Effetto Cassandra

“Il picco del petrolio ci salverà dal cambiamento climatico”: un meme che non è mai diventato virale

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


Immagine da “Peaksurfer” 

L’idea che il picco del petrolio ci salverà dal cambiamento climatico è saltata fuori di tanto in tanto nel dibattito, ma non ha mai preso realmente piede per una serie di buoni motivi. Uno è che, in molti casi, le persone che la proponevano erano negazionisti climatici e questo li ha resi scarsamente credibili. Infatti, se il cambiamento climatico non esiste (o se non è causato dalle attività umane), come è che ci racconti che il picco del petrolio ci salverà? Aggiungete a questo il fatto che molti negazionisti climatici dalla linea dura sono anche negazionisti del picco del petrolio (visto che, come si sa bene, i due concetti sono parte di una grande cospirazione), quindi non sorprende che il meme “il picco del petrolio ci salverà” non è mai diventato virale.


Ciò non significa che non dobbiamo porci la domanda se abbiamo quantità sufficienti di combustibili fossili per generare un cambiamento climatico davvero disastroso. Il dibattito su questo punto risale ai primi anni del 2000. All’inizio, i dati erano incerti e veniva osservato correttamente che alcuni degli scenari dell’IPCC sovrastimavano quello che avremmo probabilmente bruciato in futuro. Ma, adesso, penso che la nebbia sia scomparsa. Sta diventando sempre più chiaro che l’esaurimento dei combustibili fossili non è sufficiente, di gran lunga, per salvarci dal cambiamento climatico.
Ciononostante, alcuni si aggrappano ancora al vecchio meme “il picco del petrolio ci salverà”. In un recente post su “Energy Matters”, Roger Andrews sostiene che:

Tutte le riserve di petrolio e gas più circa il 20% delle riserve di carbone potrebbero venire consumate senza superare il limite del trilione di tonnellate di emissioni dell’IPCC.

Ora, questo suona rassicurante e di sicuro molte persone lo capiscono nel senso che non ci dobbiamo preoccupare affatto di bruciare petrolio e gas. Ma non è così semplice. Un problema è che il “limite dei 2°C” è un ultimo disperato tentativo di limitare il danno creato dal cambiamento climatico, ma non c’è certezza che rimanere al di sotto di questo sarà sufficiente ad evitare il disastro. Poi c’è il problema dell’uso del termine “riserve” da parte di Andrews, da intendere con “riserve provate”. Le riserve provate comprendono solo quelle risorse che si sa che esistono e che sono estraibili allo stato attuale e si tratta certamente  di molto di meno di quello che si potrebbe estrarre in futuro. Il parametro che tiene conto anche delle risorse che probabilmente esistono viene chiamato “ Ultimate Recoverable Resources – URR” (Risorse recuperabili totali).

Così, consideriamo una stima totale di URR fossili mondiali che molte persone considererebbero come “pessimistica”, quella di Jean Laherrere di cui ho già parlato in un post precedente. Risulta che abbiamo petrolio e gas in quantità tali che, insieme, possono produrre abbastanza CO2 da raggiungere il limite di 2°C, anche se, forse, non di più. Ne consegue che, se volessimo davvero bruciare tutto il petrolio e il gas che si sa che sono estraibili, per rimanere entro il limite dovremmo fermare tutta la combustione di carbone, a partire da domani! Una cosa non semplice da fare, considerato che il carbone produce più del 40% dell’energia che alimenta la rete elettrica mondiale e, in alcuni paesi, molto di più. E’ vero che il carbone è il più sporco dei tre combustibili fossili e deve essere eliminato più rapidamente del petrolio e del gas, ma il consumo di tutti e tre deve diminuire nello stesso tempo, altrimenti sarà impossibile rimanere sotto il limite.

Alla fine, qui abbiamo un’altra delle molte illusioni che circondano il problema climatico, un’illusione che potrebbe essere pericolosa se si dovesse diffondere. Tuttavia, oltre agli altri problemi descritti qui, il post di Andrew cade nella stessa trappola di molti tentativi precedenti: usa i dati prodotti dalla scienza del clima per cercare di dimostrare la sua tesi principale, ma solo dopo aver definito la scienza del clima come una “scienza voodoo”. Non ci siamo proprio: è un meme che non diventerà mai virale.

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“Il picco del petrolio ci salverà dal cambiamento climatico”: un meme che non è mai diventato virale

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


Immagine da “Peaksurfer” 

L’idea che il picco del petrolio ci salverà dal cambiamento climatico è saltata fuori di tanto in tanto nel dibattito, ma non ha mai preso realmente piede per una serie di buoni motivi. Uno è che, in molti casi, le persone che la proponevano erano negazionisti climatici e questo li ha resi scarsamente credibili. Infatti, se il cambiamento climatico non esiste (o se non è causato dalle attività umane), come è che ci racconti che il picco del petrolio ci salverà? Aggiungete a questo il fatto che molti negazionisti climatici dalla linea dura sono anche negazionisti del picco del petrolio (visto che, come si sa bene, i due concetti sono parte di una grande cospirazione), quindi non sorprende che il meme “il picco del petrolio ci salverà” non è mai diventato virale.


Ciò non significa che non dobbiamo porci la domanda se abbiamo quantità sufficienti di combustibili fossili per generare un cambiamento climatico davvero disastroso. Il dibattito su questo punto risale ai primi anni del 2000. All’inizio, i dati erano incerti e veniva osservato correttamente che alcuni degli scenari dell’IPCC sovrastimavano quello che avremmo probabilmente bruciato in futuro. Ma, adesso, penso che la nebbia sia scomparsa. Sta diventando sempre più chiaro che l’esaurimento dei combustibili fossili non è sufficiente, di gran lunga, per salvarci dal cambiamento climatico.
Ciononostante, alcuni si aggrappano ancora al vecchio meme “il picco del petrolio ci salverà”. In un recente post su “Energy Matters”, Roger Andrews sostiene che:

Tutte le riserve di petrolio e gas più circa il 20% delle riserve di carbone potrebbero venire consumate senza superare il limite del trilione di tonnellate di emissioni dell’IPCC.

Ora, questo suona rassicurante e di sicuro molte persone lo capiscono nel senso che non ci dobbiamo preoccupare affatto di bruciare petrolio e gas. Ma non è così semplice. Un problema è che il “limite dei 2°C” è un ultimo disperato tentativo di limitare il danno creato dal cambiamento climatico, ma non c’è certezza che rimanere al di sotto di questo sarà sufficiente ad evitare il disastro. Poi c’è il problema dell’uso del termine “riserve” da parte di Andrews, da intendere con “riserve provate”. Le riserve provate comprendono solo quelle risorse che si sa che esistono e che sono estraibili allo stato attuale e si tratta certamente  di molto di meno di quello che si potrebbe estrarre in futuro. Il parametro che tiene conto anche delle risorse che probabilmente esistono viene chiamato “ Ultimate Recoverable Resources – URR” (Risorse recuperabili totali).

Così, consideriamo una stima totale di URR fossili mondiali che molte persone considererebbero come “pessimistica”, quella di Jean Laherrere di cui ho già parlato in un post precedente. Risulta che abbiamo petrolio e gas in quantità tali che, insieme, possono produrre abbastanza CO2 da raggiungere il limite di 2°C, anche se, forse, non di più. Ne consegue che, se volessimo davvero bruciare tutto il petrolio e il gas che si sa che sono estraibili, per rimanere entro il limite dovremmo fermare tutta la combustione di carbone, a partire da domani! Una cosa non semplice da fare, considerato che il carbone produce più del 40% dell’energia che alimenta la rete elettrica mondiale e, in alcuni paesi, molto di più. E’ vero che il carbone è il più sporco dei tre combustibili fossili e deve essere eliminato più rapidamente del petrolio e del gas, ma il consumo di tutti e tre deve diminuire nello stesso tempo, altrimenti sarà impossibile rimanere sotto il limite.

Alla fine, qui abbiamo un’altra delle molte illusioni che circondano il problema climatico, un’illusione che potrebbe essere pericolosa se si dovesse diffondere. Tuttavia, oltre agli altri problemi descritti qui, il post di Andrew cade nella stessa trappola di molti tentativi precedenti: usa i dati prodotti dalla scienza del clima per cercare di dimostrare la sua tesi principale, ma solo dopo aver definito la scienza del clima come una “scienza voodoo”. Non ci siamo proprio: è un meme che non diventerà mai virale.

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Pan è morto, Dio pure e l’Uomo sta molto male. E adesso?

di Jacopo Simonetta

Durante il regno di Tiberio un certo Thamus udì una voce che annunciava “Il grande Pan è morto”.

La faccenda fu presa tanto sul serio che l’Imperatore convocò Thamus per farsi raccontare di persona come fosse andata e della faccenda discussero molto seriamente i saggi ed i più alti sacerdoti.   All’epoca nessuno a Roma aveva fatto caso che la fede nella sacralità della Città eterna e nelle divinità tradizionali cominciava ad affievolirsi, mentre in Palestina era comparsa una nuova setta ebraica, molto attiva e capace di fare proselitismo presso qualunque popolo della Terra.   Una volta divenuta maggioranza, la piccola setta di un tempo avrebbe spazzato via la mistica e la mitologia antiche per sostituirle con altre che divennero il fondamento della successiva civiltà europea.

Un paio di millenni più tardi, fu invece un certo Friedrich Nietzsche ad annunciare urbi et obi che Dio era morto e che ovunque si avvertiva il fetore della sua decomposizione.   Un modo un po’ brutale di dire che, ancora una volta, la tradizionale fede degli avi si era ridotta ad una mera abitudine, vuota di significato.   Ma anche in questo caso una nuova divinità stava già prendendo, anzi aveva già preso, il posto di quella “defunta”.

