emissioni è solo metà della storia – la metà facile. Ma metà più difficile sarà uno sforzo aggressivo di trovare le tecnologie necessarie ad invertire l’apocalisse climatica che è già cominciata.

Da anni ormai, abbiamo sentito dire che ci troviamo ad un punto di non ritorno. Al Gore ci ha avvertito in “Una scomoda verità” che un’azione immediata era necessaria se volevamo impedire il riscaldamento globale. Nel 2007, Sir David King, ex consigliere scientifico capo del governo britannico, ha dichiarato: “Evitare il cambiamento climatico pericoloso è impossibile – il cambiamento climatico pericoloso è già qui. La domanda è, possiamo evitare il cambiamento climatico catastrofico?” Negli anni che sono seguiti, le emissioni sono aumentate, così come le temperature globali. Si possono trarre solo due conclusioni: o questi vecchi avvertimenti erano allarmisti o ci troviamo già in un guaio di gran lunga più grosso di quanto dichiari l’ONU. Sfortunatamente, sembra che sia la seconda.

Ridurre le emissioni e passare a fonti energetiche più pulite è un passo necessario per impedire aumenti di temperatura catastrofici. L’obbiettivo generale è quello di impedire che le temperature globali aumentino di più di 2°C. Aumenti maggiori – come l’aumento di 5°C dell’attuale proiezione per il 2100 – corrono il rischio di provocare alluvioni diffuse, carestie, siccità, aumento del livello del mare, estinzione di massa e, peggio ancora, il potenziale di superare il punto di non ritorno (spesso fissata a 6°C) che potrebbe rendere gran parte del pianeta inabitabile e spazzare via la maggior parte delle specie. Anche la cifra di 2°C prevede più di un metro di aumento dei livelli del mare per il 2100, abbastanza da far sfollare milioni di persone. Non stupisce che il pentagono ritiene il cambiamento climatico un serio “moltiplicatore di minacce” e considera il suo potenziale distruttivo in tutta la sua pianificazione.

E’ qui che l’ONU non dice tutto – molto meno. Gli obbiettivi offerti dagli Stati uniti (una riduzione dal 26 al 28% dai livelli del 2005 entro il 2025), dall’Unione Europea (una riduzione del 40% dai livelli del 1990 entro il 2030) e della Cina (un picco di emissione non meglio specificato entro il 2030) non sono neanche lontanamente vicini a mantenerci al di sotto dell’obbiettivo dei 2°C. Nel 2012, il giornalista Bill McKibben, in un articolo sul Rolling Stone, spiegava gran parte della matematica dietro al pensiero attuale sul riscaldamento globale. Mckibben concludeva che le cifre delle Nazioni Unite erano sicuramente ottimistiche. In particolare, Mckibben osservava che la temperatura è già aumentata di 0,8°C e anche se fermassimo tutte le emissioni di carbonio oggi, aumenterebbe di altri 0,8°C semplicemente a causa del biossido di carbonio esistente nell’atmosfera. Ciò lascia un cuscinetto di 0,4°C prima di raggiungere i 2°C. Anche ipotizzando che la conferenza di Parigi implementi tutto ciò che è stato promesso, saremmo sulla strada giusta per consumare il “bilancio di carbonio” rimanente – la quantità di carbonio che possiamo emettere senza superare la soglia dei 2°C  – entro due o tre decenni, neanche mezzo secolo.

E’ sicuro affermare che queste ipotesi di riduzione delle emissioni sono semplicemente insufficienti. Di per sé, offrono soltanto una piccola possibilità di impedire alla Terra di diventare in gran parte inabitabile – per gli esseri umani perlomeno – nei prossimi secoli. Perché i colloqui siano qualcosa di più di un placebo, devono includere piani aggressivi di mitigazione climatica, con l’assunto che gli attuali obbiettivi illusori non saranno raggiunti.

Oltre al coordinamento per affrontare le crisi alimentate dal cambiamento climatico e l’instabilità associata, la leadership del cambiamento climatico deve incoraggiare e finanziare lo sviluppo di tecnologie per invertire ciò che non siamo in grado di smettere di fare al nostro pianeta. Molte di queste tecnologie rientrano nella definizione di “sequestro del carbonio” – immagazzinare in sicurezza il carbonio piuttosto che emetterlo. Strategie più rischiose, come l’iniezione dei solfati nell’aria per riflettere più calore solare nello spazio e la fertilizzazione dell’oceano col ferro per far crescere le alghe per risucchiare il carbonio, corrono il rischio di avere conseguenze indesiderate. Soluzioni migliori e più sicure per ridurre le concentrazioni di CO2 nell’atmosfera non esistono ancora. Dobbiamo scoprirle e regolamentarle, per evitare il caos di ciò che gli economisti Gernot Wagner e Martin L. Weitzman chiamano “geoingegneria canaglia” nel loro libro Shock climatico.

Nessuno di questi approcci sono sostituti della riduzione delle emissioni. Raggiungere una società ad emissioni di carbonio zero è un obbiettivo a lungo termine necessario a prescindere da altre soluzioni tecnologiche. La tecnologia potrebbe farci guadagnare il tempo per arrivarci senza che il nostro pianeta bruci. Alla fine, ci serve un livello di investimento da Guerra Fredda in ricerca in nuove tecnologie per mitigare gli effetti in arrivo del riscaldamento globale. Senza questo, il lavoro dell’ONU è un bel gesto, ma è difficile che sia significativo.

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Antropocene: non si tratta solo di noi

DaPost Carbon Institute”. Traduzione di MR

Di Richard Heinberg

E’ il momento di celabrare! Yoohoo! E’ ufficiale: noi umani abbiamo dato inizio ad una nuova epoca geologica – l’Antropocene. Chi avrebbe mai pensato che solo una specie fra milioni di altre sarebbe stata capace di una tale realizzazione? Aspettiamo però a fare scorta di bomboniere. Dopotutto, l’Antropocene potrebbe essere piuttosto desolante. La ragione per cui la nostra epoca ha acquisito un nuovo nome è che i geologi del futuro saranno in grado di rilevare una discontinuità rilevante negli strati rocciosi che documentano la nostra piccola fetta di tempo nella ricostruzione di miliardi di anni della Terra.

Questa discontinuità sarà riconducibile alla presenza umana. Pensate al cambiamento climatico, all’acidificazione dell’oceano e all’estinzione di massa. Benvenuti nell’Antropocene: un mondo che potrebbe presentare poco in termini di vita multicellulare oceanica oltre alle meduse e un mondo i cui continenti potrebbero essere dominati da poche specie generiche in grado di occupare rapidamente nuove nicchie temporanee man mano che gli habitat si degradano (vengono in mente ratti, corvi e scarafaggi). Noi umani abbiamo dato inizio all’Antropocene e lo abbiamo orgogliosamente battezzato da soli, eppure ironicamente potremmo non esserci per goderci la gran parte di esso. La catena di impatti che abbiamo iniziato potrebbe potenzialmente durare milioni di anni, ma sapere se ci sopravviveranno geologi umani per ricostruirla e commentarla è un tirare a sorte. Per essere sicuri, ci sono persone che celebrano l’Antropocene che credono che siamo solo all’inizio e che gli umani possono e daranno deliberatamente, intelligentemente e durevolmente forma a questa nuova epoca.
Mark Lynas, autore di La Specie di Dio, asserisce che l’Antropocene richiederà a tutti noi di pensare ed agire in modo diverso, ma che popolazione, consumo ed economia possono continuare a crescere nonostante i cambiamenti del sistema terrestre. Stewart Brand dice che potremmo non avere più una scelta in quanto al rifare completamente il mondo naturale; per lui “Abbiamo solo la scelta di fare un buon terraforming. E’ questo il progetto verde di questo secolo”. Nel loro libro Ama il tuo mostro: post-ambientalismo e Antropocene, Michael Schellenberger e Ted Nordhaus del Breakthrough Institute dicono che possiamo creare un mondo in cui 10 miliardi di umani raggiungono un standard di vita che permette loro di perseguire i propri sogni, anche se questo sarà possibile soltanto se abbracciamo crescita, modernizzazione e innovazione tecnologica. Analogamente, Emma Marris (che ammette di non aver mai trascorso del tempo nella natura), sostiene in Giardino turbolento: salvare la natura in un mondo post selvaggio che la natura selvaggia è persa per sempre, che ci dovremmo tutti abituare all’idea dell’ambiente come costruito dall’uomo e che questo è potenzialmente una cosa buona.

