Effetto Cassandra

L’estinzione dei dinosauri: non un asteroide ma il cambiamento climatico

La scienza, si sa, avanza per ipotesi e per verifiche. Le ipotesi che non reggono alla prova dei fatti vengono brutalmente eliminate, senza troppi riguardi, non importa quanto siano spettacolari o attraenti. Qualcosa del genere sta succedendo con l’idea che l’estinzione dei dinosauri fu causata dall’impatto di un asteroide. Un’ipotesi indubbiamente spettacolare, che ha dato origine a svariati film e che si è abbastanza radicata nel pensiero comune. Tuttavia, i dati stanno rivelando che l’ipotesi era – se non completamente falsa – perlomeno parziale. E’ vero che c’è stato un impatto asteroidale importante; ma questo non è stata la causa dell’estinzione dei dinosauri che, invece, si sono estinti a causa delle emissioni di CO2 generate da una gigantesca eruzione vulcanica. Eh, si, i dinosauri sono stati vittima del riscaldamento globale, proprio come potrebbe capitare a noi se continuiamo così. Questa storia ce la spiega in dettaglio Aldo Piombino nel suo nuovo libro, appena uscito (U.B.)

È USCITO IL MIO LIBRO: Il meteorite ed il vulcano: come si estinsero i dinosauri (Edizioni Altravista, € 23)

Di Aldo Piombino – dal blog “Scienze e Dintorni


Chi mi segue lo sa: io ho sempre detto che il meteorite caduto nello Yucatan non c’entra nulla con l’estinzione dei dinosauri, che invece si spiega bene con le eruzioni dei basalti del Deccan. Ho studiato parecchio la questione e alla fine ho deciso di scrivere un libro sull’argomento, cercando di presentare un testo originale che dica qualcosa di sconosciuto al grande pubblico – nel quale la corrispondenza fra l’impatto del meteorite e l’estinzione dei dinosauri è cosa certa – e cercare di diffondere un po’ quello che è il sentore attuale della Scienza sull’argomento. Il meteorite ed il vulcano: come si estinsero i dinosauri (Edizioni Altravista, € 23) è dunque nelle mie intenzioni un saggio divulgativo alla portata – spero – di tutti, che parla di come sono scomparsi questi animali.

Non c’è dubbio che i dinosauri siano fra gli animali più noti al pubblico, più noti persino di tanti animali attuali. Come non c’è dubbio che la loro estinzione alla fine dell’Era Mesozoica sia uno dei più conosciuti e popolari accadimenti del passato geologico. Ma perché non possiamo più addebitare l’estinzione dei grandi rettili al meteorite caduto nell’odierno Yucatan? Quale dunque è la causa di questo drammatico evento?
Ne parlo in un saggio, facendo il punto della situazione sulle ricerche a proposito della loro scomparsa, che oggi certificano la stretta relazione fra l’estinzione dei dinosauri e le devastanti eruzioni dei Trappi del Deccan, nell’odierna India (1 milione di km cubi, un quantitativo tale da seppellire con 3 km di lave tutta l’Italia, isole comprese. Ovviamente respingo l’impatto del meteorite come fattore scatenante.

Per il libro, oltre a tutto quello che ho citato in bibliografia e all’esperienza di 35 anni di Geologia(e di cui parecchio ho scritto su Sceinzeedintorni), molto mi sono serviti gli atti di Volcanism, Impacts, and Mass Extinctions: Causes and Effectsla conferenza internazionale che riunì nel 2013 i principali esperti del settore al Natural History Museum di Londra, proprio quel museo fermamente voluto e ottenuto da Richard Owen, lo scienziato che coniò nel 1842 il termine Dinosauri, pubblicati in un volume apposito, il 505, delle Special Publications della Geological Society of America.

Ho voluto scrivere il libro con un totale rigore scientifico ma nel contempo ho voluto renderlo chiaro e piacevole. Posso con una certa presunzione – condita da irriverenza! – dire che l’ispirazione del tono spesso un po’ divertito l’ho presa da certe pagine di Richard Dawkins….

Nella prima parte introduco a beneficio dei non geologi alcuni concetti fondamentali in modo da rendere accessibile a tutti la trattazione: il tempo geologico, le estinzioni di massa e le grandi province magmatiche (meglio note come Large Igneous Provinces e che d’ora in poi posso indicare con l’acronimo LIP), mostruose e saltuarie eruzioni vulcaniche che producono centinaia se non milioni di km cubi di magmi in poche decine di migliaia di anni; poi con una breve excursus sulla storia dei vertebrati, colloco nel tempo e al loro interno i dinosauri, evidenziandone avi, parenti più o meno prossimi e discendenti viventi (gli uccelli) e faccio una sintesi sulle vittime e i superstiti della strage (per alcuni gruppi il K/T non ha praticamente significato nulla).

La seconda parte, quella più – diciamo così – romanzata è dedicata alla storia delle ricerche sull’estinzione dei dinosauri, e si presta bene ad esserlo già dall’inizio… Le prime scoperte, la certezza già nella prima metà del XIX secolo che la Terra fosse stata dominata in tempi lontani dai rettili, le prime idee sulla loro scomparsa nel dibattito fra catastrofismo e gradualismo (e tra evoluzionismo e antievoluzionismo), le estinzioni di massa rifiutate dalla Scienza perché non “in linea” con il gradualismo evolutivo darwiniano… le idee degli anni ’30, quando veniva addebitata ad un forte ed improvviso riscaldamento, come dimostra il celebre lungometraggio della Disney Fantasia, in cui gli ultimi dinosauri combattono una dura battaglia per l’esistenza in un mondo caldo e arido, fino alle prime ipotesi su cause extraterrestri come meteoriti o supernove.

Anche il seguito però non è male: i primi indizi su forti oscillazioni climatiche raccolti con le perforazioni dei fondi oceanici e i due convegni canadesi in cui veniva proprio dato l’accento a queste variazioni climatiche di cui però ancora non si capiva l’origine, fino a quando a Gubbio non nacque nel 1980 l’idea dell’impatto, con un cratere di età e dimensioni eccezionalmente in linea con le aspettative scoperto 10 anni dopo (anzi, riscoperto… perché c’era chi lo conosceva di già ma non sapeva che altri lo stessero cercando…).

La questione sembrava ormai risolta (e questa è l’opinione comune ancora oggi, specialmente al di fuori delle Scienze della Terra), ma molti ricercatori continuavano a non essere d’accordo, individuando come colpevoli gli effetti dei fenomeni vulcanici estremi in corso all’epoca in India. Paradossalmente, proprio la scoperta del cratere è servita per dire che l’impatto non c’entrava niente…

Nella terza parte descrivo la Terra nel Maastrichtiano superiore: una fase veramente difficile fra estinzioni continue, oscillazioni della temperatura, variazioni del livello marino che trasformavano mari poco profondi in pianure costiere e viceversa, acidità delle acque, anossie globali degli oceani, incendi boschivi. Ci mancava giusto la caduta di un meteorite….

Poi passo ad un confronto fra le ipotesi.
L’Iridio a Gubbio nel lavoro degli Alvarez del 1980
Come si vede l’anomalia inizia gradualmente  e non all’improvviso
L’esame dei sedimenti porta delle conclusioni che contrastano con la visione degli impattisti: ad esempio al K/T faceva più caldo e non più freddo di prima, l’ipotesi delle emissioni di CO2 dalla fratturazione dei calcari nella zone dell’impatto appare molto debole rispetto all’idea di una provenienza  dai Trappi del Deccan e ho dedicato diverse pagine a spiegare il perché anche l’Iridio derivi dai magmi indiani e non dal meteorite (e nel lavoro del 1980 gli Alvarez e soci hanno fatto finta di non vedere che il suo aumento è iniziato ben prima di quando il meteorite sarebbe caduto…).

