Effetto Cassandra

Le grandi promesse dell’accordo climatico di Parigi minate da squallide limitazioni

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Di George Monbiot

Finché i governi non si impegnano a tenere i combustibili fossili nel sotto terra continueranno a minare l’accordo che hanno appena sottoscritto

La conferenza sul cambiamento climatico COP21 dell’ONU a Parigi. Qualsiasi cosa accada adesso, non saremo visti di con benevolenza dalle generazioni successive. Foto: Christophe Petit Tesson/EPA 

In confronto a come poteva essere, è un miracolo. In confronto a cosa doveva essere, è un disastro.

Dentro la stretta cornice entro la quale si sono svolti i colloqui, la bozza di accordo dei colloqui sul clima di Parigi è un grande successo. Il sollievo e l’autocompiacimento con cui è stato salutato il testo finale, riconosce il fallimento di Copenhagen di sei anni fa, dove i negoziati sono andati avanti terribilmente oltre il tempo prestabilito prima di collassare. L’accordo di Parigi attende ancora un’adozione formale, ma la sua aspirazione al limite di 1,5°C di riscaldamento globale, dopo il rifiuto di questa richiesta per così tanti anni, può essere visto all’interno della sua cornice come una clamorosa vittoria. Rispetto a questo ed altri, il testo finale è più forte di quanto la maggior parte delle persone ha previsto.

Fuori dalla cornice si presenta come qualcos’altro. Dubito che i negoziatori credano che non ci saranno più di 1,5°C di riscaldamento globale grazie a questi colloqui. Coma riconosce anche il preambolo dell’accordo, anche quello dei 2°C, in vista delle deboli promesse che i governi hanno portato a Parigi, è fortemente ambizioso. Anche se negoziati da alcune nazioni in buona fede, è probabile che i risultati reali ci condannino a livelli di crollo climatico che saranno pericolosi per tutti e letali per alcuni. I nostri governi parlano di non gravare le future generazioni col debito. Ma si sono appena accordati per gravare i nostri successori con una eredità molto più pericolosa: il biossido di carbonio prodotto dalla combustione ripetuta di combustibili fossili e gli impatti a lungo termine che questo eserciterà sul clima globale. Con 2°C di riscaldamento, grandi parti della superficie del mondo diventeranno meno abitabili. E’ probabile che le persone di queste regioni affrontino estremi più violenti: siccità peggiori in alcuni luoghi, alluvioni peggiori in altri, tempeste più grandi e, potenzialmente, impatti gravi sulle forniture alimentari. Le isole e i distretti costieri in molte parti del mondo sono a rischio di scomparire sotto le onde.

Il Sole può raffreddare la Terra?

Una combinazione di mari che si acidificano, morte dei coralli e fusione dell’Artico significa che l’intera catena alimentare marina potrebbe collassare. Sulla terraferma, le foreste pluviali potrebbero ritirarsi, i fiumi seccarsi e i deserti allargarsi. L’estinzione di massa è probabile che sia la caratteristica della nostra era. E’ così che si manifesterà il successo come è stato definito dai delegati plaudenti. E il fallimento, anche se nei loro termini? Be’, anche questo è plausibile. Mentre le prime bozze specificavano date e percentuali, il testo finale mira solo a “raggiungere il picco globale delle emissioni di gas serra il prima possibile”. Il che può significare tutto e niente. Onestamente, il fallimento non appartiene ai colloqui di Parigi, ma a tutto il processo. Un massimo di 1,5°C, ora un’aspirazione ed un obbiettivo improbabile, era eminentemente raggiungibile quando la conferenza sul cambiamento climatico dell’ONU si è svolta a Berlino nel 1995. Due decenni di procrastinazione, causati dalla lobby dei combustibili fossili – palesemente, segretamente e spesso addirittura in modo sinistro –  accoppiata con la riluttanza dei governi nello spiegare ai loro elettorati che il pensiero a breve termine ha costi a lungo termine, fanno s^ che la finestra di opportunità ora è chiusa per tre quarti. I colloqui di Parigi sono i migliori che ci siano mai stati. E questo è un atto d’accusa terribile.


Persone vestite come orsi polari che dimostrano vicino alla Torre Eiffel a Parigi, durante la COP21. Foto: Matt Dunham/AP 

Per quanto il risultato sia progressivo in confronto a tutto quello che è successo prima, ci lascia un accordo quasi comicamente sbilenco. Mentre i negoziati su quasi tutti gli altri pericoli globali cercano di affrontare entrambi i lati del problema, il processo climatico dell’ONU si è concentrato interamente sul consumo di combustibili fossili, ignorando la loro produzione. A Parigi i delegati hanno solennemente convenuto di tagliare la domanda, ma a casa cercano di massimizzare l’offerta. Il governo britannico ha persino imposto un obbligo legale a sé stesso, nella Legge sulle Infrastrutture del 2015, per “massimizzare la ripresa economica” del petrolio e del gas britannici. L’estrazione di combustibili fossili è una dura realtà. Ma l’accordo di Parigi è pieno di realtà morbide: promesse che possono scivolare via o svanire. Finché i governi non si impegnano a tenere i combustibili fossili nel sotto terra continueranno a minare l’accordo che hanno appena sottoscritto. Con Barack Obama alla Casa Bianca ed un governo dirigista che sovrintende i negoziati di Parigi, questo probabilmente è il meglio che possa andare. Nessuno probabile successore del presidente degli Stati Uniti mostrerà lo stesso impegno. In paesi come il Regno Unito, le grandi promesse fatte all’estero sono minate da squallide limitazioni interne. Qualsiasi cosa accada adesso, non saremo visti di con benevolenza dalle generazioni successive. Quindi sì, lasciamo che i delegati si congratulino fra loro su un accordo migliore delle attese. E lasciamoglielo mitigare con delle scuse a tutti coloro che il trattato tradirà.

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Il post-capitalismo incipiente?

di Jacopo Simonetta

In Europa occidentale dove è nato, Il capitalismo è vecchio ormai di 300 anni.   Non moltissimi in una prospettiva storica, ma comunque una rispettabile età.   Durante questo ormai lungo periodo è stato dato per spacciato varie volte, ma sempre ha trovato il modo di cavarsela e, anzi, uscire dalla crisi più forte di prima.    Direi anzi che la principale caratteristica di questo singolare sistema socio-economico è la sua incredibile resilienza.   La sua capacità, cioè, di reagire alle difficoltà rilanciando ogni volta la sua scommessa ad un livello più alto.   Se mai è esistita una filosofia politica della rivoluzione permanente, questa è proprio il capitalismo.

“Si dissolvono tutti i rapporti sociali stabili e fissi, con il loro seguito di concezioni e di idee tradizionali e venerabili; i nuovi rapporti invecchiano prima di essere consolidati.  Qualsiasi elemento di gerarchia sociale e di stabilità di casta se ne va in fumo, tutto ciò che era sacro è profanato”.   Non lo scrivono Balzac o il Conte di Chambord parlando del socialismo; lo scrive Marx nel 1848 riferendosi al capitalismo.

Tra i fattori che concorrono a questo straordinario risultato, direi che i principali sono i seguenti:

1. Fa appello ai peggiori istinti di ognuno, quali l’avidità e l’egoismo.  Una volta un mio amico, sostenitore convinto del capitalismo, ne condensò così la natura: “L’istinto naturale dell’uomo è fregare il prossimo e questo è un sistema con il quale ognuno, tirando a fregare gli altri, senza saperlo fa il bene comune”.    Si può dissentire, ovviamente, ma è un fatto che molti tentativi di opporsi al capitalismo sono falliti perché chiedevano alla cittadinanza un livello ed una costanza morale che non erano alla portata dei più.

2. E’ acefalo.   Malgrado la passione di molti per “il nuovo ordine mondiale” ed i complotti, la forza del capitalismo risiede proprio nel fatto che si comporta come un “branco acefalo”.   Questo significa che i suoi centri di comando e controllo non possono essere colpiti perché non esistono, oppure possono essere continuamente corto-circuitati o sostituiti.   Alcune realtà che si sviluppano su internet funzionano sullo stesso principio e, difatti, sono molto difficili da contrastare.   Chi vuol capire come funziona faccia una gita in campagna ed osservi molto attentamente come si muovono i voli di storni all’imbrunire.   Anche lo storno è un animale estremamente resiliente, come il capitalista.

3. E’ onnivoro.   Il capitalismo si può nutrire di praticamente qualunque cosa esista, reale o virtuale che sia.   Nessun altro sistema vivente riesce a tanto.

4. E’ inclusivo e proteiforme.   Chiunque e qualunque cosa riesca ad acquisire una fetta di potere sufficientemente interessante, viene automaticamente cooptato nel sistema, senza che se ne renda neanche conto.   Questo vale per le persone e le organizzazioni, ma anche per le idee.   Si pensi a come le parole d’ordine dell’ambientalismo siano diventate quelle della pubblicità consumista.   Ma il fatto importante è che ciò non avviene per a seguito di un piano prestabilito, bensì per la natura stessa del capitalismo che è capace di assorbire e fare propria qualunque cosa possa essere usata.
Dal punto di vista di chi gli si vuole opporre, l’unico modo per non far parte del sistema è l’estrema marginalizzazione.   Ma in questo modo si perde completamente la possibilità di influire sul corso attuale degli eventi.