L’Antropocene è il culmine della follia umana o l’inizio della divinità umana? L’epoca emergente sarà esaurita e post apocalittica o sarà arredata con gusto da generazioni di ingegneri dell’ecosistema esperti di tecnologia? I filosofi ambientali attualmente sono impegnati in quello che risulta essere un dibattito acceso sui limiti dell’opera umana. Quella discussione è particolarmente coinvolgente perché… riguarda noi!

* * *

La praticabilità della versione “ne siamo responsabili e lo amiamo” dell’Antropocene – chiamiamolo Tecno-Antropocene, probabilmente dipende dalle prospettive dell’energia nucleare. Per il mantenimento e la crescita della civiltà industriale servirà una fonte di energia concentrata e affidabile e praticamente tutti sono d’accordo su questo – a prescindere se siamo o meno al punto del “peak oil” — i combustibili fossili non continueranno ad alimentare la civiltà nei secoli e millenni a venire. Il solare e l’eolico sono fonti più rispettose dell’ambiente, ma sono diffuse ed intermittenti. Delle attuali fonti non fossili della società, solo il nucleare è concentrato, disponibile a richiesta e (probabilmente) capace di una espansione significativa. Non è un caso che i fautori del Tecno-Antropocene come Mark Lynas, Stewart Brand, Ted Nordhaus e Michael Schellenberger siano anche dei grandi sostenitori del nucleare. Ma le prospettive dell’attuale tecnologia nucleare non sono rosee. Le devastanti fusioni del 2011 a Fukushima hanno spaventato cittadini e governi in tutto il mondo. Il Giappone avrà a che fare con gli impatti delle radiazioni e gli impatti sulla salute per decenni se non per secoli e la Costa Occidentale degli Stati Uniti si sta preparando per un afflusso di acqua oceanica e detriti radioattivi. Non c’è ancora una buona soluzione per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi prodotti anche quando i reattori stanno funzionando come previsto. Le centrali nucleari sono costose da costruire e di solito subiscono pesanti superamenti dei costi preventivati. La disponibilità mondiale di uranio è limitata e sono probabili carenze da metà secolo anche senza una grande espansione delle centrali. E le centrali atomiche sono collegate alla proliferazione delle armi nucleari.

Nel 2012, The Economist ha dedicato un numero speciale ad un rapporto sull’energia nucleare. Significativamente, il rapporto era intitolato, “Energia nucleare: il sogno infranto”. Le sue conclusioni: l’industria nucleare potrebbe essere in procinto di espandersi solo in qualche nazione, principalmente la Cina. Altrove viene tenuta in piedi artificiosamente. Niente di tutto questo scoraggia i sostenitori del Tecno-Antropocene, che dicono che la tecnologia nucleare ha il potenziale di soddisfare le promesse fatte in origine per l’attuale flotta di impianti atomici attuali. Il fulcro di questa nuova tecnologia è l’Integral Fast Reactor (IFR). A differenza dei reattori ad acqua (che comprende la stragrande maggioranza delle centrali nucleari in servizio oggi) gli IFR userebbero il sodio come refrigerante. La reazione nucleare IFR include neutroni rapidi e consuma con più cura il combustibile radioattivo, lasciando meno rifiuti. Di fatto, gli IFR potrebbero usare gli attuali rifiuti radioattivi come combustibile. Inoltre, si presume che offrano una maggiore sicurezza operativa e meno rischio di proliferazione nucleare. Queste argomentazioni sono state fatte con forza nel documentario del 2013 “La promessa di Pandora”, prodotto e diretto da Robert Stone. Il film asserisce che gli IFR sono i nostri migliori strumenti per mitigare il riscaldamento globale antropogenico e continua affermando che c’è stato un tentativo deliberato da parte di burocrati malaccorti di sabotare lo sviluppo dei reattori IFR. Tuttavia, i critici del film dicono che queste affermazioni sono gonfiate e che la tecnologia IFR è molto problematica. Le versioni precedenti dei reattori autofertilizzanti (di cui gli IFR sono una versione) sono  stati dei fallimenti commerciali e dei disastri in sicurezza. I sostenitori degli Integral Fast Reactor, dicono i critici, trascurano i suoi costi di sviluppo e spiegamento esorbitanti e di continuo rischi di proliferazione nucleare. L’IFR in teoriatrasmuta”, piuttosto che eliminare, i rifiuti radioattivi. Eppure la tecnologia è indietro di decenni rispetto all’implementazione diffusa e il suo uso di sodio liquido come raffreddante può portare a incendi ed esplosioni.

David Biello, scrivendo su Scientific American, conclude che “Ad oggi, i reattori a neutroni veloci hanno consumato sei decenni e 100 miliardi di dollari di sforzo complessivo ma rimangono una pia illusione”. Anche se i sostenitori dei reattori IFR hanno ragione, c’è una gigantesca ragione pratica per cui non possono alimentare l’Antropocene: probabilmente non avremo dei benefici da essi abbastanza presto da fare una qualche differenza. Le sfide del cambiamento climatico  e dell’esaurimento dei combustibili fossili richiedono un’azione ora, non fra decenni. Ipotizzando un sufficiente investimento di capitale e ipotizzando un futuro in cui abbiamo decenni durante i quali migliorare le tecnologie esistenti, i reattori IFR potrebbero di fatto mostrare vantaggi significativi rispetto agli attuali reattori ad acqua leggera (solo molti anni di esperienza possono dirlo con certezza). Ma non abbiamo il lusso dell’investimento di capitale illimitato e non abbiamo decenni per eliminare i difetti e costruire questa tecnologia complessa e non provata. Il verdettodi The Economist è: “L’energia nucleare continuerà ad essereunacreaturadellapolitica, non dell’economiaedognicrescita è unafunzionedelvolere politico o uneffettocollateraledellaprotezionedelle società diservizidallacompetizioneaperta… L’energia nucleare non sparirà, ma il suo ruolo potrebbe non essere mai altro che marginale”.

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A costo di risultare ripetitivo, ribadirò il punto: l’energia a buon mercato ed abbondante è il prerequisito del Tecno-Antropocene. Possiamo affrontare le sfide dell’esaurimento delle risorse e della popolazione solo impiegando più energia. Finiamo l’acqua dolce? Si costruiscono impianti di desalinizzazione (che usano molta energia). Degradiamo il suolo per produrre più cereali per nutrire 10 miliardi di persone? Si costruiscono milioni di serre idroponiche (che hanno bisogno di un sacco di energia per la costruzione e il funzionamento). Man mano che estraiamo da depositi di metalli e minerali più profondi e raffiniamo depositi di densità più bassa, ci servirà più energia. I vantaggi dell’efficienza energetica ci possono aiutare a fare di più con ogni aumento di potenza, ma una popolazione in crescita e un tasso di consumo pro capite in aumento eccederanno di molto quei vantaggi (come hanno fatto negli ultimi decenni). In ogni modo la si guardi, se vogliamo mantenere l’attuale traiettoria di crescita della società industriale, ci servirà più energia, ci servirà presto e le nostre fonti energetiche dovranno soddisfare determinati criteri – per esempio, non dovranno emettere alcun carbonio e allo stesso tempo essere economicamente sostenibili. I criteri essenziali possono essere ridotti a quattro parole: quantità, qualità, prezzo e tempistica. La fusione nucleare potrebbe in teoria fornire energia in grandi quantità, ma non a breve. La stessa cosa vale per la fusione fredda (se – ed è un grande se – può essere confermato che il processo funzioni  e possa essere portato in scala). I biocombustibili offrono un EROEI molto basso nella loro produzione (un problema di qualità determinante). L’energia termica e delle onde dell’oceano potrebbe servire le città costiere, ma anche in questo caso la tecnologia dev’essere dimostrata e portata in scala. Il carbone con la cattura e stoccaggio del carbonio non è competitivo economicamente con le altre fonti di elettricità. Il solare e l’eolico stanno diventando più economici, ma sono intermittenti e tendono a minare i modelli d’affari delle società di servizi commerciali. Anche se il nostro elenco di fonti energetiche potenziali è lungo, nessuna di queste fonti è pronta per essere connessa rapidamente nel nostro sistema esistente per fornire energia nella qualità e al prezzo di cui l’economia ha bisogno per continuare a crescere.