Come anche, parlando della sedimentologia, è contestabile un evento di estinzione improvviso nei microfossili quando invece si tratta di una serie di estinzioni protratte nel tempo che però in molte zone non si evidenziano per un motivo molto semplice: la fase a basso livello marino che ha preceduto il riscaldamento (e la trasgressione marina) delle ultimissime decine di migliaia di anni del Maastrichtiano ha provocato delle lacune nella sedimentazione, che se non riconosciute portano appunto a pensare ad una estinzione improvvisa. Un altro elemento che ci fa capire come le condizioni ambientali stavano peggiorando è il succedersi sempre più fitto delle biozone prima e dopo il K/T.

Ma la cosa più clamorosa uscita dalla conferenza di Londra è che i dinosauri più recenti datati con sicurezza sono oltre 400.000 anni più vecchi del K/T e che dai reperti fossili non è possibile stabilire se i dinosauri si siano estinti improvvisamente o gradualmente. Quante pagine sprecate inutilmente in questa polemica….

Nella quarta parte traccio la storia delle estinzioni di massa e dei fenomeni ad esse legati, dimostrando successivamente la stretta associazione temporale fra esse e la messa in posto di alcune Large Igneous Provinces (la più antica sicuramente accertata è quella del Cambrianoinferiore in Australia, con l’estinzione di fine Toyoniano e la provincia magmatica di Kalkarindji).Mentre l’unico impatto avvenuto più o meno in corrispondenza di una estinzione è quello dello Yucatan.

Quindi correlo l’estinzione di fine Cretaceo con le altre estinzione di massa, facendo notare che anche in questo caso c’è di mezzo una LIP.

Però non può finire qui… nella Scienza non basta che due eventi siano correlati temporalmente per attribuirne al primo la causa dell’altro. Ma il legame è talmente stretto che verrebbe quasi da chiedersi l’opposto e cioè: perché alcune LIP NON hanno provocato delle estinzioni significative?

A quel punto passo in rassegna alcune possibilità per capire come mai alcune LIP sono state dei killer spietati e altre no. Alla fine è facile concludere che una LIP diventa un enorme problema con le sue emissioni di CO2, composti dello zolfo e metalli pesanti alterano pesantemente e a livello globale il chimismo di oceani e atmosfera e il clima. E per spiegare come mai ho tirato fuori l’esempio del “gottino”, il quartino di vino: se prendi un gottino di vino a pranzo e a cena alla fine del mese avrai bevuto 15 litri di vino senza problemi (a parte intolleranze specifiche!), mentre se ne bevi 2 litri in una sera il giorno dopo tanto bene non starai. Allo stesso modo una LIP è un killer quando, come è stato dimostrato, le eruzioni si concentrano in un periodo di poche decine di migliaia di anni in cui vengono messi in posto decine di migliaia di km3 di magmi e liberato un immenso quantitativo di volatili che, al contrario delle emissioni vulcaniche ordinarie, il “sistema – Terra” non riesce ad assorbire

Come pallido esempio di cosa potrebbe essere successo alla fine del Cretaceo ho presentato i problemi arrecati in tutta Europa dall’eruzione del Laki in Islanda nel 1783.

Alla fine spiego perché per la sua semplicità narrativa e per il ruolo ingombrante svolto nella vicenda dal premio Nobel per la fisica Luis Alvarez l’ormai smentita dai dati ipotesi del meteorite abbia avuto e continui ad avere un grande successo. Con un appunto finale: il ruolo delle emissioni di CO2nell’estinzione dei dinosauri e nelle altre estinzioni di massa dovrebbe essere un monito anche per l’umanità attuale.

Una annotazione finale a questo post: dopo la stampa del libro sono apparsi diversi articoli in cui coloro che avevano sempre sostenuto il meteorite come causa dell’estinzione e che i trappi del Deccan non c’entravano nulla, ora sostengono che la violenza di queste eruzioni è stata un effetto della caduta. Cioè che il proiettile è costituito dalle eruzioni ma che il grilletto lo ha tirato, cadendo, il meteorite. Resta il problema che l’unico impatto in corrispondenza con una estinzione di massa è quello dello Yucatan… e le altre estinzioni?


Informazioni personali
Le mie foto

Nato a Firenze, dove vivo felicemente con Margherita, non sarei lo stesso senza la Nutella, Tex Willer e la Nona di Beethoven. Già alle elementari annoiavo la maestra sul Cretaceo Inferiore: quando seppe che mi ero iscritto a Scienze Geologiche il commento fu “finalmente ci è riuscito!”. Vedendo cosa tante persone se ne facevano della laurea, decisi di cominciare a lavorare. Pertanto mi sono laureato in “tempi geologici” alla veneranda età di 31 anni e per questo non ho fatto il geologo. Da allora, comunque, non ho smesso di studiare ed aggiornarmi. Mi interesso di Scienze della Terra, Scienze della Vita, ambiente, energia e trasporti, specialmente ferroviari, nanotecnologie, Antropologia e storia del popolamento umano della Terra e origine delle lingue. Un’altra grande passone è la musica. Ascolto quasi tutto, dal canto gregoriano all’heavy metal, con particolare predilezione per “i grandi” del 700 e dell’800, per i gloriosi gruppi degli anni ’70, Sono una persona molto tollerante ma ci sono tre categorie che mi mandano in bestia: quelli che credono a oroscopi, cerchi nel grano, scie chimiche e altre idiozie del genere, i creazionisti e quelli contrari al tram a Firenze.

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L’estinzione dei dinosauri: non un asteroide ma il cambiamento climatico

La scienza, si sa, avanza per ipotesi e per verifiche. Le ipotesi che non reggono alla prova dei fatti vengono brutalmente eliminate, senza troppi riguardi, non importa quanto siano spettacolari o attraenti. Qualcosa del genere sta succedendo con l’idea che l’estinzione dei dinosauri fu causata dall’impatto di un asteroide. Un’ipotesi indubbiamente spettacolare, che ha dato origine a svariati film e che si è abbastanza radicata nel pensiero comune. Tuttavia, i dati stanno rivelando che l’ipotesi era – se non completamente falsa – perlomeno parziale. E’ vero che c’è stato un impatto asteroidale importante; ma questo non è stata la causa dell’estinzione dei dinosauri che, invece, si sono estinti a causa delle emissioni di CO2 generate da una gigantesca eruzione vulcanica. Eh, si, i dinosauri sono stati vittima del riscaldamento globale, proprio come potrebbe capitare a noi se continuiamo così. Questa storia ce la spiega in dettaglio Aldo Piombino nel suo nuovo libro, appena uscito (U.B.)

È USCITO IL MIO LIBRO: Il meteorite ed il vulcano: come si estinsero i dinosauri (Edizioni Altravista, € 23)

Di Aldo Piombino – dal blog “Scienze e Dintorni


Chi mi segue lo sa: io ho sempre detto che il meteorite caduto nello Yucatan non c’entra nulla con l’estinzione dei dinosauri, che invece si spiega bene con le eruzioni dei basalti del Deccan. Ho studiato parecchio la questione e alla fine ho deciso di scrivere un libro sull’argomento, cercando di presentare un testo originale che dica qualcosa di sconosciuto al grande pubblico – nel quale la corrispondenza fra l’impatto del meteorite e l’estinzione dei dinosauri è cosa certa – e cercare di diffondere un po’ quello che è il sentore attuale della Scienza sull’argomento. Il meteorite ed il vulcano: come si estinsero i dinosauri (Edizioni Altravista, € 23) è dunque nelle mie intenzioni un saggio divulgativo alla portata – spero – di tutti, che parla di come sono scomparsi questi animali.

Non c’è dubbio che i dinosauri siano fra gli animali più noti al pubblico, più noti persino di tanti animali attuali. Come non c’è dubbio che la loro estinzione alla fine dell’Era Mesozoica sia uno dei più conosciuti e popolari accadimenti del passato geologico. Ma perché non possiamo più addebitare l’estinzione dei grandi rettili al meteorite caduto nell’odierno Yucatan? Quale dunque è la causa di questo drammatico evento?
Ne parlo in un saggio, facendo il punto della situazione sulle ricerche a proposito della loro scomparsa, che oggi certificano la stretta relazione fra l’estinzione dei dinosauri e le devastanti eruzioni dei Trappi del Deccan, nell’odierna India (1 milione di km cubi, un quantitativo tale da seppellire con 3 km di lave tutta l’Italia, isole comprese. Ovviamente respingo l’impatto del meteorite come fattore scatenante.