Dunque il capitalismo è una macchina termodinamica e culturale praticamente perfetta che, finora, si è dimostrata invulnerabile ed inarrestabile.   Ma proprio questa sua capacità di superare ogni limite potrebbe essere la sua condanna finale.   Il capitalismo è strutturato infatti in modo che non può sopravvivere in uno stato di equilibrio dinamico.   Il capitalismo o cresce o muore.

Dunque l’unica cosa che può distruggere il capitalismo è sé stesso, semplicemente esaurendo le risorse di cui vive ed avvelenando il mondo di cui fa parte.   Perché, per quanto possa utilizzare praticamente tutto, ci sono comunque dei limiti che non possono essere superati: quelli del Pianeta. Una volta che l’impatto con questi limiti avrà chiuso definitivamente ogni possibilità di ulteriore crescita, il capitalismo morirà da solo.   E ci sono buone ragioni per credere che questo momento sia abbastanza vicino.

Guarda caso, nessun nemico si profila all’orizzonte per sfidare il vecchio, ma il flusso di energia e materia che lo alimenta comincia a rallentare, mentre l’atmosfera, i suoli ed i mari stanno diventando inquietanti.   Il mantenimento dell’ipertrofica infrastruttura di cui si è dotato diviene problematica, come quello di un numero demenziale di persone che si guardano intorno sempre più smarrite, senza capire perché.

Sarà la volta buona?   Lo vedremo, intanto stanno sorgendo piccole ma agguerrite pattuglie di persone che cercano di capire quale sistema prenderà il posto del capitalismo, una volta conclusa la sua lunga e dolorosa agonia.

Un campo che trovo particolarmente interessante e, nel quale, segnalo questo articolo,   Mapping the Emerging Post-Capitalist Paradigm and its Main Thinkers 

Non dice niente che non si fosse già sentito tante volte, ma ha il merito di riassumere in una bella grafica “lo stato dell’arte” in materia di pensiero post-capitalista.   Dunque ne consiglio senz’altro la lettura e, soprattutto, consiglio di scaricare e conservare le grafiche, possono essere molto utili per orientarsi.   Non per nulla sono etichettate come “mappe”.

Tuttavia, non condivido lo spirito dell’articolo, né molte delle cose che vi si affermano.   In particolare, vorrei qui discutere molto brevemente i tre punti critici che, secondo gli autori, la nostra società starebbe attraversando:

Cambio di ordine sociale.  Da una società centralizzata e gerarchica ad una società organizzata orizzontalmente, decentralizzata e funzionante “dal basso verso l’alto”. Per ora nessun paese veramente capitalista è entrato in una fase successiva, ma i crescenti scricchiolii che si odono dalle fondamenta del sistema non suggeriscono ottimismo nel futuro a breve e medio-termine.   Del resto, in alcuni paesi che già sono entrati in una fase post-capitalista (Siria, Libia Iraq, Yemen fra gli altri) si assiste effettivamente alla disintegrazione delle strutture statali e sovra-statali.   Ma ciò che sorge è una miriade di gruppi e gruppuscoli, ognuno dei quali fortemente militarizzato, che combattono per accedere alle scarse risorse sfuggite alla digestione del sistema precedente.

Cambio di struttura economica.  Al posto di organizzazioni grandi e burocratizzate che producono grandi quantità di oggetti a buon mercato, nella nuova economia digitale è possibile sviluppare prodotti e servizi localmente e su piccola scala. La nuova economia digitale, qualunque cosa sia o sarà, necessita di un flusso costante ed abbondante di energia, oltre che di un costante ricambio di oggetti ad altissimo contenuto tecnologico (computers, Iphones, stampanti tridimensionali, servers e moltissimo ancora).   Tutta roba che solo l’economia capitalista attuale può essere in grado (per ora) di produrre in quantità massicce ed a prezzi arrivabili.

Cambio nei rapporti di potere.   Un tempo l’influenza politica e le economie di scala determinavano l’accesso alle risorse, alle conoscenze ed alle informazioni.   Conoscenze ed informazioni sono adesso accessibili al di fuori delle istituzioni politiche.   Ciò permetterà lo sviluppo di economie basate su conoscenze liberamente condivise. E’ vero che in rete si trova condivisa una miriade di informazioni di ogni livello e qualità.   Ma nessuno posta informazioni che possano avere un interesse commerciale e perfino le informazioni scientifiche sono spesso disponibili solo a pagamento.   E neanche sempre.   Per essere chiari, in internet si trovano miriadi di filmati che insegnano a coltivare le rape, ma nessun softwhere per la progettazione di una turbina moderna.   Certo, l’economia del futuro potrebbe essere fatta solo di ortaggi ed oggetti artigianali e  ci sono buone ragioni per pensarla così.   Ma questo significa che saremo in un’economia più o meno di sussistenza e, comunque, del tutto priva di gadget tecnologici.
Inoltre, quando anche disponibili, le informazioni sono utili solo se si dispone anche dell’energia e della materia per metterle in pratica.   Altrimenti servono a poco.

Dunque il capitalismo sta davvero morendo?   Forse, ma io credo che sia ancora presto per vendere la pelle dell’orso.    Siamo d’accordo che stavolta il vecchio è in un angolo molto stretto, ma ci ha già sorpresi più di una volta.   Inoltre, ammesso che il capitalismo davvero muoia, non credo proprio che un sistema sostitutivo potrà sorgere a breve termine e pacificamente.   Non è mai successo nella storia.  Alla fine di un sistema consolidato segue sempre un lungo periodo di disastri naturali e non.   Non a caso, almeno tre dei  quattro cavalieri di cui parla S. Giovanni, sono degli habitué del nostro pianeta.

La mia opinione è che il “nuovo mondo”, bello o brutto che sarà, potrà sorgere solo dopo che sarà conclusa la putrefazione di quello vecchio ed i cavalieri si saranno presi un po’ di ferie.   Paracelso sosteneva che la vita nuova nasce dalla putrefazione di ciò che era precedentemente morto.   Riferendosi a singoli organismi aveva certamente torto, ma parlando di sistemi sociali, forse, aveva ragione.

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Il picco del diesel: revisione del 2015

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

Di Antonio Turiel

Cari lettori,

qualche giorno fa è arrivata la notizia ai principali mezzi di comunicazione: alcuni motori a gasolio delle automobili prodotte dalla Volkswagen erano truccati con un software complicato ed ingegnoso che faceva in modo di far rilevare all’automobile quando era sottoposta ad un’analisi di controllo delle emissioni contaminanti e, in quel caso, cambiare il suo regime di funzionamento per poter superare convenientemente la prova. In condizioni di funzionamento normali, il fumo di queste automobili potrebbe arrivare ad avere una concentrazione, per quanto riguarda alcuni inquinanti, fino a 40 volte superiore al limite consentito dalle norme statunitensi e di diverse volte rispetto a quelle europee. Si sta ancora valutando l’impatto che avrà questo scandalo, ma è possibile che comporterà costi enormi per l’azienda tedesca (che dovrà disinstallare il software fraudolento da milioni di automobili). Inoltre, l’azienda di bandiera tedesca e principale produttrice di automobili del mondo, ha di fronte sanzioni economiche di diverse migliaia di milioni di dollari che, insieme al degrado dell’immagine del marchio e la conseguente riduzione delle vendite, potrebbe portare la Volkswagen al fallimento e persino al degrado dell’immagine di tutta l’industria tedesca. Una conseguenza più diretta della caduta della Volkswagen è che potrebbe trascinare con se il settore finanziario tedesco e questo a sua volta potrebbe generare una crisi finanziaria europea per effetto domino. Questa crisi non potrebbe arrivare in un momento peggiore, poiché i sintomi di una recessione globale imminente sono ogni giorno più evidenti. Se l’Europa barcollasse nei prossimi mesi, la caduta sarebbe più forte e prolungata. Pertanto ci troviamo di fronte ad una crisi molto più seria di quanto non si voglia riconoscere.


Alcuni esperti hanno osservato, a ragione, che la frode è generalizzata e riguarda tutte le marche, perché semplicemente un’automobile diesel non può soddisfare le specifiche americane  e che in realtà tutti i costruttori in un modo o nell’altro truccano le automobili perché superino i test. La denuncia del governo degli Stati Uniti sarebbe quindi piuttosto ipocrita ed una dimostrazione di protezionismo commerciale, un tentativo di proteggere la sua industria locale dalla marca tedesca, che si trovava in un’ascesa inarrestabile.

A me questa spiegazione sembra molto ragionevole, ma trovo che continui ad essere curioso quanto si stia insistendo nei media, sfruttando questa crisi, sul fatto che il diesel sia molto inquinante. Poiché il fatto che i motori diesel sono molto più inquinanti, soprattutto per quanto riguarda il particolato nocivo, rispetto ai motori a benzina è una fatto ben conosciuto da tempo, anche ora che i progressivi miglioramenti hanno fatto sì che le loro emissioni si siano ridotte moltissimo. Si sa anche che, coi progressi dei motori a scoppio, un motore diesel che abbia un volume di emissioni accettabile in accordo con gli attuali standard non ha una migliore economia di combustibile di uno a benzina, il che rende meno giustificabile il suo uso (visto che i motori diesel sono più cari). Niente di tutto ciò è nuovo ma, qualsiasi sia il motivo, si è fatto finta di niente. Finché non si è scoperchiato questo inganno a marchio tedesco ed è stato fatto in modo tale da mettere in pericolo non solo la continuità di una grande casa automobilistica, ma quella di tutte quelle che operano nel settore delle automobili diesel, non appena si indagherà un po’ e si mostrino le vergogne di tutti (nel link che ho fornito più in alto sono mostrati i risultati dello studio ufficiale in condizioni più realistiche e che dimostrano che la Volkswagen non sono, neanche lontanamente, i diesel più inquinanti).