Questo significa che il futuro prossimo dell’umanità sarà quasi sicuramente energeticamente limitato. E questo, a sua volta, assicurerà – anziché la progettazione della natura su scala ancora maggiore – che dipenderemo di nuovo da ecosistemi che sono ampiamente al di là del nostro controllo. Come specie, abbiamo ottenuto un grado di influenza impressionante sull’ambiente semplificando deliberatamente gli ecosistemi di modo che sostengano più esseri umani, ma meno delle altre specie. La nostra strategia principale in questo progetto è stata l’agricoltura – principalmente una forma di agricoltura che si concentra su poche colture annuali di cereali. Abbiamo requisito fino al 50% della produttività biologica primaria del nostro pianeta, in gran parte attraverso l’agricoltura e la silvicoltura. Fare questo ha avuto impatti fortemente negativi sulle specie di piante ed animali non addomesticate. La conseguente perdita di biodiversità sta compromettendo sempre di più le prospettive degli esseri umani, perché dipendiamo da una serie infinita di servizi ecosistemici (come l’impollinazione e la rigenerazione di ossigeno) – servizi che non organizziamo o controlliamo e per i quali non paghiamo. L’essenza del nostro problema è questa: questi effetti collaterali della baldoria della nostra crescita si stanno accumulando rapidamente e minacciano una crisi in cui i sistemi di supporto artificiali che abbiamo costruito negli ultimi decenni (cibo, trasporto e sistema finanziario, fra gli altri), così come i sistemi selvaggi della natura dai quali dipendiamo ancora, potrebbero collassare più o meno simultaneamente. Se abbiamo raggiunto un punto di ritorni decrescenti e di crisi potenziale rispetto alla nostra attuale strategia di costante crescita di popolazione/consumo e di invasione degli ecosistemi, allora sembra che un cambio di direzione sia necessario ed inevitabile. Se fossimo intelligenti, piuttosto di tentare di sognare modi per riprogettare ulteriormente i sistemi naturali in modi non verificati (e probabilmente inaccessibili), cercheremmo di limitare e migliorare gli impatti ambientali del nostro sistema industriale globale mentre riduciamo la nostra popolazione e i livelli complessivi di consumo.

Se non limitiamo pro-attivamente popolazione e consumo, la natura alla fine lo farà per noi, probabilmente con mezzi molto spiacevoli (carestie, pestilenze e forse guerre). Analogamente, possiamo limitare i consumi semplicemente continuando ad esaurire le risorse finché diventano inaccessibili. I governi probabilmente sono incapaci di condurre una ritirata strategica nella nostra guerra contro la natura, in quanto sono sistemicamente agganciati alla crescita economica. Ma potrebbe esserci un altra strada per andare avanti. Forse i cittadini e le comunità possono dare inizio ad un cambio di direzione. Negli anni 70, quando i primi shock energetici ci hanno colpiti direttamente e il movimento ambientalista ha prosperato, i pensatori ecologici hanno cominciato ad affrontare la domanda: quali sono i modi più biologicamente rigenerativi e meno dannosi di soddisfare i bisogni umani fondamentali? Due di questi pensatori, gli australiani David Holmgren e Bill Mollison, hanno inventato un sistema che hanno chiamato Permacultura. Secondo Mollison “la Permacultura è una filosofia del lavorare con, piuttosto che contro la natura; di osservazione prolungata e ponderata piuttosto che di lavoro protratto e sconsiderato e di osservazione di piante ed animali in tutte le loro funzioni, piuttosto che trattare ogni area come un sistema di un singolo prodotto”. Oggi ci sono migliaia di persone che praticano la Permacultura in tutto il mondo e i corsi di Progettazione in Permacultura sono spesso proposti in quasi ogni paese.

Principi di Permacultura

Altri ecologisti non hanno puntato a creare un sistema generale, ma si sono meramente impegnati in una ricerca frammentaria sulle pratiche che potrebbero portare ad una modalità di produzione del cibo più sostenibile – pratiche che comprendono consociazioni, pacciamatura e compostaggio. Un ambizioso scienziato dell’agricoltura, Wes Jackson delLand Institute di Salina, in Kansas, ha passato gli ultimi quattro decenni a riprodurre colture di grano perenni (egli sottolinea che gli attuali grani annuali sono responsabili della grande massa di erosione del suolo, 25 miliardi di tonnellate all’anno). Nel frattempo, i tentativi di resilienza della comunità hanno fatto un salto in avanti in migliaia di città e paesi in tutto il mondo – comprese le Iniziative di Transizione, che sono spinte da un modello organizzativo interessante, flessibile e dal basso e da una visione di un futuro in cui la vita è migliore senza combustibili fossili. Il Population Media Center sta lavorando per garantire che non arriviamo a 10 miliardi di esseri umani arruolando artisti creativi in paesi con alti tassi dicrescitadella popolazione (che di solito sono anche fra le nazioni più povere del mondo) a produrre soap opera radiofoniche e televisiva con personaggi femminili forti che affrontano con successo problemi legati alla pianificazione famigliare. Questa strategia ha mostrato diessere il mezzo più economicamente efficace ed umano di ridurre l’alto tasso di nascita in queste nazioni. Cos’altro si può fare? Sostituire il combustibile col lavoro. Localizzare i sistemi alimentari. Catturare il carbonio atmosferico nel suolo e nella biomassa. Ripiantare foreste e ripristinare ecosistemi. Riciclare e riusare. Produrre beni più durevoli. Ripensare l’economia per fornire la soddisfazione umana senza crescita infinita. Ci sono organizzazioni in tutti il mondo che lavorano per portare avanti tutti questi obbiettivi, di solito con poco o nessun sostegno governativo. Presi insieme, potrebbero portarci ad un Antropocene del tutto diverso. Chiamiamolo un Antropocene Verde e Snello.

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Il Tecno-Anthropocene ha un tallone di Achille: l’energia (più specificamente, i fallimenti dell’energia nucleare). L’Antropocene Verde e Snello ne ha a sua volta uno: la natura umana. E’ difficile convincere la gente a ridurre volontariamente il consumo e a frenare la riproduzione. Non perché gli esseri umani siano creature insolitamente invadenti ed avide, tutti gli organismi viventi tendono a massimizzare la loro popolazione e il tasso di uso collettivo di energia. Iniettate una colonia di batteri in un ambiente dicrescita adatto in un vetrino di Petri e guardate cosa accade. Colibrì, topi, leopardi, pesci remo, sequoie o giraffe: in ogni esempio il principio rimane inviolato – ogni specie massimizza popolazione e consumo di energia entro i limiti naturali. L’ecologo sistemico Howard T. Odum ha chiamato questa legge il Principio di massima potenza: in natura, “si sviluppano e prevalgono i progetti di sistemi che massimizzano l’acquisizione di potenza, la trasformazione di energia e quegli usi che rinforzano produzione ed efficienza”. In aggiunta alla nostra innata propensione alla massimizzazione della popolazione e del consumo, noi esseri umani abbiamo anche difficoltà a fare sacrifici nel presente per ridurre i costi futuri. Siamo geneticamente cablati per rispondere alle minacce immediate con risposte del tipo “combatti o scappa”, mentre i pericoli lontani ci interessano molto di meno. Non è che non pensiamo per niente al futuro, piuttosto applichiamo inconsciamente un tasso di sconto basato sulla quantità di tempo che probabilmente trascorrerà prima che debba essere affrontata una minaccia.

E’ vero, c’è qualche variazione nel comportamento anticipatore fra individui umani. Una piccola percentuale della popolazione potrebbe cambiare comportamento ora per ridurre i rischi per le generazioni a venire, mentre la stragrande maggioranza è meno probabile che lo faccia. Se quella piccola percentuale potesse sovrintendere alla nostra pianificazione collettiva futura, avremmo molto meno di che preoccuparci. Ma ciò è difficile da organizzare nelle democrazie, dove la gente, i politici, le multinazionali e persino le organizzazioni no profit si fanno strada promettendo ricompense immediate, di solito sotto forma di maggiore crescita economica. Se nessuno di questi può organizzare una risposta proattiva alle minacce a lunga gittata come il cambiamento climatico, le azioni di pochi individui e comunità potrebbe non essere così efficace nel mitigare il pericolo.  Questa aspettativa pessimista è confermata dall’esperienza. Le linee generali della crisi ecologica del XXI secolo sono state chiare sin dagli ani 70. Eppure non è stato ottenuto granché dagli sforzi per evitare quella crisi. E’ possibile indicare centinaia, migliaia, forse anche milioni di programmi creativi e coraggiosi di ridurre, riciclare e riusare – eppure la traiettoria generale della civiltà industriale rimane relativamente immutata.

