Effetto Cassandra

Auguri del Solstizio






Se arrivasse a precipizio

per Natale una cometa
la vedessero da Orte
proveniente dalla nube
ad un Oort intitolata
o da quella fascia intorno
al sistema solare planetario
per cui Kuiper ebbe fama
porterebbe neve ghiaccio mota
a questo mondo sì arsurato
ed insieme uno scompiglio
di grandiosa proporzione
metterebbe tutto in ordine
senza fare favori regalie
tutti pari a pedine allineate
bianche nere degli scacchi
re regine alfieri torri
equi via a iniziare nuovi giochi
se arrivasse e ci sfiorasse
quale chioma lattescente
luminosa berenicea impalpabile
ci direbbe state quieti
rimettete a posto armi
odi debiti contese spese
se volete che il solstizio
vi riporti
api e fiori a primavera.


Marco Sclarandis



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Buon Natale 2015

Si dice che il viaggio più lungo comincia sempre con un passo. La COP21 di Parigi potrebbe essere stata proprio quel passo. 
Il cammino è lungo e difficile, ma c’è una speranza. Questo del 2015 è un Natale di speranza.
Buon Natale a tutti!

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Italia 2015: l’impennata nel tasso di mortalità mostra che la crescita economica non è la soluzione a tutti i problemi.

Ha destato un certo interesse sulla stampa un articolo di Giancarlo Blangiardo apparso su “Neodemos” il 22 Dicembre 2015. intitolato, “68 mila morti in più nel 2015.” Molti hanno trovato la cosa sorprendente e lo stesso Blangiardo specula che possa essere dovuto al degrado delle strutture sanitarie dovuto alla carenza di risorse.

L’articolo di Blangiardo è basato sui dati riportati nella figura qui sopra (presa dall’articolo stesso). Come si vede, i dati sono ancora incerti ma, nel complesso, la tendenza è abbastanza chiara.

In particolare, il picco delle morti a Luglio, potrebbe essere correlato all’ondata di calore di questa estate, molto più calda di quella dell’anno precedente. Che le ondate di calore abbiano un effetto negativo sulla salute, specialmente degli anziani, è ben noto, e su questo non ci sarebbe niente di sorprendente. Lo stesso Blangiardo nota come l’aumentata mortalità sia associata alla fascia più anziana della popolazione

Ma come si inserisce questo risultato nelle tendenze un po’ più a lungo termine? Ho trovato questi dati da “Index Mundi,” a loro volta basati sul “factbook” della CIA.
 

La prima cosa che si nota in questo grafico è il crollo del tasso di mortalità nel 2011. Non c’è stato nessun evento particolare che lo possa giustificare, per cui credo che sia soltanto un artifatto dovuto al censimento del 2011 che ha causato un aggiustamento dei dati. In pratica, il tasso di mortalità è stato in continuo aumento dal 2000 al 2012, di circa l’ 1% -2% all’anno.  Questo è in gran parte un risultato naturale dell’invecchiamento della popolazione.

Ne consegue che l’aumento di circa l’11% nella mortalità nel 2015, riportato da Blangiardo, è effettivamente un’impennata sorprendente; messo sul grafico, il dato va quasi fuori scala. E’ un risultato che va preso con cautela, essendo i dati ancora provvisori. Ma certamente è una cosa preoccupante che va ben oltre a un semplice effetto del graduale invecchiamento della popolazione.

Ci sono vari fattori che potrebbero essere in gioco ma, sicuramente, l’impoverimento della popolazione italiana e uno di essi, con il correlato degrado delle strutture sanitarie. Poi, la calura estiva, e forse anche l’inquinamento in crescita, hanno messo qualcosa in più. Il risultato è quello che vediamo.

Insomma, situazione difficile in Italia e, a questo punto, la retorica del governo sul meglio che sta arrivando” rischia di fare ulteriori danni. Questo per non parlare dello slogan di qualche anno fa “viva l’Italia viva” che, visto in luce degli ultimi dati sulla mortalità, suona decisamente male.

