Effetto Cassandra

I Limiti della Crescita nell’Unione Sovietica e in Russia: storia di un fallimento

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR

Qui sopra potete vedere la registrazione completa di una lezione del 2012 data a Mosca da Dennis Meadows, uno degli autori del rapporto sui “Limiti dello Sviluppo” del 1972. E’ lungo, più di un’ora, se non avete il tempo di guardarlo tutto, vi suggerisco di andare al minuto 21 e guardare Dennis Meadows che mostra questo libro:


Si intitola “Unione Sovietica nel sistema globale”. Secondo Meadows, negli anni 80, Viktor Gelovani, primo autore del libro, ha adattato all’Unione Sovietica il modello del mondo usato per “I Limiti dello Sviluppo” e lo ha fatto girare, scoprendo che l’Unione Sovietica stava per collassare. Poi, Meadows dice “è andato dalla dirigenza del paese e ha detto: ‘la mia previsione mostra che non avete alcuna possibilità. Dovete cambiare le vostre politiche’. E i dirigenti hanno detto: ‘no, abbiamo un’altra possibilità: tu puoi cambiare la tua previsione’”. 
L’aneddoto di Meadows è di fatto confermato da Rindzevičiūtė, che ha scritto un eccellente articolo che racconta la storia completa. Viene fuori che non è vero che “I Limiti dello Sviluppo” è stato ignorato in Unione Sovietica, come potrebbe sembrare dai documenti disponibili in occidente. Lo studio dei “Limiti” è stato tradotto in russo, anche se è stato distribuito solo in circoli molti limitati (generando, a proposito, un florido mercato nero, come descrive a pagina 6 Rindzevičiūtė). Diversi scienziati sovietici conoscevano molto bene lo studio, avevano contatti coi loro autori e diversi di loro hanno fatto uno sforzo considerevole per avvertire la dirigenza dell’Unione che il sistema stava per collassare. Non hanno avuto un gran successo, come dice Meadows nella sua conferenza. 
Teoricamente, si può pensare che la dirigenza sovietica avrebbe potuto vedere “I Limiti dello Sviluppo” come uno strumento di pianificazione utile. In linea di principio, avevano alcuni modi di mettere in pratica le raccomandazioni ottenibili dai modelli per evitare il collasso. Ma così non è stato. La reazione della dirigenza sovietica è stata la stessa di quella dell’occidente. Sia i dirigenti sovietici che quelli occidentali erano del tutto legati al concetto di “crescita ad ogni costo” e refrattari ai cambiamenti. Quindi l’avvertimento è stato ignorato da entrambi i lati della cortina di ferro. 
Un altro elemento enormemente interessante di questa storia è il modo in cui mostra che il collasso sovietico è stato sistemico. E’ stato causato dalle enormi spesi militari e burocratiche che il settore della produzione dell’economia non era in grado di sostenere. In altre parole, sembra chiaro che non è stato causato da Mishka Mecheny (il matto Gorbaciov) o da un piano malvagio dei servizi segreti occidentali (anche se entrambi potrebbero aver giocato un ruolo). Nel complesso, qui abbiamo una conferma notevole della forza predittiva della modellazione del mondo: negli anni 80 è riuscita a prevedere il collasso di un grosso pezzo dell’economia mondiale. Un altro pezzo, persino più grande, sta collassando in questo momento. 
Un ulteriore punto interessante proviene dall’esaminare se l’attuale dirigenza russa ha imparato qualcosa dall’esperienza della vecchia Unione Sovietica. Apparentemente no, perché oggi non sembra esistere un dibattito serio sull’esaurimento dei minerali in Russia. La maggior parte dei russi sembra essere convinta che le loro risorse minerali siano abbondanti e di potervi attingere a volontà nel prossimo futuro. Quindi, l’esaurimento non è un problema di cui si devono preoccupare. 
La conferenza di meadow conferma questa impressione. Anche senza fare attenzione a quello che dice Meadows, guardate le facce e la postura del corpo dei giovani fra il pubblico – vengono di tanto in tanto mostrati nel video. Posso dirvi che negli anni ho sviluppato un certo livello di capacità telepatiche nel comprendere i sentimenti del pubblico. E vi posso dire che gran parte degli studenti che ascoltano Meadows non gli credono affatto – o così sembra a me (anche una mia amica russa ha detto che questo è stata “la conferenza più noiosa che abbia mai sentito”). Notate anche le domande sciocche e marginali che gli studenti hanno posto a Meadows alla fine della conferenza. Lui gli ha raccontato dell’arrivo della fine del mondo e loro gli chiedono se è conveniente investire nelle società che producono acqua… Ma dai!
Ma la mancanza di comprensione dei limiti della crescita in Russia non è niente di speciale. E’ la regola in tutto il mondo. In più, la Russia in questo momento è in piena modalità di emergenza e la principale priorità dei russi è quella di salvare la loro economia dagli attacchi esterni. Non si possono biasimare se non hanno (e, probabilmente, non ne hanno bisogno) il gruppo di Cassandre che abbiamo in occidente, gente con i capelli bianchi che continua a raccontare cose oscure e terribili in arrivo e che nessuno ascolta. 
Con o senza Cassandre, la situazione in Russia potrebbe non essere così male. Dmitry Orlov ha descritto in che modo l’economia sovietica fosse meglio attrezzata dell’economia di mercato dell’occidente per adattarsi e sopravvivere al tipo di collasso sistemico descritto da “I Limiti dello Sviluppo”. Le stesse considerazioni potrebbero valere per l’attuale sistema russo. Quindi il futuro, come sempre, è opaco, ma se mi chiedete quale sarà la prossima economia a collassare, non scommetterei che sarà quella russa.

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I Limiti della Crescita nell’Unione Sovietica e in Russia: storia di un fallimento

Da “Resource crisis”. Traduzione di MR

Qui sopra potete vedere la registrazione completa di una lezione del 2012 data a Mosca da Dennis Meadows, uno degli autori del rapporto sui “Limiti dello Sviluppo” del 1972. E’ lungo, più di un’ora, se non avete il tempo di guardarlo tutto, vi suggerisco di andare al minuto 21 e guardare Dennis Meadows che mostra questo libro:


Si intitola “Unione Sovietica nel sistema globale”. Secondo Meadows, negli anni 80, Viktor Gelovani, primo autore del libro, ha adattato all’Unione Sovietica il modello del mondo usato per “I Limiti dello Sviluppo” e lo ha fatto girare, scoprendo che l’Unione Sovietica stava per collassare. Poi, Meadows dice “è andato dalla dirigenza del paese e ha detto: ‘la mia previsione mostra che non avete alcuna possibilità. Dovete cambiare le vostre politiche’. E i dirigenti hanno detto: ‘no, abbiamo un’altra possibilità: tu puoi cambiare la tua previsione’”. 
L’aneddoto di Meadows è di fatto confermato da Rindzevičiūtė, che ha scritto un eccellente articolo che racconta la storia completa. Viene fuori che non è vero che “I Limiti dello Sviluppo” è stato ignorato in Unione Sovietica, come potrebbe sembrare dai documenti disponibili in occidente. Lo studio dei “Limiti” è stato tradotto in russo, anche se è stato distribuito solo in circoli molti limitati (generando, a proposito, un florido mercato nero, come descrive a pagina 6 Rindzevičiūtė). Diversi scienziati sovietici conoscevano molto bene lo studio, avevano contatti coi loro autori e diversi di loro hanno fatto uno sforzo considerevole per avvertire la dirigenza dell’Unione che il sistema stava per collassare. Non hanno avuto un gran successo, come dice Meadows nella sua conferenza. 
Teoricamente, si può pensare che la dirigenza sovietica avrebbe potuto vedere “I Limiti dello Sviluppo” come uno strumento di pianificazione utile. In linea di principio, avevano alcuni modi di mettere in pratica le raccomandazioni ottenibili dai modelli per evitare il collasso. Ma così non è stato. La reazione della dirigenza sovietica è stata la stessa di quella dell’occidente. Sia i dirigenti sovietici che quelli occidentali erano del tutto legati al concetto di “crescita ad ogni costo” e refrattari ai cambiamenti. Quindi l’avvertimento è stato ignorato da entrambi i lati della cortina di ferro. 
Un altro elemento enormemente interessante di questa storia è il modo in cui mostra che il collasso sovietico è stato sistemico. E’ stato causato dalle enormi spesi militari e burocratiche che il settore della produzione dell’economia non era in grado di sostenere. In altre parole, sembra chiaro che non è stato causato da Mishka Mecheny (il matto Gorbaciov) o da un piano malvagio dei servizi segreti occidentali (anche se entrambi potrebbero aver giocato un ruolo). Nel complesso, qui abbiamo una conferma notevole della forza predittiva della modellazione del mondo: negli anni 80 è riuscita a prevedere il collasso di un grosso pezzo dell’economia mondiale. Un altro pezzo, persino più grande, sta collassando in questo momento. 
Un ulteriore punto interessante proviene dall’esaminare se l’attuale dirigenza russa ha imparato qualcosa dall’esperienza della vecchia Unione Sovietica. Apparentemente no, perché oggi non sembra esistere un dibattito serio sull’esaurimento dei minerali in Russia. La maggior parte dei russi sembra essere convinta che le loro risorse minerali siano abbondanti e di potervi attingere a volontà nel prossimo futuro. Quindi, l’esaurimento non è un problema di cui si devono preoccupare. 
La conferenza di meadow conferma questa impressione. Anche senza fare attenzione a quello che dice Meadows, guardate le facce e la postura del corpo dei giovani fra il pubblico – vengono di tanto in tanto mostrati nel video. Posso dirvi che negli anni ho sviluppato un certo livello di capacità telepatiche nel comprendere i sentimenti del pubblico. E vi posso dire che gran parte degli studenti che ascoltano Meadows non gli credono affatto – o così sembra a me (anche una mia amica russa ha detto che questo è stata “la conferenza più noiosa che abbia mai sentito”). Notate anche le domande sciocche e marginali che gli studenti hanno posto a Meadows alla fine della conferenza. Lui gli ha raccontato dell’arrivo della fine del mondo e loro gli chiedono se è conveniente investire nelle società che producono acqua… Ma dai!
Ma la mancanza di comprensione dei limiti della crescita in Russia non è niente di speciale. E’ la regola in tutto il mondo. In più, la Russia in questo momento è in piena modalità di emergenza e la principale priorità dei russi è quella di salvare la loro economia dagli attacchi esterni. Non si possono biasimare se non hanno (e, probabilmente, non ne hanno bisogno) il gruppo di Cassandre che abbiamo in occidente, gente con i capelli bianchi che continua a raccontare cose oscure e terribili in arrivo e che nessuno ascolta. 
Con o senza Cassandre, la situazione in Russia potrebbe non essere così male. Dmitry Orlov ha descritto in che modo l’economia sovietica fosse meglio attrezzata dell’economia di mercato dell’occidente per adattarsi e sopravvivere al tipo di collasso sistemico descritto da “I Limiti dello Sviluppo”. Le stesse considerazioni potrebbero valere per l’attuale sistema russo. Quindi il futuro, come sempre, è opaco, ma se mi chiedete quale sarà la prossima economia a collassare, non scommetterei che sarà quella russa.

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Ora siamo tutti cinesi: il dilemma dell’apocalisse ecologica

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR

Stavo rileggendo la valutazione rivelatrice di Richard Smith dell’attuale situazione politica, economica ed ecologica cinese (L’apocalisse ecologica comunista-capitalista della Cina) recentemente pubblicata da Truth-Out.org. Raccomando caldamente di leggere l’intero articolo.

Mentre il dilemma descritto da Smith in Cina è dichiaratamente più estremo di quanto sta accadendo nel mondo occidentale industrializzato (perlomeno per adesso…), le due situazioni sono sorprendentemente congruenti nei loro tratti più generali. Infatti, alcune delle analisi sono valide per gli Stati Uniti e il resto del mondo sviluppato praticamente parola per parola, solo cambiando il nome del soggetto.

Questa analogia implica che le considerazioni dell’articolo potrebbero essere un modello utile per pensare a cosa servirebbe per tirar fuori gli Stati Uniti così come la Cina – e, per estensione, tutto il mondo – dal loro attuale carico sul burrone ecologico. Questo esame potrebbe rendere più chiaro ciò che ci possiamo e non possiamo realisticamente aspettare nel tempo che ci rimane prima che i raccolti comincino a mancare sul serio.

Nel resto di questa nota ho estratto alcuni dei punti salienti dell’argomentazione di Richard Smith e le ho leggermente modificate per metterle in un contesto globale. Le mie modifiche sono in corsivo. Ho cercato di cambiare il testo originale il meno possibile, principalmente sostituendo “il mondo” ai riferimenti originali alla Cina. Confido che Smith troverà la mia parafrasi accettabile sotto il cappello delle disposizioni di “uso giusto” del diritto d’autore.