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La natura umana potrebbe non permettere al messaggio Verde e Snello di evitare del tutto la crisi ecologica, ma ciò non significa che il messaggio sia inutile. Per capire come questo potrebbe avere un’utilità più a lungo termine nonostante la nostra tendenza al pensiero a breve termine, è utile fare un passo indietro e guardare a come tendono ad evolvere le relazioni fra società ed ambiente. Le crisi emblematiche dell’Antropocene (cambiamento climatico fuori controllo e acidificazione dell’oceano, fra le altre) sono recenti, ma gli esseri umani hanno alterato l’ambiente in un modo o nell’altro per molto tempo. Infatti, c’è una controversia fra i geologi su quando è cominciato l’Antropocene: alcuni dicono che è iniziato con la rivoluzione industriale, altri la fanno partire all’inizio dell’agricoltura, circa 10.000 anni fa, mentre altri ancora la collegano all’apparizione degli umani moderni migliaia di anni prima. Gli esseri umani sono diventati dei trasformatori del mondo come risultato di due vantaggi principali: abbiamo mani abili che ci permettono di fare ed usare attrezzi ed abbiamo il linguaggio, che ci aiuta a coordinare le nostre azioni nel tempo e nello spazio. Dal momento che entrambi erano attivi, abbiamo cominciato ad usarli per conquistare gli ecosistemi. I paleoantropologi possono datare l’arrivo degli esseri umani in Europa, Asia, Australia, Isole del Pacifico e Americhe osservando i tempi di estinzione delle grandi specie preda. L’elenco di animali probabilmente eradicati dai primi esseri umani è lungo e comprende (in Europa) diverse specie di elefanti e rinoceronti; (in Australia)  vombati giganti, canguri e lucertole e (nelle Americhe) cavalli, mammut e cervi giganti.

Le persone hanno anche deliberatamente riprogettato gli ecosistemi per decine di migliaia di anni, principalmente usando il fuoco per alterare il paesaggio di modo da produrre più cibo per gli esseri umani. L’agricoltura è stato una grande spinta alla nostra capacità di produrre più cibo in meno terra, pertanto di far crescere la nostra popolazione. L’agricoltura rendeva dei surplus di cibo immagazzinabile, che ha portato alle città – la base della civiltà. E’ stato in questi calderoni urbani sociali che sono emersi la scrittura, i soldi e la matematica. Se l’agricoltura ha dato una spintarella in avanti al progetto umano, l’industrialismo alimentato dai combustibili fossili lo ha sparato. Nei soli due ultimi secoli, la popolazione e il consumo di energia sono aumentati di oltre l’800%. Il nostro impatto sulla biosfera ha più che tenuto il ritmo. L’industrializzazione dell’agricoltura ha ridotto la necessità di lavoro agricolo. Ciò ha permesso a – o costretto – miliardi di persone di trasferirsi nelle città. Man mano che più persone sono venute a vivere nei centri urbani, si sono ritrovati sempre più tagliati fuori dalla natura selvaggia e sempre più completamente impegnati con parole, immagini, simboli e strumenti. C’è un termine per la tendenza umana a guardare la biosfera, forse persino l’universo, come se riguardasse solo noi: antropocentrismo. Fino ad un certo punto, ciò è una propensione comprensibile ed inevitabile. Ogni persona, dopotutto, è il centro del proprio universo, la stella del proprio film. Perché la nostra specie nel suo complesso dovrebbe essere meno egocentrica? Altri animali sono analogamente ossessionati dalla loro specie: indipendentemente da chi fornisce le crocchette, i cani hanno un interesse ossessivo per gli altri cani. Ma ci sono gradi salutari e non salutari di egocentrismo individuale e di specie. Quando l’autoreferenzialità umana diventa platealmente distruttiva la chiamiamo narcisismo. Può un’intera specie essere troppo autoreferenziale? I cacciatori-raccoglitori erano certamente interessati alla propria sopravvivenza, ma molti popoli raccoglitori indigeni pensavano a sé stessi come parte diuna comunità della vita più grande, con una responsabilità nel mantenere la rete dell’esistenza. Oggi pensiamo più “pragmaticamente” (come potrebbe dire un economista), mentre abbattiamo, deforestiamo, peschiamo eccessivamente ed esauriamo per dominare il mondo. Tuttavia, la storia non rappresenta un aumento continuo dello smisurato orgoglio umano e dell’alienazione dalla natura. Periodicamente gli esseri umani sono stati schiaffeggiati. Carestia, conflitti per le risorse e malattie hanno decimato popolazioni che prima stavano crescendo. La civiltà è sorta, poi crollata. Le manie finanziarie hanno portato a collassi. Le città fiorenti sono diventate città fantasma.

Gli schiaffi ecologici si sono probabilmente verificati con frequenza relativamente grande in tempi pre-agricoli, quando gli esseri umani dipendevano più direttamente dalla produttività variabile di cibi selvatici della natura. Gli Aborigeni dell’Australia e i Nativi Americani – che sono spesso considerati degli ecologi intuitivi esemplari a causa delle loro tradizioni e rituali che contengono la crescitadella popolazione, proteggono le specie-preda e affermano il posto dell’umanità all’interno del più ampio ecosistema – stavano probabilmente solo applicando le lezioni di un’amara esperienza. E’ solo quando noi esseri umani veniamo schiaffeggiati forte in qualche occasione che cominciamo a valorizzare l’importanza di altre specie, contenere la nostra avidità e a imparare a vivere in relativa armonia con l’ambiente circostante. Il che provoca la domanda: i profeti dell’Antropocene Verde e Snello sono un primo campanello d’allarme del sistema della nostra specie la cui funzione è quella di evitare la catastrofe, o sono meramente avanti coi tempi, adattandosi in anticipo ad uno schiaffo ecologico che è prevedibile ma non ancora pienamente su di noi?

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Nella storia gli esseri umani sembrano aver vissuto sotto due distinti regimi: i momenti di boom e le ere oscure. I momenti di boom si sono verificati nella preistoria ogni qualvolta le persone giungevano in nuovi habitat per scoprire un’abbondanza di grandi animali-preda. I boom sono anche associati allo sfruttamento di nuove risorse energetiche (specialmente carbone e petrolio) e all’espansione di grandi città – da Uruk, Mohenjo-daro, Roma, Chang’an, Angkor Wat, Tenochtitlan, Venezia e Londra fino a Miami e Dubai. Il comportamento nel momento di boom ama il rischio, è sicuro di sé fino all’arroganza, espansivo e sperimentale. Gli storici usano il termine ere oscure in riferimento ai momenti in cui i centri urbani hanno perso gran parte della loro popolazione. Pensate all’Europa dal V al XV secolo, il Vicino Oriente dopo il collasso dell’Età del Bronzo intorno al 1200 prima dell’era cristiana, la Cambogia fra il 1450 e il 1863 dell’era cristiana o l’America Centrale dopo il collasso Maya del 900 dell’era cristiana. Il comportamento nelle ere oscure è conservativo ed evita il rischio. Viene riecheggiato negli atteggiamenti dei popoli indigeni che hanno vissuto in un luogo abbastanza a lungo da aver affrontato ripetutamente i limiti ambientali. La gente delle ere oscure non ha aggirato il Principio di Massima Potenza, hanno solo imparato (per necessità) a perseguirla con strategie più modeste. Non c’è bisogno di dire che le ere oscure hanno (ehm) il loro lato oscuro. Nelle fasi iniziali di tali periodi, un gran numero di persone di solito muore per le carestie, anche per la guerra ed altre forme di violenza. Le ere oscure sono periodi di oblio, un momento in cui le tecnologie e le conquiste culturali vanno spesso perdute. La scrittura, i soldi, la matematica e l’astronomia possono tutte scomparire. Eppure, questi periodi non sono uniformemente tenebrosi. Durante il Medioevo europeo, la schiavitù è quasi scomparsa in quanto i nuovi metodi di coltivazione e razze di cavalli e buoi migliori hanno reso il lavoro umano meno economico. Le persone che in precedenza sarebbero state condannate alla schiavitù sono diventate o lavoratori o, nell’ipotesi peggiore, servi della gleba. I secondi non potevano prendere e andarsene senza il permesso del loro signore, ma in generale godevano di una libertà di azione di gran lunga maggiore di quella degli schiavi. Allo stesso tempo, l’ascesa della Cristianità ha portato nuove attività ed istituzioni di beneficenza organizzate, compresi ospizi, ospedali e ricoveri per i poveri.