Già da oltre un secolo, infatti, l’Illuminismo aveva propagandato con successo il culto della ragione umana e, giusto una generazione prima di Nietzsche, Auguste Comte aveva proposto un esplicito culto dell’Umanità o, come usa dire oggi, dell’Uomo.   Nei dettagli, nessuna delle due proposte aveva avuto successo.   In compenso il sentimento, ancor più che l’idea, che l’intelligenza umana fosse potenzialmente onnipotente si era profondamente radicato in quasi tutti gli ambienti, comprese le chiese tradizionali.

Certo, c’erano delle differenze importanti.   Nessuno accende candele o sgozza agnelli in onore dell’Uomo, ma in compenso si cambia la geografia del Pianeta e si cancellano con disinvoltura interi biomi e culture semplicemente perché ciò è utile allo sviluppo dell’Uomo.    Anzi, il livello di antropizzazione del paesaggio e di industrializzazione dell’economia sono diventate delle misure dello sviluppo di un paese.

Del resto, non minori erano state le differenze fra le Divinità classiche ed il Dio cristiano o mussulmano.   In ultima analisi, si tratta comunque di archetipi.   Cioè di astrazioni profondamente radicate nell’inconscio collettivo intorno alle quali si struttura un intero modo di pensare, di osservare, capire ed agire.   Sono insomma gli archetipi che danno un significato, un’identità ed uno scopo alla nostra vita.   Insomma che ci mettono in condizione di vivere, per citare un certo Einstein che non era certo un baciapile..   Non a caso la metafisica è puntualmente rientrata dalla finestra, ogni volta che qualche filosofo ha tentato di buttarla fuori dalla porta.

Se lo scopo della religione Romana era stato principalmente quello di perpetuare in eterno l’Urbe e quello del Cristianesimo salvare la propria anima dalla dannazione eterna, la fede nell’Uomo ebbe un fine più immediato: migliorare indefinitamente la nostra presente vita.   Questo ipotetico processo di indefinito ed irreversibile miglioramento prese il nome di “Progresso” e divenne il mito fondante della civiltà industriale.

Già la fede in Roma era stata esportata sulle punte dei pila prima di diventare la narrativa comune dei popoli dell’Impero.   Più tardi, anche la fede in Cristo ed in Allah furono diffuse con gran ricorso alle armi ed alle persecuzioni, prima di diventare la matrice identitaria dei popoli convertiti.   Così, in tempi assai più recenti, il culto dell’Uomo e la mistica del Progresso si diffusero principalmente grazie ai moschetti ed alle navi, ma finirono col conquistare i cuori e le menti dei popoli sopravvissuti alla colonizzazione.

Del resto, come resistere?   Il Progresso assicurava che il paese di Bengodi non fosse una fantasia medioevale, bensì il destino ultimo dell’umanità.   Il paradiso che altri promettevano in cielo poteva essere qui in terra.   Anzi, sicuramente così sarebbe stato, prima o poi, grazie alle infinite risorse dell’Ingegno Umano.

Chi più, chi meno, quasi tutti ci hanno creduto e la grande maggioranza delle persone ancora ci credono.   Ognuno ha la sua variante specializzata.   Per alcuni il futuro è popolato di robot e vi si fanno viaggi intergalattici.   Per altri è un regno di pace e prosperità per tutti.   Per altri ancora un’epoca di profonda consapevolezza, oppure un mosaico di pacifici villaggi contadini e via di seguito.   Ma quale che sia la variante che ci è cara, abbiamo tutti fiducia che il futuro sia migliore del presente e del passato.   Lo consideriamo una specie di diritto inalienabile.

Ma forse sarebbe meglio dire che abbiamo avuto fiducia.   Si, perché circa un anno fa un altro tizio, tal Michael Greer per la precisione, ha annunciato che anche l’Uomo era morto .

A dire il vero, l’annuncio non ha sollevato lo scalpore dei due precedenti, forse perché leggermente prematuro.   In effetti, la fede nell’Uomo sembra ancora viva, anche se sta perdendo pezzi rapidamente.

Si può capire.   La vita della maggior parte degli uomini del mondo, ed in particolare degli occidentali che hanno concepito il mito, non sta migliorando affatto; piuttosto il contrario.   Ancor più rapidamente peggiora la vita di molti fra i popoli che hanno creduto di poter usufruire del nostro stesso opulento stile di vita solo adeguando la propria fede ed imitando i nostri costumi.

Ormai ogni giorno che passa più gente si rende conto che la promessa del paradiso in terra non sarà mantenuta, né dalle sette liberiste, né da quelle socialiste.   Ma quando perdiamo fiducia nel modello mentale che utilizziamo per leggere il mondo ci troviamo smarriti, confusi, spaventati.   Spesso anche bramosi di vendetta.   Si, perché non siamo mai stati noi ad essere ingenui, bensì gli altri ad averci ingannati.

Ma mentre quando morì Pan Cristo era già risorto e quando morì Dio l’Uomo era nel pieno delle sue forze, adesso che quest’ultimo rantola in un reparto di terapia intensiva, non si vedono possibili sostituti all’orizzonte.   O forse, al contrario, ce ne sono troppi.

Possiamo vivere tranquillamente senza officiare a divinità alcuna, ma senza un modello mentale su cui fare affidamento non siamo capaci di vivere a lungo.   A suo tempo, Nietzsche aveva pensato che i suoi tempi fossero maturi per l’apparizione del super-uomo (o oltre-uomo, a seconda delle traduzioni): cioè gente capace di vivere senza fede alcuna, assumendosi la piena responsabilità di ogni cosa gli accadesse.   Ma non fu così.

Allora come oggi, chi perde una fede ne cerca un’altra.   Non c’è infatti niente di arcaico nel diffondersi prepotente di gruppi integralisti in seno a tutte le religioni tradizionali.   Anzi, direi che sia un fenomeno tipicamente post-moderno che caratterizza specialmente i figli ed i nipoti di coloro che avevano creduto nell’Uomo e nel Progresso.   Ed il livello di brutalità praticata è probabilmente proporzionale all’ampiezza del vuoto interiore lasciato dalla delusione.

Altri cercano la strada anche più lontano, ad esempio reinventandosi culti pagani, vagamente ispirati al poco che si sa di quelli antichi.   Oppure rimodellando ancora una volta il modo di vivere ed intendere le religioni tradizionali che hanno già attraversato più di una simile fase di modernizzazione.   Oppure ripensando in chiave ecologica la fiducia nelle capacità della mente umana che, si continua a sperare, sarà comunque capace di rimediare a tutti i malanni che ha prodotto.

Comunque, i più numerosi sono ancora coloro che continuano ad identificarsi con la tradizionale concezione di Progresso e con la capacità umana di dominare gli elementi.   Gli esempi possibili sono innumerevoli, ma vorrei citarne due di natura molto diversa, ma parimenti indicativi:

A Foligno fra il 9  ed il 12 Aprile 2015 si è tenuta la “Festa della Scienza e della Filosofia”; tema: “La scienza ed il futuro”.   Niente di meno!   Due giorni di discussioni e relazioni su argomenti svariatissimi ed interessanti: dalle ricerche sui neutrini all’origine di Homo sapiens; dai rapporti fra Scienza ed umanesimo fino al pacifismo di Einstein.   Ma neanche una parola sull’impatto globale contro i limiti dello sviluppo, la trappola tecnologica, la sovrappopolazione, lo sgretolarsi della nostra civiltà, la morte della Biosfera od un qualsiasi altro argomento che avesse a che fare con la fine del Progresso.

Il secondo esempio è anche più impressionante.   Nella lettera enciclica “Laudato si” (riassunto ufficiale del testo integrale)  che tanto rumore e tanto entusiasmo a sollevato, la parola “Progresso” compare 24 volte.    Per criticarne le deviazioni, certamente, ma non per criticare la fede in un futuro necessariamente migliore del presente.   La parola “Scienza” compare 7 volte, mentre “Tecnologia” compare ben 21 volte;  “Benessere” 5 e “sviluppo” solo 2 volte.    In compenso la parola “Provvidenza” compare 0 volte, come quelle “Penitenza” e “Castigo”.   “Peccato” compare 6 , ma “Redenzione” solo una, neanche nelle conclusioni.   Eppure, mi pare che si tratti di concetti propri della mistica cristiana che si applicherebbero particolarmente bene a quello che sta accadendo al nostro mondo ed alle nostre vite.

Carl Sagan disse che viviamo in una società totalmente dipendente dalla scienza e dalla tecnologia, in cui quasi nessuno sa qualcosa a proposito di scienza e tecnologia.   Direi che è vero, ma non si possono certo sospettare gli organizzatori del convegno di Foligno, né gli estensori dell’enciclica papale di ignoranza!   La spiegazione deve quindi essere un’altra e temo che sia assai più fosca.

Per citare Frank Lloyd Wright: “Un Mito è un arrangiamento del passato, reale od immaginario che sia, in una forma che rinforza i valori più profondi e le aspirazioni di una cultura…  I Miti sono quindi gravidi dei significati coi quali si vive e si muore.   Sono le mappe con cui le culture navigano attraverso il tempo.”

Questo significa che una cultura non può cambiare i propri miti fondanti altro che diventando una cultura diversa ed apparentemente la Scienza non è in grado di modificare i miti che tanto ha contribuito a forgiare.
Già una cinquantina di anni fa divenne infatti scientificamente innegabile che le idee di crescita e di progresso erano delle pericolose utopie.   Anzi, una garanzia di disastro.   Ma dopo un primo vacillare, la reazione fu schiacciante.   Come sempre, i fedeli di una religione in difficoltà reagiscono con energia direttamente proporzionale al grado di minaccia.   Nella fattispecie, il controllo dei media ha consentito ai “progressisti” di impadronirsi del gergo e dei concetti nati per combattere la loro ideologia usandoli a sostegno della medesima.   Così, ad esempio, da elemento principale di rischio la tecnologia è diventata strumento di salvezza e la “crescita zero” è diventata “sviluppo sostenibile”: un’etichetta con cui oramai si coprono le pudenda di qualunque infamia ambientale.   La decrescita, per essere divulgabile, ha dovuto essere addolcita con il paradossale aggettivo “felice”.