Mi sono fatto le mie opinioni sulla probabilità che tali cambiamenti avvengano realmente e potete probabilmente indovinare quali siano.

“Gli scienziati del clima ci dicono che, date tutte le promesse non mantenute fino a questo momento, la marcia indietro e l’aumento delle emissioni di biossido di carbonio, ora siamo di fronte ad una “emergenza climatica”. Con le attuali tendenze ci troviamo in rotta per un riscaldamento di 4-6°C prima della fine di questo secolo: se non sopprimiamo radicalmente la combustione di combustibili fossili nei prossimi decenni per mantenere il riscaldamento al di sotto della soglia dei 2°C, il riscaldamento planetario accelererà oltre ogni possibilità umana di fermarlo ed il collasso ecologico globale sarà inevitabile. Per avere una possibilità di restare al di sotto dei 2°C, le nazioni industrializzate e la Cina devono tagliare le emissioni dal 40 al 70% globalmente entro il 2050 rispetto a quelle del 2010, cosa che richiederebbe tagli nell’ordine del 6-10% all’anno. La Cina dovrebbe tagliare le sue emissioni industriali dal 30 al 90% rispetto a quelle del 2010, la variazione dipende dai tassi di crescita attesi e da altre ipotesi. 

Il solo modo in cui il mondo potrebbe sopprimere le sue emissioni di gas serra di qualcosa di vagamente simile a quella quantità sarebbe quello di imporre una contrazione economica drastica e a tutto campo, compresi ridimensionamenti e chiusure di gran parte delle industrie che sono state costruite negli ultimi tre decenni di mania di mercato. Sono certo che questo suoni estremo, se non completamente folle. Ma non vedo quale altra conclusione possiamo trarre dalla scienza. Il lato positivo, come ho esaminato sopra, visto che lo spreco di così tante delle risorse e dell’inquinamento del mondo sono semplicemente e completamente non necessari e dannosi, ciò che sembra un’estrema austerità potrebbe dimostrarsi proprio l’opposto: una liberazione, un passo verso quello “stile di vita migliore”. Un tale piano di emergenza dovrebbe comprendere perlomeno gli elementi seguenti: 

  • Chiudere tutte le centrali a carbone tranne quelle essenziali, necessarie come misura temporanea per mantenere le luci e il riscaldamento accesi ed i servizi pubblici essenziali operativi finché le sostituzioni rinnovabili non possano essere messe in servizio. Abbandonare i progetti di gassificazione del carbone ed eliminare gradualmente le centrali alimentate da petrolio e gas il più rapidamente possibile. Forzare una rapida transizione a fonti rinnovabili di energia come eolico, idroelettrico e solare ma con l’obbiettivo di produrre molta meno energia complessivamente, una quantità più vicina a quella che il mondo produceva nei primi anni 80, prima del boom di industrializzazione alimentato dal mercato. Gli Stati Uniti ed altri paesi sviluppati devono essere obbligati a fornire un’assistenza tecnica e materiale estesa per facilitare questa transizione. 
  • Chiudere gran parte dell’industria dell’auto. Questa industria è solo un totale spreco di risorse e costituisce il secondo contributo al riscaldamento globale. La maggior parte del trasporto pubblico dovrà tornare a bici, bus, treni e metropolitane – fondamentalmente una versione modernizzata ed estesa di ciò che i cinesi avevano nei primi anni 80 prima della mania dell’auto. Ma l’aria sarà più pulita, i trasporti più rapidi, le persone saranno più sane e verranno conservate risorse immense.
  • Chiudere gran parte delle industrie esportatrici costiere. Gran parte delle industrie esportatrici costiere del mondo sono orientate alla produzione di prodotti usa e getta insostenibili, come osservato in precedenza. Non c’è semplicemente nessun modo di avere un’economia sostenibile da nessuna parte se non aboliamo le industrie del consumo ripetitivo usa e getta nel mondo. 
  • Ridimensionare o chiudere l’aviazione, le spedizioni via mare ed altre industrie dei trasporti ridondanti ed insostenibili. Abbandonare l’inutile progetto del “superpotere dell’aviazione”. Abbandonare l’ulteriore espansione della rete di treni ad alta velocità. Il mondo ha già costruito più aerei, treni e metropolitane di quanto abbia bisogno secondo un qualsiasi conto delle necessità. La stessa cosa vale per l’industria delle costruzioni navali, gran parte della quale è orientata alla costruzione di navi container e grandi navi. Quest’industria dev’essere drasticamente ridotta, le importazioni ed esportazioni del mondo declinano con la contrazione industriale. 
  • Chiudere gran parte dell’industria delle costruzioni. Persino con l’enorme popolazione mondiale, il pianeta è eccessivamente sovra-costruito e disseminato di edifici, appartamenti, autostrade, ponti aeroporti, ecc. inutili e superflui. Alcuni di questi possono essere riconvertiti. Alcuni devono essere demoliti e le terre ritrasformate in terreni agricoli, zone umide, parchi o ad altri usi benefici. 
  • Abbandonare la spinta all’urbanizzazione e promuovere attivamente la ri-ruralizzazione. La vita urbana ha i suoi vantaggi ma i residenti urbani consumano diverse volte tanto l’energia e le risorse naturali e generano diverse volte tanto l’inquinamento rispetto alle famiglie rurali. Inoltre, gran parte delle centinaia di milioni di persone che sono state spostate verso le città negli ultimi tre decenni non ci sono andate volontariamente, sono state costrette ad andarsene dalle loro fattorie dall’accaparramento di terre, con profitto dei funzionari locali. A questi ex agricoltori che desiderano tornare alla terra deve essere permesso di farlo. Non c’è alcuna legge della natura che dice che le famiglie agricole devono essere povere. Nel mondo di oggi, le famiglie di agricoltori con terra e tecnologia adeguate, che possono vendere i propri prodotti di modo da non essere derubati da intermediari e che non siano sotto il giogo di banche, padroni o padroni di stato, possono passarsela molto bene. I piccoli contadini del mondo sono poveri perché lo stato e delle multinazionali li hanno strizzati per sovvenzionare l’industrializzazione. Il modo migliore per alzare gli standard di vita rurali è dar loro sicurezza nelle loro fattorie e pagar loro prezzi giusti per i loro prodotti. 
  • Abbandonare la colonizzazione di saccheggio imperiale sul mondo in via di sviluppo. Se i governi mondiali abbandonano le loro strategie di sviluppo basate sul mercato, non avrebbero alcun “bisogno” di saccheggiare le risorse naturali del mondo in via di sviluppo. Quelle persone possono essere lasciate in pace a sviluppare il proprio ritmo e in accordo coi propri limiti ecologici. E dopo aver distrutto una così grande parte del loro ambiente, le nazioni industrializzate devono loro un po’ di aiuto. 
  • Lanciare un piano globale di emergenza per il risanamento ambientale e il ripristino della salute pubblica. Gli esperti di ambiente e di salute pubblica hanno fatto appello per un piano complessivo integrato per affrontare i problemi ambientali e di salute pubblica del mondo. Gli esperti dicono che ci potrebbero volere generazioni per ripristinare le terre agricole, i fiumi ed i laghi del mondo ad un livello di salute biologica tollerabile, anche se, come osservato sopra, in alcuni posti ciò potrebbe essere impossibile. Una parte significativa dei costi di questa bonifica dovrebbero anche essere portati dalle nazioni occidentali, le cui aziende hanno cinicamente contribuito a questo inquinamento delocalizzando le loro industrie più sporche nel mondo in via di sviluppo.
  • Lanciare un programma nazionale per l’occupazione. Se il mondo dovrà chiudere così tanta della sua economia industriale per frenare la corsa verso il collasso ecologico, allora dovrà trovare o creare nuovi lavori per tutti quei lavoratori disoccupati. (…) Ma aria irrespirabile, acqua imbevibile, cibo non sano, terre agricole inquinate, epidemia di cancro, aumento delle temperature e del livello dei mari lungo le regioni costiere sono problemi più grandi. Così non c’è proprio modo di aggirare questa verità molto scomoda. Il fatto di fare robaccia deve finire. Fermando queste produzioni renderà disoccupati un gran numero di lavoratori e per loro devono essere trovati o creati altri lavori non distruttivi e a basso tenore di carbonio. Per fortuna, non c’è carenza di altri lavori socialmente ed ambientalmente utili da fare: bonifica ambientale, riforestazione, transizione ad agricoltura biologica, transizione all’energia rinnovabile, ricostruzione ed allargamento dei servizi sociali pubblici, ricostruzione delle reti di sicurezza sociale e molto altro. 

Pan Yue è stato di sicuro premonitore: il miracolo cinese (e, per esteso, il miracolo economico globale dell’ultimo secolo) è giunto alla fine perché l’ambiente non può più tenere il passo. La domanda è: il mondo può trovare un modo per afferrare i freni e portare questa locomotiva a fermarsi prima che scagli la civiltà dal burrone?  

Rivoluzione o collasso?

Una cosa è certa: questa locomotiva non verrà fermata finché l‘alleanza empia fra le multinazionali e i loro politici ammaestrati ha le mani sui controlli. Il mondo è incastrato in una spirale di morte. Non riesce a tenere a freno il vorace consumo di risorse e l’inquinamento suicida perché, data la sua dipendenza dal mercato per generare nuovi posti di lavoro, deve dare priorità alla crescita rispetto all’ambiente, come fanno i governi ovunque. Finché questo assetto strutturale di fondo calasse/proprietà rimane effettivo, nessuna “guerra all’inquinamento” o “guerra alla corruzione” cambierà questo sistema o interromperà la traiettoria del mondo verso il collasso ecologico. Dato il precedente, non vedo proprio come la spirale del mondo verso il collasso possa essere invertita a meno di una rivoluzione sociale.  

Chi lo sa quale scintilla accenderà la prossima esplosione sociale?”

Post Data del traduttore: sfugge sempre ai più che tra le due, rivoluzione o collasso, ce ne potrebbe essere una terza, più difficile, anche più improbabile, ma sicuramente più efficace e duratura: l’evoluzione.  



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Ora siamo tutti cinesi: il dilemma dell’apocalisse ecologica

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR

Stavo rileggendo la valutazione rivelatrice di Richard Smith dell’attuale situazione politica, economica ed ecologica cinese (L’apocalisse ecologica comunista-capitalista della Cina) recentemente pubblicata da Truth-Out.org. Raccomando caldamente di leggere l’intero articolo.

Mentre il dilemma descritto da Smith in Cina è dichiaratamente più estremo di quanto sta accadendo nel mondo occidentale industrializzato (perlomeno per adesso…), le due situazioni sono sorprendentemente congruenti nei loro tratti più generali. Infatti, alcune delle analisi sono valide per gli Stati Uniti e il resto del mondo sviluppato praticamente parola per parola, solo cambiando il nome del soggetto.

Questa analogia implica che le considerazioni dell’articolo potrebbero essere un modello utile per pensare a cosa servirebbe per tirar fuori gli Stati Uniti così come la Cina – e, per estensione, tutto il mondo – dal loro attuale carico sul burrone ecologico. Questo esame potrebbe rendere più chiaro ciò che ci possiamo e non possiamo realisticamente aspettare nel tempo che ci rimane prima che i raccolti comincino a mancare sul serio.

Nel resto di questa nota ho estratto alcuni dei punti salienti dell’argomentazione di Richard Smith e le ho leggermente modificate per metterle in un contesto globale. Le mie modifiche sono in corsivo. Ho cercato di cambiare il testo originale il meno possibile, principalmente sostituendo “il mondo” ai riferimenti originali alla Cina. Confido che Smith troverà la mia parafrasi accettabile sotto il cappello delle disposizioni di “uso giusto” del diritto d’autore.

Mi sono fatto le mie opinioni sulla probabilità che tali cambiamenti avvengano realmente e potete probabilmente indovinare quali siano.

“Gli scienziati del clima ci dicono che, date tutte le promesse non mantenute fino a questo momento, la marcia indietro e l’aumento delle emissioni di biossido di carbonio, ora siamo di fronte ad una “emergenza climatica”. Con le attuali tendenze ci troviamo in rotta per un riscaldamento di 4-6°C prima della fine di questo secolo: se non sopprimiamo radicalmente la combustione di combustibili fossili nei prossimi decenni per mantenere il riscaldamento al di sotto della soglia dei 2°C, il riscaldamento planetario accelererà oltre ogni possibilità umana di fermarlo ed il collasso ecologico globale sarà inevitabile. Per avere una possibilità di restare al di sotto dei 2°C, le nazioni industrializzate e la Cina devono tagliare le emissioni dal 40 al 70% globalmente entro il 2050 rispetto a quelle del 2010, cosa che richiederebbe tagli nell’ordine del 6-10% all’anno. La Cina dovrebbe tagliare le sue emissioni industriali dal 30 al 90% rispetto a quelle del 2010, la variazione dipende dai tassi di crescita attesi e da altre ipotesi. 