Oggi, quasi tutti nel mondo industrializzato hanno adottato il comportamento dei periodi di boom. Veniamo incoraggiati a farlo da messaggi pubblicitari incessanti e da ragazze pon pon governative della crescita economica. Dopotutto, abbiamo vissuto proprio nel più grande boom di tutta la storia umana – perché non aspettarsi di più di quello che c’è già? I soli schiaffi significativi nella recente memoria culturale sono stati la Grande Depressione e un paio di Guerre Mondiali. In confronto ai colli di bottiglia ecologici delle ere antiche sono stati affari secondari. Inoltre, sono stati relativamente brevi e si sono svolti tre o più generazioni fa. Per gran parte di noi adesso, il comportamento da era oscura appare inutile, pittoresco e pessimistico. Sarebbe perverso desiderare un Grande Schiaffo. Solo un sociopatico darebbe il benvenuto a una massiccia e diffusa sofferenza umana. Allo stesso tempo, è impossibile ignorare questi due fatti gemelli: la fiesta  popolazione-consumo della nostra specie sta uccidendo il pianeta ed è improbabile che porremo fine alla festa volontariamente. Eviteremo o affronteremo il Grande Schiaffo? Stiamo già vedendo i segnali iniziali dei problemi che avremo in eventi meteorologici estremi, prezzi del petrolio e del cibo alti e tensioni geopolitiche in aumento. Tristemente, sembra che verrà fatto ogni sforzo per far continuare la festa il più a lungo possibile. Anche in mezzo a segnali inequivocabili di contrazione economica, gran parte delle persone avrà ancora bisogno di tempo per adattarsi a livello comportamentale. Inoltre, uno schiaffo probabilmente non sarà improvviso e completo, ma si potrebbe dispiegare a fasi. Dopo ogni mini-schiaffo sentiremo dichiarazioni da parte di sostenitori dei periodi di boom duri a morire che un decollo tecno-utopistico è stato meramente ritardato e che l’espansione economica riprenderà se solo seguiremo questo o quel capo o programma politico. Ma se i centri urbani sentono il collasso e se vengono tratteggiate diffuse aspettative tecno-utopistiche, possiamo aspettarci di vedere le prove di una profonda frantumazione psicologica. Gradualmente, sempre più persone concluderanno – ancora, come risultato della dura esperienza – che la natura non è qui solo per noi. Che questa consapevolezza emerga dal meteo estremo, dalle epidemie o dalla scarsità di risorse, porterà una parte in continua espansione del popolino a malincuore a fare più attenzione alle forze al di là del controllo umano.

Proprio come gli esseri umani ora stanno plasmando il futuro della Terra, la Terra plasmerà il futuro dell’umanità. In mezzo ad un rapido cambiamento ambientale e sociale, il messaggio del Verde e Snello acquisterà una più ovvia rilevanza. Quel messaggio potrebbe non salvare gli orsi polari (anche se i programmi di protezione degli ecosistemi meritano tutto il sostegno), ma potrebbe rendere la transizione inevitabile ad una nuova modalità comportamentale di tutta la specie molto più facile. Potrebbe portare ad un’era oscura che sia meno oscura di quanto non sarebbe altrimenti, una in cui vengono preservate più conquiste culturali e scientifiche. In grandissima parte potrebbe dipendere dall’intensità e dal successo degli sforzi della piccola percentuale di popolazione che attualmente è aperta al pensiero Verde e Snello – successo nell’acquisizione di competenze, nello sviluppo di istituzioni e nel comunicare una visione avvincente di una società post boom desiderabile e sostenibile. Alla fine, l’intuizione più profonda dell’Antropocene probabilmente sarà una molto semplice: viviamo in un mondo di milioni di specie interdipendenti con le quali ci siamo co-evoluti. Noi scindiamo questa rete delle vita a nostro rischio e pericolo. La storia della Terra è affascinante, ricca di dettagli e si manifesta continuamente. E non riguarda solo noi.

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Mini Era Glaciale nel 2030: il nuovo meme anti scienza?

Da “Resource Crisis”. Traduzionedi MR

Di Ugo Bardi

Nell’ultimo decennio abbiamo assistito  parecchi trucchi usatidai media  contro la scienza del clima. Quello più riuscito è stato il cosiddetto scandalo “Climategate” del 2009. Ne potete vedere gli effetti nel sondaggio di Gallup sopra.

Il Climategate è stato un “meme” di grande successo, un termine creato da Richard Dawkins in analogia con “gene” – un meme è un’unità riproduttiva nello spazio mediatico. Funziona come un virus e, come un virus, tende a perdere potenza quando il sistema sviluppa le modalità per combatterlo. Per cui, il meme del climategate ha perso potenza a pochi anni dalla sua introduzione e la curva di Gallup ha ricominciato a salire.


Il 2012 ha visto la nascita di un nuovo e potente meme anti scienza: quello che “il cambiamento climatico si è fermato”, creato da David Rose con un articolo sul Daily Mail. L’effetto è stato meno pronunciato di quello del meme del Climategate, ciononostante l’idea della “pausa” è diventata virale ed è probabilmente all’origine della caduta/stasi della curva di Gallup dal 2013 al 2014.

Ma anche il meme della “pausa” ha perso potenza. Col 2015 sulla buona strada per diventare l’anno più caldo mai registrato, diventa sempre più difficile sostenere che il cambiamento climatico si è fermato. Così, con la conferenza sul clima di Parigi che si approssima, probabilmente è il momento giusto per fare apparire sui media un nuovo meme anti scienza. (*)

Non è una sorpresa, dunque, che i media siano tutti presi dall’idea di una “mini era glaciale” che si dovrebbe verificare ad un certo momento negli anni 30 del 2000. Guardatei risultati diuna ricerca “Google Trends”. Notevole, davvero!

Questa valanga di ricerche su Internet è stata innescata da una presentazione della professoressa Valentina Zharkova dell’Università di Northumberland a un meeting della Royal Astronomical Society all’inizio di luglio. Anche senza scendere nei dettagli, è chiaro che stiamo parlando di qualcosa che potrebbe accadere fra un paio di decenni sulla base di un modello non verificato, nemmeno pubblicato su una rivista qualificata. E questo dovrebbe fermarci dal fare qualcosa contro il riscaldamento globale che si sta verificando proprio in questo momento? Ma dai…

La domanda è, piuttosto, se l’idea di “mini era glaciale” sarà un buon meme anti scienza che forse condizionerà i risultati della conferenza di Parigi a dicembre. Naturalmente, dovremo aspettare e vedere, ma sembra improbabile. L’idea della mini era glaciale è debole. Confrontiamolo con il meme de “il cambiamento climatico si è fermato”. Uno dei suoi punti di forza è stato che David Rose lo ha posizionato come un complotto, con gli scienziati nel ruolo dei cattivi che cercano di nascondere la verità al grande pubblico. E un meme che include cattiviall’operafunziona quasi sempre. Poi, quante volte siete stati contraddetti da qualcuno assolutamente sicuro del fatto che il cambiamento si è fermato? Per rispondere, dovete spiegare a lui o lei (più comunemente un lui) che no, non si è fermato, che ha solo rallentato, che il calore è finito negli oceani, ecc. Non ha mai realmente funzionato.

Ma il meme della “mini era glaciale” non contempla cattivi da incolpare e ciò lo rende debole fin dall’inizio. E poi immaginatevi di fronte a qualcuno che sostiene che “dicono che fra 15 anni ci sarà una mini era glaciale”. Sarà sufficiente guardarlo (forse guardarla) con un espressione appropriatamente scettica e dire, “ma sei proprio sicuro”?

Sembracheinegazionisticlimaticiavranno tempi duri. Ed è esattamente ciò che si meritano!

(*) a proposito del meme “il riscaldamento si è fermato”, vedi anche questo post su “Rimedio Evo”

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La geopolitica dei gasdotti: South Stream contro Nabucco

di Tatiana Yugay
Ilsecondo post del prof. Yugay sulla Geopolitica dei Gasdotti.

Il gemello meridionale del gasdotto “Nord Stream,” il “South Stream,” ha avuto una vita molto difficile e, alla fine, è stato deciso di non costruirlo.

Nel concetto della sicurezza energetica dell’UE il ruolo principale lo svolge la diversificazione delle forniture  di gas. In quest’ottica il progettato Corridoio meridionale del gas è considerato una priorità della politica energetica dell’Unione. Il Corridoio meridionale del gas (SGC) è l’espressione coniata dalla Commissione Europea per individuare i progetti infrastrutturali destinati a incrementare la diversificazione delle fonti e la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, grazie al trasporto di nuovo gas, proveniente dall’Azerbaijan, nell’Europa.