I concetti più refrattari a questo tipo di perversione furono invece del tutto obliterati.   Così, ad esempio, mentre la popolazione umana raddoppiava, la parola “sovrappopolazione” svaniva, sostituita da quella paradossale “denatalità”.   Un po’ come se sulla Costa Concordia che cominciava a ingavonare fosse stata censurata la parola “affondiamo” per parlare piuttosto della sagra del granchio sottolio.

Per tornare alla massa montante della gente delusa e smarrita, oggi si fa molto caso ai crimini operati dalle bande di integralisti islamici, indù e quant’altro che, innegabilmente, sono particolarmente odiosi.   Ma si tace sul fatto che l’aver voluto perpetuare il culto dell’Uomo e del progresso, nel giro dei prossimi 50 anni,  costerà la vita ad alcuni miliardi di persone che non avrebbero dovuto mai nascere.

Un apparente paradosso che, invece, è molto coerente:  Nel nome della civiltà e del progresso dell’Uomo si sta preparando il più grande sacrificio umano mai concepito.

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Pan è morto, Dio pure e l’Uomo sta molto male. E adesso?

di Jacopo Simonetta

Durante il regno di Tiberio un certo Thamus udì una voce che annunciava “Il grande Pan è morto”.

La faccenda fu presa tanto sul serio che l’Imperatore convocò Thamus per farsi raccontare di persona come fosse andata e della faccenda discussero molto seriamente i saggi ed i più alti sacerdoti.   All’epoca nessuno a Roma aveva fatto caso che la fede nella sacralità della Città eterna e nelle divinità tradizionali cominciava ad affievolirsi, mentre in Palestina era comparsa una nuova setta ebraica, molto attiva e capace di fare proselitismo presso qualunque popolo della Terra.   Una volta divenuta maggioranza, la piccola setta di un tempo avrebbe spazzato via la mistica e la mitologia antiche per sostituirle con altre che divennero il fondamento della successiva civiltà europea.

Un paio di millenni più tardi, fu invece un certo Friedrich Nietzsche ad annunciare urbi et obi che Dio era morto e che ovunque si avvertiva il fetore della sua decomposizione.   Un modo un po’ brutale di dire che, ancora una volta, la tradizionale fede degli avi si era ridotta ad una mera abitudine, vuota di significato.   Ma anche in questo caso una nuova divinità stava già prendendo, anzi aveva già preso, il posto di quella “defunta”.

Già da oltre un secolo, infatti, l’Illuminismo aveva propagandato con successo il culto della ragione umana e, giusto una generazione prima di Nietzsche, Auguste Comte aveva proposto un esplicito culto dell’Umanità o, come usa dire oggi, dell’Uomo.   Nei dettagli, nessuna delle due proposte aveva avuto successo.   In compenso il sentimento, ancor più che l’idea, che l’intelligenza umana fosse potenzialmente onnipotente si era profondamente radicato in quasi tutti gli ambienti, comprese le chiese tradizionali.

Certo, c’erano delle differenze importanti.   Nessuno accende candele o sgozza agnelli in onore dell’Uomo, ma in compenso si cambia la geografia del Pianeta e si cancellano con disinvoltura interi biomi e culture semplicemente perché ciò è utile allo sviluppo dell’Uomo.    Anzi, il livello di antropizzazione del paesaggio e di industrializzazione dell’economia sono diventate delle misure dello sviluppo di un paese.

Del resto, non minori erano state le differenze fra le Divinità classiche ed il Dio cristiano o mussulmano.   In ultima analisi, si tratta comunque di archetipi.   Cioè di astrazioni profondamente radicate nell’inconscio collettivo intorno alle quali si struttura un intero modo di pensare, di osservare, capire ed agire.   Sono insomma gli archetipi che danno un significato, un’identità ed uno scopo alla nostra vita.   Insomma che ci mettono in condizione di vivere, per citare un certo Einstein che non era certo un baciapile..   Non a caso la metafisica è puntualmente rientrata dalla finestra, ogni volta che qualche filosofo ha tentato di buttarla fuori dalla porta.

Se lo scopo della religione Romana era stato principalmente quello di perpetuare in eterno l’Urbe e quello del Cristianesimo salvare la propria anima dalla dannazione eterna, la fede nell’Uomo ebbe un fine più immediato: migliorare indefinitamente la nostra presente vita.   Questo ipotetico processo di indefinito ed irreversibile miglioramento prese il nome di “Progresso” e divenne il mito fondante della civiltà industriale.

Già la fede in Roma era stata esportata sulle punte dei pila prima di diventare la narrativa comune dei popoli dell’Impero.   Più tardi, anche la fede in Cristo ed in Allah furono diffuse con gran ricorso alle armi ed alle persecuzioni, prima di diventare la matrice identitaria dei popoli convertiti.   Così, in tempi assai più recenti, il culto dell’Uomo e la mistica del Progresso si diffusero principalmente grazie ai moschetti ed alle navi, ma finirono col conquistare i cuori e le menti dei popoli sopravvissuti alla colonizzazione.

Del resto, come resistere?   Il Progresso assicurava che il paese di Bengodi non fosse una fantasia medioevale, bensì il destino ultimo dell’umanità.   Il paradiso che altri promettevano in cielo poteva essere qui in terra.   Anzi, sicuramente così sarebbe stato, prima o poi, grazie alle infinite risorse dell’Ingegno Umano.

Chi più, chi meno, quasi tutti ci hanno creduto e la grande maggioranza delle persone ancora ci credono.   Ognuno ha la sua variante specializzata.   Per alcuni il futuro è popolato di robot e vi si fanno viaggi intergalattici.   Per altri è un regno di pace e prosperità per tutti.   Per altri ancora un’epoca di profonda consapevolezza, oppure un mosaico di pacifici villaggi contadini e via di seguito.   Ma quale che sia la variante che ci è cara, abbiamo tutti fiducia che il futuro sia migliore del presente e del passato.   Lo consideriamo una specie di diritto inalienabile.

Ma forse sarebbe meglio dire che abbiamo avuto fiducia.   Si, perché circa un anno fa un altro tizio, tal Michael Greer per la precisione, ha annunciato che anche l’Uomo era morto .

A dire il vero, l’annuncio non ha sollevato lo scalpore dei due precedenti, forse perché leggermente prematuro.   In effetti, la fede nell’Uomo sembra ancora viva, anche se sta perdendo pezzi rapidamente.

Si può capire.   La vita della maggior parte degli uomini del mondo, ed in particolare degli occidentali che hanno concepito il mito, non sta migliorando affatto; piuttosto il contrario.   Ancor più rapidamente peggiora la vita di molti fra i popoli che hanno creduto di poter usufruire del nostro stesso opulento stile di vita solo adeguando la propria fede ed imitando i nostri costumi.

Ormai ogni giorno che passa più gente si rende conto che la promessa del paradiso in terra non sarà mantenuta, né dalle sette liberiste, né da quelle socialiste.   Ma quando perdiamo fiducia nel modello mentale che utilizziamo per leggere il mondo ci troviamo smarriti, confusi, spaventati.   Spesso anche bramosi di vendetta.   Si, perché non siamo mai stati noi ad essere ingenui, bensì gli altri ad averci ingannati.

Ma mentre quando morì Pan Cristo era già risorto e quando morì Dio l’Uomo era nel pieno delle sue forze, adesso che quest’ultimo rantola in un reparto di terapia intensiva, non si vedono possibili sostituti all’orizzonte.   O forse, al contrario, ce ne sono troppi.

Possiamo vivere tranquillamente senza officiare a divinità alcuna, ma senza un modello mentale su cui fare affidamento non siamo capaci di vivere a lungo.   A suo tempo, Nietzsche aveva pensato che i suoi tempi fossero maturi per l’apparizione del super-uomo (o oltre-uomo, a seconda delle traduzioni): cioè gente capace di vivere senza fede alcuna, assumendosi la piena responsabilità di ogni cosa gli accadesse.   Ma non fu così.

Allora come oggi, chi perde una fede ne cerca un’altra.   Non c’è infatti niente di arcaico nel diffondersi prepotente di gruppi integralisti in seno a tutte le religioni tradizionali.   Anzi, direi che sia un fenomeno tipicamente post-moderno che caratterizza specialmente i figli ed i nipoti di coloro che avevano creduto nell’Uomo e nel Progresso.   Ed il livello di brutalità praticata è probabilmente proporzionale all’ampiezza del vuoto interiore lasciato dalla delusione.

Altri cercano la strada anche più lontano, ad esempio reinventandosi culti pagani, vagamente ispirati al poco che si sa di quelli antichi.   Oppure rimodellando ancora una volta il modo di vivere ed intendere le religioni tradizionali che hanno già attraversato più di una simile fase di modernizzazione.   Oppure ripensando in chiave ecologica la fiducia nelle capacità della mente umana che, si continua a sperare, sarà comunque capace di rimediare a tutti i malanni che ha prodotto.