Il solo modo in cui il mondo potrebbe sopprimere le sue emissioni di gas serra di qualcosa di vagamente simile a quella quantità sarebbe quello di imporre una contrazione economica drastica e a tutto campo, compresi ridimensionamenti e chiusure di gran parte delle industrie che sono state costruite negli ultimi tre decenni di mania di mercato. Sono certo che questo suoni estremo, se non completamente folle. Ma non vedo quale altra conclusione possiamo trarre dalla scienza. Il lato positivo, come ho esaminato sopra, visto che lo spreco di così tante delle risorse e dell’inquinamento del mondo sono semplicemente e completamente non necessari e dannosi, ciò che sembra un’estrema austerità potrebbe dimostrarsi proprio l’opposto: una liberazione, un passo verso quello “stile di vita migliore”. Un tale piano di emergenza dovrebbe comprendere perlomeno gli elementi seguenti: 

  • Chiudere tutte le centrali a carbone tranne quelle essenziali, necessarie come misura temporanea per mantenere le luci e il riscaldamento accesi ed i servizi pubblici essenziali operativi finché le sostituzioni rinnovabili non possano essere messe in servizio. Abbandonare i progetti di gassificazione del carbone ed eliminare gradualmente le centrali alimentate da petrolio e gas il più rapidamente possibile. Forzare una rapida transizione a fonti rinnovabili di energia come eolico, idroelettrico e solare ma con l’obbiettivo di produrre molta meno energia complessivamente, una quantità più vicina a quella che il mondo produceva nei primi anni 80, prima del boom di industrializzazione alimentato dal mercato. Gli Stati Uniti ed altri paesi sviluppati devono essere obbligati a fornire un’assistenza tecnica e materiale estesa per facilitare questa transizione. 
  • Chiudere gran parte dell’industria dell’auto. Questa industria è solo un totale spreco di risorse e costituisce il secondo contributo al riscaldamento globale. La maggior parte del trasporto pubblico dovrà tornare a bici, bus, treni e metropolitane – fondamentalmente una versione modernizzata ed estesa di ciò che i cinesi avevano nei primi anni 80 prima della mania dell’auto. Ma l’aria sarà più pulita, i trasporti più rapidi, le persone saranno più sane e verranno conservate risorse immense.
  • Chiudere gran parte delle industrie esportatrici costiere. Gran parte delle industrie esportatrici costiere del mondo sono orientate alla produzione di prodotti usa e getta insostenibili, come osservato in precedenza. Non c’è semplicemente nessun modo di avere un’economia sostenibile da nessuna parte se non aboliamo le industrie del consumo ripetitivo usa e getta nel mondo. 
  • Ridimensionare o chiudere l’aviazione, le spedizioni via mare ed altre industrie dei trasporti ridondanti ed insostenibili. Abbandonare l’inutile progetto del “superpotere dell’aviazione”. Abbandonare l’ulteriore espansione della rete di treni ad alta velocità. Il mondo ha già costruito più aerei, treni e metropolitane di quanto abbia bisogno secondo un qualsiasi conto delle necessità. La stessa cosa vale per l’industria delle costruzioni navali, gran parte della quale è orientata alla costruzione di navi container e grandi navi. Quest’industria dev’essere drasticamente ridotta, le importazioni ed esportazioni del mondo declinano con la contrazione industriale. 
  • Chiudere gran parte dell’industria delle costruzioni. Persino con l’enorme popolazione mondiale, il pianeta è eccessivamente sovra-costruito e disseminato di edifici, appartamenti, autostrade, ponti aeroporti, ecc. inutili e superflui. Alcuni di questi possono essere riconvertiti. Alcuni devono essere demoliti e le terre ritrasformate in terreni agricoli, zone umide, parchi o ad altri usi benefici. 
  • Abbandonare la spinta all’urbanizzazione e promuovere attivamente la ri-ruralizzazione. La vita urbana ha i suoi vantaggi ma i residenti urbani consumano diverse volte tanto l’energia e le risorse naturali e generano diverse volte tanto l’inquinamento rispetto alle famiglie rurali. Inoltre, gran parte delle centinaia di milioni di persone che sono state spostate verso le città negli ultimi tre decenni non ci sono andate volontariamente, sono state costrette ad andarsene dalle loro fattorie dall’accaparramento di terre, con profitto dei funzionari locali. A questi ex agricoltori che desiderano tornare alla terra deve essere permesso di farlo. Non c’è alcuna legge della natura che dice che le famiglie agricole devono essere povere. Nel mondo di oggi, le famiglie di agricoltori con terra e tecnologia adeguate, che possono vendere i propri prodotti di modo da non essere derubati da intermediari e che non siano sotto il giogo di banche, padroni o padroni di stato, possono passarsela molto bene. I piccoli contadini del mondo sono poveri perché lo stato e delle multinazionali li hanno strizzati per sovvenzionare l’industrializzazione. Il modo migliore per alzare gli standard di vita rurali è dar loro sicurezza nelle loro fattorie e pagar loro prezzi giusti per i loro prodotti. 
  • Abbandonare la colonizzazione di saccheggio imperiale sul mondo in via di sviluppo. Se i governi mondiali abbandonano le loro strategie di sviluppo basate sul mercato, non avrebbero alcun “bisogno” di saccheggiare le risorse naturali del mondo in via di sviluppo. Quelle persone possono essere lasciate in pace a sviluppare il proprio ritmo e in accordo coi propri limiti ecologici. E dopo aver distrutto una così grande parte del loro ambiente, le nazioni industrializzate devono loro un po’ di aiuto. 
  • Lanciare un piano globale di emergenza per il risanamento ambientale e il ripristino della salute pubblica. Gli esperti di ambiente e di salute pubblica hanno fatto appello per un piano complessivo integrato per affrontare i problemi ambientali e di salute pubblica del mondo. Gli esperti dicono che ci potrebbero volere generazioni per ripristinare le terre agricole, i fiumi ed i laghi del mondo ad un livello di salute biologica tollerabile, anche se, come osservato sopra, in alcuni posti ciò potrebbe essere impossibile. Una parte significativa dei costi di questa bonifica dovrebbero anche essere portati dalle nazioni occidentali, le cui aziende hanno cinicamente contribuito a questo inquinamento delocalizzando le loro industrie più sporche nel mondo in via di sviluppo.
  • Lanciare un programma nazionale per l’occupazione. Se il mondo dovrà chiudere così tanta della sua economia industriale per frenare la corsa verso il collasso ecologico, allora dovrà trovare o creare nuovi lavori per tutti quei lavoratori disoccupati. (…) Ma aria irrespirabile, acqua imbevibile, cibo non sano, terre agricole inquinate, epidemia di cancro, aumento delle temperature e del livello dei mari lungo le regioni costiere sono problemi più grandi. Così non c’è proprio modo di aggirare questa verità molto scomoda. Il fatto di fare robaccia deve finire. Fermando queste produzioni renderà disoccupati un gran numero di lavoratori e per loro devono essere trovati o creati altri lavori non distruttivi e a basso tenore di carbonio. Per fortuna, non c’è carenza di altri lavori socialmente ed ambientalmente utili da fare: bonifica ambientale, riforestazione, transizione ad agricoltura biologica, transizione all’energia rinnovabile, ricostruzione ed allargamento dei servizi sociali pubblici, ricostruzione delle reti di sicurezza sociale e molto altro. 

Pan Yue è stato di sicuro premonitore: il miracolo cinese (e, per esteso, il miracolo economico globale dell’ultimo secolo) è giunto alla fine perché l’ambiente non può più tenere il passo. La domanda è: il mondo può trovare un modo per afferrare i freni e portare questa locomotiva a fermarsi prima che scagli la civiltà dal burrone?  

Rivoluzione o collasso?

Una cosa è certa: questa locomotiva non verrà fermata finché l‘alleanza empia fra le multinazionali e i loro politici ammaestrati ha le mani sui controlli. Il mondo è incastrato in una spirale di morte. Non riesce a tenere a freno il vorace consumo di risorse e l’inquinamento suicida perché, data la sua dipendenza dal mercato per generare nuovi posti di lavoro, deve dare priorità alla crescita rispetto all’ambiente, come fanno i governi ovunque. Finché questo assetto strutturale di fondo calasse/proprietà rimane effettivo, nessuna “guerra all’inquinamento” o “guerra alla corruzione” cambierà questo sistema o interromperà la traiettoria del mondo verso il collasso ecologico. Dato il precedente, non vedo proprio come la spirale del mondo verso il collasso possa essere invertita a meno di una rivoluzione sociale.  

Chi lo sa quale scintilla accenderà la prossima esplosione sociale?”

Post Data del traduttore: sfugge sempre ai più che tra le due, rivoluzione o collasso, ce ne potrebbe essere una terza, più difficile, anche più improbabile, ma sicuramente più efficace e duratura: l’evoluzione.  



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Gli errori dei "contraristi" climatici

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Un nuovo articolo scopre errori comuni fra il 3% dei lavori scientifici climatici che rifiutano il consenso sul riscaldamento globale. 

Galileo mentre dimostra le sue teorie astronomiche. I “contraristi” (dall’inglese “contrarian”) climatici non hanno praticamente niente in comune con Galileo. Foto: Tarker/Tarker/Corbis

Di Dana Nuccitelli

Coloro che rifiutano il 97% del consenso fra gli esperti sul riscaldamento globale antropogenico spesso invocano Galileo come esempio di quando una minoranza scientifica ha rovesciato la visione dominante. In realtà, i “contraristi” climatici (dall’inglese “contrarians”) non hanno quasi niente in comune con Galileo, le cui conclusioni erano basate su prove scientifiche empiriche, sostenute da molti contemporanei scientifici e perseguitato dall’establishment politico-religioso. Ciononostante, c’è una debole possibilità che la minoranza del 2-3% abbia ragione e il consenso climatico del 97% torto. Per valutare quella possibilità, un nuovo articolo pubblicato su Journal of Theoretical and Applied Climatology esamina una selezione della ricerca climatica contraristae tenta di riprodurre i loro risultati. L’idea è che la ricerca scientifica veritiera debba essere riproducibile e tramite la riproduzione possiamo anche identificare qualsiasi errore metodologico in quella ricerca. Lo studio cerca anche di rispondere alla domanda perché questi saggi contrari giungono a conclusioni diverse rispetto al 97% della letteratura scientifica climatica?

Questo nuovo studio è stato condotto da Rasmus Benestad, me (Dana Nuccitelli), Stephan Lewandowsky, Katharine Hayhoe, Hans Olav Hygen, Rob van Dorland e John Cook. Benestad (che ha fatto la parte del leone nel lavoro di questo articolo) ha creato uno strumento usando il linguaggio di programmazione R per riprodurre i risultati e i metodi usati in alcuni degli articoli che rifiutano il consenso degli esperti sul riscaldamento cui si fa spesso riferimento. Usando questo strumento, abbiamo scoperto alcune cose in comune fra gli articoli di ricerca contraristi. Il Cherry picking è stata una caratteristica molto comune che hanno condiviso. Abbiamo scoperto che molti articoli contraristi hanno omesso informazioni contestuali importanti o ignorato dati chiave che non si adattavano alle conclusioni della ricerca. Per esempio, nella discussione di un lavoro del 2011 di Humlum et al. nel nostro materiale supplementare osserviamo,

Il cuore dell’analisi portata a termine [Humlum et al.] comportava l’adattamento alla curva basata su wavelet, con una vaga idea che la luna e i cicli solari in qualche modo possano condizionare il clima della Terra. Il problema più grave dell’articolo, tuttavia, era che ha scartato una grande frazione di dati dell’Olocene che non si adattavano alle loro dichiarazioni. 

Quando abbiamo provato a riprodurre il loro modello dell’influenza lunare e solare sul clima, abbiamo scoperto che il modello simulava  i loro dati della temperatura in modo ragionevolmente preciso soltanto per il periodo di 4.000 anni che hanno considerato. Tuttavia, per i dati che valgono per i 6.000 anni precedenti, che hanno buttato via, il loro modello non era in grado di riprodurre i cambiamenti di temperatura. Ma non c’è motivo di fidarsi della previsione di un modello se questo non è in grado di riprodurre con precisione il passato.

Abbiamo scoperto che l’approccio del “adattamento della curva” dell’articolo di Humlum è un altro tema comune della ricerca climatica contrarista. L”adattamento della curva’ descrive prendendo alcune variabili diverse, di solito con cicli regolari, allungandole finché la combinazione non combaci con una data curva (in questo caso, quella dei dati della temperatura). E’ una pratica di cui parlo nel mio libro e della quale il matematico John von Neumann una volta ha detto,

Con quattro parametri posso misurare un elefante e con cinque posso fargli muovere la proboscide.