Tutto il cosiddetto “meglio” che arriva dovrebbe essere il risultato della crescita economica; cercata atutti i costi senza troppo preoccuparsi dell’effetto sul clima e sull’inquinamento. Quest’anno, qualche risultato in termini di crescita (forse) si è visto, ma se è stato ottenuto a spese della salute dei cittadini, non ne valeva certamente la pena

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E’ il momento di smettere di adorare la crescita economica

Così, tutti i politici che a Parigi hanno celebrato l’accordo della COP21, sono tornati a casa e ora ricominciano a celebrare la necessità della crescita economica. Niente cambia nei loro atteggiamenti, ma l’ecosistema cambia per conto suo e prima o poi presenterà il conto a tutti quanti (U.B.)


Da “The Daly News”. Traduzione di MR (via Donella Meadows Institute)

Di Brent Blackwelder

Esistono dei limiti fisici alla crescita su un pianete finito. Nel 1972 il Club di Roma ha pubblicato il suo rivoluzionario rapporto – i Limiti della Crescita (dodici milioni di copie in 37 lingue). Gli autori hanno previsto che circa intorno il 2030 il nostro pianete avrebbe percepito una grave compressione delle risorse naturali; ed hanno colto nel segno.

Nel 2009, lo Stockholm Resilience Center ha introdotto il concetto di limiti planetari per aiutare l’opinione pubblica a visualizzare la natura delle sfide poste dai limiti della crescita e dai limiti biologico/fisici. Hanno definito nove limiti critici per l’esistenza umana che, se superati, potrebbero generare cambiamenti ambientali bruschi ed irreversibili.


L’economia globale dev’essere vista da una prospettiva allargata per rendersi conto che la violazione dei limiti planetari mette in pericolo molti ecosistemi di supporto vitale. Senza ecosistemi funzionali, la stessa sopravvivenza delle forme di vita, così come delle istituzioni umane, viene messa in dubbio, inclusa la nostra economia, Non c’è economia in un pianeta morto!

Gli scienziati sono preoccupati del fatto che abbiamo già superato
i limiti dei flussi biogeochimici (azoto) e dell’integrità della biosfera
 (biodiversità genetica). Immagine: F. Pharand-Deschênes /Globaïa.

Questi limiti valgono anche per l’economia, perché l’economia è un sottosistema completamente dipendente dagli ecosistemi che rendo possibile la vita sulla Terra. (Un minimo di comprensione dell’ecologia dovrebbe essere un prerequisito per una laurea avanzata in economia!). Gli scienziati sono preoccupati del fatto che abbiamo già superato i limiti dei flussi biogeochimici (azoto) e dell’integrità della biosfera (biodiversità genetica).

L’economia globale di oggi e le varie economie regionali e nazionali trascurano regolarmente i limiti planetari. Superare un limite equivale a schiantarsi contro un guard-rail e precipitare da un burrone. L’incoraggiamento cieco alla crescita economica che non rispetta questi limiti sta preparando al collasso della civiltà. Due dei più pericolosi tipi di crescita sono quella senza scrupoli e quella senza futuro.

La crescita senza scrupoli dà beneficio a pochi al vertice ma non fa niente per la classe media. Una delle ragioni per cui la campagna presidenziale di Bernie Sanders ha attratto sempre più ascolto è che lui dice che il problema più cruciale che affrontano gli Stati Uniti è il grande divario che c’è fra la classe media e la classe dei miliardari.

La crescita senza futuro distrugge le risorse, come acqua, foreste, pesca e terra coltivabile, che saranno necessarie ai nostri figli e nipoti, oltre che alla vita selvaggia. La crescita senza futuro entra direttamente in conflitto coi valori familiari comuni. Ai nostri figli diciamo di risparmiare per il futuro, piuttosto che sperperare i loro soldi. Non diciamo loro di spendere più dei loro compagni. Non diciamo loro di giudicare la qualità delle loro vite sulla base del possesso materiale e dei rapporti finanziari trimestrali.