All’inizio del XXI secolo, l’Europa ha dovuto affrontare una scelta dificile fra I progetti di gasdotti alternativi, che erano stati proposti per portare il gas dalla Russia, l’Asia centrale, il Caucaso e il Medio Oriente. I principalicontendentierano igasdotti Nabucco, South Stream e  Trans Adriatic Pipeline (TAP).  Il problema era stato che il Nabucco e il South Stream dovevano percorrrere quasi la stessa rotta, mentre la domanda esistente giustificava un solo gasdotto.

Parliamo prima dituttodel Nabucco. Il nome stesso di Nabucco provoca le varie associazioni, dal re biblico di Babilonia Nabucodonosor alla famosissima opera di Giuseppe Verdi che era stata un simbolo popolare del Risorgimento.  Il messaggio era abbastanza chiaro. Gli ideatori del questo progetto ambizioso intendevano di liberare l’Europa dalla dipendenza dal gas russo. Non è difficile immaginare che per Nabucco si intendesse l’Europa e per la Russia era stato preparato il ruolo dell’idolo infranto. Ironia della sorte, l’idolo infranto non’è stato primo il South Stream, ma lo stesso Nabucco.

Il Nabucco doveva portare il gas naturale del mar Caspio attraverso il Caucaso e la Turchia fino all’Austria da Azerbaijan, Turkmenistan, Kazakhstan, Uzbekistan, Iran, Iraq, Egitto e cosi via. All’inizio era sostenuto dalla Commissione UE, perché il progetto era europeo e assicurava una buona diversificazione delle fonti. Piacevaanche a Washington, come alternativa al South Stream, perché escludevalefontirusse.

L’altro progetto preferito dall’Ue è Trans-Adriatic Pipeline (TAP),  il gasdotto di 870 km con l’unica fonte  il gas naturale dall’Azerbaijan.  Questo progetto era patronato dall’inizio dal bellicista senatore americano John McCain.

South Stream o il Gasdotto Ortodosso

Ilterzoprogetto era il South Stream. Ma il governo Bulgaro lo voleva e non lo voleva, oscillava, non risultava affidabile. La Commissione UE lo ostacolava. Non si farà più.

Mosca aveva progettato il Southstream: la conduttura dalla portata di 63 miliardi di metri cubi di gas, compartecipata dal monopolista russo Gazprom, dal colosso italiano ENI, dalle compagnie tedesche e francesi Wintershall ed EDF, dalla greca DEPA e dagli enti energetici nazionali di Montenegro, Slovenia, Serbia e Macedonia.

Il primo accordo per il South Stream fu benedetto da Romano Prodi nel 2007. Silvio Berlusconi ha riconfermato la validità del progetto e ha presenziato a sorpresa, il 6 agosto 2009, alla cerimonia della firma di 20 protocolli d’intesa fra Putin e il premier Tayyp Erdogan per il transito di South Stream in territorio turco. Il South Stream  dovrebbe essere una infrastruttura più avanzata, più sicura dal punta di vista tecnologico e non passerà dal territorio dell’Ucraina, che ha creato in passato diverse instabilità alle forniture dalla Russia.

Il gasdotto ortodosso (com’è altrimenti noto il Southstream) era concepito per rifornire di oro blu russo l’Europa Sud-Occidentale e Balcanica direttamente dalle coste della Russia sul Mar Nero. Il Southstream potrebbe isolare i paesi politicamente osteggiati dal Cremlino, come Romania, Polonia, Moldova ed Ucraina, attraverso i quali oggi Mosca esporta in Europa Occidentale il suo gas.
Trans-Adriatic Pipeline

Mentre due rivali giganteschi si combattevano tra loro, vinceva la Trans-Adriatic Pipeline. La Tap era molto meno ambiziosa  e doveva portare il gas del Caspio direttamente in Puglia, passando per Turchia, Grecia e Albania. La Tap era stata accolta dall’Ue con un tappeto rosso, ottenendo tutte le esenzioni dalle regole europee sulle reti di trasmissione che aveva richiesto. L’abbandono del Nabucco a favore della TAP era stato visto come una grande vittoria per la Russia. Ma l’anno scorso anche il  South stream era finito senza iniziarsi.

Il 1 ° dicembre, il presidente russo Vladimir Putin ha detto che la Russia non era disposta a proseguire con l’attuazione del progetto South Stream alla luce della posizione “non costruttiva” della Commissione europea.  «Se l’Europa non vuole realizzarlo, non verrà realizzato», ha dichiarato il presidente russo da Istanbul, in conferenza stampa col presidente turco Tayyip Erdogan. Per maggiore chiarezza ci si è messo anche Alexej Miller, il ceo di Gazprom: «Il progetto è finito». Putin dal canto suo ha detto che ormai la Russia preferisce «ridirigere le sue risorse energetiche verso altre regioni del mondo».

Il  primo gas avrebbe dovuto essere fornito  tramiteil “South Stream” alla fine del 2015. Il gasdotto avrebbe dovuto raggiungere la piena capacità nel 2018. Era stato previsto che nel 2015, il “South Stream” avrebbe fornito gas verso l’Europa riducendo la quantità di gas pompato attraverso l’Ucraina nella quantità di fino a 30 miliardi di metri cubi. Allo stesso tempo, erano stati firmati gli accordi intergovernativi con la maggioranza dei paesi interessati. Ma il ministro russo dell’Energia Alexander Novak ha detto che “la Commissione europea ha deciso di non dare il permesso per la realizzazione del “South Stream“. Soprattutto l’opposizione attiva del gasdotto era iniziata nell’estate del 2014, sullo sfondo di un deterioramento delle relazioni tra la Russia e l’Occidente, mentre le autorità europee hanno tradizionalmente insistito sulla necessità di rispettare il Terzo Pacchetto d’Energia dell’UE.

Come l’Europa ha vinto la lotta contro  il  South stream e contro sestessa!

L’arma più affilata di cui dispone la Ue è il Terzo pacchetto energetico. Il cosiddetto Terzo pacchetto energetico (Tpe) dell’Unione Europea è stato pubblicato nel 2009 con l’obiettivo di aumentare il livello di integrazione del mercato energetico europeo e di migliorarne il funzionamento. Il Tpe prevede la liberalizzazione del mercato del gas e dell’elettricità e la separazione tra chi produce l’energia e chi la trasporta. Il Terzo Pacchetto d’Energia suggerisce che le società coinvolte nella produzione di gas non possono essere allo stesso tempo i proprietari di un gasdotto che attraversa il territorio dell’Unione. Allo stesso tempo, un fornitore non dovrebbe usare più del 50% della capacità del gasdotto, e la carica residua può essere allocata solo tramite l’asta. Per questo le aziende energetiche – come la russa Gazprom – non potranno più gestire produzione, distribuzione e vendita, perché agirebbero in condizioni di monopolio. Debbono cedere la rete di distribuzione e di vendita ad altre aziende.

Esattamente l’opposto di quello che vorrebbe la Russia, che al centro della sua strategia ha il controllo dei centri di trasmissione, ucraini in primis. Il problema principale è che questo pacchetto è riservato ai soli Stati membri e non è teoricamente applicabile al di fuori dell’Ue: in realtà, il Trattato della comunità dell’energia estende il Terzo pacchetto anche ad alcuni Stati al di fuori dell’Unione, dove la legge europea diventa applicabile. https://youtu.be/6-yu_FGUFWk

Che Gazprom sia un produttore di gas naturale non è un mistero per nessuno. Però  non tutto il South Stream apparterebbe a Gazprom: la parte offshore è un consorzio composto da Gazprom (per una quota pari al 50%), Eni (20%), Edf e Wintershall (15% a testa), mentre le parti onshore sono praticamente tutte delle joint-venture paritetiche (al massimo 51%/49%) tra Gazprom e le aziende di Stato dell’energia dei paesi di transito.

La Commissione Ue ha avviato gli accertamenti sul progetto South Stream nell’autunno dell’anno scorso. Secondo essa, la sua realizzazione era in contrasto con le norme del Terzo pacchetto.  La Russia ha insistito sul fatto che la costruzione del gasdotto non contraddiceva i regolamenti. La Commissione Ue ha ignorato il fatto che gli accordi intergovernativi sul South Stream con l’Austria, la Bulgaria, la Grecia e con altri paesi erano stati conclusi già nel 2008. Ossia un anno prima dell’entrata in vigore del Terzo pacchetto a cui Bruxelles, ad onta della prassi giuridica mondiale, ha conferito il principio della retroattività alla legge.