La buona modellazione limiterà i valori possibili dei parametri usati, così che questi riflettano la fisica conosciuta, ma un cattivo ‘adattamento della curva’ non limita sé stesso alle realtà fisiche. Per esempio, discutiamo la ricerca di Nicola Scafetta e Craig Loehle, che spesso pubblicano saggi che cercano di dare la colpa del riscaldamento globale ai cicli orbitali di Giove e Saturno. Questa argomentazione particolare mostra anche una chiara mancanza di fisica plausibile, che è stata un tema comune che abbiamo identificato nella ricerca climatica contraria. In un altro esempio, Ferenc Miskolczi sosteneva, in degli articoli del 2007 e del 2010, che l’effetto serra è diventato saturo, ma come anch’io dico nel mio libro, il mito dell”effetto serra saturato” è stato sfatato all’inizio del XX secolo. Come osserviamo nel materiale supplementare del nostro saggio, Miskolczi ha omesso una parte importante della fisica conosciuta per ridare vita a questo mito secolare. Ciò rappresenta solo una piccola parte dei studi contrari e delle metodologie errate che abbiamo identificato nel nostro saggio.

Abbiamo esaminato 38 articoli in tutto. Come osserviamo, lo stesso approccio di replicazione potrebbe essere applicato agli articoli che sono coerenti col consenso degli esperti sul riscaldamento globale antropogenico e, indubitabilmente, alcuni errori metodologici verrebbero scoperti. Tuttavia, questi tipi di errori erano la norma, non l’eccezione, fra gli articoli contraristi che abbiamo esaminato. Come l’autore principale Rasmus Benestad ha scritto,

abbiamo deliberatamente scelto una selezione mirata per scoprire perché avessero ottenuto risposte così diverse e il modo più facile per farlo era quello di scegliere i lavori contraristi più visibili… La nostra ipotesi era che i saggi contraristi scelti fossero validi ed il nostro approccio era quello di falsificare questa ipotesi ripetendo il lavoro con occhio critico. 

Se potevamo trovare errori o debolezze, allora eravamo in grado di spiegare perché i risultati fossero diversi dal mainstream. Altrimenti, le differenze sarebbero la conseguenza di una vera incertezza.

Dopo tutto ciò, le conclusioni sono state sorprendentemente non sorprendenti per me. La replicazione ha rivelato un’ampia gamma di tipologie di errori, difetti ed imperfezioni che coinvolgevano sia la statistica sia la fisica.  

Potreste aver notato un’altra caratteristica della ricerca climatica contrarista – non c’è una teoria alternativa coesa e coerente al riscaldamento globale antropogenico. Alcuni danno la colpa del riscaldamento globale al sole, altri ai cicli orbitali di altri pianeti, altri ai cicli oceanici e così via. C’è un 97% di consenso degli esperti su una teoria coesa che è sostenuta in modo schiacciante dalle prove scientifiche, ma il 2-3% dei saggi che rifiutano quel consenso sono del tutto sconclusionati, persino in contraddizione fra di loro. La sola cosa che sembrano avere in comune sono gli errori metodologici come il cherry picking, l’adattamento delle curve, l’ignorare dati scomodi e il trascurare la fisica conosciuta. Se mai qualcuno dei bastian contrari fosse un Galileo dei giorni nostri, presenterebbe una teoria supportata dalle prove scientifiche e non una basata su errori metodologici. Una tale solida teoria convincerebbe gli esperti scientifici e comincerebbe a formarsi un consenso. Invece, come mostra il nostro saggio, i contraristi hanno presentato una varietà di alternative contraddittorie basate su errori metodologici, che pertanto non hanno convinto gli esperti scientifici. La teoria del riscaldamento globale antropogenico è la sola eccezione. E’ basata su prove scientifiche schiaccianti e coerenti e pertanto ha convinto oltre il 97% degli esperti scientifici che è giusta.

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Gli errori dei "contraristi" climatici

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Un nuovo articolo scopre errori comuni fra il 3% dei lavori scientifici climatici che rifiutano il consenso sul riscaldamento globale. 

Galileo mentre dimostra le sue teorie astronomiche. I “contraristi” (dall’inglese “contrarian”) climatici non hanno praticamente niente in comune con Galileo. Foto: Tarker/Tarker/Corbis

Di Dana Nuccitelli

Coloro che rifiutano il 97% del consenso fra gli esperti sul riscaldamento globale antropogenico spesso invocano Galileo come esempio di quando una minoranza scientifica ha rovesciato la visione dominante. In realtà, i “contraristi” climatici (dall’inglese “contrarians”) non hanno quasi niente in comune con Galileo, le cui conclusioni erano basate su prove scientifiche empiriche, sostenute da molti contemporanei scientifici e perseguitato dall’establishment politico-religioso. Ciononostante, c’è una debole possibilità che la minoranza del 2-3% abbia ragione e il consenso climatico del 97% torto. Per valutare quella possibilità, un nuovo articolo pubblicato su Journal of Theoretical and Applied Climatology esamina una selezione della ricerca climatica contraristae tenta di riprodurre i loro risultati. L’idea è che la ricerca scientifica veritiera debba essere riproducibile e tramite la riproduzione possiamo anche identificare qualsiasi errore metodologico in quella ricerca. Lo studio cerca anche di rispondere alla domanda perché questi saggi contrari giungono a conclusioni diverse rispetto al 97% della letteratura scientifica climatica?

Questo nuovo studio è stato condotto da Rasmus Benestad, me (Dana Nuccitelli), Stephan Lewandowsky, Katharine Hayhoe, Hans Olav Hygen, Rob van Dorland e John Cook. Benestad (che ha fatto la parte del leone nel lavoro di questo articolo) ha creato uno strumento usando il linguaggio di programmazione R per riprodurre i risultati e i metodi usati in alcuni degli articoli che rifiutano il consenso degli esperti sul riscaldamento cui si fa spesso riferimento. Usando questo strumento, abbiamo scoperto alcune cose in comune fra gli articoli di ricerca contraristi. Il Cherry picking è stata una caratteristica molto comune che hanno condiviso. Abbiamo scoperto che molti articoli contraristi hanno omesso informazioni contestuali importanti o ignorato dati chiave che non si adattavano alle conclusioni della ricerca. Per esempio, nella discussione di un lavoro del 2011 di Humlum et al. nel nostro materiale supplementare osserviamo,

Il cuore dell’analisi portata a termine [Humlum et al.] comportava l’adattamento alla curva basata su wavelet, con una vaga idea che la luna e i cicli solari in qualche modo possano condizionare il clima della Terra. Il problema più grave dell’articolo, tuttavia, era che ha scartato una grande frazione di dati dell’Olocene che non si adattavano alle loro dichiarazioni. 

Quando abbiamo provato a riprodurre il loro modello dell’influenza lunare e solare sul clima, abbiamo scoperto che il modello simulava  i loro dati della temperatura in modo ragionevolmente preciso soltanto per il periodo di 4.000 anni che hanno considerato. Tuttavia, per i dati che valgono per i 6.000 anni precedenti, che hanno buttato via, il loro modello non era in grado di riprodurre i cambiamenti di temperatura. Ma non c’è motivo di fidarsi della previsione di un modello se questo non è in grado di riprodurre con precisione il passato.

Abbiamo scoperto che l’approccio del “adattamento della curva” dell’articolo di Humlum è un altro tema comune della ricerca climatica contrarista. L”adattamento della curva’ descrive prendendo alcune variabili diverse, di solito con cicli regolari, allungandole finché la combinazione non combaci con una data curva (in questo caso, quella dei dati della temperatura). E’ una pratica di cui parlo nel mio libro e della quale il matematico John von Neumann una volta ha detto,

Con quattro parametri posso misurare un elefante e con cinque posso fargli muovere la proboscide.

La buona modellazione limiterà i valori possibili dei parametri usati, così che questi riflettano la fisica conosciuta, ma un cattivo ‘adattamento della curva’ non limita sé stesso alle realtà fisiche. Per esempio, discutiamo la ricerca di Nicola Scafetta e Craig Loehle, che spesso pubblicano saggi che cercano di dare la colpa del riscaldamento globale ai cicli orbitali di Giove e Saturno. Questa argomentazione particolare mostra anche una chiara mancanza di fisica plausibile, che è stata un tema comune che abbiamo identificato nella ricerca climatica contraria. In un altro esempio, Ferenc Miskolczi sosteneva, in degli articoli del 2007 e del 2010, che l’effetto serra è diventato saturo, ma come anch’io dico nel mio libro, il mito dell”effetto serra saturato” è stato sfatato all’inizio del XX secolo. Come osserviamo nel materiale supplementare del nostro saggio, Miskolczi ha omesso una parte importante della fisica conosciuta per ridare vita a questo mito secolare. Ciò rappresenta solo una piccola parte dei studi contrari e delle metodologie errate che abbiamo identificato nel nostro saggio.

Abbiamo esaminato 38 articoli in tutto. Come osserviamo, lo stesso approccio di replicazione potrebbe essere applicato agli articoli che sono coerenti col consenso degli esperti sul riscaldamento globale antropogenico e, indubitabilmente, alcuni errori metodologici verrebbero scoperti. Tuttavia, questi tipi di errori erano la norma, non l’eccezione, fra gli articoli contraristi che abbiamo esaminato. Come l’autore principale Rasmus Benestad ha scritto,

abbiamo deliberatamente scelto una selezione mirata per scoprire perché avessero ottenuto risposte così diverse e il modo più facile per farlo era quello di scegliere i lavori contraristi più visibili… La nostra ipotesi era che i saggi contraristi scelti fossero validi ed il nostro approccio era quello di falsificare questa ipotesi ripetendo il lavoro con occhio critico. 

Se potevamo trovare errori o debolezze, allora eravamo in grado di spiegare perché i risultati fossero diversi dal mainstream. Altrimenti, le differenze sarebbero la conseguenza di una vera incertezza.

Dopo tutto ciò, le conclusioni sono state sorprendentemente non sorprendenti per me. La replicazione ha rivelato un’ampia gamma di tipologie di errori, difetti ed imperfezioni che coinvolgevano sia la statistica sia la fisica.  

Potreste aver notato un’altra caratteristica della ricerca climatica contrarista – non c’è una teoria alternativa coesa e coerente al riscaldamento globale antropogenico. Alcuni danno la colpa del riscaldamento globale al sole, altri ai cicli orbitali di altri pianeti, altri ai cicli oceanici e così via. C’è un 97% di consenso degli esperti su una teoria coesa che è sostenuta in modo schiacciante dalle prove scientifiche, ma il 2-3% dei saggi che rifiutano quel consenso sono del tutto sconclusionati, persino in contraddizione fra di loro. La sola cosa che sembrano avere in comune sono gli errori metodologici come il cherry picking, l’adattamento delle curve, l’ignorare dati scomodi e il trascurare la fisica conosciuta. Se mai qualcuno dei bastian contrari fosse un Galileo dei giorni nostri, presenterebbe una teoria supportata dalle prove scientifiche e non una basata su errori metodologici. Una tale solida teoria convincerebbe gli esperti scientifici e comincerebbe a formarsi un consenso. Invece, come mostra il nostro saggio, i contraristi hanno presentato una varietà di alternative contraddittorie basate su errori metodologici, che pertanto non hanno convinto gli esperti scientifici. La teoria del riscaldamento globale antropogenico è la sola eccezione. E’ basata su prove scientifiche schiaccianti e coerenti e pertanto ha convinto oltre il 97% degli esperti scientifici che è giusta.

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La Risultante

Guest post di Gianni Tiziano

Immaginiamo un grande prato, con l’erba bassa.

Al suo centro, una donna, in piedi.

Alla sua vita, una cintura.

A questa cintura, lungo tutta la sua circonferenza, sono attaccate tante corde colorate di varia lunghezza, al cui capo sono altre donne, disposte a formare un cerchio, che tirano.

Ogni donna che tira ha forza diversa dalle altre donne.

La donna al centro si sposterà in una direzione che sarà determinata dalle varie forze nelle varie direzioni applicate alla sua cintura, supponendo che lei non opponga forza propria alcuna.

Questa è la RISULTANTE.
.—-
Sostituiamo la donna con la mente di un singolo essere umano, uno dei 7 miliardi e 300 milioni che popolano il pianeta Terra.

La sua mente prenderà le convinzioni e le decisioni come risultante di tutte le forze applicate ad essa.

Tali forze sono soggettive in ogni individuo, e possono essere:

.- la fame
.- la sete
.- l’amore per i figli
.- il bisogno di soldi
.- il bisogno di lavorare
.- il bisogno di una casa
.- la voglia di divertimento
.- la voglia di stare sereni
.- le credenze derivanti dalla religione
.- le credenze derivanti dall’istruzione ricevuta da scuola e genitori
.- le credenze derivanti da letture di libri, visione di documentari e film, partecipazione a dibattiti e seminari, a blog
.- eccetera

I divulgatori del problema del Cambiamento Climatico (scienziati ed altri), applicano poca forza sulla mente della maggioranza dei singoli individui.