La formidabile messa in scena di questo scandalo sembrerebbe essere destinata a sradicare le automobili diesel e di fronte a questo non sono pochi i lettori di questo blog che avranno ricordato un post di tre anni fa dall’eloquente titolo de “Il picco del diesel”. In quel post si spiegava che, a causa del fatto che già da tempo è stato superato il picco del petrolio greggio convenzionale e che la maggior parte degli altri idrocarburi liquidi non servono per la raffinazione del gasolio, ci saremmo trovati col fatto che il massimo della produzione del gasolio sarebbe giunto qualche anno prima di quello di tutti i liquidi del petrolio. Sono già passati tre anni e mi è sembrato interessante rivisitare i dati per vedere cos’è successo nel frattempo e fino a che punto ci troviamo già realmente al picco del diesel o se lo abbiamo superato.

Nel grafico che vedete al di sotto di queste righe mostro (linea verde) quale è stata l’evoluzione della produzione di olio combustibile e di gasolio negli ultimi anni.

I dati sono tratti, come nel post di tre anni fa, dal database della Joint Oil Data Initiative (JODI). Per un confronto con quello che dicevo tre anni fa, ho riprodotto lo stesso grafico di allora (linea rossa). I dati più recenti vanno da gennaio del 2005 a luglio 2015, mentre i dati di tre anni fa andavano dal 2002 al 2012, cosicché si sovrappongono nel periodo dal 2005 al 2012. In entrambi i casi i dati sono stati destagionalizzati, cioè il valore mostrato in ogni momento non è la produzione media del mese in questione, ma della media dei 12 mesi immediatamente precedenti. Si fa questo perché ci sono momenti in cui si consuma di più (di solito nell’inverno dell’emisfero nord) e momenti in cui si consuma meno (l’estate settentrionale). In questo modo si vede più chiaramente la tendenza durante l’anno. La curva che ho mostrato nel 2012 si presenta più irregolare e fluttuante di quella che ho usato nel 2015, perché allora ho usato dati trimestrali e ora i dati sono mensili ed anche perché in questo momento ho analizzato la produzione delle raffinerie, mentre allora avevo misurato il consumo. In ogni caso, si vede che le due curve riproducono, nel periodo di sovrapposizione, lo stesso modello qualitativo, dal quale è utile evidenziare la brusca caduta di produzione nel 2008 e la ripresa della stessa dal 2010. Verso il 2012, quando ho scritto il post, la produzione di olio combustibile e di gasolio era piuttosto stagnante. Il nuovo grafico mostra che, tuttavia, la produzione è tornata a crescere nel 2012 e nel 2013, ma dall’inizio del 2014 si trova praticamente stagnante e, durante gli ultimi mesi e nel 2015 si osserva una timida discesa.

La fase attuale, in cui non c’è stata crescita netta della produzione destagionalizzata di olio combustibile e gasolio, dura già da 18 mesi, il periodo più lungo degli ultimi anni se escludiamo il periodo 2008-2009. Tuttavia, e in contrasto col periodo 2008-2009, non si è verificata nessuna crisi economica che giustifichi questa stagnazione. Senza dubbio, il problema del difetto di domanda di petrolio (denominata dagli “esperti” “eccesso di offerta”) ha un certo impatto su questa tendenza, ma siccome sto prendendo i dati medi dei 12 mesi precedenti ad ogni momento, questo effetto acquisisce tutta la sua forza negli ultimi mesi della serie e sicuramente è ciò che spiega la piccola diminuzione della produzione degli ultimi punti della linea verde.

Come nel 2012, continua ad essere prematuro affermare che siamo giunti al massimo produttivo del diesel (di fatto, nel 2012 questa affermazione non era sicura). Tuttavia, l’attuale stagnazione si sta rivelando più duratura di quella del 2012. L’attuale sprofondamento della domanda di materie prime, prologo di una grande recessione mondiale che è già in corso, sta facendo sì che le grandi aziende petrolifere riducano ancora di più il loro investimento in esplorazione e sviluppo e questo condizionerà la produzione di ogni tipo di idrocarburi liquidi, in particolare quella del petrolio greggio. Di fatto, è facile prevedere che la produzione di gasolio comincerà a diminuire tanto rapidamente quanto quella del greggio convenzionale, il quale, di fatto, sappiamo che sta già scendendo. A questo proposito, il miraggio costituito dal petrolio da fracking negli Stati Uniti non cambia affatto la situazione, in primo luogo perché il petrolio leggero di roccia compatta (LTO, Light Tight Oil) che si estrae con questo metodo non serve a produrre gasolio e in secondo luogo, come abbiamo già detto, perché la produzione di LTO sta già diminuendo negli Stati Uniti. Di fatto, la produzione di tutti i tipi di idrocarburi liquidi fossili è già diminuita negli Stati Uniti, ad oggi, di più di mezzo milione di barili al giorno rispetto al suo massimo di tre mesi fa:

E’ in questo contesto che si deve collocare l’iniziativa della Francia di sopprimere tutte le automobili diesel per il 2020 Preoccupazione ambientale? Sì, ma anche preoccupazione su come alimentare i veicoli in un mondo dove il primo combustibile di origine fossili che scarseggerà è il gasolio, senza che il biodiesel possa fare nulla per compensare questa scarsità. Rimanete vigili, poiché si approssimano cambiamenti profondi.

Saluti.

AMT

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Come costruire un aereo sicuro secondo la COP 21 di Parigi

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Negli anni 50 dello scorso secolo, una serie di incidenti ha colpito il “Comet”, un aereo che avrebbe dovuto essere una grande innovazione nel campo dell’aviazione. Le ragioni principali dei disastri possono essere attribuite alla generale atmosfera di ottimismo tecnologico che pervadeva gli anni 50 e che portava gli ingegneri a sopravvalutare le loro capacità. Il Comet è stata una dura lezione da imparare, ma è stata imparata. Oggi, l’industria è estremamente prudente e gli aerei moderni sono di gran lunga più sicuri di quanto non fossero in passato. 

Anni di lavoro sui materiali per i motori a turbina mi hanno insegnato quanto sia attenta l’industria aerospaziale riguardo alla sicurezza dei propri prodotti. Naturalmente, nessuno vuole pensare agli incidenti aerei, nemmeno gli ingegneri aerospaziali, ma lo devono fare, Non esistono “allarmisti” nell’industria aerospaziale. Così, l’industria aerospaziale è estremamente prudente ed attenta, niente va a finire dentro un aereo a meno che non abbia superato test rigorosi ed abbia definitivamente dimostrato di essere sicuro e conforme alle specifiche. E’ questo che rende il trasporto aereo uno dei sistemi di trasporto più sicuri esistenti.


Ora, immaginate di passare la gestione del clima terrestre agli ingegneri aerospaziali. Capirebbero rapidamente che l’ecosistema terrestre può collassare, il che significa che si può riscaldare fuori controllo in conseguenza dell’accumulo di gas serra nell’atmosfera. E questo potrebbe fare una strage sul pianeta: è successo in passato e non c’è motivo di credere che ora sia impossibile. Sarebbe l’equivalente di un grosso incidente aereo; come dicono nell’industria, la “perdita di uno scafo”. Così, se il pianeta fosse un aereo, verrebbe immediatamente bloccato a terra. La sicurezza impone che dobbiamo smettere di bruciare combustibili fossili da adesso.

Sfortunatamente, pare che le regole che valgono per l’industria aerospaziale non valgano quando si tratta di gestire l’atmosfera terrestre. Supponiamo che un aereo fosse costruito coi metodi usati a Parigi.

Come costruire un aereo sicuro secondo la COP 21 di Parigi

1. Un gran numero di politici e burocrati si riunisce in una città per decidere le specifiche dell’aereo. Gli ingegneri aerospaziali danno consigli, ma non sono i responsabili delle decisioni prese.

2. Gli ingegneri che si preoccupano del fatto che l’aereo potrebbe cadere vengono etichettati come “allarmisti” e rimossi dal processo di progettazione. I politici che non partecipano alla conferenza dichiarano che è impossibile che qualsiasi aereo possa mai cadere e che le preoccupazioni sugli incidenti aerei sono solo il risultato della lobby degli ingegneri aerospaziali in cerca di sovvenzioni.

3. Le specifiche dell’aereo, la velocità, la portata, la dimensione, ecc. vengono decise per mezzo di un dibattito politico, mentre degli attivisti marciano per le strade per chiedere aerei migliori.

4. Nessuno progetta l’aereo. Gli appaltatori forniscono le loro specifiche per ogni sottosistema (ali, motori, sistema di controllo, ecc.) in totale autonomia. Nessuno può dire se questi sottosistemi funzioneranno quando saranno messi insieme e se il risultato sarà un aereo che può volare.

5. La gestione della conferenza non ha alcun potere di modificare le proposte degli appaltatori, né di
assicurarsi che le specifiche che sono state elencate verranno realmente soddisfatte una volta che i sottosistemi vengono consegnati per l’assemblaggio.