Comunque, i più numerosi sono ancora coloro che continuano ad identificarsi con la tradizionale concezione di Progresso e con la capacità umana di dominare gli elementi.   Gli esempi possibili sono innumerevoli, ma vorrei citarne due di natura molto diversa, ma parimenti indicativi:

A Foligno fra il 9  ed il 12 Aprile 2015 si è tenuta la “Festa della Scienza e della Filosofia”; tema: “La scienza ed il futuro”.   Niente di meno!   Due giorni di discussioni e relazioni su argomenti svariatissimi ed interessanti: dalle ricerche sui neutrini all’origine di Homo sapiens; dai rapporti fra Scienza ed umanesimo fino al pacifismo di Einstein.   Ma neanche una parola sull’impatto globale contro i limiti dello sviluppo, la trappola tecnologica, la sovrappopolazione, lo sgretolarsi della nostra civiltà, la morte della Biosfera od un qualsiasi altro argomento che avesse a che fare con la fine del Progresso.

Il secondo esempio è anche più impressionante.   Nella lettera enciclica “Laudato si” (riassunto ufficiale del testo integrale)  che tanto rumore e tanto entusiasmo a sollevato, la parola “Progresso” compare 24 volte.    Per criticarne le deviazioni, certamente, ma non per criticare la fede in un futuro necessariamente migliore del presente.   La parola “Scienza” compare 7 volte, mentre “Tecnologia” compare ben 21 volte;  “Benessere” 5 e “sviluppo” solo 2 volte.    In compenso la parola “Provvidenza” compare 0 volte, come quelle “Penitenza” e “Castigo”.   “Peccato” compare 6 , ma “Redenzione” solo una, neanche nelle conclusioni.   Eppure, mi pare che si tratti di concetti propri della mistica cristiana che si applicherebbero particolarmente bene a quello che sta accadendo al nostro mondo ed alle nostre vite.

Carl Sagan disse che viviamo in una società totalmente dipendente dalla scienza e dalla tecnologia, in cui quasi nessuno sa qualcosa a proposito di scienza e tecnologia.   Direi che è vero, ma non si possono certo sospettare gli organizzatori del convegno di Foligno, né gli estensori dell’enciclica papale di ignoranza!   La spiegazione deve quindi essere un’altra e temo che sia assai più fosca.

Per citare Frank Lloyd Wright: “Un Mito è un arrangiamento del passato, reale od immaginario che sia, in una forma che rinforza i valori più profondi e le aspirazioni di una cultura…  I Miti sono quindi gravidi dei significati coi quali si vive e si muore.   Sono le mappe con cui le culture navigano attraverso il tempo.”

Questo significa che una cultura non può cambiare i propri miti fondanti altro che diventando una cultura diversa ed apparentemente la Scienza non è in grado di modificare i miti che tanto ha contribuito a forgiare.
Già una cinquantina di anni fa divenne infatti scientificamente innegabile che le idee di crescita e di progresso erano delle pericolose utopie.   Anzi, una garanzia di disastro.   Ma dopo un primo vacillare, la reazione fu schiacciante.   Come sempre, i fedeli di una religione in difficoltà reagiscono con energia direttamente proporzionale al grado di minaccia.   Nella fattispecie, il controllo dei media ha consentito ai “progressisti” di impadronirsi del gergo e dei concetti nati per combattere la loro ideologia usandoli a sostegno della medesima.   Così, ad esempio, da elemento principale di rischio la tecnologia è diventata strumento di salvezza e la “crescita zero” è diventata “sviluppo sostenibile”: un’etichetta con cui oramai si coprono le pudenda di qualunque infamia ambientale.   La decrescita, per essere divulgabile, ha dovuto essere addolcita con il paradossale aggettivo “felice”.

I concetti più refrattari a questo tipo di perversione furono invece del tutto obliterati.   Così, ad esempio, mentre la popolazione umana raddoppiava, la parola “sovrappopolazione” svaniva, sostituita da quella paradossale “denatalità”.   Un po’ come se sulla Costa Concordia che cominciava a ingavonare fosse stata censurata la parola “affondiamo” per parlare piuttosto della sagra del granchio sottolio.

Per tornare alla massa montante della gente delusa e smarrita, oggi si fa molto caso ai crimini operati dalle bande di integralisti islamici, indù e quant’altro che, innegabilmente, sono particolarmente odiosi.   Ma si tace sul fatto che l’aver voluto perpetuare il culto dell’Uomo e del progresso, nel giro dei prossimi 50 anni,  costerà la vita ad alcuni miliardi di persone che non avrebbero dovuto mai nascere.

Un apparente paradosso che, invece, è molto coerente:  Nel nome della civiltà e del progresso dell’Uomo si sta preparando il più grande sacrificio umano mai concepito.

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La vera causa dell’esodo di massa: il picco del petrolio

Da “crudeoilpeak.info”. Traduzione di MR

Di Matt Mushailik

Mentre l’attenzione del mondo si volge alla crisi dei rifugiati, dobbiamo guardare alle cause di questo esodo di massa. 


Fig 1: Rifugiati che camminano lungo l’autostrada ungherese verso l’Austria nel settembre 2015

Nel maggio del 2013, il Guardian aveva un articolo dal titolo “Picco del petrolio, cambiamento climatico e geopolitica degli oleodotti alimentano il conflitto siriano”. Nel marzo del 2015, un gruppo di ricercatori guidato dal climatologo Colin Kelley (Università della California) ha pubblicato uno studio sugli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze dal titolo “Cambiamento climatico nella Mezza Luna Fertile ed implicazioni della recente siccità in Siria”. Fra il 2006 ed il 2009, il popolo siriano ha sofferto la più grave siccità che il paese abbia mai vissuto dall’inizio delle registrazioni strumentali. “Man mano che l’acqua diveniva scarsa, i raccolti sono andati perduti e il bestiame è morto su una scala enorme. 1,5 milioni di siriani, in una popolazione di poco più di 20 milioni, si sono trasferiti dalle campagne ai sobborghi delle città già traboccanti.”

Fig 2: Tornado di sabbia in Siria nel settembre 2014

In questo articolo analizziamo in quale misura il picco del petrolio abbia contribuito alla degenerazione fiscale che ha costretto il governo siriano ad introdurre politiche impopolari (aumento delle tasse, rimozione dei sussidi per i carburanti, aumento del costo del cemento, ecc.) che hanno contribuito ai disordini.

Produzione, esportazioni e consumo di petrolio


Fig 3: Produzione, esportazioni e consumo petrolifero della Siria

Vediamo diversi punti di non ritorno

  • 1996: picco della produzione
  • 2001: le esportazioni di petrolio greggio cominciano a diminuite in modo netto, anche se ammortizzate dall’aumento dei prezzi del petrolio
  • 2006: le importazioni di petrolio cominciano ad aumentare ad un tasso più alto
  • 2008: l’aumento del consumo di petrolio raggiunge il livello del declino della produzione di petrolio
  • 2011 la Primavera Araba raggiunge la Siria in marzo
  • 2011 le aziende internazionali petrolifere sospendo le operazioni
  • embargo petrolifero 
  • 2012: la produzione di petrolio crolla precipitosamente man mano che il governo perde il controllo sui giacimenti petroliferi orientali.
  • 2014: la produzione petrolifera è completamente collassata

Fig 4: Mappa dei giacimenti di petrolio e gas e controllo del ISIS nel luglio 2015
Riserve petrolifere
Fig 5: Riserve petrolifere rimaste della Siria da diverse fonti


Fig 6: Scoperte cumulative siriane, produzione reale e riserve rimaste. Dal sito di Jean Laherrere
Quindi la produzione cumulativa più le rimanenti riserve 2P (provate e probabili) sono di 7,5 Gb. La previsione di produzione di Jean Laherrere sulla base di 8 Gb di recupero finale è descritta nel seguente grafico:
Fig 7: Profilo produttivo dellla Siria del 2009 di Jean Laherrere
Naturalmente la figura 7 ora è molto teorica. Nessuno può prevedere il futuro in Siria
I rapporti del FMI
Questo articolo usa principalmente dati del FMI. L’ultimo rapporto della squadra di consultazione del FMI del 2009 Articolo IV è stato pubblicato nel marzo 2010. Da allora non è stata fatta nessuna valutazione dal FMI a causa della situazione politica e della sicurezza. In conseguenza di un ritardo di due anni nella preparazione dei conti nazionali, della mancanza di dati ed altre discrepanze, molti calcoli sono stime o proiezioni. Il primo rapporto del FMI disponibile su internet è dell’ottobre del 2005, con dati che risalgono al 2000.
Entrate