La Stampa e la Televisione potrebbero avere grandissima forza divulgativa circa i pericoli derivanti dal Cambiamento Climatico, ma la mente di chi ci lavora ha delle forze che l’ inducono a non occuparsene.

La politica tende a non occuparsene perchè è un argomento scomodo da trattare e a quasi tutti i personaggi politici interessa altro (secondo me si salva un solo movimento, in Italia).

Allora ?

Col BAU (Business As Usual, Sistema Vigente), ci siamo infilati in un vicolo cieco alla fine del quale c’è un muro terribile contro cui ci schianteremo (secondo me prima del 2100 d.C.).

Allora ?

SIAMO FREGATI.

Allora ?

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Il gioco di Hubbert: un gioco da tavolo per simulare le dinamiche dell’esaurimento delle risorse

Da “www.academia.edu”. Traduzione di MR


La “curva di Hubberrt” generata dal gioco di simulazione in una sessione con gli studenti del corso di “Risorse, Economia, e ambiente” del corso di laurea SECI (Sviluppo Economico e Cooperazione Internazionale) dell’Università di Firenze. Quello che segue è un articolo scientifico moderatamente formale pubblicato nella forma di “preprint” su academia.edu


Il gioco di Hubbert: un gioco da tavolo per insegnare le dinamiche dell’esaurimento delle risorse

Di Ugo Bardi

Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Firenze
Polo Scientifico di Sesto Fiorentino
Via della Lastruccia 3, 50021 Sesto Fiorentino, Fi, Italy
ugo.bardi@unifi.it

Abstract

Questo articolo descrive una simulazione del processo dinamico dell’esaurimento delle risorse sotto forma di gioco operativo. E’ pensato come un semplice gioco da tavolo, concepito per fornire agli studenti un’esperienza pratica che potrebbe aiutarli a capire le caratteristiche fondamentali dell’approccio dinamico all’esaurimento. Il gioco non necessita di computer o di materiali particolari. Può essere giocato da quattro squadre per un tempo di gioco di una-due ore.

1. Introduzione

I giochi hanno una lunga storia come metodo per simulare sistemi complessi. Questi sistemi sono caratterizzati da anelli di retroazione che interagiscono e che li rendono non lineari e li fanno reagire in modo esteso anche per piccoli cambiamenti di alcuni parametri. I fattori umani e gli eventi casuali a loro volta giocano spesso un ruolo importante in questi sistemi. Da qui la necessità di un metodo di studio che colga il loro comportamento in rapida mutazione e la loro imprevedibilità. Quasi ogni sistema può essere trasformato in un gioco e i giochi spesso vengono usati allo scopo di formare gli studenti con un approccio pratico in aree come le simulazioni militari (giochi di guerra) e giochi di commercio. In questa forma, vengono chiamati spesso “giochi operativi”.


L’ecosistema è un tipico sistema non lineare dominato da effetti di retroazione e spesso viene studiato col metodo chiamato “Dinamica dei Sistemi” (vedete per esempio Forrester 1989, Richardson 2013) che enfatizza la relazione dinamica dei vari elementi del sistema. Tuttavia, l’esperienza pratica mostra che gli studenti impegnati nell’apprendimento di queste materie hanno gravi difficoltà nel capire un approccio formale alla dinamica dei sistemi, così come nella valutazione del comportamento del sistema, come è stato mostrato in diversi studi, per esempio Sweeney and Sterman 2000, Cronin et al 2009. Per cui, gran parte del lavoro di insegnamento viene svolto mediante giochi operativi con la speranza di fornire un’esperienza pratica agli studenti. Dennis Meadows ha commentato questo punto citando un vecchio detto, “Quando ascolto, dimentico. Quando vedo, ricordo. Quando faccio, capisco”. (Meadows 2007). Un gioco operativo famoso nella dinamica dei sistemi è il “gioco della birra” sviluppato da Jay Forrester negli anni 60 (Hieber and Hartel 2003). Ci sono giochi operativi sono anche nel campo della gestione delle risorse naturali, per esempio “fishbanks” (banchi di pesce), creato da John Sterman e Dennis Meadows e dedicato alla gestione della pesca (Crookhall 1990). I giochi possono anche simulare un’intera economia, come nel gioco “Stratagem” (Sterman e Meadows 1985).

In questo saggio, descriverò un gioco semplice che descrive la gestione di una risorsa naturale finita, lo chiamo “Il gioco di Hubbert” in onore di Marion King Hubbert, il primo ad aver sviluppato un concetto generale del ciclo di sfruttamento di una risorsa minerale. Hubbert ha proposto per la prima volta nel 1956 la “curva a campana” per la produzione petrolifera, che oggi prende spesso il nome di “curva di Hubbert” (Hubbert 1956). Oggi, sappiamo che la curva di Hubbert è solo un’approssimazione, rappresentazione di un concetto più generale. Le curve a campana si osservano spesso in relazione alla curva di produzione quando la risorsa viene sfruttata eccessivamente, come è stato descritto quantitativamente per la prima volta da meadows ed altri nel loro studio del 1972 dal titolo “I limiti alla crescita” (D. H. Meadows et al. 1972). La curva a campana è un fenomeno generale, anche se non è affatto una legge di natura. Viene spesso oscurata da fattori politici e strategici e la curva raramente è simmetrica  (Brandt 2007). Ciononostante, può essere considerata come modello di “livello zero” del fenomeno dell’eccesso di sfruttamento delle risorse naturali.

Il “Gioco di Hubbert” è stato sviluppato con l’idea di creare un gioco operativo semplice e quasi a costo zero che possa essere visto come un’introduzione a giochi più complessi ed alla trattazione piena dell’approccio della dinamica dei sistemi al problema. Il gioco presentato qui è il risultato di uno sforzo in divenire che, credo, ha raggiunto un sufficiente livello di verifica da poter essere descritto pubblicamente. Si spera che ulteriori e più globali verifiche possano essere eseguite da altri in circostanze diverse.

2. Background teorico sull’esaurimento delle risorse

L’esaurimento delle risorse, e in particolare l’esaurimento delle risorse minerali, è stato affrontato scientificamente per la prima volta da William Stanley Jevons (Jevons 1866), che ha identificato gli elementi principali del ciclo di esaurimento, cioè come l’esaurimento delle risorse ad alto rendimento ostacolava progressivamente la capacità del sistema economico di mantenere alti tassi di estrazione. Nel corso di più di un secolo di studi, il settore è molto progredito sia in termini di disponibilità di dati sia di lavoro teorico fatto su di essi. Possiamo divide approssimativamente le opinioni in questo settore come appartenente ai “cornucopiani” o a quello dei “catastrofisti”. I cornucopiani sostengono che il progresso tecnologico e i fattori economici saranno sempre in grado di contrastare l’esaurimento fisico e di mantenere la produzione in crescita. I catastrofisti, invece, propongono che l’esaurimento alla fine renderà la produzione della gran parte delle risorse minerali troppo costosa per continuare. Il lato ottimista potrebbe essere rappresentato dalla “Scuola austriaca di economia” (per una recensione, vedete per esempio Bradley 2007). Il lato pessimista, invece, può essere ben rappresentato dalla serie di studi iniziati con la prima edizione de “I limiti dello sviluppo (crescita)” (Meadows et al 1972). Questi studi possono essere visti come parte dell’approccio “biofisico” all’economia , cioè un approccio che enfatizza l’interazione dinamica degli elementi del sistema coinvolti (vedete per esempio Hall e Klitgaard 2006).

L’antenato dei modelli biofisici dell’esaurimento delle risorse è il modello sviluppato dal geologo americano Marion King Hubbert nel 1956 (Hubbert, 1956). Nella versione originale, il modello si è confrontato con la produzione petrolifera dei 48 stati meridionali degli Stati Uniti, ipotizzando che avrebbe seguito una curva “a campana”. Hubbert non ha mai dato i dettagli del fondamento matematico del suo modello, che sembra essere stato principalmente empirico. In generale, la curva a campana sembra essere una caratteristica comune nella storia delle grandi regioni di produzione di petrolio (Brandt, 2007), anche se non è affatto una “legge” come viene comunemente intesa in fisica. Viene spesso mascherata da fattori di mercato o regolamenti governativi e può essere condizionata da fattori tecnologici o da eventi geopolitici come guerre e cambiamenti politici. Ciononostante la curva a campana, anche se non una necessariamente simmetrica, è una caratteristica comune di molti sistemi economici basati sullo sfruttamento di risorse non rinnovabili o lentamente rinnovabili. Di solito si osserva nella pesca, per esempio (Bardi 2007). Curve a campana spostate in avanti sono anche una caratteristica di fondo del modello del mondo sviluppato per lo studio sui “Limiti dello sviluppo (crescita)” del 1972  (Meadows et al 1972) e delle sue versioni successive (Meadows et al 2004).

Col tempo, sono state sviluppate numerose interpretazioni diverse della curva a campana (Brandt, 2010). Dal punto di vista della dinamica dei sistemi, tuttavia, il modo ovvio di descrivere il sistema è di rappresentarlo sotto forma di modello di stock e flusso, come descritto in dettaglio in Bardi e Lavacchi 2009). Il modello può anche essere visto come una versione semplificata del modello di “Lotka-Volterra”, famoso in biologia (Volterra 1931) (Lotka 1925). Questo modello ha il vantaggio di essere sufficientemente semplice da poter essere facilmente trasformato in un gioco operativo. Può essere descritto per mezzo di due equazioni derivate differenziali accoppiate (Bardi e Lavacchi 2009).

R’ = -aRC
C’ = abRC – cC

Qui “R” sta per “Risorse” (per esempio petrolio greggio) che vengono trasformate in Capitale, “C” (l’industria petrolifera). R’ e C’ indicano la derivata prima della variabile rispetto al tempo, cosicché  R’ possa essere compresa come “produzione” (per esempio barili di petrolio all’anno), mentre C’ descrive la crescita (e il declino) del sistema economico creato dallo sfruttamento della risorse. Nel modello, a, b e c sono costanti positive. “a” descrive quanto rapidamente viene estratta la risorsa, “b” è un fattore di efficienza che descrive con quale efficienza viene creato il capitale. Se R e C sono misurati con la stessa unità di misura, allora b deve essere minore di uno. “C” descrive quanto rapidamente viene dissipato il capitale. Ulteriori parametri del modello sono la riserva iniziale (R0) e il capitale (C0). Entrambi devono essere maggiori di zero. La rappresentazione del modello che usa i simboli standard della dinamica dei sistemi “riquadri e frecce” viene descritta in dettaglio in Bardi 2013. Una caratteristica robusta del modello è la generazione di “curve a campana” sia per la produzione sia per l’accumulo di capitale.

Quando la risorsa che viene sfruttata è una risorsa che produce energia (per esempio petrolio greggio), un concetto fondamentale che condiziona il ciclo di sfruttamento è quello di “Energia netta” del sistema, cioè quanta energia è realmente disponibile per l’estrazione, dopo aver tenuto conto della necessità di reinvestire parte di essa in impianti di estrazione. Questo è un concetto che può essere anche descritto in termino di “Ritorno Energetico sull’Energia Investita – Energy Returned on Energy Invested – EROI o EROEI (Gupta e Hall 2011). L’EROEI è definito come il rapporto fra l’energia ottenuta da una certa riserva di energia (per esempio petrolio greggio) diviso per la quantità di energia necessaria a creare e mantenere gli impianti richiesti (per esempio trivelle petrolifere, piattaforme, raffinerie, ecc.). Ovviamente, un sistema con un EROEI inferiore ad 1 ha un’energia netta negativa ed è una perdita netta in termini di produzione di energia utile. Al contrario, un sistema con un EROEI ampio è quello che genera la maggior ricchezza energetica. Nel caso di una risorsa che produce energia, potremmo ipotizzare che la dimensione di entrambe le riserve vengano misurate in unità energetiche. In questo caso, l’EROEI istantaneo è il rapporto dell’energia prodotta (aRC) diviso la quantità di capitale dissipato per produrla, proporzionale a cC. L’EROEI è quindi proporzionale a R e scende man mano che la riserva di risorsa viene consumata. La curva a campana, col suo declino produttivo finale, è quindi causata dai ritorni decrescenti dell’estrazione (vedi EROEI in diminuzione) (Bardi et al 2011).