6. La conferenza viene conclusa coi politici che dichiarano che l’aereo volerà.

7. Il primo test di volo verrà eseguito con l’aereo pieno di passeggeri.

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Ottimismo e Sovrappopolazione: come NON fermare la Crescita Demografica

di Virginia Abernethy

Articolo tratto da  “Overshoot n. 7”   Bollettino dell’Associazione Rientrodolce 

Copyright © 1994 di Virginia Abernethy. Tutti i diritti sono riservati. 
Originariamente pubblicato su The Atlantic Monthly,Dicembre 1994.
Traduzione di Carpanix


Nota: Un articolo datato, ma al netto di qualche dettaglio perfettamente attuale, a dimostrazione dell’insipienza con cui questo argomento viene trattato da decenni.

La sovrappopolazione che affligge la maggior parte delle nazioni, rimane primariamente un problema locale — come questo articolo cercherà di spiegare. Anche il controllo della riproduzione (la soluzione) è primariamente locale…


Molti studiosi, antichi e moderni, hanno sempre saputo che le reali dimensioni della famiglia sono connesse strettamente al numero di figli che la gente desidera. Paul Demeny, del Population Council, è eccezionalmente chiaro a questo proposito, e l’economista della Banca Mondiale Lant Pritchett asserisce che l’85-90% dei tassi di fecondità reali possono essere spiegati dai desideri dei genitori — non dalla mera disponibilità di contraccettivi.  Pritchett scrive che “l’imponente declino della fertilità osservato nel mondo contemporaneo è dovuto quasi interamente all’altrettanto imponente declino del desiderio di fecondità.”
Progresso e Popolazione


Dati interculturali e storici suggeriscono che la gente ha solitamente limitato le proprie famiglie in maniera coerente con la possibilità di vivere comodamente in comunità stabili.   Se lasciate indisturbate, le società tradizionali sopravvivono per lunghi periodi in equilibrio con le risorse locali.   Ogni società dura quando si mantiene entro le capacità di carico del suo ambiente.


Ma la percezione dei limiti inerenti all’ambiente locale è facilmente neutralizzata da segnali che promettono prosperità. Cito l’ultimo Georg Borgstrom, riconosciuto pluridecorato specialista in economie del Terzo Mondo, morto nel 1989, che in una pubblicazione del Population Reference Bureau del 1971, spiega:


“Molte civiltà, incluse quelle dell’India e dell’Indonesia, avevano una chiara idea dei limiti dei loro villaggi o comunità prima che l’intervento straniero corrompesse gli schemi tradizionali.  I programmi d’aiuto tecnologico li indussero a credere che l’adozione di certi avanzamenti tecnologici stesse per liberarli da questi vincoli e dalla dipendenza da queste restrizioni”.

L’espansione economica, specialmente se introdotta dall’esterno su larga scala, incoraggia la convinzione che i limiti prima riconosciuti possano essere trascurati, e che ognuno possa progredire verso la prosperità e, come in casi recenti, che si possa contare sull’Occidente come fornitore di assistenza, recupero e valvola di sfogo per la popolazione in eccesso.


La percezione di nuove opportunità, sia dovuta ad avanzamento tecnologico, espansione dei mercati, cambiamenti politici, aiuti esterni, emigrazione verso una terra più ricca o la scomparsa di competitori, incoraggia il numero.   Le famiglie riempiono avidamente ogni nicchia apparentemente più grande, e le nascite in sovrappiù che generano la conseguente crescita della popolazione, spesso vanno oltre le reali opportunità.

Crescere oltre il numero sostenibile è una minaccia onnipresente, poiché gli esseri umani prendono spunto dalle apparenti opportunità immediate, e sono facilmente ingannati dai cambiamenti.   Contando sul medio o breve termine, difficilmente si calcola la crescita a lungo termine della popolazione, i limiti all’avanzamento tecnologico futuro e la inesorabile progressione dell’impoverimento delle risorse.

La percezione dell’espansione di opportunità assume varie forme.   Negli anni ‘50, la redistribuzione dei terreni in Turchia condusse i contadini precedentemente senza terra ad incrementare significativamente le dimensioni delle loro famiglie.   Tra i pastori del Sahel Africano, i pozzi profondi per la captazione dell’acqua, trivellati dai Paesi donatori negli anni ‘50 e ’60, permisero l’allevamento di più grandi mandrie di bovini e greggi di capre, matrimoni più precoci (poiché i prezzi delle spose sono pagati in animali…), e più elevata fecondità.   


Allo stesso modo, la diffusione della coltivazione della patata in Irlanda nei primi anni del XVIII secolo, incrementò la produzione agricola e incoraggiò i contadini a suddividere le proprie fattorie in appezzamenti per i figli  i quali, per parte loro, promossero matrimoni precoci e un incremento esplosivo delle nascite.


Ancor prima, tra il VI e il IX secolo, l’introduzione in Europa della staffa, dei finimenti a collare rigido e della ferratura dei cavalli potenziarono grandemente la produzione agricola delle pianure settentrionali dell’Europa. Una migliore alimentazione aiutò a condurre l’Europa verso la ripresa economica e quindi, tra il 1050 e il 1350 circa, a triplicare la popolazione in Paesi quali l’Inghilterra e la Francia.


L’India offre un altro esempio. La sua popolazione fu quasi stabile dal 400 a.C. a circa il 1600 d.C.   Dopo la fine delle invasioni Mongole, e con l’avvento di nuove opportunità commerciali, la popolazione cominciò a crescere.   Quando il commercio Europeo offrì all’India ulteriori opportunità, la crescita della popolazione accelerò ulteriormente.   Nel 1947, dopo la liberazione dalla condizione coloniale, decollò letteralmente.   L’assistenza dell’URSS, della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale potenziarono la percezione di un futuro prospero e il tasso di crescita della popolazione continuò ad accelerare fino al 1980 circa.

Movimenti indipendentisti di successo e golpe populisti sono preminenti tra i cambiamenti che annunciano tempi migliori.   La Cina cominciò il suo interludio euforico con l’espulsione dei Nazionalisti, nel 1949.   La filosofia del Comunismo trionfante sosteneva che una grande nazione richiedeva più gente.   Il tasso di fecondità e la popolazione aumentarono drammaticamente. La popolazione del territorio principale della Cina , stimata a 559.000.000 nel 1949, crebbe fino a 654.000.000 nel 1959, laddove nei precedenti 100 anni di agitazioni politiche e guerre, il tasso medio di crescita della popolazione cinese era stato appena dello 0,3% all’anno.


Judith Banister scrive in “La popolazione cinese che cambia”:   “La fecondità cominciò a crescere verso la fine degli anni ‘40 ed era prossima o superiore alle 6 nascite per donna durante gli anni 1952-57.


Banister attribuisce l’esplosione demografica cinese alla fine della guerra e alla politica del governo che, con la riforma fondiaria del 1950-51, redistribuì la terra ai contadini ed ai fittavoli.

Cuba ebbe un’esplosione demografica quando Fidel Castro spodestò Fulgencio Batista, nel 1959.    Castro promise esplicitamente una redistribuzione delle ricchezze e, secondo i demografi S. D’az-Briquets e L. Perez, la fecondità crebbe.


D’az-Briquets e L. Perez scrivono: “Il fattore principale fu l’incremento delle entrate reali tra i gruppi più svantaggiati, favorito dalle misure di redistribuzione attuate dal governo rivoluzionario.   La crescita della fecondità nell’ambito di quasi ogni fascia d’età suggerisce che le coppie videro il futuro come più promettente e sentirono che ora si sarebbero potuti permettere più figli”.

Le popolazioni dell’Algeria, dello Zimbabwe e del Ruanda crebbero rapidamente quando le potenze coloniali partirono. L’Algeria, per esempio, ottenne l’indipendenza nel 1962, e trent’anni dopo il 70% della sua popolazione aveva meno di 30 anni d’età.


Lo Zimbabwe ottenne l’indipendenza nel 1980, e subito raggiunse uno dei maggiori tassi di crescita della popolazione del mondo.   La crescita venne incoraggiata dal Ministro della Salute che attaccò la pianificazione familiare come una “congiura del colonialismo bianco” per limitare il potere nero.

I programmi di sviluppo di grandi trasferimenti di tecnologia e di fondi verso il Terzo Mondo hanno influito perniciosamente sulle dimensioni delle famiglie.


Questo tipo d’aiuto è inappropriato, poiché segnala che ricchezza e opportunità possono aumentare senza sforzo e senza limiti. …. L’Africa, che negli ultimi decenni ha ricevuto tre volte più aiuti pro-capite di qualsiasi altro continente, ha ora anche i più alti tassi di fecondità. Durante gli anni ‘50 e ’60, la fecondità in Africa crebbe — fino a quasi sette bambini per donna — nello stesso momento in cui veniva ridotta la mortalità infantile, cresceva la disponibilità di cure, si diffondeva l’istruzione e l’ottimismo economico pervadeva sempre più ampi settori della società.   Tassi di crescita della popolazione straordinariamente elevati erano nuovi per l’Africa.

Anche l’immigrazione può influire sulla popolazione mondiale complessiva.   Studi relativi all’Inghilterra e al Galles del XIX secolo e alle popolazioni Caraibiche moderne, evidenziano che in comunità già nel pieno di una rapida crescita demografica, la fecondità rimane elevata fino a quando esiste la possibilità di emigrare, mentre declina rapidamente nelle comunità prive di questa valvola di sicurezza. E mentre i tassi di fecondità si vanno riducendo nella maggior parte dei Paesi africani, tale tasso resta alto in Ghana (6,2 nascite per donna nel 1993), forse perché l’emigrazione (l’uno per 1.000 della popolazione) fornisce una valvola di sicurezza per la quantità di popolazione in eccesso.