Per il libro, oltre a tutto quello che ho citato in bibliografia e all’esperienza di 35 anni di Geologia(e di cui parecchio ho scritto su Sceinzeedintorni), molto mi sono serviti gli atti di Volcanism, Impacts, and Mass Extinctions: Causes and Effectsla conferenza internazionale che riunì nel 2013 i principali esperti del settore al Natural History Museum di Londra, proprio quel museo fermamente voluto e ottenuto da Richard Owen, lo scienziato che coniò nel 1842 il termine Dinosauri, pubblicati in un volume apposito, il 505, delle Special Publications della Geological Society of America.

Ho voluto scrivere il libro con un totale rigore scientifico ma nel contempo ho voluto renderlo chiaro e piacevole. Posso con una certa presunzione – condita da irriverenza! – dire che l’ispirazione del tono spesso un po’ divertito l’ho presa da certe pagine di Richard Dawkins….

Nella prima parte introduco a beneficio dei non geologi alcuni concetti fondamentali in modo da rendere accessibile a tutti la trattazione: il tempo geologico, le estinzioni di massa e le grandi province magmatiche (meglio note come Large Igneous Provinces e che d’ora in poi posso indicare con l’acronimo LIP), mostruose e saltuarie eruzioni vulcaniche che producono centinaia se non milioni di km cubi di magmi in poche decine di migliaia di anni; poi con una breve excursus sulla storia dei vertebrati, colloco nel tempo e al loro interno i dinosauri, evidenziandone avi, parenti più o meno prossimi e discendenti viventi (gli uccelli) e faccio una sintesi sulle vittime e i superstiti della strage (per alcuni gruppi il K/T non ha praticamente significato nulla).

La seconda parte, quella più – diciamo così – romanzata è dedicata alla storia delle ricerche sull’estinzione dei dinosauri, e si presta bene ad esserlo già dall’inizio… Le prime scoperte, la certezza già nella prima metà del XIX secolo che la Terra fosse stata dominata in tempi lontani dai rettili, le prime idee sulla loro scomparsa nel dibattito fra catastrofismo e gradualismo (e tra evoluzionismo e antievoluzionismo), le estinzioni di massa rifiutate dalla Scienza perché non “in linea” con il gradualismo evolutivo darwiniano… le idee degli anni ’30, quando veniva addebitata ad un forte ed improvviso riscaldamento, come dimostra il celebre lungometraggio della Disney Fantasia, in cui gli ultimi dinosauri combattono una dura battaglia per l’esistenza in un mondo caldo e arido, fino alle prime ipotesi su cause extraterrestri come meteoriti o supernove.

Anche il seguito però non è male: i primi indizi su forti oscillazioni climatiche raccolti con le perforazioni dei fondi oceanici e i due convegni canadesi in cui veniva proprio dato l’accento a queste variazioni climatiche di cui però ancora non si capiva l’origine, fino a quando a Gubbio non nacque nel 1980 l’idea dell’impatto, con un cratere di età e dimensioni eccezionalmente in linea con le aspettative scoperto 10 anni dopo (anzi, riscoperto… perché c’era chi lo conosceva di già ma non sapeva che altri lo stessero cercando…).

La questione sembrava ormai risolta (e questa è l’opinione comune ancora oggi, specialmente al di fuori delle Scienze della Terra), ma molti ricercatori continuavano a non essere d’accordo, individuando come colpevoli gli effetti dei fenomeni vulcanici estremi in corso all’epoca in India. Paradossalmente, proprio la scoperta del cratere è servita per dire che l’impatto non c’entrava niente…

Nella terza parte descrivo la Terra nel Maastrichtiano superiore: una fase veramente difficile fra estinzioni continue, oscillazioni della temperatura, variazioni del livello marino che trasformavano mari poco profondi in pianure costiere e viceversa, acidità delle acque, anossie globali degli oceani, incendi boschivi. Ci mancava giusto la caduta di un meteorite….

Poi passo ad un confronto fra le ipotesi.
L’Iridio a Gubbio nel lavoro degli Alvarez del 1980
Come si vede l’anomalia inizia gradualmente  e non all’improvviso
L’esame dei sedimenti porta delle conclusioni che contrastano con la visione degli impattisti: ad esempio al K/T faceva più caldo e non più freddo di prima, l’ipotesi delle emissioni di CO2 dalla fratturazione dei calcari nella zone dell’impatto appare molto debole rispetto all’idea di una provenienza  dai Trappi del Deccan e ho dedicato diverse pagine a spiegare il perché anche l’Iridio derivi dai magmi indiani e non dal meteorite (e nel lavoro del 1980 gli Alvarez e soci hanno fatto finta di non vedere che il suo aumento è iniziato ben prima di quando il meteorite sarebbe caduto…).

Come anche, parlando della sedimentologia, è contestabile un evento di estinzione improvviso nei microfossili quando invece si tratta di una serie di estinzioni protratte nel tempo che però in molte zone non si evidenziano per un motivo molto semplice: la fase a basso livello marino che ha preceduto il riscaldamento (e la trasgressione marina) delle ultimissime decine di migliaia di anni del Maastrichtiano ha provocato delle lacune nella sedimentazione, che se non riconosciute portano appunto a pensare ad una estinzione improvvisa. Un altro elemento che ci fa capire come le condizioni ambientali stavano peggiorando è il succedersi sempre più fitto delle biozone prima e dopo il K/T.

Ma la cosa più clamorosa uscita dalla conferenza di Londra è che i dinosauri più recenti datati con sicurezza sono oltre 400.000 anni più vecchi del K/T e che dai reperti fossili non è possibile stabilire se i dinosauri si siano estinti improvvisamente o gradualmente. Quante pagine sprecate inutilmente in questa polemica….

Nella quarta parte traccio la storia delle estinzioni di massa e dei fenomeni ad esse legati, dimostrando successivamente la stretta associazione temporale fra esse e la messa in posto di alcune Large Igneous Provinces (la più antica sicuramente accertata è quella del Cambrianoinferiore in Australia, con l’estinzione di fine Toyoniano e la provincia magmatica di Kalkarindji).Mentre l’unico impatto avvenuto più o meno in corrispondenza di una estinzione è quello dello Yucatan.

Quindi correlo l’estinzione di fine Cretaceo con le altre estinzione di massa, facendo notare che anche in questo caso c’è di mezzo una LIP.

Però non può finire qui… nella Scienza non basta che due eventi siano correlati temporalmente per attribuirne al primo la causa dell’altro. Ma il legame è talmente stretto che verrebbe quasi da chiedersi l’opposto e cioè: perché alcune LIP NON hanno provocato delle estinzioni significative?

A quel punto passo in rassegna alcune possibilità per capire come mai alcune LIP sono state dei killer spietati e altre no. Alla fine è facile concludere che una LIP diventa un enorme problema con le sue emissioni di CO2, composti dello zolfo e metalli pesanti alterano pesantemente e a livello globale il chimismo di oceani e atmosfera e il clima. E per spiegare come mai ho tirato fuori l’esempio del “gottino”, il quartino di vino: se prendi un gottino di vino a pranzo e a cena alla fine del mese avrai bevuto 15 litri di vino senza problemi (a parte intolleranze specifiche!), mentre se ne bevi 2 litri in una sera il giorno dopo tanto bene non starai. Allo stesso modo una LIP è un killer quando, come è stato dimostrato, le eruzioni si concentrano in un periodo di poche decine di migliaia di anni in cui vengono messi in posto decine di migliaia di km3 di magmi e liberato un immenso quantitativo di volatili che, al contrario delle emissioni vulcaniche ordinarie, il “sistema – Terra” non riesce ad assorbire

Come pallido esempio di cosa potrebbe essere successo alla fine del Cretaceo ho presentato i problemi arrecati in tutta Europa dall’eruzione del Laki in Islanda nel 1783.