Le entrate del governo erano il 21% del PIL nel 2010. Il grafico seguente mostra le entrate petrolifere rispetto alle altre entrate e alle spese totali.
Fig 8: Entrate del governo siriano per fonte
Le entrate legate al petrolio sono in declino o stagnanti dal 2001. La loro quota del totale delle entrate sono scese dal 45% nel 2000 al 25% nel 2010. Nonostante questo, le entrate totali sono cresciute in media del 9,4% all’anno. Ciò è stato ottenuto aumentando le tasse sui redditi ed altre tasse indirette, certamente non politiche popolari. I trasferimenti dalle imprese pubbliche (IP) hanno a loro volta contribuito alla crescita delle entrate. Queste IP dominano i settori energetico e finanziario, giocano un ruolo privilegiato nelle filiere di fornitura come quella del cotone e dei cereali ed hanno il monopolio di tutte le società di servizi, della raffinazione di petrolio e zucchero, della produzione di cemento, fertilizzanti ed acqua minerale. Tuttavia, il surplus delle IP non è al netto della spesa di capitale che si presenta sotto la grande voce “spese di sviluppo” (Fig. 10). Gran parte delle IP stanno facendo perdite eccetto quelle nel settore delle telecomunicazioni. Tuttavia, le spese sono cresciute più rapidamente, del 10,8%. Questa differenza ha comportato un deficit di bilancio del 17% delle spese nel 2010. 
Fig 9: Composizione delle entrate da petrolio
Il contributo maggiore sono le entrate fiscali della Syria Petroleum Company.
Spese
Le spese governativi sono state il 25,9% del PIL nel 2010.
Fig 10: Spese governative della Siria
Le spese sono cresciute in media del 10,8% all’anno, i salari del 16% all’anno.
Fig 11: Nel 2007, le spese per la difesa hanno consumato tutte le entrate petrolifere relative. 
Bilancio petrolifero
Il bilancio petrolifero è definito come: esportazioni di petrolio – (meno) importazioni di petrolio – (meno) rientro dei profitti delle società petrolifere. 
Fig 12: Bilancio petrolifero della Siria
Il grafico mostra che il valore delle esportazioni nette di petrolio dopo il 2007 era praticamente zero. A causa dei trasferimenti dei profitti delle aziende petrolifere internazionali, il punto zero di tutto il bilancio petrolifero è stato superato un anno prima, nel 2006, dopo di che è stato negativo fra 1 e 1,5 miliardi di dollari all’anno. 
Bilancia dei pagamenti
Fig 13: Bilancia dei pagamenti e del petrolio
Nel grafico sopra, cominciamo con la bilancia del petrolio calcolata nella Fig. 12 (linea blue) ed aggiungiamo la bilancia delle esportazioni (positiva) da servizi, redditi e trasferimenti. La bilancia commerciale dei beni è negativa e deve essere dedotta (area chiusa) per arrivare all’attuale bilancia dei pagamenti (linea rossa). Vediamo che la forma la forma declinante del bilancio petrolifero comporta una curva analoga di bilancia dei pagamenti. 
Inflazione
Fig 14: Media CPI della Siria
L’inflazione si è in gran parte spostata coi prezzi del petrolio fino al 2008. L’inflazione cumulativa nel periodo 2000-2010 è stata del 54%. 
Popolazione
Fig 15: Sviluppo della popolazione della Siria (struttura dell’età sullo sfondo)
La produzione petrolifera pro capite ha raggiunto il picco nel 1993 a 15,2 barili ed è scesa alla metà nel 2007. 
Sussidi ai combustibili
Il FMI ha elogiato la riduzione dei sussidi ai combustibili in quanto riforma, ma questa non è stata certo popolare. 
Fig 16 : Aumento dei prezzi dei combustibili 2008-09
Nel 2008, i prezzi dei combustibili sono stati alzati, diciamo intorno al 7% del PIL. Per compensare questi prezzi più alti, gli stipendi pubblici sono stati aumentati e sono stati introdotti i coupon che hanno permesso a ciascuna famiglia di comprare 1.000 litri di gasoli ad un prezzo più basso. Ciò è costato il 4,5% del PIL. Nel 2009, i coupon del gasolio sono stati sostituiti da trasferimenti di contante mirati sulla base di reddito, proprietà di beni e bollette.
Fig 17 : Sussidi energetici come percentuale del PIL
La riforma dei sussidi ai carburanti del 2009 ha significato che la popolazione ha dovuto risparmiare l’8% del PIL.
Riassunto
Ci sono molte ragioni per la disintegrazione della Siria e per il tragico esodo dei rifugiati. Questo articolo ha mostrato in che modo la produzione petrolifera in declino della Siria e l’aumento del consumo di petrolio abbiano alterato negativamente sul bilancio, portato all’aumento delle tasse e alla riduzione dei sussidi. Questi fattori hanno contribuito all’insoddisfazione della popolazione che ha innescato la Primavera Araba in Siria. 
E’ assolutamente necessario che il mondo si svegli rispetto al problema del picco della produzione di petrolio in aree geo-strategicamente importanti, altrimenti ci saranno altre sorprese. Se i paesi con un consumo di petrolio pro capite potessero finalmente imbarcarsi in una transizione per allontanarsi dal petrolio, ciò ridurrebbe i conflitti e le guerre future. 
Ma non contate sull’Australia, dove i governi statale e federale si sono imbarcati in un nuovo, enorme programma di espansione di tunnel stradali, strade a pagamento ed aeroporti. L’attuale Primo Ministro Abbott pensa che il picco del petrolio non abbia alcuna importanza nel determinare le politiche.

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La vera causa dell’esodo di massa: il picco del petrolio

Da “crudeoilpeak.info”. Traduzione di MR

Di Matt Mushailik

Mentre l’attenzione del mondo si volge alla crisi dei rifugiati, dobbiamo guardare alle cause di questo esodo di massa. 


Fig 1: Rifugiati che camminano lungo l’autostrada ungherese verso l’Austria nel settembre 2015

Nel maggio del 2013, il Guardian aveva un articolo dal titolo “Picco del petrolio, cambiamento climatico e geopolitica degli oleodotti alimentano il conflitto siriano”. Nel marzo del 2015, un gruppo di ricercatori guidato dal climatologo Colin Kelley (Università della California) ha pubblicato uno studio sugli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze dal titolo “Cambiamento climatico nella Mezza Luna Fertile ed implicazioni della recente siccità in Siria”. Fra il 2006 ed il 2009, il popolo siriano ha sofferto la più grave siccità che il paese abbia mai vissuto dall’inizio delle registrazioni strumentali. “Man mano che l’acqua diveniva scarsa, i raccolti sono andati perduti e il bestiame è morto su una scala enorme. 1,5 milioni di siriani, in una popolazione di poco più di 20 milioni, si sono trasferiti dalle campagne ai sobborghi delle città già traboccanti.”

Fig 2: Tornado di sabbia in Siria nel settembre 2014

In questo articolo analizziamo in quale misura il picco del petrolio abbia contribuito alla degenerazione fiscale che ha costretto il governo siriano ad introdurre politiche impopolari (aumento delle tasse, rimozione dei sussidi per i carburanti, aumento del costo del cemento, ecc.) che hanno contribuito ai disordini.

Produzione, esportazioni e consumo di petrolio


Fig 3: Produzione, esportazioni e consumo petrolifero della Siria

Vediamo diversi punti di non ritorno

  • 1996: picco della produzione
  • 2001: le esportazioni di petrolio greggio cominciano a diminuite in modo netto, anche se ammortizzate dall’aumento dei prezzi del petrolio
  • 2006: le importazioni di petrolio cominciano ad aumentare ad un tasso più alto
  • 2008: l’aumento del consumo di petrolio raggiunge il livello del declino della produzione di petrolio
  • 2011 la Primavera Araba raggiunge la Siria in marzo
  • 2011 le aziende internazionali petrolifere sospendo le operazioni
  • embargo petrolifero 
  • 2012: la produzione di petrolio crolla precipitosamente man mano che il governo perde il controllo sui giacimenti petroliferi orientali.
  • 2014: la produzione petrolifera è completamente collassata

Fig 4: Mappa dei giacimenti di petrolio e gas e controllo del ISIS nel luglio 2015
Riserve petrolifere
Fig 5: Riserve petrolifere rimaste della Siria da diverse fonti


Fig 6: Scoperte cumulative siriane, produzione reale e riserve rimaste. Dal sito di Jean Laherrere
Quindi la produzione cumulativa più le rimanenti riserve 2P (provate e probabili) sono di 7,5 Gb. La previsione di produzione di Jean Laherrere sulla base di 8 Gb di recupero finale è descritta nel seguente grafico:
Fig 7: Profilo produttivo dellla Siria del 2009 di Jean Laherrere
Naturalmente la figura 7 ora è molto teorica. Nessuno può prevedere il futuro in Siria
I rapporti del FMI
Questo articolo usa principalmente dati del FMI. L’ultimo rapporto della squadra di consultazione del FMI del 2009 Articolo IV è stato pubblicato nel marzo 2010. Da allora non è stata fatta nessuna valutazione dal FMI a causa della situazione politica e della sicurezza. In conseguenza di un ritardo di due anni nella preparazione dei conti nazionali, della mancanza di dati ed altre discrepanze, molti calcoli sono stime o proiezioni. Il primo rapporto del FMI disponibile su internet è dell’ottobre del 2005, con dati che risalgono al 2000.
Entrate