Questo effetto sulla fecondità è coerente con studi indipendenti secondo i quali l’emigrazione accresce le entrate sia tra coloro che emigrano sia tra coloro che rimangono.


In sostanza è vero, anche se imbarazzante dirlo, che gli sforzi per alleviare la povertà spesso stimolano la crescita della popolazione, così come il lasciare aperte le porte all’immigrazione.


I sussidi, le ricchezze inattese e la prospettiva di opportunità economiche rimuovono il bisogno di freni.   I mantra della democrazia, della redistribuzione e dello sviluppo economico, innalzano le attese e i tassi di fecondità, incoraggiando la crescita della popolazione e quindi rendendo più rapida una spirale ambientale ed economica discendente.

Nonostante tutto, alcuni esperti ed il pubblico che essi informano, credono che i tassi di fecondità siano stati tradizionalmente alti nel mondo intero e si siano ridotti solo nelle nazioni post-industriali o nei Paesi nei quali è disponibile la moderna contraccezione.

La possibilità che le maggiori dimensioni delle famiglie fossero il risultato del desiderio di avere più figli continua ad essere negato.


I demografi  negli anni ‘30 predirono un rapido declino della popolazione, poiché la bassa fecondità delle nazioni occidentali industrializzate veniva attribuita allo sviluppo e alla modernizzazione, più che al pessimismo endemico dovuto alla Grande Depressione. Continuando a non cogliere il punto, molti non riuscirono a vedere che gli alti tassi di fecondità che si ebbero dopo la Seconda Guerra Mondiale furono la risposta alla percezione dell’espansione delle possibilità economiche. L’esplosione demografica negli Stati Uniti (1947-1961) e la successiva esplosione demografica nell’Europa Occidentale colsero di sorpresa la maggior parte dei demografi.

Il messaggio della penuria


Come succede, la penuria alla quale miliardi di persone sono costretti dai limiti naturali del loro ambiente, sta cominciando a correggere le conseguenze di decenni di percezioni errate.   La retorica della modernizzazione, dello sviluppo internazionale e dell’uguaglianza sta perdendo il suo potere di inganno.   Man mano che l’Europa si dimostra incapace di alleviare le sofferenze della ex-Iugoslavia, che i Paesi ricchi in generale si dimostrano impotenti nell’aiutare le innumerevoli moltitudini lontane, diviene difficile credere nel recupero.


Ora, com’è successo molte volte nella storia dell’umanità, la riscoperta dei limiti sta risvegliando le motivazioni a ridurre le dimensioni delle famiglie.

In Irlanda nei primi anni del XIX secolo, quando i terreni divennero insufficienti lla popolazione in rapida crescita, la fecondità cominciò ad abbassarsi ai livelli dell’epoca precedente all’introduzione della patata.



Nel 1830 i due terzi circa delle donne si sposavano prima dei venticinque anni d’età. Nel 1851 solo il 10% di esse si sposava così giovane — un drastico rinvio del matrimonio fu la risposta alla carestia della patata del 1846-1851.

Dopo una breve ripresa, non più del 12% si sposava prima del venticinquesimo anno d’età.   L’uso di contrarre matrimoni tardivi rersistette dal 1890 circa fino alla Seconda Guerra Mondiale.



Negli Stati Uniti l’esplosione demografica terminò all’incirca nel momento in cui il mercato del lavoro cominciò ad essere saturo.   Dopo lo shock petrolifero del 1973 il tasso di fecondità crollò al di sotto dei livelli di sostituzione e molti dei redditi reali degli Americani cessarono di crescere.



Nella Cina post-rivoluzionaria, l’incremento della popolazione proseguì fino a quando la carestia.   Impose un confronto con i limiti oggettivi.   Nel 1979, consapevole delle gravi carenze alimentari, il governo istituì la politica del “un-figlio-per famiglia”, riproponendo così i controlli delle restrittive abitudini matrimoniali e riproduttive pre-comuniste.



A Cuba, l’esplosione demografica ispirata da Castro, lasciò il posto a una fecondità al di sotto del tasso di sostituzione, quando fu evidente che il comunismo non forniva la prosperità.



Nei Paesi dell’Europa Orientale, compresa la Russia, la ristrutturazione economica, lo svanire dei sussidi governativi e la percezione pubblica di una mortalità infantile in crescita, hanno portato a tassi di fecondità minori.



Nello Zimbabwe, spinto dalla crisi economica dei tardi anni ‘80, il governo cominciò a sostenere la pianificazione familiare.   Secondo The Economist, “l’elevato costo del mantenimento di una famiglia numerosa ha aiutato a convincere alcuni uomini dell’importanza del limitarne le dimensioni”.



Il tasso di fecondità è in calo tra gli Yoruba in Nigeria, per una combinazione del ritardo nei matrimoni e dell’accettazione della moderna contraccezione. Due terzi delle donne che hanno risposto ad un recente sondaggio hanno detto che “la principale causa della posposizione del matrimonio e dell’uso della contraccezione era l’attuale difficile situazione economica”.

Anche altrove, la richiesta della moderna contraccezione è in crescita.   La ragione sembra essere che le coppie percepiscono che un matrimonio precoce e una famiglia numerosa sono economicamente insostenibili.



Nel suo nuovo libro “Masse critiche”, il giornalista George D. Moffett riporta che, in Messico, una madre su due difese davanti al prete di un villaggio, il suo ricorso alla contraccezione spiegando: “Le cose sono difficili, qui. La maggioranza della gente sta attraversando tempi duri. Il lavoro è difficile da trovare”.



In modo simile, un lavoratore giornaliero in Tailandia, secondo le parole di Moffett, “vorrebbe avere un figlio in più, ma è consapevole che andrebbe al di là dei propri mezzi”.

Senza motivazione a limitare le dimensioni della famiglia, la contraccezione moderna è pressoché irrilevante. 

Per sei anni, negli anni ‘50, un progetto condotto dal ricercatore inglese John Wyon fornì a diversi villaggi dell’India Settentrionale istruzione sulla pianificazione familiare, accesso alla contraccezione e cure mediche.   Gli abitanti dei villaggi erano ben disposti nei confronti di chi forniva le cure mediche e la mortalità infantile si ridusse notevolmente.   Ma il tasso di fecondità rimase invariato.


Il gruppo di Wyon capì il motivo: gli abitanti dei villaggi apprezzavano le famiglie numerose. Essi erano entusiasti del fatto che ora, con una minore mortalità infantile, potevano avere i sei figli che avevano sempre desiderato. Il ben finanziato progetto di Wyon potrebbe anche avere rinforzato la predilezione per le famiglie numerose, avendo contribuito a rendere possibili quei figli in più.
Pensare localmente



L’errore nell’individuare le cause dell’esplosione demografica, ha portato a strategie poco efficaci o addirittura controproducenti, nel cercare di aiutare il Terzo Mondo ad un equilibrio tra le dimensioni della popolazione e le risorse disponibili.


Nei tardi anni ‘40 e negli impetuosi decenni successivi, il commercio, i movimenti indipendentisti, le rivoluzioni populiste, gli aiuti stranieri e le nuove tecnologie portarono ovunque la gente a credere nell’abbondanza e nella fine dei limiti naturali imposti dagli ambienti famigliari.


Sarebbe un passo avanti se le nazioni industrializzate, che vedono la loro ricchezza diminuire, ricalibrassero e indirizzassero gli aiuti con maggiore oculatezza.   La loro ricchezza residua non deve essere sprecata nell’armare fazioni guerriere, con assistenza avventata, o nel sostegno alle migrazioni internazionali che impoveriscono e alla fine incattiviscono — fino alla violenza  — le popolazioni residenti.

Con una nuova, informata comprensione delle risposte umane, certi tipi d’aiuto rimangono appropriati: micro-prestiti che rafforzano l’imprenditoria di base, dove il successo è sostanzialmente mirato allo sforzo; l’assistenza con servizi di pianificazione familiare, non perché la contraccezione sia una soluzione di per sé, ma perché la moderna contraccezione è un modo umano per ottenere una famiglia di ridotte dimensioni, quando c’è questo desiderio.


Questa modesta lista di cose da fare è ancora nelle possibilità dei Paesi industrializzati, nel momento in cui essi devono prestare attenzione alle necessità dei sempre più numerosi propri poveri.   E non inganna né danneggia involontariamente coloro che ne sarebbero i beneficiari.

La politica degli aiuti internazionali degli ultimi cinquant’anni si basa sull’idea che lo sviluppo economico sia la chiave per mettere un freno alla crescita della popolazione. Tali presupposti non stanno in piedi di fronte ad un’analisi storica/antropologica e le politiche che hanno prodotto hanno invece contribuito a potenziare la crescita della popolazione. (corsivo mio JS)



La capacità umana di avere una risposta di tipo adattivo si è evoluta nell’ambito d’interazioni faccia-a-faccia.   La forza dell’umanità è la sua capacità di rapida reazione agli stimoli ambientali — una risposta che è più probabilmente appropriata quando l’ambiente che conta è quello ravvicinato e locale.   L’orizzonte mentale è qui ed ora.   I nostri antenati si sono evoluti e hanno dovuto trarre il loro successo tra i piccoli gruppi che si muovevano su territori relativamente ristretti.