Un’altra arma dell’Unione europea era la pressione diretta ai paesi che volevano partecipare al progetto. I paesi europei occidentali erano minacciati da sanzioni. Le minacce arrivavano non dalla Russia ma dalla Commissione Europea. Il Commissario Europeo per l’energia Günther Oettinger ha promesso delle gravi conseguenze ai paesi dell’Ue che volevano sostenere il progetto russo South Stream.

Le autorità della UE  avevano messo particolarmente forte pressione sulla Serbia, Ungheria e Bulgaria. I politici ungheresi avevano accennato alla possibilità di abbandonare l’Unione europea in caso di persistente pressione. La decisione di fare queste pressioni sembra causata principalmente dalla volontà di Washington. Gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno qui i loro obiettivi geostrategici. Purtroppo, il danno collaterale lo hanno ricevuto l’Ungheria e la Serbia. Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha lottato per il “South Stream” come un leone. Per questo un alto funzionario degli Stati Uniti ha chiamato Victor Orban un neo-fascista dittatore d’Europa.

Gli esperti non dubitano che i problemi con il gasdotto South Stream sono direttamente legati alla pressione degli USA sui paesi dell’Ue per promuovere le società americane nel mercato del gas europeo.

Eric Draitser, un analista geopolitico indipendente, scrive nell’articolo “Waging war against Russia, one pipeline at a time”, “al di là di Ucraina, ci sono stati una serie di tentativi da parte degli Stati Uniti e i suoi partner di deragliare lo sviluppo dei gasdotti russi, come corollario, di continuare a promuovere i progetti che minano la posizione della Russia nel mercato energetico dell’Europa”.

Un rinomato analista politico ed energetico bulgaro, e professore di Relazioni Internazionali, Nina Dyulgerova ha spiegato in una recente intervista: «l’Europa è sottoposta ad una crescente confronto russo-americano nel campo dell’energia. La crisi nell’ Ucraina, per esempio, era un oggetto geostrategico di impatto da parte degli Stati Uniti che ha portato a un aumentato partecipazione degli Stati Uniti nell’elemento più importante degli interessi di Washington in materia di energia, vale a dire – il sistema di trasporto del gas ucraino. Il figlio del vicepresidente americano Joe Biden, è un membro del consiglio di amministrazione di società del gas ucraina [Burisma]. Il processo di acquisto i parti del sistema energetico dell’Ucraina dalle  imprese americane e quelle europee, aumenta la pressione sulla costruzione di South Stream perché sarebbe ridurre o porre fine a questo gioco complicato».

In sostanza quindi, il South Stream è diventato uno dei campi di battaglia principali nella guerra economica che l’Occidente sta conducendo contro la Russia. Le sanzioni sono solo una facciata di fronte al tentativo molto più sinistro di soffocare lo sviluppo economico indipendente di tutti i paesi che cercano di fare affari con la Russia e aumentare la loro prosperità.

L’abbandono del gasdotto South Stream ha scatenato la frustrazione in diverse nazioni del Sud Europa, perche hanno perso i soldi in entrambi i potenziali benefici, o i loro investimenti effettivi nella costruzione del tubo.

Il sondaggio del britannico ICM Research ha rivelato che il 66% degli intervistati in Bulgaria e il 52% in Serbia credono che i loro paesi avrebbero dovuto avere l’ultima parola sul gasdotto South Stream. In Austria, il 42% ha detto che la decisione avrebbe dovuto essere lasciata a loro, mentre il 46% ha detto che era giustamente lasciata alla Commissione europea, organo esecutivo dell’Unione europea. Il sondaggio è stato condotto tra 3.000 residenti in Austria, Serbia e Bulgaria tra il 12 gennaio e il 30, il 2015.

Il primo ministro serbo Aleksandar Vucic ha detto che la decisione della Russia di abbandonare il progetto del gasdotto South Stream è una brutta notizia per il suo paese. In precedenza, era stato progettato di costruire la sezione principale del gasdotto in Serbia, per 422 chilometri di lunghezza. “La Serbia non ha fatto nulla per contribuire a questa decisione. Per quasi sette anni la Serbia ha investito nel progetto. Penso che il progetto ero buono per la Serbia, non abbiamo ceduto da ancora anche sotto la forte pressione, ma ora dobbiamo pagare per il conflitto tra le grandi potenze“, ha detto Vucic al Belgrado News Agency Tanjug.

La Serbia aspettava un grande afflusso degli investimenti. Per il Paese, il tubo sarebbe stato il più grande investimento in 15 anni, con il costo totale del progetto di gasdotto ambizioso tra 16,5 miliardi e 50 miliardi di euro, scrive l’East European Gas Analysis. Secondo le stime del ministro serbo delle infrastrutture Zorana Mihajlovic, le aziende serbe hanno perso l’opportunità di guadagnare fino a 300 mln di euro. Se il gasdotto South Stream era stato costruito, il PIL della Serbia sarebbe aumentato di almeno il 2%. Inoltre, c’è stata l’occasione persa di ottenere gas più conveniente, la quantità totale di mancato guadagno per la Serbia puo raggiungere 700 milioni di euro.

Le autorità bulgare hanno detto che hanno perso 3,5-4 miliardi di euro di investimenti e 600 mln di dollari all’anno in tasse di transito. In Ungheria, gli esperti dicono che il paese ha perso 400-600 milioni di dollari nel capitale di investimento. Le società del gas slovene hanno speso 150.000 euro del proprio denaro. Lubiana ha intenzione di chiedere compensazioni da Gazprom.

L’ex ministro dell’Energia bulgaro Rumen Ovcharov ha detto, “La Bulgaria ha la possibilità di riconquistare la propria indipendenza energetica mediante l’attuazione di tre giganteschi progetti: Burgas-Alexandroupoli, South Stream e Belene. Purtroppo, abbiamo perso questa opportunità. E non c’è alternativa ad essa. La leadership del paese ha agito in maniera inadeguata e stupida. E, purtroppo, la Bulgaria è emerso come un perdente“. Secondo  Ovcharov, Bulgaria perderà una cifra annuale di 600 milioni di tasse di transito.

Anche il Saipem del gruppo ENI, che doveva progettare un troncone del South Stream e ha perso un primo contratto da oltre due miliardi di euro.

Jelena Jurisic, un esperto di politica con l’Università di Zagabria in Croazia, ha detto, “L’Europa è il più grande perdente, Russia molto meno. … La  maggior parte delle forniture di gas che sono stati stanziati per l’Europa nei prossimi anni, sarà consegnato alla Cina … La Russia non perderà il mercato a qualunque prezzi [di gas], mentre l’Europa perderà la sua sicurezza energetica“.

La reazionedell’Ue

La decisione della Russia di rottamare il progetto del gasdotto South Stream significa la necessità di rafforzare la sicurezza energetica dell’Unione europea e richiede ulteriori analisi da parte degli Stati membri dell’UE“, ha detto Federica Mogherini, responsabile della politica estera dell’Ue. Secondo Mogherini, vi è la necessità di diversificare non solo i canali ma anche le fonti da cui l’Ue ottiene la sua energia.

Il Parlamento europeo nella sua risoluzione ha salutato la cancellazione del gasdotto South Stream della Russia. “Il Parlamento europeo ha sottolineato che la priorità deve essere data ai progetti di gasdotti che diversificarebbe l’approvvigionamento energetico per l’UE, si compiace quindi l’arresto del progetto South Stream“.

Ma la storia non’e’ ancora finita!

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E qualche allocco ancora dice che le ondate di calore sono "solo normali fluttuazioni"

Questa immagine della NASA riporta le “anomalie”, ovvero gli aumenti di temperatura , per varie località dell’emisfero nord rispetto alla distribuzione com’era negli anni 1950. Credo che non richieda commenti. L’articolo originale lo trovate qui. Qui sotto, il video completo che mostra il graduale spostamento verso il caldo della curva delle temperature con gli anni.

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Ondata di Calore: non si può risolvere un problema se non ci si rende conto che esiste


L’immagine qui sopra mostra il grado di siccità previsto nei prossimi decenni come conseguenza del cambiamento climatico (fonte). Come vedete, l’Italia si trova in una zona particolarmente disgraziata e l’ondata di calore di questo mese ci da un assaggio di quello che potrebbe essere il futuro. 

In un post precedente, ho paragonato la reazione del paese all’ondata di calore che ci stà affliggendo a quella di un pugile suonato che barcolla sotto una serie di colpi, senza neanche rendersi conto di chi lo sta colpendo.