Alla fine spiego perché per la sua semplicità narrativa e per il ruolo ingombrante svolto nella vicenda dal premio Nobel per la fisica Luis Alvarez l’ormai smentita dai dati ipotesi del meteorite abbia avuto e continui ad avere un grande successo. Con un appunto finale: il ruolo delle emissioni di CO2nell’estinzione dei dinosauri e nelle altre estinzioni di massa dovrebbe essere un monito anche per l’umanità attuale.

Una annotazione finale a questo post: dopo la stampa del libro sono apparsi diversi articoli in cui coloro che avevano sempre sostenuto il meteorite come causa dell’estinzione e che i trappi del Deccan non c’entravano nulla, ora sostengono che la violenza di queste eruzioni è stata un effetto della caduta. Cioè che il proiettile è costituito dalle eruzioni ma che il grilletto lo ha tirato, cadendo, il meteorite. Resta il problema che l’unico impatto in corrispondenza con una estinzione di massa è quello dello Yucatan… e le altre estinzioni?


Informazioni personali
Le mie foto

Nato a Firenze, dove vivo felicemente con Margherita, non sarei lo stesso senza la Nutella, Tex Willer e la Nona di Beethoven. Già alle elementari annoiavo la maestra sul Cretaceo Inferiore: quando seppe che mi ero iscritto a Scienze Geologiche il commento fu “finalmente ci è riuscito!”. Vedendo cosa tante persone se ne facevano della laurea, decisi di cominciare a lavorare. Pertanto mi sono laureato in “tempi geologici” alla veneranda età di 31 anni e per questo non ho fatto il geologo. Da allora, comunque, non ho smesso di studiare ed aggiornarmi. Mi interesso di Scienze della Terra, Scienze della Vita, ambiente, energia e trasporti, specialmente ferroviari, nanotecnologie, Antropologia e storia del popolamento umano della Terra e origine delle lingue. Un’altra grande passone è la musica. Ascolto quasi tutto, dal canto gregoriano all’heavy metal, con particolare predilezione per “i grandi” del 700 e dell’800, per i gloriosi gruppi degli anni ’70, Sono una persona molto tollerante ma ci sono tre categorie che mi mandano in bestia: quelli che credono a oroscopi, cerchi nel grano, scie chimiche e altre idiozie del genere, i creazionisti e quelli contrari al tram a Firenze.

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Il Club di Roma; quasi mezzo secolo dopo

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi

Il Club di Roma ha tenuto la sua assemblea generale a Winterthur, in Svizzera, il 16-17 ottobre 2015. Nell’immagine, potete vedere Ugo Bardi (al centro) insieme ai co-presidenti del Club, Anders Wijkman (a destra nella foto) ed Ernst Von Weizsacker (a sinistra).

Quasi mezzo secolo fa, nel 1968, Aurelio Peccei riuniva per la prima volta il gruppo che in seguito sarebbe diventato famoso come il “Club di Roma”. L’obbiettivo del gruppo non era quello per cui il Club è diventato famoso, “I Limiti dello Sviluppo”. A quel tempo, il concetto di limiti era vago e scarsamente compreso e l’interesse dei membri era, piuttosto, verso una distribuzione equa delle risorse della Terra. Ciò che ha spinto Aurelio Peccei era il tentativo di combattere la fame, la povertà e l’ingiustizia.


Quell’approccio ha portato il Club a commissionare un rapporto sulle risorse mondiali ed i loro limiti ad un gruppo di ricercatori del MIT. Il risultato è stato lo studio per cui il Club di Roma è diventato famoso da allora: “I Limiti dello Sviluppo”, pubblicato nel 1972. Da quel momento in avanti, il dibattito si è principalmente spostato su quale scenario de “I Limiti dello Sviluppo” fosse corretto e se lo studio descrivesse realmente la possibile traiettoria dell’economia mondiale ed il suo collasso come conseguenza della combinazione di inquinamento persistente ed esaurimento delle risorse. Il dibattito è presto degenerato in insulti diretti contro le “Cassandre” e i “catastrofisti.” Ancora oggi, si ritiene comunemente che lo studio fosse “sbagliato” anche se non lo era.

Ma i modelli del mondo non erano proprio quello che Peccei e gli altri fondatori avevano in mente all’inizio. Il loro obbiettivo era rimasto quello iniziale: giustizia, equità sociale, libertà dal bisogno. La scoperta dei limiti del mondo ha reso questi obbiettivi più difficili di quanto fossero sembrati essere all’inizio, ma non erano comunque diventati un obbiettivo impossibile. Il rapporto sui “Limiti”, infatti, prospettava in che modo l’economia mondiale poteva essere condotta in modo tale da evitare il collasso e mantenere per lungo tempo un livello ragionevole di produzione di beni e servizi per ciascuno.

Da quello che ha scritto Peccei, è chiaro che lui (come gran parte dei membri del Club) pensava che creare un mondo migliore dovesse essere il risultato di un dibattito pubblico e della democrazia. Nel dibattito, i leader mondiali e l’opinione pubblica si sarebbero convinti della necessità di rallentare la crescita economica, evitare la sovrappopolazione, conservare le risorse e investire in azioni contro l’inquinamento. Poi, la maggioranza avrebbe democraticamente votato per attuare queste azioni. Sfortunatamente, Peccei aveva valutato male il potere della propaganda di sviare la discussione e demonizzare tutti i tentativi di lavorare per un mondo migliore. Peccei stesso è stato vittima della propaganda e, se oggi cercate nel Web, troverete ancora molte pagine che descrivono lui (e il Club di Roma) come intento a lavorare per la schiavizzazione o lo stermino della razza umana o, a volte, delle “razze di colore” .

E’ passato quasi mezzo secolo dalla prima riunione del Club di Roma e i suoi membri stanno ancora lottando con la stessa domanda: come creare un mondo più equo, libero e prosperoso? Mentre capire il nostro futuro si è rivelato essere possibile, agire di conseguenza si è rivelato diabolicamente difficile. Oggi, siamo ancora bloccati al livello più basso del cercare di far capire alle persone il pericolo che abbiamo di fronte. Pensate a quanto sia stata facilmente ostacolata da trucchi di propaganda l’azione sul cambiamento climatico ( ricordate il “climategate”?).

Così, il Club non si è allontanato dall’eredità di Peccei ed è rimasto vicino al suo approccio e alla sua struttura iniziale. E’ un forum in cui le persone si incontrano per discutere come si può creare un mondo migliore e mostrare come si può lavorare in quella direzione. Era chiaro all’assemblea generale di quest’anno a Winterthur, in Svizzera, dove la discussione ha spaziato dai limiti dei minerali alle strutture sociali, compresa la politica e nuove strade commerciali. I membri hanno parlato di modelli a lungo termine, ma anche dei loro risultati pratici quotidiani su come migliorare la vita dei poveri e ridurre l’inquinamento a livello locale. La bacchetta magica che curerà i mali del mondo potrebbe non esistere, ma tutti possiamo fare qualcosa per un mondo migliore.

Grazie a Graeme Maxton, Alexander Stefes e Thomas Schauer per essere stati i principali organizzatori di questo incontro a Winterthur!

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Il Club di Roma; quasi mezzo secolo dopo

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi

Il Club di Roma ha tenuto la sua assemblea generale a Winterthur, in Svizzera, il 16-17 ottobre 2015. Nell’immagine, potete vedere Ugo Bardi (al centro) insieme ai co-presidenti del Club, Anders Wijkman (a destra nella foto) ed Ernst Von Weizsacker (a sinistra).

Quasi mezzo secolo fa, nel 1968, Aurelio Peccei riuniva per la prima volta il gruppo che in seguito sarebbe diventato famoso come il “Club di Roma”. L’obbiettivo del gruppo non era quello per cui il Club è diventato famoso, “I Limiti dello Sviluppo”. A quel tempo, il concetto di limiti era vago e scarsamente compreso e l’interesse dei membri era, piuttosto, verso una distribuzione equa delle risorse della Terra. Ciò che ha spinto Aurelio Peccei era il tentativo di combattere la fame, la povertà e l’ingiustizia.