Essi dovevano riuscire a sopravvivere giorno per giorno — o non sarebbero divenuti i nostri antenati.   Quindi non ci deve sorprendere se i segnali che vengono dall’ambiente locale siano fortemente motivanti.   Mettiamo da parte la globalizzazione.   Le soluzioni basate su un mondo unificato non funzionano.   Le soluzioni locali, sì.   Ovunque la gente agisce secondo la personale percezione dei propri interessi.   Le persone sono portate a interpretare i segnali locali per la prossima mossa da fare.

In molti Paesi e comunità di oggi, dove le condizioni sociali, economiche e ambientali stanno indubbiamente peggiorando, la domanda per una moderna contraccezione è in crescita, il matrimonio e l’iniziazione sessuale vengono posticipati e le dimensioni della famiglia si stanno riducendo.   Gli individui che reagiscono con una bassa fecondità ai segni del raggiungimento dei limiti hanno trovato la soluzione locale. C’è da pregare che i venditori di uno sviluppo inappropriato non mettano sottosopra questa situazione.






Nota di U.B.: Virginia Abernethy (qui il suo sito) è professore emerito alla Vanderbilt University, in Tennessee (US). E’ un personaggio molto controverso, fortemente criticato specialmente per certe sue posizioni politiche estreme sulla separazione etnica, sulle leggi sulle armi, e altro. Come esperta di demografia, tuttavia, ha il merito di aver perlomeno cercato una comprensione più approfondita e originale sulla questione della sovrappopolazione. In particolare, Abernethy ha criticato fortemente (come fa nell’articolo qui tradotto) l’idea semplicistica della “transizione demografica” che vuole che la crescita della popolazione si possa fermare sulla base dell’idea che “quando tutti saranno ricchi, non faranno più tanti figli.”  C’è un fondo di verità in questa idea; ma le cose non sono così semplici. 




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I crateri pingo ‘possono esplodere sotto il mare così come sulla terraferma’

Da “Siberian Times”. Traduzione di MR (via Maurizio Tron)

Di Maja Sojtaric

Avvisaglie di esplosioni di metano nel mare di Kara adiacente ai crateri di Yamal causati da eruzioni di gas associati alla fusione del permafrost dovuta al riscaldamento globale.

L’idrato di gas è conosciuto anche come il “ghiaccio che brucia”. Lo si può letteralmente incendiare. Immagine: CAGE

Un’enorme attenzione è stata posta sui grandi e misteriosi buchi apparsi improvvisamente nell’Artico siberiano di recente ed ora ci sono prove di un processo analogo sottomarino nelle aree meridionali del Mare di Kara. Sul fondo del mare, al largo della Penisola di Yamal, sono stati identificati grandi cumuli – descritti come “pingo” – e la loro formazione viene vista come dovuta allo scioglimento del permafrost sottomarino, che causa un ‘forte accumulo’ di gas metano. Questi cumuli ‘stanno rilasciando metano’ e il loro ‘potenziale esplosivo’ pone un ‘pericolo geologico’ significativo per l’esplorazione energetica nelle acque dell’Artico, secondo una nuova ricerca di scienziati del Centre for Arctic Gas Hydrate, Environment and Climate (CAGE) in Norvegia, sostenuto dall’Agenzia di Gestione delle Risorse del Sottosuolo russa. Per esempio, in un incidente di 20 anni fa che ha avuto poca visibilità, durante la ‘trivellazione geo-tecnologica’ da parte della nave russa Bavenit nel Mare di Pechora, è stato aperto un deposito di gas (pingo), minacciando la sicurezza della nave con un improvviso rilascio di metano, un processo che è stato identificato come la causa del triangolo delle Bermuda nell’Oceano Atlantico.

Due pingo sottomarini che sono stati identificati al largo della stessa area dei misteriosi crateri della penisola di Yamal. Immagine: Pavel Serov

Il dottor Pavel Serov, autore principale della ricerca pubblicata nel Journal of Geophysical Research, ha detto: “Si discute intensamente dei pingo nella comunità scientifica, in particolare nel contesto degli scenari di riscaldamento globale del clima. Potrebbero costituire il passo precedente allo scoppio del metano”.  I ricercatori si sono concentrati su ‘due pingo sottomarini identificati al largo della stessa area dei misteriosi crateri della penisola di Yamal’, ha scritto il sito web di CAGE.  Il Siberian Times ha fatto strada nel portare l’attenzione sui crateri sulla terraferma, pubblicando i punti di vista degli scienziati sulla loro formazione e le foto spettacolari dei giganteschi buchi scattate durante le spedizioni ai nuovi fenomeni. Dopo i dubbi iniziali, gli scienziati ora credono che i crateri siano stati formati da pingo che eruttano sotto la pressione del gas metano rilasciato dalla fusione del permafrost causata dal riscaldamento globale. Ora lo studio norvegese ‘mostra quanto sia importante l’accumulo di metano per la formazione dei pingo sottomarini’. Queste strutture ‘trovate ora disseminate sui bassi fondali dell’oceano Artico’, secondo la ricerca di CAGE, parte della UiT, L’università dell’Artico Norvegese. ‘L’area di studio si trova nei bassi fondali meridionali del Mare di Kara, a circa 40 metri di profondità’.

Ecco la vista delle caratteristiche dei pingo sottomarini come li vedono gli scienziati. Foto: Pavel Serov

I cumuli sottomarini erano fra i 70 e i 1.000 metri di diametro e sono stati originariamente individuati da uno studio sismico dell’area. Si innalzano fra i 5 e i 9 metri sul livelli del fondo marino sottostante. Come dimensione complessiva sono considerevolmente più grandi di quelli che si trovano sulla terraferma a Yamal.  Il dottor Serov ha detto: ‘La nostra domanda era: questi cumuli sono pingo terrestri sommersi? O sono qualcosa di diverso che si forma in condizioni marine? Uno dei pingo del Mare di Kara meridionale perdeva un sacco di metano, ma da dove proveniva quel metano?’ ‘Quando il permafrost si estende nell’oceano, la stessa cosa fanno i pingo’, ha detto una sinossi della ricerca per CAGE scritto da Maja Sojtaric. ‘Appaiono persino in prossimità geografica a quelli osservati sulla terraferma’.

Il dottor Pavel Serov, autore principale della ricerca pubblicata nel Journal of Geophysical Research. Foto: CAGE

Inizialmente si pensava che i pingo sottomarini fossero cimeli dell’Era Glaciale’, ma l’innovativa nuova ricerca indica il contrario, ha indicato il direttore di CAGE, professor Jurgen Mienert, un coautore dell’articolo. ‘ Lo studio di CAGE mostra che questi pingo sottomarini recentemente scoperti potrebbero essere piuttosto recenti’. Cosa determinante, ‘la perdita di gas da uno dei pingo del fondo dell’oceano al largo della Siberia mostra una specifica firma chimica che indica una moderna generazione di metano’, affermano i ricercatori. ‘Suggeriamo che il cumulo si sia formato più di recente, muovendo fisicamente i materiali verso l’alto’. Analogamente, i processi che portano alle eruzioni di metano nella penisola limitrofa sono considerati molto recenti.

I pingo nel Mare di Kara sono stati scoperti durante spedizioni organizzate da VNII Okeangeologia nel 2012 – 2013. Foto: VNII Okeangeologia

‘I pingo sulla terraferma si sono formati principalmente quando l’acqua si congela formando un nucleo di ghiaccio nel sottosuolo, a causa delle basse temperature del permafrost’, afferma la sinossi sul sito. Tuttavia, i pingo sottomarini potrebbero essersi formati a causa della fusione del permafrost sottomarino rimasto e della dissociazione fra metano ed acqua. Si formano e rimangono stabili per una combinazione di bassa temperatura ed alta pressione. ‘Nel permafrost le temperature sono molto basse e gli idrati di gas sono stabili anche sotto una pressione bassa, come quella dei bassi fondali del mare Artico. La fusione del permafrost porta ad aumenti della temperatura, che a loro volta portano alla fusione degli idrati di gas, che pertanto rilasciano il gas che vi era intrappolato’. ‘Il metano crea la forza necessaria che spinge gli strati di sedimento congelato rimanente verso l’alto, formando i cumuli’, ha detto il dottor Seroy. La ricerca indica che ‘i pingo sottomarini potenzialmente possono esplodere’ senza ricevere ‘l’attenzione di massa’ che ha salutato le eruzioni dei pingo sulla terraferma, che lasciano crateri visibili dallo spazio al loro passaggio. Eppure nel Mare di Kara ed in altri mari dell’Artico ‘enormi espulsioni di metano’ finiscono nell’oceano.

La nave russa Bavenit nel Mare di Pechora e piattaforme petrolifere nel mare di Kara. Foto: sam7, Rosneft

I ricercatori hanno avvertito: ‘Per le società petrolifere queste aree possono costituire un pericolo geologico. Trivellare un buco su uno di questi pingo sottomarini può essere non solo costoso, ma catastrofico. Durante una trivellazione geotecnica nel vicino Mare di Pechora, una nave industriale ha trivellato inconsapevolmente un buco in uno di questi cumuli. Questo ha innescato un massiccio rilascio di gas che ha quasi fatto affondare la nave’. Si pensa che questo faccia riferimento ad un incidente del 1995 che ha coinvolto la Bavenit, ad ovest dell’Isola di Vaygach nel Mare di Pechora. Il dottor Seroy ha affermato: ‘Non sappiamo se il metano espulso dai pingo sottomarini raggiunge l’atmosfera. Ma è fondamentale che osserviamo e capiamo questi processi meglio, specialmente nelle aree dei bassi fondali, dove la distanza fra il fondo dell’oceano e l’atmosfera è breve’. Il Siberian Times a settembre a portato un avvertimento da parte degli scienziati russi risguardo alla minaccia alla Penisola di Yamal – luogo in cui si trovano le più grandi riserve di gas naturale del mondo – di esplosioni di metano. Gli scienziati del Trofimuk Institute of Petroleum Geology and Geophysics hanno detto che il processo per cui una serie di crateri si è formata è stato causato dalla fusione degli idrati di gas e dall’emissione di metano.