Per rimanere entro in nove limiti planetari, le nazioni devono mollare il feticcio della crescita economica e transitare ad un’economia di stato stazionario dei costi reali. Alcuni dei passi di transizione cruciali comprendono:

  1. Sostituire il PIL come misura di benessere (é stato fatto molto lavoro per trovare un indice di produttività sostenibile).
  2. Fare in modo che la Securities and Exchange Commission (SEC) richieda alle multinazionali di esternare le loro esternalità di inquinamento (la SEC non è senza speranza, come si può vedere dalla sua recente decisione di richiedere agli Amministratori Delegati di rendere pubblici i loro salari insieme a quelli dei lavoratori medi e delle loro società). 
  3. Passare alla settimana lavorativa di 4 giorni per assicurare la piena occupazione (ciò è avvenuto in alcuni paesi europei; l’economista canadese Peter Victor ha le prove del perché questo sia un passo di transizione cruciale).
  4. Dematerializzare l’economia (vedi, fare in modo che sia più conveniente riparare un elettrodomestico piuttosto che ricomprarlo).
  5. Identificare le aree in cui l’economia deve crescere e quelle in cui deve contrarsi (vedi, l’uso di combustibili fossili deve ridursi nettamente e così facendo, il fotovoltaico sui tetti crescerà fino a diventare una parte molto maggiore dell’economia globale).
  6. Identificare le forme più abominevoli di crescita economica (senza scrupoli e senza futuro) e mostrare in che modo i loro costi superino i loro benefici. 
  7. Stabilizzare la popolazione per impedire che l’umanità superi ulteriormente i nove limiti.

Ci sono circa 7 miliardi di persone sulla Terra oggi (quasi 7,5, di già, ndt) e le previsioni indicano che ce ne saranno 9 miliardi nel 2050. Già adesso, circa un miliardo di persone malnutrite sentono la pressione, in quanto testimoniano dolorosamente la verità di ciò che Malthus ha previsto due secoli fa. Primi passi chiave per stabilizzare la popolazione in modo progressivo sono:

  1. L’emancipazione delle donne.
  2. Richiedere che tutta l’assistenza estera sia progettata di modo il risultato sia che le donne stiano meglio. 
  3. Dare grande disponibilità di contraccettivi. 

La nostra economia globale sta trattando il pianeta come se fosse un’azienda in liquidazione. Persino le organizzazioni ambientaliste – dedite alla protezione dell’ambiente – sono state lente a riconoscere le cause principali del degrado ambientale, come i perversi incentivi economici che incoraggiano l’estrazione di risorse prime e l’uso di energia non rinnovabile. Abbiamo bisogno di leader ambientali che parlino apertamente di un’economia nuova, giusta e a costo reale e che sfidino l’abbraccio insensato della crescita economica – persino della crescita senza scrupoli e senza futuro. I leader ambientali dovrebbero guidare la spinta verso un riorientamento del pensiero economico sulle scelte che dovremo fare se vogliamo passare ad un’economia più sana e che esista all’interno dei nove limiti planetari. Solo se l’umanità rimane entro questi nove limiti può continuare a svilupparsi e prosperare nelle generazioni a venire.

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La “Malattia siriana”: ciò che il petrolio greggio dà, il petrolio greggio toglie

Da “Cassandra’s Legacy” (She’s back!). Traduzione di MR

Di Ugo Bardi


Qui di seguito sostengo che le origini del collasso siriano si devono cercare nel collasso economico generato dal graduale esaurimento delle riserve petrolifere siriane. Il petrolio greggio ha creato la Siria moderna, il petrolio greggio l’ha distrutta. Questo fenomeno può essere definito “Malattia siriana” e la domanda è: “qual è il prossimo paese che verrà contagiato?” 