Quell’approccio ha portato il Club a commissionare un rapporto sulle risorse mondiali ed i loro limiti ad un gruppo di ricercatori del MIT. Il risultato è stato lo studio per cui il Club di Roma è diventato famoso da allora: “I Limiti dello Sviluppo”, pubblicato nel 1972. Da quel momento in avanti, il dibattito si è principalmente spostato su quale scenario de “I Limiti dello Sviluppo” fosse corretto e se lo studio descrivesse realmente la possibile traiettoria dell’economia mondiale ed il suo collasso come conseguenza della combinazione di inquinamento persistente ed esaurimento delle risorse. Il dibattito è presto degenerato in insulti diretti contro le “Cassandre” e i “catastrofisti.” Ancora oggi, si ritiene comunemente che lo studio fosse “sbagliato” anche se non lo era.

Ma i modelli del mondo non erano proprio quello che Peccei e gli altri fondatori avevano in mente all’inizio. Il loro obbiettivo era rimasto quello iniziale: giustizia, equità sociale, libertà dal bisogno. La scoperta dei limiti del mondo ha reso questi obbiettivi più difficili di quanto fossero sembrati essere all’inizio, ma non erano comunque diventati un obbiettivo impossibile. Il rapporto sui “Limiti”, infatti, prospettava in che modo l’economia mondiale poteva essere condotta in modo tale da evitare il collasso e mantenere per lungo tempo un livello ragionevole di produzione di beni e servizi per ciascuno.

Da quello che ha scritto Peccei, è chiaro che lui (come gran parte dei membri del Club) pensava che creare un mondo migliore dovesse essere il risultato di un dibattito pubblico e della democrazia. Nel dibattito, i leader mondiali e l’opinione pubblica si sarebbero convinti della necessità di rallentare la crescita economica, evitare la sovrappopolazione, conservare le risorse e investire in azioni contro l’inquinamento. Poi, la maggioranza avrebbe democraticamente votato per attuare queste azioni. Sfortunatamente, Peccei aveva valutato male il potere della propaganda di sviare la discussione e demonizzare tutti i tentativi di lavorare per un mondo migliore. Peccei stesso è stato vittima della propaganda e, se oggi cercate nel Web, troverete ancora molte pagine che descrivono lui (e il Club di Roma) come intento a lavorare per la schiavizzazione o lo stermino della razza umana o, a volte, delle “razze di colore” .

E’ passato quasi mezzo secolo dalla prima riunione del Club di Roma e i suoi membri stanno ancora lottando con la stessa domanda: come creare un mondo più equo, libero e prosperoso? Mentre capire il nostro futuro si è rivelato essere possibile, agire di conseguenza si è rivelato diabolicamente difficile. Oggi, siamo ancora bloccati al livello più basso del cercare di far capire alle persone il pericolo che abbiamo di fronte. Pensate a quanto sia stata facilmente ostacolata da trucchi di propaganda l’azione sul cambiamento climatico ( ricordate il “climategate”?).

Così, il Club non si è allontanato dall’eredità di Peccei ed è rimasto vicino al suo approccio e alla sua struttura iniziale. E’ un forum in cui le persone si incontrano per discutere come si può creare un mondo migliore e mostrare come si può lavorare in quella direzione. Era chiaro all’assemblea generale di quest’anno a Winterthur, in Svizzera, dove la discussione ha spaziato dai limiti dei minerali alle strutture sociali, compresa la politica e nuove strade commerciali. I membri hanno parlato di modelli a lungo termine, ma anche dei loro risultati pratici quotidiani su come migliorare la vita dei poveri e ridurre l’inquinamento a livello locale. La bacchetta magica che curerà i mali del mondo potrebbe non esistere, ma tutti possiamo fare qualcosa per un mondo migliore.

Grazie a Graeme Maxton, Alexander Stefes e Thomas Schauer per essere stati i principali organizzatori di questo incontro a Winterthur!

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Il ghiaccio dell’Antartide sta fondendo rapidamente

Ha fatto notizia la diffusione di un recente articolo che sostiene che, complessivamente, l’Antartide non sta perdendo ghiaccio, dato che le perdite ai bordi sono compensate da un incremento nelle precipitazioni nevose al centro. La faccenda è complicata e incerta (come descrive Greg Laden nel suo blog). Per prima cosa, va notato che i dati dell’articolo in questione non vanno oltre il 2008; per cui potrebbero non descrivere la situazione attuale. Inoltre, l’indubbio incremento del livello del mare può essere spiegato soltanto come dovuto alla perdita di ghiaccio continentale (vedi questo articolo), e se l’Antartide non sta contribuendo bisognerebbe assumere che la perdita è molto maggiore di quanto non si stimi in altre aree del pianeta. In ogni caso, è chiaro che l’Antartide sta perdendo ghiaccio ai bordi e che le piattaforme glaciali (dette anche tavolati glaciali) rischiano di essere destabilizzate dal riscaldamento globale e far piombare in mare delle enormi quantità di ghiaccio tutte insieme. Questo avrebbe effetti disastrosi sulle coste occupate dall’attività umana, come descritto nell’articolo che segue.


Da “The Guardian”. Traduzione di MR (via Cristiano Bottone)

Una nuova ricerca prevede un raddoppio superficie di fusione delle piattaforme glaciali per il 2050, che rischiano di collassare per la fine del secolo, dicono gli scienziati.

Il collasso delle piattaforme glaciali dell’Antartide potrebbero portare ad un innalzamento dei livello del mare drammatico. Foto: blickwinkel/Alamy

Il ghiaccio dell’Antartide sta fondendo così rapidamente che la stabilità dell’intero continente potrebbe essere a rischio dal 2100, hanno avvertito gli scienziati. Un diffuso collasso delle piattaforme glaciali dell’Antartide – estensioni galleggianti del ghiaccio terrestre che si proiettano in mare – potrebbe aprire la strada ad un drammatico innalzamento del livello del mare. La nuova ricerca prevede un raddoppio della superficie di fusione delle piattaforme glaciali dal 2050. Per la fine del secolo, il tasso di fusione potrebbe superare il punto associato al collasso della piattaforma glaciale, si afferma.


Se ciò accadesse, verrebbe rimossa una barriera naturale allo scorrimento del ghiaccio dai ghiacciai e dalle calotte glaciali di terra verso gli oceani. Lo scienziato di punta del Woods Hole Oceanographic Institution del Massachusetts, Stati Uniti, Dr Luke Trusel, ha detto: “I nostri risultati illustrano quanto la rapida fusione dell’Antartide possa intensificarsi in un clima che si riscalda. Ciò è già avvenuto in luoghi come la Penisola Antartica, dove abbiamo osservato riscaldamento e collassi improvvisi delle piattaforme glaciali negli ultimi decenni. Le proiezioni del nostro modello mostrano che livelli simili di fusione potrebbero verificarsi su tutta la costa dell’Antartide verso la fine di questo secolo, sollevando preoccupazioni sul futuro della stabilità della piattaforma glaciale”. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Geoscience, si è basato su osservazioni satellitari della fusione del ghiaccio di superficie e sulle simulazioni climatiche fino all’anno 2100. Lo studio ha mostrato che se le emissioni di gas serra continuassero al tasso attuale, le piattaforme glaciali dell’Antartide sarebbero in pericolo di collassare entro la fine del secolo.

In uno scenario di riduzione delle emissioni, la fusione del ghiaccio è stata messa sotto controllo dopo il 2050. La coautrice, dottoressa Karen Frey, della Clark University del Massachusetts, ha detto: “I dati presentati in questo studio mostrano chiaramente che la politica climatica, e quindi la traiettoria delle emissioni di gas serra durante il secolo a venire, hanno un controllo enorme sul destino futuro della superficie di fusione delle piattaforme glaciali dell’Antartide, cosa che dovremmo considerare quando valutiamo la loro stabilità a lungo termine e i contributi potenziali indiretti all’innalzamento del livello dei mari”.