Non è possibile continuare così, parlando di “bel tempo” in televisione, come se fosse tutto nella norma; come se questa ondata di calore fosse soltanto una fluttuazione. Non lo è. E’ parte di una tendenza generale di aumento della frequenza, della durata, e dell’intensità delle ondate di calore che ci colpiscono e che ci colpiranno sempre di più nel futuro (ce lo dice, fra i tanti, il NOAA), .

Non sono cose che ci possiamo permettere di ignorare: quest’anno abbiamo già avuto delle vittime e purtroppo ne avremo molte di più se l’ondata continua, come sembra destinata a continuare. E’ un’emergenza sanitaria della quale, però, quasi nessuno parla. Per non parlare del disastro che ci aspetta in termini di incendi, se – ancora – continua così. Ma quasi nessuno ne parla.

Allora, ci sono dei modi per reagire? Certamente, ma dobbiamo renderci conto di alcuni punti fondamentali.

1. Per affrontare  un problema, per prima cosa bisogna rendersi conto che esiste. Ovvero bisogna dire pubblicamente, e dirlo chiaramente, che siamo di fronte a una tendenza al riscaldamento che andrà sempre di più a peggiorare nel futuro, via via che il cambiamento climatico fa il suo corso ormai inevitabile.

2. Lavorando su un problema, bisogna fare attenzione a non peggiorarlo.  Questa è una massima ben nota in medicina: la cura non deve aggravare la malattia. In questo caso, le possibili soluzioni al problema delle ondate di calore non devono coinvolgere aumenti nei consumi di combustibili fossili, che ne sono la causa.

3. Non tutti i problemi hanno soluzioni, ma tutti i problemi possono essere perlomeno mitigati. Il cambiamento climatico è il risultato di errori che abbiamo fatto nel passato, e che stiamo continuando a fare. Stiamo cominciando adesso a pagarne il costo e lo dovremo pagare con anche se riusciremo a ridurre sostanzialmente le emissioni nel futuro. Questo vuol dire che non possiamo aspettarci miracoli, ma che possiamo agire concretamente per aiutare chi viene messo in difficoltà dalle ondate di calore.

Inquadrato così il problema, possiamo pensare a molti modi per adattarci al meglio possibile alla situazione in cui siamo stati catapultati; sempre facendo attenzione a non peggiorarla. Qui, ne elenco alcuni, sicuramente ce ne sono degli altri.

1. Più energia rinnovabile. Questa è la strategia fondamentale contro le ondate di calore: colpisce in due direzioni. In primo luogo riduce l’uso dei combustibili fossili, in secondo luogo ci permette di usare i condizionatori d’aria senza necessariamente aumentare le emissioni di gas serra. In effetti, il fatto che l’Italia ha già una buona base di energia rinnovabile ci permette di affrontare i picchi di consumo dovuti all’uso dei condizionatori in estate, principalmente con il fotovoltaico, senza mandare la rete in black-out. Ma non basta, bisogna continuare così e fare di più.

2. Incoraggiare l’uso del condizionamento d’aria usando energia rinnovabile. Una certa visione “ambientalista” vedeva, e tuttora vede, sfavorevolmente l’aria condizionata, intesa come uno spreco di energia e ulteriore generazione di gas serra. Questa visione poteva essere accettabile fino a qualche anno fa, ma oggi, con l’abbassamento dei costi dell’energia rinnovabile, e del fotovoltaico in particolare, non ha più ragione di essere. Accoppiando il condizionamento d’aria con l’energia fotovoltaica, si genera un circolo virtuoso che abbassa ulteriormente i costi di entrambe le cose.

3. Incoraggiare l’adattamento delle abitazioni alle ondate di calore.  Al momento, stiamo incoraggiando con vari sussidi l’isolamento termico delle abitazioni in vista principalmente dei risparmi energetici sul riscaldamento. Molti degli accorgimenti contro il freddo sono utili anche contro il caldo, ma il semplice isolamento termico non è molto efficace contro il caldo se non è accoppiato con la refrigerazione interna. Provvedimenti specifici per raffreddare le abitazioni (per esempio “ombreggiatura” dei vetri potrebbero e dovrebbero essere sostenuti con incentivi, come pure l’autoconsumo per il condizionamento da parte di piccoli impianti fotovoltaici locali.

4. Pensare agli anziani. Gli anziani sono parte della fascia economicamente più debole della popolazione, spesso non in grado di permettersi aria condizionata. Possiamo pensare a dei centri di accoglienza refrigerati per i momenti più duri di calore. Oppure possiamo pensare a dei sussidi per gli anziani che acquistano condizionatori, o cose del genere; come pure a degli sconti sull’energia elettrica da usare per i condizionatori.

5. Incoraggiare la raccolta di acqua piovana contro la siccità. Al momento, tutta l’acqua che cade sui tetti finisce nelle fogne, ma è perfettamente possibile raccoglierla e riutilizzarla in contenitori o piccoli bacini privati, combattendo la siccità. Anche questo, al momento, non viene incentivato.

6. Prevenzione degli incendi. Purtroppo, si fa molto poco in termini di prevenzione degli incendi boschivi, spesso il risultato non tanto di dolo premeditato, ma di semplice incuria da parte di persone che non si rendono conto del rischio. E’ una questione di educazione e anche di sorveglianza capillare sul territorio.

7. Investire nella protezione dei boschi. Nel 2013, un provvedimento scellerato ha dimezzato la flotta degli aerei anti-incendio Canadair italiana. Nel 2014, ci è andata bene; ma quest’anno e negli anni che verranno, potrebbe andare molto peggio. Non è soltanto questione di avere un gran numero di aerei (che, incidentalmente, consumano combustibili fossili), si tratta di avere un sistema di monitoraggio efficiente che scopra i focolai di incendio non appena si formano – così non ci sarà bisogno di aerei. Questo è possibile, oggi, con le varie tecnologie dei droni elettrici da sorveglianza. Ma bisogna investirci sopra.

Ci sono tante altre cose che possiamo pensare per adattarci a un futuro caldo e siccitoso. Per esempio, in molti paesi arabi, le pensiline di attesa alle fermate degli autobus sono chiuse e dotate di aria condizionata: può darsi che anche da noi arriveremo a qualcosa del genere. Oppure, per combattere la siccità, possiamo pensare a estrarre direttamente acqua dall’umidità atmosferica. Insomma, c’è molto da lavorarci sopra – ma ricordiamoci sempre del punto fondamentale: non si può risolvere un problema (e nemmeno mitigarlo) se non ci si rende conto che esiste!

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L’ondata di calore: siamo tutti pugili suonati

L’ondata di calore in corso: 5-7 gradi in più rispetto alla media e in certe zone anche 8-9 gradi (immagine dal NOAA)

Non so cosa ne pensate voi, ma di fronte a questa ondata di calore, sembra che siamo tutti come pugili suonati. Camminiamo barcollando, sudati e boccheggianti, ma non riusciamo a capire chi è che ci sta riempiendo di botte, e neppure perché.

Eppure, il NOAA lo dice molto chiaramente: a causa del cambiamento climatico, le ondate di calore saranno sempre più frequenti e dureranno più a lungo. Ma, sui media, nessuno parla di cambiamento climatico e nessuno ci riferisce della raccomandazione del NOAA di “essere preparati per ondate di calore come questa che si verificheranno con sempre maggiore frequenza nel secolo che viene“. Forse, a furia di prenderci cazzotti in faccia, abbiamo anche perso la capacità di leggere.

“Regardless of the mechanism, however, the latest report from the Intergovernmental Panel on Climate Change declared that due to climate change, not only is it likely that heat waves have increased across large parts of Europe, but in the future, it is very likely that heat waves will last longer and occur more often. Meaning communities should be prepared for heat waves like this to occur with an increasing frequency in the century to come.”

“Indipendentemente dal meccanismo, tuttavia, l’ultimo rapporto dal pannello intergovernativo sul cambiamento climatico ha dichiarato che non solo è probabile che le ondate di calore aumentino su gran parte dell’Europa, ma nel futuro, è molto probabile che le ondate di calore dureranno più a lungo e si verificheranno più di frequente. Questo vuol dire che le comunità dovrebbero prepararsi per ondate di calore come questa che si verificheranno sempre più frequentemente nel secolo che viene.

http://www.climate.gov/news-features/event-tracker/summer-heat-wave-arrives-europe

(nota: questo post ha ricevuto una serie di commenti poco comprensibili o semplicemente sciocchi. Di conseguenza, ho fatto un po’ di pulizia; scusate se vi ho cancellato qualcosa, ma se avete qualcosa di serio da dire, rimandate pure)

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