Il petrolio greggio è una grande fonte di ricchezza per i paesi che lo posseggono. Ma è anche una ricchezza che si manifesta come un ciclo. Di solito, il ciclo copre diversi decenni, persino più di un secolo, quindi coloro che ci vivono potrebbero non cogliere per niente il fatto di essere diretti verso la fine della loro ricchezza. Ma il ciclo è più rapido e particolarmente visibile in quelle aree in cui la quantità di petrolio è modesta. Qui, ricchezza e miseria appaiono una di seguito all’altra in una drammatica serie di eventi.


Uno di questi cicli rapidi di crescita e declino è quello della Siria. Si tratta di un paese che non è mai diventato un grande produttore mondiale, la sua produzione massima è stata di meno del 1% della produzione mondiale totale quando ha raggiunto il picco, intorno al 1995 (il grafico sotto proviene dal blog di Gail Tverberg). Per la piccola economia sisriana, tuttavia, anche questa quantità limitata era importante.

La produzione siriana di petrolio ha esaurito il suo ciclo in poco più di tre decenni. L’esaurimento ha progressivamente generato costi di produzione maggiori e ciò ha portato ad una scarsità di capitali di investimento per mantenere la produzione in aumento, costringendola infine al declino. Il risultato è stata la curva “a campana” che spesso viene chiamata “curva di Hubbert”. Intorno al 2011, la curva del consumo interno ha intersecato la curva di produzione e questo ha trasformato il paese da esportatore a importatore di petrolio. Il punto di intersezione ha corrisposto all’inizio della guerra civile.

I dati del FMI mostrano che il bilancio del governo siriano dipendeva già nel 2010 per il 25% dal petrolio. I dati sulla situazione precedente sono difficili da trovare, ma è chiaro che doveva essere molto maggiore. Potrebbe tranquillamente essere che, ai tempi del picco, gran parte degli introiti del governo provenissero dal petrolio. Visto sotto questa luce, non sorprende che la perdita completa di questi introiti abbia generato il collasso.

Così, possiamo renderci conto di cosa sia accaduto in Siria dopo il picco. Con introiti petroliferi progressivamente minori, il governo è stato sempre meno in grado di permettersi la burocrazia ed i servizi sociali che forniva. Gradualmente, è diventato anche incapace di permettersi una forza di polizia efficiente ed un esercito funzionante. La classe media, che è stata fortemente dipendente dai sussidi governativi, è stata duramente colpita. Quelli più istruiti e ricchi hanno lasciato il paese o, perlomeno, hanno spostato i loro patrimoni finanziari all’estero. Coloro che sono stati costretti a rimanere hanno visto i loro patrimoni distrutti dall’iperinflazione e sono diventati un proletariato urbano impoverito. Allo stesso tempo, anche l’agricoltura ha attraversato un disastro economico, accentuato dalle siccità create dal cambiamento climatico. A questo punto, un gran numero di giovani, disoccupati e senza speranza di futuro, è diventata carne da cannone per i fanatici religiosi ed i loro signori della guerra locali, spesso pagati da forze straniere interessate a frammentare il paese per distribuirselo fra di loro. La distruzione di qualsiasi cosa fosse rimasta è stata aiutata anche dalle sanzioni economiche e dai bombardamenti aerei. Il risultato finale è quello che vediamo: la “Malattia Siriana”. Una forma quasi terminale di malattia sociale. E’ difficile immaginare quando e come la Siria sarà in grado di recuperare anche solo l’ombra della sua ricchezza e stabilità precedenti.

I fattori che hanno portato al disastro siriano non sono in alcun modo limitati alla sola Siria. Lo Yemen ha attraversato un ciclo quasi identico. Ha superato il proprio picco di produzione petrolifera nel 2002 a livelli inferiori di quelli della Siria, ma probabilmente con un’importanza maggiore per l’economia locale. Il punto di incrocio delle curve di produzione e consumo ha avuto luogo nel 2013 e, come la Siria, il paese è attualmente distrutto dalla guerra civile e dai bombardamenti aerei. (Immagine da “crudeoilpeak”).