3. Il gioco di Hubbert

Anche se la trattazione matematica del modello appena descritto è semplice, questo non aiuta molto lo studente che non ha la giusta formazione nel risolvere equazioni differenziali e nemmeno per i simboli “riquadri e frecce” usati nella dinamica dei sistemi. Da qui la necessita di una pratica, di un modello col quale gli studenti possano giocare. Il gioco di Hubbert è stato costruito con l’idea specifica di creare un gioco semplice e pratico con cui gli studenti potessero avere una visione piena di quello che è il meccanismo “sotto il coperchio” del gioco.

Il gioco di Hubbert è basato su prelievi a caso da una riserva di pedine bianche e nere nascoste in una scatola (o in un sacchetto). La riserva di risorse è rappresentata da pedine nere, per esempio chip della roulette nere (il nero sembra un colore appropriato quando parliamo di petrolio greggio come risorsa). Le pedine bianche sono invece ritenute essere “trivellazioni a vuoto” (dry holes). Nel corso del gioco i giocatori esplorano in cerca di risorse (petrolio greggio) raccogliendo un certo numero di pedine dalla scatola. Le pedine bianche estratte vengono riposte nuovamente nella scatola, mentre le pedine nere estratte sono definite “scoperte” e rimangono in possesso del giocatore. Si suppone che ogni pedina nera in gioco generi una “unità di investimento” che può essere usata per l’esplorazione in cerca di altre risorse (una unità di investimento di solito permette l’estrazione di una singola pedina dalla scatola). Questo meccanismo, il “motore di gioco”, assicura un graduale esaurimento della risorsa, che diventa sempre più difficile da trovare man mano che il gioco procede. Il gioco richiede anche un “foglio di produzione” sul quale vengono registrate le pedine nere estratte (giacimenti petroliferi) ed un registro in cui i giocatori tracciano lo sviluppo del gioco.

Il motore di gioco simula tutti i meccanismi di retroazione della descrizione matematica del modello. Considerate la prima equazione: R’ =-aRC. Nel gioco, “C” (capitale) è determinato dal numero di pedine nere (giacimenti produttivi) posseduti dal giocatore. “R” è determinato dal numero di pedine nere presenti nella scatola (risorse da scoprire). La produzione (R’) risulta essere proporzionale alle risorse di capitale, se ipotizziamo che, ad ogni turno, ogni giocatore può eseguire diversi prelievi (una unità di investimento ciascuno) che può essere usata per prelevare una pedina dalla scatola. Rimettere le pedine bianche nella scatola dopo ciascun prelievo assicura che la probabilità di estrarre una pedina nera diminuisce in modo lineare col numero di pedine nere.

Il motore di gioco tiene anche conto del primo termine della seconda equazione differenziale (C’ ∝ abRC), poiché una volta scoperte, le risorse (le pedine nere nella scatola) vengono trasformate in capitale (pedine nere sul foglio di gioco). Notate che qui ipotizziamo che b è uguale ad uno; vedi perfetta efficienza del processo di estrazione. Questa ovviamente è un’approssimazione, ma non danneggia il funzionamento del motore di gioco.

Infine, la durata limitata delle risorse in gioco viene simulata facendo si che le pedine rimangano per un tempo limitato nel gioco; cioè il capitale viene dissipato secondo il secondo termine della seconda equazione (C’ ∝ -cC). Ciò può essere ottenuto disegnando diversi riquadri sul foglio di produzione, disposti in linea (un numero pratico di riquadri risulta essere il quattro). Ad ogni turno, ogni squadra sposta le pedine nere in gioco di un riquadro (o verso il basso). Quelle pedine che lasciano la striscia vengono rimosse dal foglio e piazzate di fianco nel “mucchio degli scarti”. Sono i giacimenti petroliferi esauriti.

Il motore di gioco simula anche l’EROEI in diminuzione del sistema estrattivo. Diciamo che il rapporto fra pedine nere e bianche nella scatola è uguale ad uno  (B/W =1), quindi ogni prelievo genererà 0,5 pedine nere in media. Ipotizzando che ogni pedina rimanga in gioco per quattro turni, essa genera quattro unità di investimento. Così, ogni unità investita, in media, genera 0,5X4 = 2 unità di investimento e, in questo caso, l’EROEI è uguale a 2. Man mano che il numero di pedine nella scatola diminuisce, lo fa anche l’EROEI. Per esempio, quando il numero di pedine nere diventa la metà di quello delle pedine bianche (B/W=0,5), a quel punto ogni prelievo genererà 0,25 pedine nere in media. Quindi, avremo EROEI = 0,25×4 = 1. Man mano che il gioco va avanti, valori sempre più bassi di EROEI frenano la capacità dei giocatori di far crescere la loro base produttiva e il loro capitale.

Numericamente, questi valori di EROEI sono considerevolmente più piccoli di quelli riportati per il mondo reale della produzione petrolifera, che sono considerati essere introno a 20 oggigiorno e molto più grandi in passato (C. A. S. Hall, Lambert e Balogh 2014). Ma questi valori di EROEI non sono irrealistici perché possiamo ipotizzare che, nel mondo reale, solo una frazione della produzione totale di ogni giacimento viene reinvestita in esplorazione, il resto viane usato per costruire “capitale societario”, cioè energia usata per tutti gli scopi tranne quello di produrre altra energia. Se ipotizziamo che circa il 10% della produzione di ogni giacimento (un valore realistico) viene reinvestito in esplorazione, allora i valori dell’EROEI risulta essere qualitativamente confrontabile a quelli del mondo reale.

In confronto al mondo reale, questo gioco (come tutti i modelli) è ovviamente una semplificazione estrema. In particolare, nel gioco tutti i giacimenti sono uguali, producono la stessa quantità e durano lo stesso tempo prima di prosciugarsi improvvisamente. Ciononostante, queste semplificazioni grezze non diminuiscono la capacità del gioco di illustrare le caratteristiche fondamentali del processo di esaurimento dinamico e il motore di gioco genera curve “a campana” chiare, molto simili alla curva proposta da Hubbert e, in generale, a quelle generate dal modello dinamico descritto prima. Naturalmente, l’elemento casuale dell’estrazione genera una certa quantità di rumore ma, in generale, tutte le verifiche pratiche hanno mostrato che la curva a campana è una caratteristica robusta del risultato del gioco.

4. Provare il gioco

4.1 La versione più semplice

Figura 1. Gli studenti dell’autore impegnati a giocare al gioco di Hubbert. Nell’immagine, possiamo vedere il foglio di gioco e quello del punteggio.

La versione più semplice del gioco di Hubbert si può dire che sia competitiva, ma solo come potrebbe esserlo un gioco come il “gioco dell’oca”. Il vincitore viene determinato da fattori del tutto casuali e non c’è modo per i giocatori di adottare strategie specifiche per migliorare le loro possibilità di vincere. Ciononostante, questa versione è una valida introduzione. Aiuta i giocatori a familiarizzarsi col gioco e mostra loro come il motore di gioco generi curve a campana. In questa versione, le squadre giocano investendo sempre tutto il capitale prodotto al massimo che possono nel tentativo di cercare nuovi giacimenti.

In questa versione c’è solo un sacchetto di pedine, i giocatori sono suddivisi in non più di 4 o 5 squadre (i giocatori possono scegliere nomi come “Shell Oil” o “BP” o qualsiasi cosa colpisca la loro fantasia come nome per la loro squadra). Ogni turno è descritto come della durata di 5 anni ed ogni pedina nera deve essere un intero giacimento petrolifero. L’attrezzatura necessaria comprende circa 100 pedine nere e 100 bianche, un “foglio di produzione” con quattro riquadri disegnati sopra ed un “foglio di gioco” dove i giocatori annotano i loro risultati. Questo foglio di gioco può semplicemente essere un foglio di carta bianco e il conduttore del gioco può chiedere loro di registrare parametri come produzione e numero di giacimenti ad ogni turno.

Ogni squadra comincia con un giacimento in produzione sul primo riquadro del foglio di gioco (il conduttore del gioco potrebbe decidere di iniziare con più di un giacimento, questo accelera le fasi iniziali del gioco). Se una squadra perde tutte le sue pedine nere durante le fasi iniziali del gioco, allora ripartono da una singola pedina nera nel primo riquadro del foglio di gioco. Essere il primo giocatore ad ogni turno dà una modesto vantaggio nell’estrazione, così la sequenza di squadre può essere resa casuale. Anche se questo non è strettamente necessario. Il gioco procede a turni, con una squadra dopo l’altra che eseguano in sequenza le seguenti operazioni:

1. Spostare le pedine nere sul foglio di produzione di un riquadro verso destra.
2. Scartare quelle pedine che escono dal foglio di produzione e metterle nel mucchio degli scarti.
3. Contare il numero di unità di investimento disponibili (uguale al numero di giacimenti petroliferi in gioco sul foglio di produzione).
4. Estrarre un numero di pedine dalla scatola pari al numero di unità di investimento.
5. Mettere le pedine nere estratte sul primo riquadro del foglio di produzione, rimettere le pedine bianche nella scatola.
6. Registrare i risultati nel foglio di gioco.

Una versione gestibile di questa partita, cioè una che non duri più di circa un’ora o due in circa dieci turni, può essere giocata in quattro squadre, un totale di 200 pedine nel sacchetto di cui circa il 50% sono nere. La striscia sul foglio di produzione è composta da quattro riquadri, cioè i giacimenti sono previsti finire dopo quattro cicli (20 anni). In queste condizioni, il gioco finisce, cioè non ci sono più pedine nere in gioco, dopo circa 10-15 turni. La durata del gioco potrebbe anche essere stabilita prima dell’inizio (per esempio, fissata a 10 turni). Il vincitore è colui che ha accumulato il capitale maggiore, misurato dal numero di pedine nere possedute sommando quelle presenti sul foglio di produzione e nel mucchio di scarti. Di solito, più di 4 squadre rallentano troppo il gioco, mentre la durata del gioco è condizionata anche dal numero totale di pedine. Un rapporto più alto di pedine nere/bianche accelera il gioco. Lo stesso vale per una minore quantità di pedine, ma questo potrebbe anche aumentare il rumore di fondo ed oscurare le curve ottenute.

Figura 2. L’autore mostra i risultati di una partita del gioco di Hubbert, la curva “a campana”

4.2 Versioni strategiche

Ci sono diverse possibilità di modificare il gioco in modo tale da dare ai giocatori una possibilità di adottare diverse strategie per aumentare le loro opportunità di vincere. Tuttavia, non è facile mantenere il gioco semplice e facilmente gestibile come la versione più semplice e non strategica. Seguono alcuni suggerimenti: notate che che non tutte queste versioni sono state esaurientemente testate, quindi devono essere prese come possibilità ed essere adattate dal conduttore del gioco a seconda delle sue necessità ed attitudini.

– Scelta geografica

Questa è la variante “strategica” più semplice del gioco. In questa versione, ci sono due (o più) sacchetti di pedine. Ogni sacchetto rappresenta una diversa località geografica (queste diverse località possono essere descritte ai giocatori con nomi famigliari, per esempio “Medio Oriente”, “Nord America”, “Mare del Nord” e cose del genere). I sacchetti possono contenere numeri diversi o combinazioni di pedine nere/bianche. Cioè, alcune località potrebbero essere povere di risorse (meno pedine nere) ed altre potrebbero essere ricche di risorse (più pedine nere). Notate che la durata del gioco è determinata dal numero totale di pedine nere in gioco, che non dovrebbe essere molto maggiore di 100 per mantenere il tempo di gioco entro 1-2 ore. Ai giocatori si potrebbe dire che alcune regioni sono più ricche delle altre, ma non l’esatto rapporto di pedine nere/bianche presente in ognuna di queste regioni e loro dovranno decidere dove impiegare le loro unità di investimento a disposizione, tenendo conto dei risultati precedenti in ciascuna area. Naturalmente, le aree di cui si è scoperto che sono ricche (o che si sa che lo sono), attrarranno più investimenti all’inizio, ma queste aree verranno anche esaurite più rapidamente. Così, i giocatori devono soppesare diversi fattori nella loro decisione su dove impiegare il proprio capitale. Questa versione è strategica ed il successo dovrebbe andare, in teoria, alla squadra che fa la scelta migliore nell’allocare il proprio capitale, anche se i fattori casuali rimangono importanti nel determinare il risultato finale.