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Il ghiaccio dell’Antartide sta fondendo rapidamente

Ha fatto notizia la diffusione di un recente articolo che sostiene che, complessivamente, l’Antartide non sta perdendo ghiaccio, dato che le perdite ai bordi sono compensate da un incremento nelle precipitazioni nevose al centro. La faccenda è complicata e incerta (come descrive Greg Laden nel suo blog). Per prima cosa, va notato che i dati dell’articolo in questione non vanno oltre il 2008; per cui potrebbero non descrivere la situazione attuale. Inoltre, l’indubbio incremento del livello del mare può essere spiegato soltanto come dovuto alla perdita di ghiaccio continentale (vedi questo articolo), e se l’Antartide non sta contribuendo bisognerebbe assumere che la perdita è molto maggiore di quanto non si stimi in altre aree del pianeta. In ogni caso, è chiaro che l’Antartide sta perdendo ghiaccio ai bordi e che le piattaforme glaciali (dette anche tavolati glaciali) rischiano di essere destabilizzate dal riscaldamento globale e far piombare in mare delle enormi quantità di ghiaccio tutte insieme. Questo avrebbe effetti disastrosi sulle coste occupate dall’attività umana, come descritto nell’articolo che segue.


Da “The Guardian”. Traduzione di MR (via Cristiano Bottone)

Una nuova ricerca prevede un raddoppio superficie di fusione delle piattaforme glaciali per il 2050, che rischiano di collassare per la fine del secolo, dicono gli scienziati.

Il collasso delle piattaforme glaciali dell’Antartide potrebbero portare ad un innalzamento dei livello del mare drammatico. Foto: blickwinkel/Alamy

Il ghiaccio dell’Antartide sta fondendo così rapidamente che la stabilità dell’intero continente potrebbe essere a rischio dal 2100, hanno avvertito gli scienziati. Un diffuso collasso delle piattaforme glaciali dell’Antartide – estensioni galleggianti del ghiaccio terrestre che si proiettano in mare – potrebbe aprire la strada ad un drammatico innalzamento del livello del mare. La nuova ricerca prevede un raddoppio della superficie di fusione delle piattaforme glaciali dal 2050. Per la fine del secolo, il tasso di fusione potrebbe superare il punto associato al collasso della piattaforma glaciale, si afferma.


Se ciò accadesse, verrebbe rimossa una barriera naturale allo scorrimento del ghiaccio dai ghiacciai e dalle calotte glaciali di terra verso gli oceani. Lo scienziato di punta del Woods Hole Oceanographic Institution del Massachusetts, Stati Uniti, Dr Luke Trusel, ha detto: “I nostri risultati illustrano quanto la rapida fusione dell’Antartide possa intensificarsi in un clima che si riscalda. Ciò è già avvenuto in luoghi come la Penisola Antartica, dove abbiamo osservato riscaldamento e collassi improvvisi delle piattaforme glaciali negli ultimi decenni. Le proiezioni del nostro modello mostrano che livelli simili di fusione potrebbero verificarsi su tutta la costa dell’Antartide verso la fine di questo secolo, sollevando preoccupazioni sul futuro della stabilità della piattaforma glaciale”. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Geoscience, si è basato su osservazioni satellitari della fusione del ghiaccio di superficie e sulle simulazioni climatiche fino all’anno 2100. Lo studio ha mostrato che se le emissioni di gas serra continuassero al tasso attuale, le piattaforme glaciali dell’Antartide sarebbero in pericolo di collassare entro la fine del secolo.

In uno scenario di riduzione delle emissioni, la fusione del ghiaccio è stata messa sotto controllo dopo il 2050. La coautrice, dottoressa Karen Frey, della Clark University del Massachusetts, ha detto: “I dati presentati in questo studio mostrano chiaramente che la politica climatica, e quindi la traiettoria delle emissioni di gas serra durante il secolo a venire, hanno un controllo enorme sul destino futuro della superficie di fusione delle piattaforme glaciali dell’Antartide, cosa che dovremmo considerare quando valutiamo la loro stabilità a lungo termine e i contributi potenziali indiretti all’innalzamento del livello dei mari”.

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Uno specchio lontano: il bimillenario delle campagne di Cesare Germanico

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


(Immagine: una scena di battaglia che mostra le truppe Romane che combattono i Barbari. Questo rilievo è molto posteriore ai tempi di cui si parla in questo post, ma da l’idea di come queste battaglie erano viste ai tempi dei Romani: “Grande Ludovisi Altemps Inv8574” di Autore Sconosciuto – Jastrow (2006).  Concesso in licenza per il dominio pubblico via  Commons ) 

Giulio Cesare Germanico, nipote dell’Imperatore Augusto, è stato chiamato “Germanico” non perché amasse i popoli germanici, piuttosto perché è stato impegnato in una campagna spietata che fatto terra bruciata contro di loro. Ciononostante, è riuscito ad ottenere pochissimo, principalmente mostrare che l’Impero Romano, nonostante tutta la sua grandezza, non poteva conquistare la Germania

Il successo, a volte, mostra i nostri limiti più della sconfitta. E’ una lezione che i Romani hanno dovuto imparare in modo duro quando hanno cercato di soggiogare le tribù germaniche ad est del Reno, fra il primo secolo AC e il primo secolo DC. Il tentativo ha richiesto una lunga serie di campagne e, forse, il culmine è stato raggiunto 2000 anni fa, dal 14 al 16 DC, quando i Romani hanno invaso la Germania con non meno di otto legioni sotto il comando di Tiberio Claudio Nero, conosciuto come Germanico, nipote di Augusto e figlio adottivo dell’Imperatore Tiberio. Il numero totale di truppe impiegate poteva essere stato di almeno 80.000 uomini, forse vicino ai 100.000. Circa un terzo dell’intero esercito Romano. Usando un termine moderno, potremmo dire che i Romani stavano cercando di spianare i loro nemici con un rullo compressore.


In questo caso, il concetto di “spianare con un rullo compressore” può forse essere inteso in senso quasi letterale. Tacito chiarisce nei suoi “Annali” che i Romani stavano entrando in Germania con l’idea di fare qualcosa di molto diverso dal “portare la civiltà” a quei popoli primitivi. No, niente stupide idee del genere, i Romani erano lì per impartire una lezione a quei barbari. Per questo, bruciavano villaggi, massacrando chiunque, o prendendo schiavi, come dice Tacito, anche “gli indifesi per età o sesso”. Il nome di “Germanico”, evidentemente, non comportava il fatto che amasse il popolo Germanico. Di nuovo, usando un termine moderno, potremmo dire che i Romani stessero praticando una campagna per fare terra bruciata, se non una aperta campagna di sterminio.

Eppure, tutti quegli sforzi hanno ottenuto ben poco. In tre anni di campagne, le truppe di Germanico hanno vinto tutte le battaglie che hanno combattuto, ma non sono stati in grado di piegare le tribù germaniche. E il costo di mantenere così tanti uomini sul campo stava diventando insopportabile anche il il grande Impero Romano. Nel 16 DC, l’Imperatore Tiberio ha richiamato Germanico a Roma. Ha anche ordinato alle legioni di abbandonare i territori che avevano conquistato e di ritirarsi dietro alle fortificazioni lungo il Reno, dalle quali avevano iniziato le loro campagne. Germanico fu accolto trionfalmente a Roma ma, pochi anni dopo, nel 19 DC, è stato avvelenato, probabilmente dallo stesso Tiberio che temeva la concorrenza di un generale molto popolare. Così, le campagne di Germanico avevano mostrato la grandezza dell’Impero e un po’ anche i suoi limiti: c’erano alcune cose che le legioni proprio non riuscivano a fare. Quella è stata una lezione che gli Imperatori hanno compreso bene e, infatti, i Romani non hanno mai più cercato di conquistare la Germania.