Le entrate del governo erano il 21% del PIL nel 2010. Il grafico seguente mostra le entrate petrolifere rispetto alle altre entrate e alle spese totali.
Fig 8: Entrate del governo siriano per fonte
Le entrate legate al petrolio sono in declino o stagnanti dal 2001. La loro quota del totale delle entrate sono scese dal 45% nel 2000 al 25% nel 2010. Nonostante questo, le entrate totali sono cresciute in media del 9,4% all’anno. Ciò è stato ottenuto aumentando le tasse sui redditi ed altre tasse indirette, certamente non politiche popolari. I trasferimenti dalle imprese pubbliche (IP) hanno a loro volta contribuito alla crescita delle entrate. Queste IP dominano i settori energetico e finanziario, giocano un ruolo privilegiato nelle filiere di fornitura come quella del cotone e dei cereali ed hanno il monopolio di tutte le società di servizi, della raffinazione di petrolio e zucchero, della produzione di cemento, fertilizzanti ed acqua minerale. Tuttavia, il surplus delle IP non è al netto della spesa di capitale che si presenta sotto la grande voce “spese di sviluppo” (Fig. 10). Gran parte delle IP stanno facendo perdite eccetto quelle nel settore delle telecomunicazioni. Tuttavia, le spese sono cresciute più rapidamente, del 10,8%. Questa differenza ha comportato un deficit di bilancio del 17% delle spese nel 2010. 
Fig 9: Composizione delle entrate da petrolio
Il contributo maggiore sono le entrate fiscali della Syria Petroleum Company.
Spese
Le spese governativi sono state il 25,9% del PIL nel 2010.
Fig 10: Spese governative della Siria
Le spese sono cresciute in media del 10,8% all’anno, i salari del 16% all’anno.
Fig 11: Nel 2007, le spese per la difesa hanno consumato tutte le entrate petrolifere relative. 
Bilancio petrolifero
Il bilancio petrolifero è definito come: esportazioni di petrolio – (meno) importazioni di petrolio – (meno) rientro dei profitti delle società petrolifere. 
Fig 12: Bilancio petrolifero della Siria
Il grafico mostra che il valore delle esportazioni nette di petrolio dopo il 2007 era praticamente zero. A causa dei trasferimenti dei profitti delle aziende petrolifere internazionali, il punto zero di tutto il bilancio petrolifero è stato superato un anno prima, nel 2006, dopo di che è stato negativo fra 1 e 1,5 miliardi di dollari all’anno. 
Bilancia dei pagamenti
Fig 13: Bilancia dei pagamenti e del petrolio
Nel grafico sopra, cominciamo con la bilancia del petrolio calcolata nella Fig. 12 (linea blue) ed aggiungiamo la bilancia delle esportazioni (positiva) da servizi, redditi e trasferimenti. La bilancia commerciale dei beni è negativa e deve essere dedotta (area chiusa) per arrivare all’attuale bilancia dei pagamenti (linea rossa). Vediamo che la forma la forma declinante del bilancio petrolifero comporta una curva analoga di bilancia dei pagamenti. 
Inflazione
Fig 14: Media CPI della Siria
L’inflazione si è in gran parte spostata coi prezzi del petrolio fino al 2008. L’inflazione cumulativa nel periodo 2000-2010 è stata del 54%. 
Popolazione
Fig 15: Sviluppo della popolazione della Siria (struttura dell’età sullo sfondo)
La produzione petrolifera pro capite ha raggiunto il picco nel 1993 a 15,2 barili ed è scesa alla metà nel 2007. 
Sussidi ai combustibili
Il FMI ha elogiato la riduzione dei sussidi ai combustibili in quanto riforma, ma questa non è stata certo popolare. 
Fig 16 : Aumento dei prezzi dei combustibili 2008-09
Nel 2008, i prezzi dei combustibili sono stati alzati, diciamo intorno al 7% del PIL. Per compensare questi prezzi più alti, gli stipendi pubblici sono stati aumentati e sono stati introdotti i coupon che hanno permesso a ciascuna famiglia di comprare 1.000 litri di gasoli ad un prezzo più basso. Ciò è costato il 4,5% del PIL. Nel 2009, i coupon del gasolio sono stati sostituiti da trasferimenti di contante mirati sulla base di reddito, proprietà di beni e bollette.
Fig 17 : Sussidi energetici come percentuale del PIL
La riforma dei sussidi ai carburanti del 2009 ha significato che la popolazione ha dovuto risparmiare l’8% del PIL.
Riassunto
Ci sono molte ragioni per la disintegrazione della Siria e per il tragico esodo dei rifugiati. Questo articolo ha mostrato in che modo la produzione petrolifera in declino della Siria e l’aumento del consumo di petrolio abbiano alterato negativamente sul bilancio, portato all’aumento delle tasse e alla riduzione dei sussidi. Questi fattori hanno contribuito all’insoddisfazione della popolazione che ha innescato la Primavera Araba in Siria. 
E’ assolutamente necessario che il mondo si svegli rispetto al problema del picco della produzione di petrolio in aree geo-strategicamente importanti, altrimenti ci saranno altre sorprese. Se i paesi con un consumo di petrolio pro capite potessero finalmente imbarcarsi in una transizione per allontanarsi dal petrolio, ciò ridurrebbe i conflitti e le guerre future. 
Ma non contate sull’Australia, dove i governi statale e federale si sono imbarcati in un nuovo, enorme programma di espansione di tunnel stradali, strade a pagamento ed aeroporti. L’attuale Primo Ministro Abbott pensa che il picco del petrolio non abbia alcuna importanza nel determinare le politiche.

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Tecnologia, energia, popolazione, capacità di carico e la sesta grande estinzione…

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR

Steven A. LeBlanc, un archeologo del Museo Peabody di Harvard, ha scritto un libro significativo: Battaglie continue: perché combattiamo (2004). Come un altro archeologo controverso, Lawrence H. Keeley, di cui ho parlato in note precedenti, LeBlanc si arrovella per fare un po’ di chiarezza sul mito persistente dello stile di vita pacifico dei cacciatori-raccoglitori in equilibrio ecologico col proprio ambiente. Per quanto possiamo dire sulla base dei ritrovamenti archeologici, scrive LeBlanc, le società umane hanno superato le loro risorse di base, denudato la terra, fatto estinguere altre specie con le quali condividevano il territorio, poi si sono spostate per fare la stessa cosa altrove. LeBlanc mostra che lo squilibrio ecologico è sempre stato la causa principale di lotte e guerre. “Il solo filo conduttore che ho trovato in tutta questa guerra… era che era correlata a persone che superano la capacità di carico della loro area. Lo squilibrio ecologico, credo, è la causa fondamentale della guerra”.


Questo ha molto senso per me. Il risultato di gran parte della guerra, che sia condotta contro altre società umane o contro le foreste e suoi abitanti, è che il vincitore rivendica la capacità di carico che fino a poco tempo prima veniva usata da coloro che sono stati sconfitti. Come hanno sottolineato altri come Steven Pinker, l’incidenza della guerra è declinata enormemente durante il XX secolo (a parte un paio di sfortunati intervalli). Pinker è impaziente di proporre una ragione idealistica per questo, indicando la presunta nascita di una “natura migliore” nell’animale umano. La realtà, sospetto, è molto più prosaica e materialistica – in linea con il suggerimento di prima di LeBlanc. Data la turbolenza che si sta accumulando nel mondo oggi, è anche molto più preoccupante. La mia proposta può essere espressa con una frase:

Un fattore chiave nel recente declino della guerra è che abbiamo alla fine sviluppato sufficiente organizzazione sociale, tecnologia ed energia da permetterci di rubare capacità di carico precedentemente usate dalla vita di piante ed animali e reindirizzarla ad uso umano.

Come in ogni guerra, il bottino va al vincitore. Condurre l’equivalente di una guerra a basso prezzo contro piante ed animali ci ha dato ritorni enormi sotto forma di capacità di carico conquistata (che le persone tendono a difendere fino alla morte, perché non farlo significa morte certa…) L’agricoltura e la relativa deforestazione sono le strategie principali che abbiamo usato in questa guerra alle specie non umane. Usando truppe meccanizzate armate di aratri, trattori, mietitrebbie e motoseghe così come di armi chimiche come pesticidi, defoglianti e fertilizzanti a base di ammoniaca, abbiamo vinto facilmente questa guerra contro il nostro avversario disarmato. Il bottino delle vittoria ha compreso campi sterminati di grano, grandi ranch di bovini, allevamenti di maiali e piantagioni di palma da olio. Il reindirizzamento di questa capacità di carico liberata è ciò che ha permesso alla nostra popolazione di triplicare dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Durante i 70 anni dalla fine della SGM, l’umanità ha perso in media un centesimo del 1% (0,01%) della propria popolazione per la guerra ogni anno, senza includere i genocidi interni e le carestie. E’ meno di un decimo del tasso di morte collegato alla guerra dei precedenti 150 anni (0,11%). Questi numeri sono basati sulle stime per eccesso del conto delle morti di guerra negli ultimi 2000 anni, come riportato su Wikipedia. Le stime date da Keeley dei tassi di morte causati dalla guerra prima del 1900 si aggirano intorno alle 100 volte più alti di quanto abbiamo vissuto dalla fine della SGM.

Se la mia proposta è corretta, in nostri giorni di pace potrebbero essere contati. La capacità del pianeta di fornire capacità di carico è stata ridotta grazie al cambiamento climatico e all’inquinamento. La quantità di energia che abbiamo a nostra disposizione per facilitare il ladrocinio di capacità di carico in corso da altre specie potrebbe essere sul punto di declinare. La nostra organizzazione sociale sta cominciando a logorarsi. E per tutto il tempo i nostri numeri sono saliti di 80 milioni all’anno. La capacità di carico che abbiamo a disposizione presto potrebbe non essere sufficiente per noi e sarà costretta a tornare all’interno dell’onorata tradizione di rubarla da altre persone. Durante la nostra grande fase di crescita durante gli ultimi uno o due secoli, la capacità di carico da cui potevamo attingere era apparentemente in aumento, per cui la guerra si è placata. L’implicazione ovvia è che mentre iniziamo la nostra discesa, avverrà il contrario. Diventeremo molto impazienti di rubare capacità di carico da qualsiasi posto possiamo trovare. Ciò risulterà nella ulteriore e più completa estinzione di vita selvaggia così come in un drammatico aumento a lungo termine del livello di guerra.

I nostri grandi cervelli ci hanno dato doni straordinari. Uno è la capacità di risoluzione dei problemi che ci permette di continuare a crescere, mentre forse dovremmo prenderci una pausa. L’altro è la nostra incredibile adattabilità sociale. Possiamo essere competitivi o cooperativi, egoisti o altruistici a seconda di quello che sembra richiedere la situazione e possiamo passare dall’uno all’altro ad un soffio di vento. Questo passaggio sembra collegato alle nostre percezioni di surplus o carenza. In una situazione di surplus percepito, sia gli individui sia le nazioni tendono ad essere cooperativi, altruistici e pacifici. Quando la percezione di carenza solleva la testa, le persone si ritraggono, divenendo più competitive, egoiste e combattive. Questo punto di vista spiega molto bene il livello relativamente basso di guerra dalla fine della SGM, in quanto l’umanità è entrata nel periodo di surplus percepito più grande della sua storia. Tuttavia, sempre più persone ora stanno diventando consapevoli a livello subliminale che ci troviamo vicini ai limiti e ciò risulta nel fatto che più persone mostrano un atteggiamento di egoismo, isolazionismo e xenofobia. Tali atteggiamenti personali colorano anche il tono culturale quando vengono mostrate dai capi dell’opinione pubblica. Quando tali capi accedono alle leve del potere nazionale, la guerra è il risultato invariabile.