– Giacimenti petroliferi convenzionali vs. non convenzionali

Questa versione usa due sacchetti di pedine. Una simula i giacimenti petroliferi “convenzionali”, l’altro i “non convenzionali”. I secondi possono essere descritti come, per esempio, sabbie bituminose, alto mare, petrolio pesante, tight oil, o altri. Si presuppone che i giacimenti di petrolio convenzionale costino meno di quelli non convenzionali, ma che i secondi siano più ricchi di risorse. Per simulare questa differenza, l’estrazione dal sacchetto “convenzionale” deve costare una unità di investimento ad estrazione, come nel gioco standard. Tuttavia, l’estrazione dal sacchetto “non convenzionale” deve costare il doppio, cioè i giocatori hanno bisogno di due unità di capitale per pedina estratta. Questo costo maggiore viene compensato dal più alto numero di pedine nere nel sacchetto del non convenzionale. I numeri potrebbero essere adattati così: per esempio, il sacchetto convenzionale potrebbe contenere un rapporto 50/50 di pedine nere e bianche (per esempio 80 pedine nere e 80 bianche), mentre il sacchetto non convenzionale potrebbe contenere un rapporto 100/50 (per esempio, 80 nere e 40 bianche). Anche in questo caso, la durata del gioco è determinata dal numero complessivo di pedine nere, quindi non dovrebbe essere troppo elevato. In questa versione del gioco, i giocatori dovrebbero esaurire prima le risorse a basso costo (quelle convenzionali), poi passare a quelle più costose quando hanno accumulato capitale sufficiente per poterlo fare. Per ottimizzare la loro produzione, dovranno bilanciare strategicamente i loro investimenti in modo tale da passare né troppo lentamente né troppo velocemente dal convenzionale al non convenzionale.

– Passare alle rinnovabili (la grande transizione)

In questa versione del gioco, le rinnovabili vengono rappresentate da pedine di un terzo colore (preferibilmente verdi, naturalmente!). Possono anche rappresentare impianti nucleari, se vi pare, anche se in questo caso il verde potrebbe essere inappropriato (magari è meglio fosforescente). Le pedine verdi non sono soggette ad esaurimento, né a fattori casuali. Possono semplicemente essere comprate e poste sul foglio di gioco. Ogni pedina verde rappresenta un grande numero di impianti rinnovabili, in grado di produrre tanto quanto il numero di giacimenti petroliferi rappresentati da una pedina nera. Così, ogni pedina verde genera una unità di investimento di capitale, proprio come fa la pedina nera. La durata del gioco di una pedina verde deve a sua volta essere la stessa di quella di una pedina nera, cosicché tutte le pedine che passano sullo stesso foglio di gioco vengano scartate dopo quattro turni. Le pedine verdi hanno il vantaggio su quelle nere di non essere soggette a fattori casuali. Tuttavia, costano di più. Nel gioco, il loro costo deve scendere man mano che il gioco va avanti per simulare l’effetto del progresso tecnologico.

In pratica, il conduttore del gioco tiene una tabella col costo delle pedine verdi come funzione del turno di gioco e lo annuncia ai giocatori su richiesta. Inizialmente, le pedine verdi sono molto costose e, quindi, un cattivo affare. Ma, man mano che il gioco va avanti, il costo delle pedine nere aumenta, mentre quello delle pedine verdi diminuisce. I giocatori devono bilanciare le proprie risorse in modo tale da essere in grado di passare alle rinnovabili prima che finiscano le risorse petrolifere. Una possibile tavola che descrive il costo in declino delle pedine verdi è la seguente. Notate che il punto di pareggio (EROEI=1) avviene dopo 5 turni, ipotizzando una durata di produzione di quattro turni per ogni pedina. Nell’ultimo turno, si ipotizza che le rinnovabili abbiano un EROEI=4. Di nuovo, questo valore indica solo la percentuale di energia che viene realmente reinvestita in nuovi impianti; ognuno di essi produrrà una grande quantità che si ipotizza sia reinvestita in capitale sociale.

– Altre versioni. 

Alcune versioni del gioco sono state solo parzialmente testate o si è scoperto che funzionano male durante i test. Il fallimento di queste versioni non significa che non possano funzionare, solo che i parametri devono essere regolati in modo tale da assicurare uno sviluppo del gioco regolare. Vengono riportatie qui per completezza e per possibili sviluppi futuri.

1. La versione dell’uscita finanziaria. In questa versione, ai giocatori viene consentito di “investire” le loro unità di capitale al posto di usarle per fare prospezione di nuovi giacimenti. Nel gioco, ad ogni turno, ogni squadra può investire quante unità di capitale vuole, segnando il numero in un foglio separato. Devono ricevere un interesse, per esempio il 10% ad ogni turno. L’idea è che i giocatori debbano uscire dal gioco prima che l’esaurimento rende ulteriori investimenti in produzione petrolifera un’impresa in perdita. Questa versione risulta essere in qualche modo complicata visdto che l’interesse composto sulle somme frazionarie doveva essere calcolato ad ogni turno. Poi, diversi studenti sono rimasti delusi perché la loro squadra è uscita dal gioco troppo presto e non hanno potuto fare altro che guardare gli altri giocatori proseguire col gioco.

2. Il gioco di guerra di Hubbert. In questa versione, i giocatori possono scambiare una unità di investimento (per esempio una unita per turno, per giacimento in gioco) in cambio di n “pedine militari”, con n suggerito come uguale a due o tre. Quindi possono usare le loro unità militari per attaccare altri giocatori usando regole, per esempio, simili a quelle del famoso gioco da tavolo “Risiko”. Eliminando tutte le pedine militari degli avversari, il vincitore prende tutti i giacimenti produttivi dei perdenti e li aggiunge al proprio foglio di gioco. Potrebbe essere divertente, e forse persino realistico, ma non un modo per insegnare l’esaurimento delle risorse.

3. Il gioco del “banco del pesce”. In questo caso, la risorsa deve essere lentamente rinnovabile, come una risorsa biologica, ad esempio il pesce. Questo risultato richiede che il gestore del gioco registri il numero di pedine nere nella scatole del gioco e che aggiunga alcune pedine nera ad ogni turno. Questo numero può essere definito, per esempio, come il 20% (arrotondato) del numero di pedine nere già presenti. In questa versione, i giocatori vengono incoraggiati a collaborare in modo tale da ottenere un tasso di sfruttamento “sostenibile” della risorsa. Questa versione è stata testata una sola volta e sembra funzionare, anche se si è scoperto che il tempo richiesto per ottenere un tasso di sfruttamento sostenibile è più lungo di quello assegnato al gioco, quindi si è dovuto interrompere la partita.

5. Considerazioni pratiche.

La maggior parte dei test riportati qui sono stati svolti usando chips di plastica della roulette comprate su Ebay ad un prezzo piuttosto ragionevole. Tuttavia, le pedine possono essere qualsiasi cosa di facilmente distinguibile in termini di colori. Per esempio, i primi test del gioco sono stati fatti usando feltrini per le porte di diversi colori come pedine. Possono essere usati altri tipi di pedine informali, per esempio tappi della birra (Vanclay et al 2006) (ma, considerato che ci servono almeno 200 pedine, bisogna bere molta birra!). E’ stato provato anche un mazzo di carte, usando le carte nere e rosse per svolgere i ruoli delle pedine nere/bianche. Tuttavia, visto che il mazzo deve essere grande (di solito circa 200 carte) e deve essere rimescolato ad ogni turno, maneggiarlo risulta essere poco pratico. Naturalmente, l’estrazione può anche essere facilmente simulata su un PC, ma ciò sminuisce l’ide di creare un gioco da tavolo. Il foglio di produzione è stato stampato e distribuito ai giocatori (è riprodotto alla fine dell’articolo). Il foglio di gioco, dove i giocatori registrano i loro risultati, potrebbe essere semplicemente in foglio di carta bianca.

Il numero massimo di giocatori che hanno partecipato ad ogni test è stato di circa 20, divisi in 4 squadre. Il gioco è stato testato due volte con gli studenti dell’autore che frequentano il corso di economia delle risorse all’Università di Firenze. E’ stato testato una volta con gli studenti di Chimica Fisica dell’autore. Poi è stato testato una volta in un incontro pubblico di ambientalisti e, infine, diverse volte con alcuni degli amici dell’autore. Non è stato fatto formalmente alcun test sull’apprendimento di conoscenza da parte dei giocatori, ma diversi degli studenti sono stati intervistati dopo il gioco. La maggior parte di loro ha riferito di una “esperienza positiva” nell’aver preso parte al gioco.

6. Conclusioni

Il gioco operativo presentato in questo saggio è ancora in fase di verifica. Dai test eseguiti, si può dire che di sicuro attreva l’attenzione degli studenti. Inoltre, l’opinione degli studenti sul gioco sembra essere ampiamente positiva, anche se non è stato provato su un numero di studenti sufficiente per avere un significato statistico. A questo proposito, i risultati di queste verifiche concordano con quelli riportati su diversi giochi sulla sostenibilità (Dahlin et al 2015). Tuttavia, non è sufficiente che gli studenti amino il gioco e che dicano di aver avuto un’esperienza positiva giocandoci. Ciò che importa è se ciò ha migliorato la loro comprensione della materia di cui si occupa il gioco, in questo caso i fattori dinamici che determinano il ciclo di sfruttamento di una risorsa naturale. Su questo punto, gli studenti che hanno svolto tutto il gioco sono stati testati individualmente con domande specifiche sul meccanismo di esaurimento, la natura della retroazione, le opzioni dei giocatori nel gioco. Una valutazione quantitativa non può essere ancora fatta, ma un elemento sembra emergere chiaramente: una singola sessione col gioco proposto qui è troppo breve per generare un miglioramento significativo nella comprensione degli studenti del funzionamento di un sistema dinamico. Ulteriori test sono in svolgimento col tentativo di “incorporare” il gioco all’interno di lezioni più formali sulla dinamica dei sistemi. Naturalmente, questo tipo di verifica avrebbe un beneficio da una larga diffusione del gioco e lo scopo della presente pubblicazione è di chiedere agli insegnanti interessati di provare e discutere i loro risultati. Le domande su questo gioco sono benvenute all’indirizzo dell’autore: ugo.bardi@unifi.it

Riconoscimento

Questo lavoro è stato realizzato senza alcun finanziamento pubblico o privato. L’autore desidera ringraziare tutti coloro che lo hanno testato, in particolare Donata Bardi e Kevin Piccioli, che sono stati i primi a provare il gioco.

Il gioco di Hubbert – Foglio di produzione

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La nascita del positivismo.

di Jacopo Simonetta

Cercando le tracce della nascita della nostra civiltà, mi sono fatto l’idea che questa sia stata concepita sostanzialmente in casa di Bacone e sia poi stata portata in grembo da Galileo e Descartes, fra gli altri.   Nacque, direi, a cavallo della manica, nella seconda metà del XVIII secolo con l’aiuto di molte levatrici, fra cui le più importanti furono, forse, Adam Smith, Diderot e Condorcet.    Nel frattempo, Voltaire e l’intera fratellanza massonica si impegnavano a diffondere la nuova utopia del Progresso.   Un concetto del tutto nuovo per quei tempi e foriero di immense conseguenze.

Appena battezzato da Condorcet, il bimbo ebbe però una grave malattia che rischiò di spacciarlo: il romanticismo.   Tuttavia sopravvisse, dimostrando quella straordinaria resilienza e plasticità che sono necessarie affinché un concetto possa divenire il mito fondante di un’intera civiltà.
Uno che lo aiutò moltissimo in questo periodo particolare fu un altro aristocratico francese: Claude-Henri de Rouvroy, conte di Saint-Simon (1760 – 1825).   Un personaggio singolare che merita di essere conosciuto.  

A 17 anni partì volontario con Lafayette per combattere in America.   Tornato, non fece mai più l’errore di farsi coinvolgere di persona in vicende pericolose.   Al contrario di parecchi promotori del progresso, riuscì così a passare indenne attraverso la macelleria rivoluzionaria.   Anzi, colse l’occasione per rimpinguare abbondantemente le esauste finanze familiari speculando sui beni requisiti alla Chiesa, ma senza compromettersi troppo.   Riuscì anche ad evitare qualunque coinvolgimento durante la dittatura di Napoleone e, dunque, non ebbe problemi nemmeno con la restaurazione, malgrado ne fosse un dichiarato oppositore.

Potrebbe essere il ritratto di un qualunque furbo, ed invece stiamo parlando di uno dei grandi idealisti del XIX secolo ispiratore, fra gli altri, di nientedimeno che Karl Marx.   Qui mi interessa perché fu anche il padre (o forse meglio dire nonno) di un passaggio cruciale della nostra civiltà: la nascita del Positivismo.

Già durante la Rivoluzione Francese un nutrito gruppo di illuministi “d’assalto” avevano inteso tributare un culto religioso alla “Dea Ragione”: divinizzazione dell’intelletto umano.   Una vera e propria funzione si svolse a Notre Dame di Parigi, con tanto di ragazza in costume da Pallade Atena.   Una carnevalata che non fu replicata, ma l’idea che la mente umana fosse la vera divinità cui fare riferimento rimase e trovò altri modi per affermarsi.   Uno che fece molto in questo senso fu proprio il conte di Saint-Simon.