Duemila anni dopo, vediamo in questi eventi remoti uno specchio lontano della nostra era. I paralleli con la nostra situazione attuale sono molti e sono sicuro che la parola “Iraq” vi sta già venendo in mente. Sì, la campagna dell’Iraq è stata una serie di vittorie, proprio come le campagne di Germanico. Ma, da un punto di vista strategico, l’Iraq moderno, proprio come la Germania di duemila anni fa, si è rivelata una conquista troppo costosa da mantenere.

Ma c’è altro da vedere in questo specchio lontano, quindi andiamo un po’ più a fondo nella storia. Per prima cosa, le campagne di germanico erano la conseguenza di una campagna fallimentare precedente: la sconfitta di Teutoburgo nel 9 DC, quando le legioni Romane sono state annientate da una coalizione di tribù germaniche. Nemmeno il loro comandante, il Console Publio Quintilio Varo, ne é uscito vivo. Teutoburgo non è stato solo un disastro, ma anche un mistero. Come può essere che le legioni Romane, non proprio dei dilettanti nella pratica dell’arte della guerra, abbiano marciato allegramente in una densa foresta dove un gran numero di guerrieri germanici le stavano aspettando per farle a pezzi?

Non mi sorprenderebbe se Varo stesso mi apparisse una di queste notti sotto forma di fantasma azzurrastro nella mia stanza da letto. Quindi, potrebbe raccontarmi la storia del perché esattamente sia stato inviato in Germania come governatore di una provincia che esisteva solo sulla carta gli avessero fornito truppe insufficienti per controllare una regione che non era mai stata realmente pacificata. In mancanza di questa apparizione, possiamo solo speculare su questa storia, ma ci vuole poca immaginazione per concludere che qualcuno, probabilmente a Roma, voleva la testa di Varo. Chiunque fosse, comunque, probabilmente non poteva immaginare che che sarebbero rotolate così tante teste in più con quella di Varo. Non lo sapremo mai con certezza, ma sappiamo che l’uomo che ha condotto Varo nella trappola nella foresta era un cittadino Romano, anche se nato in Germania. Varo è stato tradito.

So quello che state pensando. E sì, possiamo trovare un qualche tipo di parallelo con la storia moderna nell’attacco del 11 settembre alle torri gemelle a New York. Non sto discutendo di teorie del complotto, ciò che voglio evidenziare è l’analogia della reazione degli imperi antichi e moderni ad eventi che hanno entrambi percepito come una minaccia esistenziale. Proprio come i cittadini americani sono stati profondamente spaventati dagli attacchi del 11 settembre, i Romani sono stati profondamente spaventati dal disastro di Teutoburgo, che ha avuto conseguenze politiche.

La conseguenza principale della sconfitta di Teutoburgo è stata che ha fortemente rinforzato la posizione dell’Imperatore come capo militare di tutto l’Impero. Non dimenticate che all’inizio del primo secolo DC, l’idea che ci dovesse essere un imperatore alla testa dell’Impero era ancora qualcosa di nuovo e a molte persone sarebbe probabilmente piaciuto che si fosse ristabilita la Repubblica. E’ ciò che Bruto e Cassio hanno provato a fare uccidendo Giulio Cesare. Ma, dopo Teutoburgo, ristabilire la repubblica è diventato del tutto fuori questione. Probabilmente avrete sentito parlare di Svetonio che riporta che l’Imperatore Augusto, apprendendo della sconfitta di Varo, avrebbe camminato senza meta di notte nel suo palazzo, mormorando “Varo, Varo, rendimi le mie legioni!”. Quello è stato un bel colpo di propaganda da parte di Augusto, un politico consumato. Mostrandosi così preoccupato, Augusto si posizionava come difensore dell’Impero contro la minaccia dei barbari.

Non solo Teutoburgo ha rinforzato il ruolo degli Imperatori, le campagne di Germanico ne hanno rinforzato l’effetto ancora di più. Se Teutoburgo aveva mostrato che le tribù germaniche erano la minaccia esistenziale dell’Impero, allora il fallimento di Germanico ha mostrato che non potevano essere distrutte. Il risultato è stato che l’Impero si è messo in una condizione di guerra a lungo termine. Ciò ha generato l’equivalente del nostro complesso militare-industriale attuale: un esercito permanente ed una serie di fortificazioni lungo i confini imperiali. E’ stato un buon affare per i contraenti militari dei tempi dei Romani ma, a lungo termine, l’Impero si è dissanguato per mantenere i colossali lavori di difesa che aveva costruito. Prima di Teutoburgo, l’esercito Romano aveva prodotto ricchezza in conseguenza della conquista di terre straniere. Dopo Teutoburgo, l’esercito è diventato un distruttore di ricchezza che costava molto di più di quello che produceva, come le campagne di Germanico hanno dimostrato chiaramente. Col passare del tempo, l’Impero Romano è diventato sempre più debole, ma si è ostinatamente rifiutato di ammetterlo ed accettare i barbari in ruoli che non fossero di mercenari o schiavi.

Quattro secoli dopo la battaglia di Teutoburgo e le campagne di Germanico, un’imperatrice illuminata, Galla Placidia, ha rotto le regole in un coraggioso tentativo di rivitalizzare un impero morente. Ha sposato un re barbaro ed ha cercato di dare inizio ad una nuova dinastia che avrebbe fuso gli elementi germanici e latini dell’Impero. Non ha avuto successo; era troppo tardi ed era troppo per una sola persona. L’Impero Romano ha dovuto seguire il proprio ciclo e la fine del ciclo è stata la sua scomparsa, un cimelio del passato che non aveva più ragione di esistere.

Questo è il destino degli imperi e delle civiltà che, come dice Toynbee, muoiono più che altro perché si suicidano. Così è stato per i Romani, il nostro specchio lontano. Uno specchio oscuro ma, molto probabilmente, il nostro destino non sarà molto diverso.

___________________

Vedete anche http://cassandralegacy.blogspot.it/2015/09/fortress-europe-wall-to-keep-foreigners.html

Notate anche che ho creato un nuovo blog “A Distant Mirror” perché faccia da deposito di tutti i post qui pubblicati che hanno a che fare con la storia Romana. E’ ancora in fase di riempimento.

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Uno specchio lontano: il bimillenario delle campagne di Cesare Germanico

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


(Immagine: una scena di battaglia che mostra le truppe Romane che combattono i Barbari. Questo rilievo è molto posteriore ai tempi di cui si parla in questo post, ma da l’idea di come queste battaglie erano viste ai tempi dei Romani: “Grande Ludovisi Altemps Inv8574” di Autore Sconosciuto – Jastrow (2006).  Concesso in licenza per il dominio pubblico via  Commons ) 

Giulio Cesare Germanico, nipote dell’Imperatore Augusto, è stato chiamato “Germanico” non perché amasse i popoli germanici, piuttosto perché è stato impegnato in una campagna spietata che fatto terra bruciata contro di loro. Ciononostante, è riuscito ad ottenere pochissimo, principalmente mostrare che l’Impero Romano, nonostante tutta la sua grandezza, non poteva conquistare la Germania

Il successo, a volte, mostra i nostri limiti più della sconfitta. E’ una lezione che i Romani hanno dovuto imparare in modo duro quando hanno cercato di soggiogare le tribù germaniche ad est del Reno, fra il primo secolo AC e il primo secolo DC. Il tentativo ha richiesto una lunga serie di campagne e, forse, il culmine è stato raggiunto 2000 anni fa, dal 14 al 16 DC, quando i Romani hanno invaso la Germania con non meno di otto legioni sotto il comando di Tiberio Claudio Nero, conosciuto come Germanico, nipote di Augusto e figlio adottivo dell’Imperatore Tiberio. Il numero totale di truppe impiegate poteva essere stato di almeno 80.000 uomini, forse vicino ai 100.000. Circa un terzo dell’intero esercito Romano. Usando un termine moderno, potremmo dire che i Romani stavano cercando di spianare i loro nemici con un rullo compressore.