Ci sono diversi altri esempi di produttori di petrolio minori che hanno attraversato cicli analoghi. L’Egitto, per esempio, ha vissuto l’incrocio di produzione e consumo nel 2010, vivendo una fase di drammatico disordine civile. L’Egitto, tuttavia, non è collassato, molto probabilmente perché l’importanza del petrolio nella sua economia non era così grande come lo era in Siria. Altri esempi di paesi che hanno vissuto l’incrocio sono la Malesia e l’Indonesia, che a loro volta attraversano problemi interni, ma non un collasso generalizzato. Nessun paese è completamente immune dalla Malattia siriana, ma alcuni sono meno sensibili ad essa. Così, alcuni produttori di petrolio, come il Regno Unito, hanno attraversato il punto di incrocio senza subire disastri evidenti, ma la dipendenza del governo inglese dal petrolio greggio era solo del 2% nel 2011.

A questo punto, la domanda è ovvia: dati i casi conosciuti di malattia siriana, dato l’esaurimento inevitabile, quale paese è il prossimo?

Ci sono diversi candidati per un futuro incrocio fra produzione e consumo, ma nessuno sembra esservi così vicino. Venezuela, Iran e Messico potrebbero essere i produttori più a rischio, ma il momento critico potrebbe essere ancora lontano diversi anni. Ma il caso più interessante e preoccupante è quello dell’Arabia Saudita. I dati mostrati sotto provengono da Mazamascience. La maggior parte dei produttori della Penisola Arabica (con l’eccezione dello Yemen) mostrano schemi analoghi.

Vedete che, nonostante il rapido aumento del consumo interno, l’Arabia Saudita è ancora in grado di esportare circa due terzi della propria produzione. Ma come andrà in futuro? Naturalmente, le estrapolazioni sono sempre pericolose, ma non sembra che le curve di produzione e consumo siano destinate ad incontrarsi molto presto. Pertanto, il paese potrebbe avere ancora almeno un paio di decenni di introiti sostanziosi dall’esportazione di petrolio. Il problema è che l’economia saudita è pesantemente dipendente dal petrolio: il 90% degli introiti governativi provengono dal petrolio. Quindi l’Arabia Saudita potrebbe non aver bisogno di attraversare il punto di incrocio per cominciare ad avere problemi. Considerate che è quasi completamente dipendente dalle importazioni per quanto riguarda il cibo consumato dalla sua popolazione e che la tendenza sta peggiorando a causa dell’esaurimento delle falde acquifere locali. Potete immaginare che razza di problema possa diventare in caso di una perdita sostanziale di risorse finanziarie provenienti dal petrolio greggio. Se l’Arabia Saudita comincia a soffrire della malattia siriana, il disastro che ne risulterebbe potrebbe far sembrare il collasso siriano un gioco da ragazzi.

C’è una qualche speranza che l’Arabia Saudita o qualsiasi altro paese produttore evitino la Malattia siriana? Ci sono diversi modi di posticipare o invertire il declino della produzione petrolifera se sono disponibili sufficienti risorse finanziarie. Tuttavia, queste sono msolo misure di ripiego: l’esaurimento è un processo irreversibile. Un paese può prepararsi ad esso soltanto costruendosi un’infrastruttura economica alternativa finché è ancora possibile. Un’opportunità che è stata persa in Siria. Oggi, all’Arabia Saudita non mancano le risorse finanziarie per investimenti massicci in energia rinnovabile, che fornirebbe un’alternativa al collasso creato dall’esaurimento. Sfortunatamente, non sembra che questi investimenti verranno fatti, col governo saudita che preferisce impegnarsi in costosi giochi di potere militari. E’ una cattiva idea non solo per l’Arabia Saudita, ma per il mondo intero: con più del 10% del consumo mondiale di petrolio fornito dai produttori della Penisola Arabica, potete immaginare cosa potrebbe succedere se la regione dovesse essere vittima della Malattia siriana.

Il petrolio greggio ha dato molto all’Arabia Saudita, il petrolio greggio può riprendersi molto. Ma c’è qualcosa che il petrolio greggio non potrà mai dare: la saggezza necessaria per gestirlo bene.