Per richiamare un’ultima volta il concetto di agricoltura come guerra, abbiamo seminato il vento e stiamo per raccogliere tempesta.

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Tecnologia, energia, popolazione, capacità di carico e la sesta grande estinzione…

Dalla pagina FB di Bodhi Paul Chefurka. Traduzione di MR

Steven A. LeBlanc, un archeologo del Museo Peabody di Harvard, ha scritto un libro significativo: Battaglie continue: perché combattiamo (2004). Come un altro archeologo controverso, Lawrence H. Keeley, di cui ho parlato in note precedenti, LeBlanc si arrovella per fare un po’ di chiarezza sul mito persistente dello stile di vita pacifico dei cacciatori-raccoglitori in equilibrio ecologico col proprio ambiente. Per quanto possiamo dire sulla base dei ritrovamenti archeologici, scrive LeBlanc, le società umane hanno superato le loro risorse di base, denudato la terra, fatto estinguere altre specie con le quali condividevano il territorio, poi si sono spostate per fare la stessa cosa altrove. LeBlanc mostra che lo squilibrio ecologico è sempre stato la causa principale di lotte e guerre. “Il solo filo conduttore che ho trovato in tutta questa guerra… era che era correlata a persone che superano la capacità di carico della loro area. Lo squilibrio ecologico, credo, è la causa fondamentale della guerra”.


Questo ha molto senso per me. Il risultato di gran parte della guerra, che sia condotta contro altre società umane o contro le foreste e suoi abitanti, è che il vincitore rivendica la capacità di carico che fino a poco tempo prima veniva usata da coloro che sono stati sconfitti. Come hanno sottolineato altri come Steven Pinker, l’incidenza della guerra è declinata enormemente durante il XX secolo (a parte un paio di sfortunati intervalli). Pinker è impaziente di proporre una ragione idealistica per questo, indicando la presunta nascita di una “natura migliore” nell’animale umano. La realtà, sospetto, è molto più prosaica e materialistica – in linea con il suggerimento di prima di LeBlanc. Data la turbolenza che si sta accumulando nel mondo oggi, è anche molto più preoccupante. La mia proposta può essere espressa con una frase:

Un fattore chiave nel recente declino della guerra è che abbiamo alla fine sviluppato sufficiente organizzazione sociale, tecnologia ed energia da permetterci di rubare capacità di carico precedentemente usate dalla vita di piante ed animali e reindirizzarla ad uso umano.

Come in ogni guerra, il bottino va al vincitore. Condurre l’equivalente di una guerra a basso prezzo contro piante ed animali ci ha dato ritorni enormi sotto forma di capacità di carico conquistata (che le persone tendono a difendere fino alla morte, perché non farlo significa morte certa…) L’agricoltura e la relativa deforestazione sono le strategie principali che abbiamo usato in questa guerra alle specie non umane. Usando truppe meccanizzate armate di aratri, trattori, mietitrebbie e motoseghe così come di armi chimiche come pesticidi, defoglianti e fertilizzanti a base di ammoniaca, abbiamo vinto facilmente questa guerra contro il nostro avversario disarmato. Il bottino delle vittoria ha compreso campi sterminati di grano, grandi ranch di bovini, allevamenti di maiali e piantagioni di palma da olio. Il reindirizzamento di questa capacità di carico liberata è ciò che ha permesso alla nostra popolazione di triplicare dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Durante i 70 anni dalla fine della SGM, l’umanità ha perso in media un centesimo del 1% (0,01%) della propria popolazione per la guerra ogni anno, senza includere i genocidi interni e le carestie. E’ meno di un decimo del tasso di morte collegato alla guerra dei precedenti 150 anni (0,11%). Questi numeri sono basati sulle stime per eccesso del conto delle morti di guerra negli ultimi 2000 anni, come riportato su Wikipedia. Le stime date da Keeley dei tassi di morte causati dalla guerra prima del 1900 si aggirano intorno alle 100 volte più alti di quanto abbiamo vissuto dalla fine della SGM.

Se la mia proposta è corretta, in nostri giorni di pace potrebbero essere contati. La capacità del pianeta di fornire capacità di carico è stata ridotta grazie al cambiamento climatico e all’inquinamento. La quantità di energia che abbiamo a nostra disposizione per facilitare il ladrocinio di capacità di carico in corso da altre specie potrebbe essere sul punto di declinare. La nostra organizzazione sociale sta cominciando a logorarsi. E per tutto il tempo i nostri numeri sono saliti di 80 milioni all’anno. La capacità di carico che abbiamo a disposizione presto potrebbe non essere sufficiente per noi e sarà costretta a tornare all’interno dell’onorata tradizione di rubarla da altre persone. Durante la nostra grande fase di crescita durante gli ultimi uno o due secoli, la capacità di carico da cui potevamo attingere era apparentemente in aumento, per cui la guerra si è placata. L’implicazione ovvia è che mentre iniziamo la nostra discesa, avverrà il contrario. Diventeremo molto impazienti di rubare capacità di carico da qualsiasi posto possiamo trovare. Ciò risulterà nella ulteriore e più completa estinzione di vita selvaggia così come in un drammatico aumento a lungo termine del livello di guerra.

I nostri grandi cervelli ci hanno dato doni straordinari. Uno è la capacità di risoluzione dei problemi che ci permette di continuare a crescere, mentre forse dovremmo prenderci una pausa. L’altro è la nostra incredibile adattabilità sociale. Possiamo essere competitivi o cooperativi, egoisti o altruistici a seconda di quello che sembra richiedere la situazione e possiamo passare dall’uno all’altro ad un soffio di vento. Questo passaggio sembra collegato alle nostre percezioni di surplus o carenza. In una situazione di surplus percepito, sia gli individui sia le nazioni tendono ad essere cooperativi, altruistici e pacifici. Quando la percezione di carenza solleva la testa, le persone si ritraggono, divenendo più competitive, egoiste e combattive. Questo punto di vista spiega molto bene il livello relativamente basso di guerra dalla fine della SGM, in quanto l’umanità è entrata nel periodo di surplus percepito più grande della sua storia. Tuttavia, sempre più persone ora stanno diventando consapevoli a livello subliminale che ci troviamo vicini ai limiti e ciò risulta nel fatto che più persone mostrano un atteggiamento di egoismo, isolazionismo e xenofobia. Tali atteggiamenti personali colorano anche il tono culturale quando vengono mostrate dai capi dell’opinione pubblica. Quando tali capi accedono alle leve del potere nazionale, la guerra è il risultato invariabile.

Per richiamare un’ultima volta il concetto di agricoltura come guerra, abbiamo seminato il vento e stiamo per raccogliere tempesta.

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Riscaldamento globale: quant’è esattamente il calore generato dall’attività umana?

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Spesso è difficile visualizzare quello che stiamo facendo al nostro pianeta. Ma un semplice calcolo mostra che l’effetto serra generato dai combustibili fossili può essere visto come l’equivalente di accendere più di un centinaio di stufette elettriche da 1kW per ogni essere umano sulla Terra. E non le possiamo spegnere!



Di Ugo Bardi

Se guardate il modo in cui i climatologi descrivono il riscaldamento globale vedrete che usano molto il termine “forzante”. Cioè, l’effetto aggiuntivo delle attività umane al naturale riscaldamento da parte della luce solare. Non tutte le forzanti aumentano le temperature, alcune tendono a ridurle; per esempio, il particolato atmosferico. Il risultato complessivo viene chiamato “disequilibrio” o “forzante netta”.

Potete pensare ad una forzante in termini di qualcuno che cerca di spostare una persona che non vuole muoversi. Se la persona che spinge è più forte, la forza netta risultante causerà che la persona viene spinta a muoversi. Nel caso del clima, le forzanti di riscaldamento sono più forti di quelle di raffreddamento e il risultato netto è un aumento della temperatura. Man mano che continuiamo ad emettere CO2 ed altri gas serra nell’atmosfera, la forzante serra aumenta, come vedete nella figura sotto (Hansen 2011).

In questa figura, le forzanti sono misurate in termini di W/m2 (watt al metro quadro), come viene fatto generalmente nella scienza del clima. Sfortunatamente, si tratta di un tipo di unità che non trasmette la sensazione della dimensione di ciò che stiamo facendo al pianeta. Pochi watt per metro quadrato equivalgono più o meno ad una singola lampadina da albero di Natale e questo non sembra preoccupante. Ma, se si tiene conto dell’effetto su tutto il pianeta (510 milioni di km2), allora la forzante complessiva è gigantesca. Dalla figura di Hansen si può calcolare qualcosa come 1500 TW (terawatt, o trilioni di watt) di forzante dei gas serra e circa 500 TW di forzante netta. Questi numeri variano a seconda di quali fattori vengono considerati. Per esempio Zhang e Caldeira (2015) considerano l’effetto del CO2, da solo, e calcolano un forzante di 1,57 W/m2, cioè circa 800 TW. (Per ulteriori dati, vedete anche Steve Easterbrook e Dana Nuccitelli et al.).

In ogni caso, stiamo parlando di numeri enormi, almeno di centinaia di TW. Come paragone, pensate che l’energia primaria generata dalla combustione di combustibili fossili è di circa “soli” 15 TW e praticamente alla fine viene tutta trasformata in calore. Quindi il riscaldamento serra indiretto è di 1-2 ordini di grandezza maggiore. Potremmo anche confrontarlo con l’irradiazione solare totale che arriva alla superficie della Terra, circa 90.000 TW (Szargut 2003). L’effetto del sole è molto maggiore della forzante umana, ma non tanto più grande da considerare trascurabile la seconda. Così, non sorprende che le attività umane stiano causando un riscaldamento rilevabile su tutto il pianeta.