Il Siberian Times ha fatto strada nel portare l’attenzione sui crateri sulla terraferma, pubblicando i punti di vista degli scienziati sulla loro formazione e le foto spettacolari dei giganteschi buchi scattate durante le spedizioni ai nuovi fenomeni. Foto: Vasily Bogoyavlensky, Vladimir Pushkarev

Questo si accumula in un pingo – un cumulo di terra coperto di ghiaccio – che poi erutta causando la formazione dei buchi. Si pensa che un pingo di terraferma possa esplodere ‘da un momento all’altro’. Ora viene monitorato costantemente da un satellite russo nel tentativo di cogliere il momento in cui avviene l’eruzione. Il dottor Igor Yeltsov, vice direttore del Trofimuk Institute, ha detto dei crateri sul terreno di recente formazione: ‘Negli ultimi decenni, le temperature sono salite ed hanno causato il rilascio degli idrati di gas’. ‘Questo somiglia ad una reazione nucleare. Lo scorso anno l’ho confrontato col Triangolo delle Bermuda, perché, secondo la nostra teoria, la causa di tutto questo è una produzione massiccia di metano. Il volume del metano durante la transizione da stato solido a stato gassoso aumenta di circa 150 volte’. Il più grande buco di Yamal ‘è un oggetto unico per la scienza. Non abbiamo avuto alcuna possibilità di studiare un tale fenomeno prima. L’importanza dello studio aumenta se teniamo conto del fatto che a sei chilometri dal cratere c’è un grande gasdotto e a 36 chilometri c’è il deposito di gas di Bovanenkovo’. Tali eruzioni ‘possono facilmente ripetersi’, ha avvertito. ‘Dobbiamo seguire da vicino i processi del permafrost e degli idrati di gas a Yamal’, ha detto. ‘Sottovalutiamo il pericolo che ci porta il metano’.

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la capocchia climatica di Umberto Minopoli.

Leggete questa frase, da un post di Umberto Minopoli intitolato “Scienza ad Capocchiam” https://lottimistablog.wordpress.com/2015/12/06/scienza-ad-capocchiam/

…. se in un secolo e mezzo ( 1850/1998) di piena industrializzazione e di CO2 umana immessa in atmosfera, la temperatura e’ aumentata di 0,8gradi come e’ possibile che in soli prossimi 80 anni ( previsioni dei religiosi del clima ) aumenti di 5 gradi. Cervellotico. Niente di scientifico. Sciamanismo. 

Per capire quanto questo paragrafo sia veramente “ad capocchiam”, vediamo di applicare il ragionamento di Minopoli proprio a una capocchia; ovvero a un fiammifero.

Accendete un fiammifero, vedete che brucia, diciamo, in 10 secondi. E in questi dieci secondi si porta via forse un grammo di legno. Fate un po’ il conto: per bruciare un chilo di legno, a un fiammifero per volta, ci vorrebbero ore. E per bruciare una casa, chissà quanto tempo.

Ora, immaginate che qualcuno vi dica che, sulla base del comportamento di una capocchia di fiammifero, una casa non può mai assolutamente bruciare. Come minimo, gli direste qualcosa tipo, “bene, allora vai a casa tua, accendi un fiammifero e comincia a dar fuoco al divano del salotto. Poi mi racconti cos’è successo.”

Se volete essere precisi, potreste dire che la combustione è un processo “autocatalitico” e, per questa ragione, va sempre più veloce una volta che è cominciato. Ma non ce n’è bisogno: è solo una questione di buon senso; ci sono tantissime cose che sappiamo benissimo che cominciano piano e poi vanno sempre più veloci. E’ per questo che se uno si butta dal sesto piano, il risultato finale si può descrivere con la parola “splat,” anche se, nei primi metri, non sembrava che quel tale cadesse tanto rapidamente.

Anche per quanto riguarda il clima terrestre vale qualcosa del genere. La faccenda del riscaldamento generato dai gas serra è un tantino complicata per varie ragioni (come potete leggere, per esempio, qui) ma il risultato finale non è difficile a capire. Più CO2 c’è nell’atmosfera, più la temperatura sale. Oggi, stiamo emettendo enormemente più CO2 di quanto non facessimo ai primi anni del secolo scorso; quindi non c’è da stupirsi se l’atmosfera si sta scaldando sempre più rapidamente, ben di più di quanto non facesse cent’anni fa (e per favore non tirate fuori la storia della “pausa,” che non è mai esistita).

Così, se continueremo ad emettere CO2 seguendo le tendenze di aumento che sono state la regola fino ad oggi, non è un’idea a capocchia che potremmo arrivare arrivare a degli aumenti di temperatura di 4-5 gradi centigradi. La cosa più preoccupante è che ci sono dei motivi per ritenere che il riscaldamento potrebbe essere molto più veloce di qualsiasi cosa si sia vista fino ad oggi. E questa è una cosa molto pericolosa, da non sottovalutare. Purtroppo, però, il cosiddetto “dibattito” sul cambiamento climatico sui giornali è spesso basato su ragionamenti veramente “a capocchia,” come questo di Minopoli.

Tralascio di criticare il resto dell’articolo per carità di patria. Mi limito a notare che Minopoli è anche presidente dell’Associazione Nucleare Italiana, il che è preoccupante. C’è solo da sperare che un reattore nucleare non glie lo facciano mai vedere, se non da una notevole distanza. Minopoli mi fa venire in mente qualcosa che potrebbe essere successo al tempo di Chernobyl, magari con qualcuno dei tecnici del reattore che diceva, “Ma cos’è quest’idea a capocchia che il reattore può esplodere? Non vedete che finora non è successo niente?”

h/t Simone Bonacini

Nota aggiunta dopo la pubblicazione. Fa notare Sylvie Coyaud che

Mentre noi si cucinava, si ricordava che nel maggio 2014 il presidente Minopoli diceva:
Il rapporto delle Nazioni Unite punta sull’utilizzo del nucleare per contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2°C fino al 2100, definendo il nucleare una delle tecnologie carbon free ‘chiave’”. Non solo. Dallo studio emerge l’importanza di attivare un processo di cooperazione internazionale per coinvolgere i paesi meno sviluppati nei processi di mitigazione delle emissioni di gas serra. L’Italia non deve avere un ruolo marginale nella definizione delle politiche energetiche mondiali.
Si cercava anche un compito affidabile a un volta-gabbana che ora esibisce tutto fiero le cinque caratteristiche del negazionismo climatico. Non s’è trovato niente, ma se c’è stato un po’ di dibattito su tirar fuori in tempo il coulommiers dal frigo.

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La Terra ha perduto un terzo del suolo coltivabile negli ultimi 40 anni

Da “The Guardian”. Traduzione di MR 

Gli esperti indicano il danno causato da erosione ed inquinamento, sollevando grandi preoccupazioni riguardo al suolo degradato nel bel mezzo dell’aumento della domanda globale di cibo



L’erosione del suolo ha i suoi effetti sul terreno agricolo di Suffolk, nel Regno Unito. Foto: Alamy


Il mondo ha perso un terzo del suo terreno coltivabile a causa dell’erosione o dell’inquinamento negli ultimi 40 anni, con conseguenze potenzialmente disastrose man mano che la domanda globale di cibo sale alle stelle, hanno avvertito gli scienziati. Una nuova ricerca ha calcolato che quasi il 33% del terreno mondiale adatto o ad alta produzione di cibo è stato perduto ad un tasso che supera il ritmo dei processi naturali di sostituire il suolo assottigliato. Il Grantham Centre for Sustainable Futures dell’Università di Sheffield, che ha intrapreso lo studio analizzando varie altre ricerche pubblicate nel corso dell’ultimo decennio, ha detto che la perdita è stata “catastrofica” e la tendenza è prossima ad essere irrecuperabile se non ci saranno grandi cambiamenti delle pratiche agricole.


La continua aratura dei campi, insieme all’uso pesante di fertilizzanti, ha degradato i suoli in tutto il mondo, ha scoperto la ricerca, con l’erosione che avviene ad un ritmo fino a 100 volte maggiore del tasso di formazione del suolo. Ci vogliono circa 500 anni per creare soli 2,5 cm di suolo, se non ci sono cambiamenti ecologici ad ostacolarne la formazione. “Pensate che il dust bowl degli anni 30 dello scorso secolo in Nord America e vi rendete conto che stiamo andando verso quella situazione, se non facciamo qualcosa”, ha detto Duncan Cameron, professore di biologia di piante e suolo dell’Università di Sheffield. “Stiamo aumentando il tasso di perdita e riducendo i suoli ai loro meri componenti minerali”, ha detto. “Stiamo creando suoli che non sono adatti a niente eccetto a tenere in piedi una pianta. I suoli stanno riempiendo di sabbia i sistemi fluviali – se guardate all’enorme macchia marrone nell’oceano dove il Rio delle Amazzoni deposita il suolo, vi rendete conto di quanto stiamo accelerando il processo”. “Ancora non siamo proprio al punto di svolta, ma dobbiamo fare qualcosa. Ci dobbiamo opporre a questo, se vogliamo invertire il declino”.