Dotato di una cultura scientifica eclettica, ancorché superficiale, Saint-Simon era infatti un autentico “fan” della scienza moderna, fino a vagheggiare apertamente di tributarle un vero culto.   La legge di gravitazione Universale di Newton per lui era l’equivalente della Sacra Scrittura per i cristiani.   Anzi di più: era Dio stesso.   Saint-Simon fu il primo a dire chiaro e tondo che ogni decisione politica doveva essere presa sulla base di una rigorosa analisi scientifica e che, su questa base, lo Stato doveva unicamente sviluppare l’economia, l’industria e la meccanizzazione.   Tre aspetti di un unico processo che avrebbe immancabilmente portato al benessere per tutti, all’eliminazione delle ingiustizie, eccetera.   In pratica rilanciando in stile romantico lo stesso copione utopico che era stato degli illuministi e che fu poi fatto proprio tanto dai liberali, quanto dai socialisti.   Non a caso, questo “aristò” riciclatosi industriale fu l’unico personaggio a ricevere onori postumi contemporaneamente in USA ed URSS.

Sul piano scientifico, il conte ebbe un’intuizione importante, che ancora oggi sta alla base di molte realizzazioni rilevanti.   Da imprenditore intelligente qual’era, capì che per garantire lo sviluppo dell’economia e dell’industria era necessario che strade, ferrovie e canali costituissero un sistema integrato, analogo al sistema circolatorio in un organismo.  Un concetto che è andato molto lontano.   Non solo i canali di Suez e di Panama (fra gli altri) furono opera di suoi seguaci, ma la teoria delle reti è oggi un settore di ricerca vivacissimo.   Credo proprio che se Saint-Simon potesse vedere internet penserebbe di aver raggiunto il paradiso.

Un altro punto cardinale per lui era l’eliminazione dei parassiti sociali, identificati con i redditieri, i preti ed i militari.   Un altro dei punti su cui il nostro gode tuttora di un ampio seguito.  Secondo il suo modo di vedere, il vertice della società spettava agli scienziati che dovevano costituire una sorta di clero laico, incaricato di compulsare costantemente la natura alla ricerca di nuove scoperte per spingere la gioiosa macchina del progresso verso sempre più elevate vette.   Viceversa, l’amministrazione doveva essere appannaggio degli industriali, dei mercanti e dei banchieri i quali avrebbero sicuramente provveduto ad evitare la dilapidazione di risorse in attività inutili, così come avrebbero evitato accuratamente ogni guerra e scontro sociale per il semplice fatto che queste cose non convengono a nessuno.

Oggi è facile sorridere di queste idee e, a dire il vero, nell’ultimo periodo della sua vita anche Saint Simon si rese conto che l’interesse privato non era sufficiente a garantire la prosperità e la pace comune.  Andò quindi alla ricerca di un’etica più profonda che trovò, o pensò di trovare, in una versione profondamente rimaneggiata del cristianesimo.   Riforma che teorizzo e descrisse nelle sue ultime opere.

Saint-Simon ebbe un enorme seguito e la sua influenza, più o meno diretta, risulta evidente ancora oggi in moti ambienti.   Ma ancor più di lui ebbe influenza un altro augusto conte, stavolta per nome e non per tutolo.   Intendo Auguste Comte (1798 – 1856), che per circa sei anni fu segretario personale del conte.

Ancor più di Saint Simon, Comte spinse agli estremi la concezione romantica della scienza come valore assoluto; strumento di riscatto e sublimazione definitiva dell’Uomo.   Ma se la scienza voleva essere degna di tanto onore, doveva evitare accuratamente alcune tendenze che, già allora, si manifestavano.    Non doveva infatti suddividersi in specializzazioni: sei e solo sei dovevano essere le scienze e nessuna contaminazione fra queste doveva essere ammessa.  

La sociologia era la scienza suprema, articolata in “statica” e “dinamica” sulla falsariga della meccanica newtoniana.   La Sociologia statica era fondata sul concetto di “Ordine” e doveva studiare le cause del disordine sociale e, dunque, i modi per prevenirlo.   La Sociologia dinamica doveva invece dare attuazione al concetto di “Progresso”, inteso come destino ineluttabile e ragion d’essere di un’umanità divinizzata.

A tal fine, gli scienziati non dovevano sprecare tempo e risorse a ricercare il “PERCHÉ” avvengono i fenomeni in quanto dietro ogni causa se ne cela sempre un altra, all’infinito.  In uno spirito di sobria economia, Il compito della scienza era solo quello di capire “COME” avvengono i fenomeni che ci riguardano e, dunque, come si possono manipolare a nostro vantaggio.

Nelle sue opere più mature, pensò anche che una fede religiosa fosse necessaria per il buon ordine della società positiva.   Si inventò dunque a tavolino una vera e propria dottrina religiosa devoluta all’Umanità, chiamata “Grande Essere”.   Una sorta del Leviatano di Hobbes, ma dotato di una dimensione storica e sacrale del tutto nuova.

Al di la dei dettagli del culto immaginato da Comte, il Positivismo ebbe un’importanza determinante sul successivo sviluppo della civiltà europea prima, e mondiale poi.  In particolare, ebbe grande seguito la tripartizione della storia del pensiero umano in fasi: teologica (ovvero fittizia), metafisica (o astratta) e scientifica (o positiva).   La prima sarebbe caratteristica dei popoli primitivi che, non capendo niente di quello che gli succede intorno, si immaginano degli esseri sovrannaturali che fanno e disfano.  Nella fase metafisica la gente, già un po’ più sveglia, sostituisce gli Dei con dei concetti astratti come l’Essere o la Natura.   Nella fase scientifica, finalmente, la realtà si schiude all’occhio umano per quello che è e l’umanità apprende a dominare la natura.

L’idea che la civiltà industriale europea fosse superiore a tutte le altre in quanto più “avanzata” ha radice soprattutto negli scritti polemici di Voltaire, ma Comte portò l’idea a sistema.   E come sistema è ancora alla radice del nostro modo di vedere noi stessi.   Di qui, ad esempio, la nostra classificazione dei popoli in “sviluppati”, “in via di sviluppo” o “sotto-sviluppati” in rapporto a quanto distano da noi: astro fulgente cui tutti, necessariamente, tendono.

Difficile immaginare qualcosa di più lontano dal “Noi moderni siamo nani assisi sulle spalle di giganti” di uno scienziato del calibro di Blaise Pascal.  Va detto, del resto, che Comte non era uno scienziato e che, per sua stessa dichiarazione, praticava una rigida “igiene mentale”.  Vale a dire che leggeva pochissimo di ciò che non era in linea con le sue idee.   Evidentemente neanche i classici, visto che per cambiare idea gli sarebbe bastato leggere un qualunque autore antico.   Magari solo “nuvole”,  in cui Aristofane si fa beffe, fra gli altri, di un sempliciotto che crede che “a far piovere sia Zeus pisciando nel crivello”.

Destinobeffardo.   Comte è stato smentito in praticamente ogni punto del suo pensiero proprio da quel progresso scientifico cui tanto anelava.   Per esempio, contrariamente a quanto da lui previsto, lo studio dei popoli antichi e dei “primitivi” tuttora viventi  ha rivelato conoscenze ed elaborazioni teoretiche sorprendenti.   Le scoperte scientifiche principali sono avvenute nei campi della scienza pura e, soprattutto, nelle interfaccia fra le diverse specializzazioni.   La moltiplicazione di queste, d’altronde, ha non poco favorito la messa a punto di una massa di dettagli senza i quali non sarebbe mai stato possibile verificare l’attendibilità delle teorie generali.   Il progresso della tecnologia ha portato immensi vantaggi, creando nel contempo i presupposti per la più grande catastrofe della storia dell’umanità.    Il calcolo delle probabilità è fondamentale in molti campi d’avanguardia come la fisica delle particelle e le dinamiche caotiche.   L’astronomia ha dato il meglio di se sondando i limiti dell’universo conoscibile.   La microbiologia ha potuto spiegare molti dei segreti del mondo vivente.   Lo studio delle civiltà del passato ha arricchito enormemente la nostra cultura e fertilizzato numerose scienze contemporanee.   Per citare solo i punti principali su cui Comte aveva certamente torto.  

Ciò nondimeno, le idee basilari di Comte ebbero un’immensa eco e si concrezionarono nei manuali scolastici, così come in molte ideologie politiche.   Ancora i miei figli, pochi lustri addietro, tornavano da scuola raccontando, assai poco convinti, che i maestri gli avevano spiegato di come gli antichi, nella loro ignoranza, pesassero che la pioggia fosse l’urina di Zeus e simili amenità.   Che in tempi più moderni i filosofi avevano cercato di spiegare razionalmente il mondo, ma che solo la scienza moderna era stata in grado di svelare ogni segreto e porre finalmente la natura al servizio dell’uomo.

Insomma, anche se la scienza non cessa di smentire il Positivismo, questo continua ad informare di sé gran parte della scienza odierna e l’intera nostra civiltà.  Tanto che quando gli scienziati dicono cosa NON si deve fare e perché vengono perlopiù ignorati (o marginalizzati).   Compito della scienza, si sa, è scoprire come dominare sempre meglio e sempre più i fenomeni naturali, non certo quello di porre dei limiti al Progresso!

Ma spesso un eccesso ne provoca un altro di segno opposto.   E, difatti, proprio negli stessi anni in cui si esaltava il ruolo sommamente “positivo” della scienza, nasceva dalla penna di una donna, Mary Shelley, la figura dello “scienziato pazzo”.   Una contro-narrativa non meno fantasiosa e potente di quella di Comte e, come quella, destinata ad avere un peso nella nostra civiltà.

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Ce la facciamo a sostituire i fossili con le rinnovabili prima che sia troppo tardi?

Il risultato di uno dei modelli sviluppati da Alessandro Pulvirenti per descrivere la “Transizione Energetica.” Vedete il declino della produzione fossile e il rapido aumento di quella rinnovabile.

Dicevano i Cinesi che vivere in tempi interessanti è una maledizione. In effetti, c’è poco da dubitare che viviamo in tempi interessanti. A parte le varie guerre, stermini di massa, migrazioni, e tutto il resto, abbiamo davanti un problema cruciale: Siamo in grado smettere di bruciare combustibili fossili prima che il cambiamento climatico ci spazzi via? E siamo in grado di sostituirli con qualcosa che ci dia altrettanta energia da permetterci di sopravvivere? E siamo in grado di farlo prima che le risorse fossili si esauriscano?

Bella domanda. Diciamo che vale qualche trilione di dollari; il valore monetario di un’intera civiltà. Ci prova a dare una risposta Alessandro Pulvirenti con una serie di calcoli molto dettagliati e molto interessanti. Come vi potete immaginare, non è un calcolo facile e le assunzioni necessarie sono tante e tutte piuttosto incerte. Ma, in breve, comunque, Pulvirenti basa i suoi calcoli su una diminuzione progressiva dell’EROEI (resa energetica) dei fossili, su una “curva di Hubbert” per i consumi fossili, e sull’idea che una certa frazione dell’energia prodotta (fossile e rinnovabile) verrà riutilizzata per costruire nuovi impianti rinnovabili che, alla fine, sostituiranno completamente quelli fossili.

I risultati variano a seconda delleassunzioniiniziali. Ecco le conclusioni alle quali arriva Pulvirenti.

Visti i risultati dei 4 modelli utilizzati, ci si rende conto che:

E’ quasi impossibile escludere totalmente l’uso dei combustibili fossili con le sole fonti rinnovabili, utilizzando le tecnologie attuali e la capacità di produzione delle aziende.

Invece, soddisfare le esigenze di energia elettrica attuali e future (il 50% dell’energia primaria) è una cosa fattibile, ma richiede grandi investimenti per gli impianti di produzione (aziende).

Rinviare ulteriormente la transizione e cercare di effettuarla in futuro in minor tempo, richiederà maggiori risorse energetiche annuali, sia per la produzione dei manufatti (celle PV o aerogeneratori) che investimenti per gli impianti delle aziende prodruttrici; con il rischio che l’eccessiva sottrazione di risorse energetiche, causi una crisi economica e sociale molto intensa.

Questi risultati sono diversi da quelli miei e dai miei collaboratori (Sgouridis et al.), dove troviamo che in effetti è possibile sostituire l’energia fossile con altrettanta energia netta di origine rinnovabile in una arco di tempo di una cinquantina di anni. Anche Greenpeace è venuta fuori con una proposta di arrivare al 100% di energia rinnovabile per il 2050.

Ma non mi sembra che ci siano contrasti fondamentali: dipende dalle assunzioni iniziali. Come tutti sappiamo, anche senza bisogno di calcoli dettagliati, la transizione è complessa e richiede dei sacrifici che, al momento, nessuno ha voglia di fare. E se nessuno ha voglia di fare sacrifici, alla transizione non arriveremo mai, di certo.

Comunque, date un’occhiata al post di Pulvirenti, con il quale mi congratulo per il lavoro svolto. Potete commentare qui, su “effetto risorse,” che Alessandro segue normalmente.

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