In questo caso, il concetto di “spianare con un rullo compressore” può forse essere inteso in senso quasi letterale. Tacito chiarisce nei suoi “Annali” che i Romani stavano entrando in Germania con l’idea di fare qualcosa di molto diverso dal “portare la civiltà” a quei popoli primitivi. No, niente stupide idee del genere, i Romani erano lì per impartire una lezione a quei barbari. Per questo, bruciavano villaggi, massacrando chiunque, o prendendo schiavi, come dice Tacito, anche “gli indifesi per età o sesso”. Il nome di “Germanico”, evidentemente, non comportava il fatto che amasse il popolo Germanico. Di nuovo, usando un termine moderno, potremmo dire che i Romani stessero praticando una campagna per fare terra bruciata, se non una aperta campagna di sterminio.

Eppure, tutti quegli sforzi hanno ottenuto ben poco. In tre anni di campagne, le truppe di Germanico hanno vinto tutte le battaglie che hanno combattuto, ma non sono stati in grado di piegare le tribù germaniche. E il costo di mantenere così tanti uomini sul campo stava diventando insopportabile anche il il grande Impero Romano. Nel 16 DC, l’Imperatore Tiberio ha richiamato Germanico a Roma. Ha anche ordinato alle legioni di abbandonare i territori che avevano conquistato e di ritirarsi dietro alle fortificazioni lungo il Reno, dalle quali avevano iniziato le loro campagne. Germanico fu accolto trionfalmente a Roma ma, pochi anni dopo, nel 19 DC, è stato avvelenato, probabilmente dallo stesso Tiberio che temeva la concorrenza di un generale molto popolare. Così, le campagne di Germanico avevano mostrato la grandezza dell’Impero e un po’ anche i suoi limiti: c’erano alcune cose che le legioni proprio non riuscivano a fare. Quella è stata una lezione che gli Imperatori hanno compreso bene e, infatti, i Romani non hanno mai più cercato di conquistare la Germania.

Duemila anni dopo, vediamo in questi eventi remoti uno specchio lontano della nostra era. I paralleli con la nostra situazione attuale sono molti e sono sicuro che la parola “Iraq” vi sta già venendo in mente. Sì, la campagna dell’Iraq è stata una serie di vittorie, proprio come le campagne di Germanico. Ma, da un punto di vista strategico, l’Iraq moderno, proprio come la Germania di duemila anni fa, si è rivelata una conquista troppo costosa da mantenere.

Ma c’è altro da vedere in questo specchio lontano, quindi andiamo un po’ più a fondo nella storia. Per prima cosa, le campagne di germanico erano la conseguenza di una campagna fallimentare precedente: la sconfitta di Teutoburgo nel 9 DC, quando le legioni Romane sono state annientate da una coalizione di tribù germaniche. Nemmeno il loro comandante, il Console Publio Quintilio Varo, ne é uscito vivo. Teutoburgo non è stato solo un disastro, ma anche un mistero. Come può essere che le legioni Romane, non proprio dei dilettanti nella pratica dell’arte della guerra, abbiano marciato allegramente in una densa foresta dove un gran numero di guerrieri germanici le stavano aspettando per farle a pezzi?

Non mi sorprenderebbe se Varo stesso mi apparisse una di queste notti sotto forma di fantasma azzurrastro nella mia stanza da letto. Quindi, potrebbe raccontarmi la storia del perché esattamente sia stato inviato in Germania come governatore di una provincia che esisteva solo sulla carta gli avessero fornito truppe insufficienti per controllare una regione che non era mai stata realmente pacificata. In mancanza di questa apparizione, possiamo solo speculare su questa storia, ma ci vuole poca immaginazione per concludere che qualcuno, probabilmente a Roma, voleva la testa di Varo. Chiunque fosse, comunque, probabilmente non poteva immaginare che che sarebbero rotolate così tante teste in più con quella di Varo. Non lo sapremo mai con certezza, ma sappiamo che l’uomo che ha condotto Varo nella trappola nella foresta era un cittadino Romano, anche se nato in Germania. Varo è stato tradito.

So quello che state pensando. E sì, possiamo trovare un qualche tipo di parallelo con la storia moderna nell’attacco del 11 settembre alle torri gemelle a New York. Non sto discutendo di teorie del complotto, ciò che voglio evidenziare è l’analogia della reazione degli imperi antichi e moderni ad eventi che hanno entrambi percepito come una minaccia esistenziale. Proprio come i cittadini americani sono stati profondamente spaventati dagli attacchi del 11 settembre, i Romani sono stati profondamente spaventati dal disastro di Teutoburgo, che ha avuto conseguenze politiche.

La conseguenza principale della sconfitta di Teutoburgo è stata che ha fortemente rinforzato la posizione dell’Imperatore come capo militare di tutto l’Impero. Non dimenticate che all’inizio del primo secolo DC, l’idea che ci dovesse essere un imperatore alla testa dell’Impero era ancora qualcosa di nuovo e a molte persone sarebbe probabilmente piaciuto che si fosse ristabilita la Repubblica. E’ ciò che Bruto e Cassio hanno provato a fare uccidendo Giulio Cesare. Ma, dopo Teutoburgo, ristabilire la repubblica è diventato del tutto fuori questione. Probabilmente avrete sentito parlare di Svetonio che riporta che l’Imperatore Augusto, apprendendo della sconfitta di Varo, avrebbe camminato senza meta di notte nel suo palazzo, mormorando “Varo, Varo, rendimi le mie legioni!”. Quello è stato un bel colpo di propaganda da parte di Augusto, un politico consumato. Mostrandosi così preoccupato, Augusto si posizionava come difensore dell’Impero contro la minaccia dei barbari.

Non solo Teutoburgo ha rinforzato il ruolo degli Imperatori, le campagne di Germanico ne hanno rinforzato l’effetto ancora di più. Se Teutoburgo aveva mostrato che le tribù germaniche erano la minaccia esistenziale dell’Impero, allora il fallimento di Germanico ha mostrato che non potevano essere distrutte. Il risultato è stato che l’Impero si è messo in una condizione di guerra a lungo termine. Ciò ha generato l’equivalente del nostro complesso militare-industriale attuale: un esercito permanente ed una serie di fortificazioni lungo i confini imperiali. E’ stato un buon affare per i contraenti militari dei tempi dei Romani ma, a lungo termine, l’Impero si è dissanguato per mantenere i colossali lavori di difesa che aveva costruito. Prima di Teutoburgo, l’esercito Romano aveva prodotto ricchezza in conseguenza della conquista di terre straniere. Dopo Teutoburgo, l’esercito è diventato un distruttore di ricchezza che costava molto di più di quello che produceva, come le campagne di Germanico hanno dimostrato chiaramente. Col passare del tempo, l’Impero Romano è diventato sempre più debole, ma si è ostinatamente rifiutato di ammetterlo ed accettare i barbari in ruoli che non fossero di mercenari o schiavi.

Quattro secoli dopo la battaglia di Teutoburgo e le campagne di Germanico, un’imperatrice illuminata, Galla Placidia, ha rotto le regole in un coraggioso tentativo di rivitalizzare un impero morente. Ha sposato un re barbaro ed ha cercato di dare inizio ad una nuova dinastia che avrebbe fuso gli elementi germanici e latini dell’Impero. Non ha avuto successo; era troppo tardi ed era troppo per una sola persona. L’Impero Romano ha dovuto seguire il proprio ciclo e la fine del ciclo è stata la sua scomparsa, un cimelio del passato che non aveva più ragione di esistere.

Questo è il destino degli imperi e delle civiltà che, come dice Toynbee, muoiono più che altro perché si suicidano. Così è stato per i Romani, il nostro specchio lontano. Uno specchio oscuro ma, molto probabilmente, il nostro destino non sarà molto diverso.

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Vedete anche http://cassandralegacy.blogspot.it/2015/09/fortress-europe-wall-to-keep-foreigners.html

Notate anche che ho creato un nuovo blog “A Distant Mirror” perché faccia da deposito di tutti i post qui pubblicati che hanno a che fare con la storia Romana. E’ ancora in fase di riempimento.

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