L’erosione del suolo è avvenuta in gran parte a causa della perdita di struttura per via del continuo disturbo dovuto alla piantagione e raccolta delle colture. Se il suolo viene rivoltato ripetutamente, viene esposto all’ossigeno e il suo carbonio viene rilasciato nell’atmosfera, impedendogli di legarsi in modo efficacie. Questa perdita di integrità altera la capacità del suolo di immagazzinare acqua, il che neutralizza il suo ruolo di tampone contro le alluvioni e di base fruttuosa per le piante. I suoli degradati sono anche vulnerabili al dilavamento da parte degli eventi meteorologici alimentati dal riscaldamento globale. La deforestazione, che abbatte alberi che aiutano a tenere insieme i paesaggi,  è a sua volta dannosa per la salute del suolo. I ricercatori stanno presentando la nuova ricerca ai colloqui sul clima di Parigi.

Il forte declino del suolo è avvenuto in un periodo in cui la domanda mondiale di cibo sta crescendo rapidamente. Si stima che il mondo dovrà coltivare il 50% in più di cibo dal 2050 per alimentare una popolazione prevista di 9 miliardi di persone. Secondo la FAO, organismo dell’ONU, l’aumento della produzione di cibo sarà in gran parte necessario nei paesi in via di sviluppo. Gli accademici che stanno dietro allo studio dell’Università di Sheffield propongono diversi rimedi alla perdita di suolo, compreso il riciclo dei nutrienti dalle fogne, l’uso di biotecnologia per svezzare le piante dalla loro dipendenza dai fertilizzanti e la rotazione delle colture con aree di pascolo per diminuire la pressione sulla terra coltivabile. Circa il 30% delle superfici mondiali libere da ghiaccio vengono usate per tenere pollame, bovini, suini ed altri animali da allevamento anziché per coltivare. “Ci serve una soluzione radicale, che è quella di riprogettare il nostro sistema agricolo”, ha detto Cameron. “ Dobbiamo lasciare la terra libera dalla produzione agricola per un lungo periodo per permettere al carbonio del suolo di ricostituirsi e di diventare stabile. Abbiamo già molta terra – viene usata per il pascolo dalle industrie della carne e del latte. Piuttosto di tenerla separata, dobbiamo metterla in rotazione, cosicché ci sia più terra nel sistema e ne venga usata di meno contemporaneamente”.

Cameron ha detto che ha accettato che questo coinvolgerebbe direttamente un intervento governativo, finanziando agricoltori e decisioni politiche “coraggiose”. “Non possiamo dare la colpa agli agricoltori per questo. Dobbiamo fornire la capitalizzazione per aiutarli, piuttosto di dire ‘Ecco una nuova politica, mettetela in pratica’”, ha detto. “Abbiamo la tecnologia. Ci serve solo la volontà politica per darci una possibilità di risolvere questo problema”.

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Il Pensiero Odierno

Un post di Marco Sclarandis

riferito a questo: 

http://www.mission-innovation.net/
http://www.breakthroughenergycoalition.com/en/?WT.mc_id=11_29_2015_16_Announcement_BG-TW_&WT.tsrc=BGTW

Il pensiero odierno:

Io ormai spero solo che la gente creda al miracolo. Perchè se un miracolo si sta compiendo, ma la gente non ci crede, è come se non si compisse.

E credo che fisicamente il miracolo possa avvenire. Non credo che i miracoli siano delle violazioni ad hoc delle leggi fisiche, ma siano eventi rari ma reali e possibili che fanno gridare al miracolo solo a causa della nostra ignoranza del mondo fisico.

L’intreccio quantistico, l’effetto tunnel, sembrano magie, prodigi, miracoli, masono eventi reali e in un certo senso ordinari. Forse un Lucrezio, un Leonardo, un Archimede, dopo un iniziale sconcerto li avrebbero poi considerati per quello che sono, fisica, meravigliosa , ma fisica. Certo che organizzare tutto di modo che, per sventare una sciagura occorra proprio un miracolo mi pare il massimo della malvagia superstizione.

E’ ciò che stiamo facendo da decenni, non da stregoni apprendisti, ma da maghi di lungo e detestabile corso.

Credo che questo decalogo incompleto, deriso, frainteso e sciattamente divulgato da soloni, predicatori, e agitatori di popolo sia quanto di meglio per far apparire il miracolo su questa sventurata Terra.

Onore e merito a Serge Latouche:

Rivalutare. I valori sono diventati vuoti simulacri, sostituiti da megalomania individuale, egoismo e rifiuto della morale. Occorre rivendicare valori come l’altruismo, la collaborazione, il piacere, il locale.

Riconcettualizzare. La mancanza di valori dà luogo ad una visione diversa del mondo. Occorre ridefinire concetti come la ricchezza/povertà, la rarità/abbondanza distinguendo gli elementi reali da quelli di creazione artificiale.

Ristrutturare. Adeguare l’apparato produttivo e i rapporti sociali al cambiamento dei valori.

Ridistribuire. La ridistribuzione delle ricchezze e delle risorse ha un effetto positivo sulla riduzione del consumo, per due fattori: ridimensionamento del potere dei consumi del Nord e diminuzione dello stimolo al consumo vistoso.

Rilocalizzare. Segue il principio del “think global, act local” per il quale occ orre produrre in massima parte a livello locale i prodotti necessari ai bisogni delle popolazioni.

Ridurre. Ridurre non significa necessariamente tornare indietro. Significa limitare/eliminare il sovraconsumo ed abbattere gli sprechi. La riduzione noncoinvolge solo le risorse, ma anche aspetti sociali come il tempo dedicato al lavoro.

Riutilizzare/Riciclare. È necessario ridurre lo spreco, combattere l’ obsolescenza delle attrezzature e riciclare rifiuti non riutilizzabili.

Riconoscere la necessità del cambiamento, questa l’aggiungo io, ma questo dovrebbe essere il primo comandamento.

Marco Sclarandis

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Figuraccia climatica: La Società Italiana di Fisica dichiara che la scienza del clima non è scienza

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR


Allora, signor Darwin, qual è l’equazione dell’evoluzione?

Coi negoziati sul clima in pieno svolgimento a Parigi, 14 società scientifiche italiane si sono unite per pubblicare un documento in cui esprimono il loro sostegno ai negoziati della COP 21 e per la necessità di agire contro il cambiamento climatico antropogenico. Tuttavia, una società scientifica era evidentemente assente: la Società Italiana di Fisica (SIF).

Poco dopo, la presidentessa della SIF, professoressa Luisa Cifarelli, ha diffuso una dichiarazione su questo problema sotto forma di uncommento nel blog della Società Italiana di Chimica (SCI). Questo commento non è stato confermato ufficialmente, ma nemmeno smentito, quindi sembra essere reale. Lasciate che riporti qui la sua affermazione iniziale.

La SIF è un’associazione di fisici abituati a considerare leggi fisiche regolate da equazioni più o meno complesse, e risultati espressi con il dovuto livello di confidenza o di probabilità o di verosimiglianza. Questo, del resto, è il metodo scientifico.  

La professoressa Cifarelli prosegue poi affermando che la SIF si rifiuta di firmare un documento in cui alcune affermazioni sono date come certezze e non come possibilità e che la scienza non può essere basata sul consenso e sul “mescolare scienza e politica”. La professoressa conclude che è importante che la Terra venga protetta dall’inquinamento, che che lo studio del clima debba essere “basato sulla fisica”.

Quindi eccoci qua. Ciò che sta dicendo la professoressa Cifarelli è che la scienza è scienza solo se è basata su equazioni. Pertanto, visto che una “equazione del clima” non pare che esista, la scienza del clima non è una scienza. In una sola frase, la professoressa Cifarelli ha rimosso dalla categoria delle scienza legittime tutto quello che va dalle scienze della Terra (qual è l’equazione di dinosauri?) allo studio dei sistemi complessi (qual è l’equazione della Pila di sabbia di Bak?).

Questa è una bella figuraccia per tutta la comunità della Fisica italiana. Anche se diversi fisici italiani hanno fortemente criticato il comportamento della SIF in questa occasione, rimane un duro colpo al prestigio alla comunità della ricerca italiana. Ancora di più se si considera colpi precedenti come l’iniziale sostegno dato al “E-cat” da parte del Dipartimento di Fisica dell’Università di Bologna.

Ma è peggio di così. In un momento in cui abbiamo tutti disperatamente bisogno di sostenere il lavoro degli scienziati del clima per promuovere un cambiamento indispensabile delle nostre politiche, sembra che alcuni scienziati tendano a aggrapparsi a paradigmi obsoleti, per esempio riguardo all’influenza umana sul clima. E’ vero che i paradigmi obsoleti tendono ad essere rimossi dalla scienza per mezzo del progresso della conoscenza, ma ci vuole un po’ di tempo, come mostra molto bene questa storia.
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Nota: dopo avere scritto questo testo, ho notato un commento firmato Luisa Cifarelli sul blog della SCI. Il commento dice: “Eppure Lei sa bene che la Groenlandia era verde in tempi non sospetti”. Non posso essere certo che questa frase sia stata scritta dalla presidentessa della Società Italiana di Fisica ma, se fosse così, è un’altra notevole figuraccia. 

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