Notate anche che abbiamo parlato solo dell’effetto della forzante attuale. Ma mentre il calore proveniente dai combustibili fossili viene rapidamente dissipato, il CO2 rimane nell’atmosfera per lungo tempo, una parte rimarrà per decine di migliaia di anni ed oltre (Archer 2005). E questo CO2 continuerà a scaldare la Terra per un effetto totale che Zhang e Caldeira (2015) stima essere circa 100.000 volte più grande dell’effetto termico diretto della combustione che l’ha creato.

A questo punto possiamo provare a visualizzare questi valori confrontandoli a qualcosa di familiare. Come ordine di grandezza, prendiamo il numero calcolato dall’articolo di Zhang e Caldeira, cioè una forzante di 800 TW risultato del solo CO2. Ciò corrisponderebbe a 800 miliardi di stufette elettriche da 1 kW l’una, accese tutte insieme.

Considerando che ci sono più di sette miliardi di persone sulla terra, potremmo pensare che la forzante del CO2, da sola, equivalga all’accensione da parte di ognuno di noi di cento stufette elettriche da 1kW l’una. La forzante netta – il calore reale che viene aggiunto all’atmosfera – è più piccola, ma il quadro generale non cambia: possiamo visualizzarla come corrispondente a 250-400 miliardi di di stufette, circa 50 per persona. E, se vogliamo rendere il numero delle stufette proporzionale al consumo di energia, alle persone che vivono nel ricco occidente dovrebbero corrisponderne molte di più. Immaginate ogni casa del vostro quartiere con centinaia di stufette elettriche accatastate in giardino, tutte accese al massimo, ed avrete un’idea di quello che stiamo facendo al nostro pianeta.

Così, abbiamo alzato il termostato ed ora scopriamo di non poterlo più abbassare e nemmeno di poter spegnere il riscaldamento. (perlomeno non facilmente come si possa spegnere una stufetta elettrica). Il meglio che possiamo fare, per il momento, è evitare di aggiungere troppe stufette a quelle che sono già accese. Anche questo sembra essere estremamente difficile, ma possiamo almeno provarci.



h/t Steve Easterbrook, Dana Nuccitelli, John Cook, Ben, Michael Tobis, John Abraham e altri. Notate anche che ci sono altri tentativi di visualizzare la quantità totale di calore generato dalla forzante umana, per esempio, in termini di “quattro bombe di Hiroshima fatte scoppiare ogni secondo.” Spettacolare, ma probabilmente meno intuitivo delle stufette elettriche. 



Riferimenti

Archer, David (2005) Il destino del CO2 dei combustibili fossili in tempo geologico Journal of Geophysical Researc  vol. 110 (C9) p. C09S05

Hansen, J., M. Sato, P. Kharecha e K. Von Schuckmann, 2011: Disequilibrio energetico della Terra ed implicazioni. Atmos. Chem. Phys., 11, 13421-13449, doi:10.5194/acp-11-13421-2011.

Szargut, Jan T. 2003. “perdite exergetiche antropogeniche e naturali (exergia Equilibrio della superficie e dell’atmosfera della Terra”). Energy 28 (11): 1047–54. doi:10.1016/S0360-5442(03)00089-6.

Zhang, Xiaochun,  Caldeira, Ken, (2015) Scale temporali e rapporti della forzante climatica dovuta al fattore termico contrapposto alle emissioni di biossido di carbonio da combustibili fossili, Geophys. Res. Lett, 42, 11, 1944-8007

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Riscaldamento globale: quant’è esattamente il calore generato dall’attività umana?

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Spesso è difficile visualizzare quello che stiamo facendo al nostro pianeta. Ma un semplice calcolo mostra che l’effetto serra generato dai combustibili fossili può essere visto come l’equivalente di accendere più di un centinaio di stufette elettriche da 1kW per ogni essere umano sulla Terra. E non le possiamo spegnere!



Di Ugo Bardi

Se guardate il modo in cui i climatologi descrivono il riscaldamento globale vedrete che usano molto il termine “forzante”. Cioè, l’effetto aggiuntivo delle attività umane al naturale riscaldamento da parte della luce solare. Non tutte le forzanti aumentano le temperature, alcune tendono a ridurle; per esempio, il particolato atmosferico. Il risultato complessivo viene chiamato “disequilibrio” o “forzante netta”.

Potete pensare ad una forzante in termini di qualcuno che cerca di spostare una persona che non vuole muoversi. Se la persona che spinge è più forte, la forza netta risultante causerà che la persona viene spinta a muoversi. Nel caso del clima, le forzanti di riscaldamento sono più forti di quelle di raffreddamento e il risultato netto è un aumento della temperatura. Man mano che continuiamo ad emettere CO2 ed altri gas serra nell’atmosfera, la forzante serra aumenta, come vedete nella figura sotto (Hansen 2011).

In questa figura, le forzanti sono misurate in termini di W/m2 (watt al metro quadro), come viene fatto generalmente nella scienza del clima. Sfortunatamente, si tratta di un tipo di unità che non trasmette la sensazione della dimensione di ciò che stiamo facendo al pianeta. Pochi watt per metro quadrato equivalgono più o meno ad una singola lampadina da albero di Natale e questo non sembra preoccupante. Ma, se si tiene conto dell’effetto su tutto il pianeta (510 milioni di km2), allora la forzante complessiva è gigantesca. Dalla figura di Hansen si può calcolare qualcosa come 1500 TW (terawatt, o trilioni di watt) di forzante dei gas serra e circa 500 TW di forzante netta. Questi numeri variano a seconda di quali fattori vengono considerati. Per esempio Zhang e Caldeira (2015) considerano l’effetto del CO2, da solo, e calcolano un forzante di 1,57 W/m2, cioè circa 800 TW. (Per ulteriori dati, vedete anche Steve Easterbrook e Dana Nuccitelli et al.).

In ogni caso, stiamo parlando di numeri enormi, almeno di centinaia di TW. Come paragone, pensate che l’energia primaria generata dalla combustione di combustibili fossili è di circa “soli” 15 TW e praticamente alla fine viene tutta trasformata in calore. Quindi il riscaldamento serra indiretto è di 1-2 ordini di grandezza maggiore. Potremmo anche confrontarlo con l’irradiazione solare totale che arriva alla superficie della Terra, circa 90.000 TW (Szargut 2003). L’effetto del sole è molto maggiore della forzante umana, ma non tanto più grande da considerare trascurabile la seconda. Così, non sorprende che le attività umane stiano causando un riscaldamento rilevabile su tutto il pianeta.

Notate anche che abbiamo parlato solo dell’effetto della forzante attuale. Ma mentre il calore proveniente dai combustibili fossili viene rapidamente dissipato, il CO2 rimane nell’atmosfera per lungo tempo, una parte rimarrà per decine di migliaia di anni ed oltre (Archer 2005). E questo CO2 continuerà a scaldare la Terra per un effetto totale che Zhang e Caldeira (2015) stima essere circa 100.000 volte più grande dell’effetto termico diretto della combustione che l’ha creato.

A questo punto possiamo provare a visualizzare questi valori confrontandoli a qualcosa di familiare. Come ordine di grandezza, prendiamo il numero calcolato dall’articolo di Zhang e Caldeira, cioè una forzante di 800 TW risultato del solo CO2. Ciò corrisponderebbe a 800 miliardi di stufette elettriche da 1 kW l’una, accese tutte insieme.

Considerando che ci sono più di sette miliardi di persone sulla terra, potremmo pensare che la forzante del CO2, da sola, equivalga all’accensione da parte di ognuno di noi di cento stufette elettriche da 1kW l’una. La forzante netta – il calore reale che viene aggiunto all’atmosfera – è più piccola, ma il quadro generale non cambia: possiamo visualizzarla come corrispondente a 250-400 miliardi di di stufette, circa 50 per persona. E, se vogliamo rendere il numero delle stufette proporzionale al consumo di energia, alle persone che vivono nel ricco occidente dovrebbero corrisponderne molte di più. Immaginate ogni casa del vostro quartiere con centinaia di stufette elettriche accatastate in giardino, tutte accese al massimo, ed avrete un’idea di quello che stiamo facendo al nostro pianeta.

Così, abbiamo alzato il termostato ed ora scopriamo di non poterlo più abbassare e nemmeno di poter spegnere il riscaldamento. (perlomeno non facilmente come si possa spegnere una stufetta elettrica). Il meglio che possiamo fare, per il momento, è evitare di aggiungere troppe stufette a quelle che sono già accese. Anche questo sembra essere estremamente difficile, ma possiamo almeno provarci.



h/t Steve Easterbrook, Dana Nuccitelli, John Cook, Ben, Michael Tobis, John Abraham e altri. Notate anche che ci sono altri tentativi di visualizzare la quantità totale di calore generato dalla forzante umana, per esempio, in termini di “quattro bombe di Hiroshima fatte scoppiare ogni secondo.” Spettacolare, ma probabilmente meno intuitivo delle stufette elettriche. 



Riferimenti

Archer, David (2005) Il destino del CO2 dei combustibili fossili in tempo geologico Journal of Geophysical Researc  vol. 110 (C9) p. C09S05

Hansen, J., M. Sato, P. Kharecha e K. Von Schuckmann, 2011: Disequilibrio energetico della Terra ed implicazioni. Atmos. Chem. Phys., 11, 13421-13449, doi:10.5194/acp-11-13421-2011.

Szargut, Jan T. 2003. “perdite exergetiche antropogeniche e naturali (exergia Equilibrio della superficie e dell’atmosfera della Terra”). Energy 28 (11): 1047–54. doi:10.1016/S0360-5442(03)00089-6.

Zhang, Xiaochun,  Caldeira, Ken, (2015) Scale temporali e rapporti della forzante climatica dovuta al fattore termico contrapposto alle emissioni di biossido di carbonio da combustibili fossili, Geophys. Res. Lett, 42, 11, 1944-8007

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