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Dopo la COP21 di Parigi: cinque scenari per il futuro

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

 2060: la ricerca di una tecnologia rivoluzionaria per risolvere il cambiamento climatico continua. “E’ una macchina del tempo che speriamo ci riporti indietro di 50 anni quando avremmo potuto tassare il carbonio”.
Gli scenari non sono previsioni, solo modi per descrivere futuri possibili, utili per essere pronti ad eventi inaspettati. La sola regola nella costruzione di scenari è che le ipotesi non devono essere troppo improbabili, come contemplare macchine del tempo. Eppure, sembra che in alcuni casi che coinvolgono previsioni climatiche, le macchine del tempo siano un’ipotesi intrinseca

La conferenza COP21 di Parigi ha riportato il clima all’attenzione del pubblico e da adesso in avanti parte la sfida vera: cosa possiamo realmente aspettarci per il futuro del clima terrestre? Come sempre, le previsioni sono difficili, specialmente quando ci sono molte variabili coinvolte. Ciononostante, il cambiamento climatico è il risultato di fattori fisici che possiamo capire e sappiamo che l’accumulo di gas serra in atmosfera – se continuasse – ci porterà ad un futuro molto sgradevole.

Se guardiamo al futuro a lungo termine, tutta la questione ruota intorno a se riusciamo a ruotare al di sotto di un aumento di temperatura che è ritenuto “sicuro” (potrebbe essere 2°C, ma non lo sappiamo con certezza), o superiamo il limite e ci ritroviamo al di sopra del “punto di non ritorno climatico” dopo il quale il sistema comincia a muoversi verso un riscaldamento sempre maggiore, con tutti i disastri associati.

Quindi ho pensato che avrei potuto impegnarmi in un piccolo esercizio di “costruzione di scenari” qualitativi con una focalizzazione particolare sul clima. Ecco alcuni scenari, elencati senza un ordine particolare. Alcuni li potreste vedere come orribili, alcuni come improbabili, altri come eccessivamente ottimistici. Ma non sono altro che scenari. La COP21 è stato un passo nella giusta direzione. Evitare le conseguenze peggiori non sarà facile, ma dipende da noi.

1. Business as usual. In questo scenario, le cose rimangono in gran parte come sono oggi, peggiorano soltanto gradualmente. Non ci sono grandi guerre, nessun collasso economico brusco, nessun disastro climatico improvviso. Ma le temperature continuano ad aumentare mentre il sistema economico mondiale viene colpito da una crisi dopo l’altra. Quindi l’economia perde gradualmente le risorse necessarie per mantenere in vita le strutture che studiano e comprendono i problemi globali: università e centri di ricerca. Di conseguenza, i problemi globali scivolano via dalla consapevolezza collettiva. Le persone vengono uccise da ondate di calore, affamate dalle siccità, spazzate via da uragani mostruosi, eppure nessuno è in grado di collegare tutto ciò al cambiamento climatico, mentre la combustione di combustibili fossili, anche se ridotta a causa dell’esaurimento, continua. Sul lungo periodo, ciò porterebbe alla fine della civiltà con un sussurro, piuttosto che con un fragore.

2. Il panico climatico. Questo è lo scenario simmetrico ed opposto a quello sopra. Man mano che la crisi climatica peggiora, potremmo arrivare ad un “punto di svolta della percezione”, forse generato da qualche evento spettacolare (vedi un mostruoso distacco di ghiaccio dall’Antartide o dalla Groenlandia) o, semplicemente, dall’accumulo di prove. Un’ondata di panico climatico porterebbe ad una corsa a “fare qualcosa” e le cose potrebbero peggiorare piuttosto che migliorare se, per esempio, fosse tentata qualche forma estrema di geoingegneria. Tuttavia, potrebbe anche portare a risultati positivi. Per esempio, una spinta alla riforestazione e alle energie rinnovabili mitigherebbero efficacemente il cambiamento climatico. Non è scontato che la nostra civiltà necessiti uno scoppio di panico per essere salvata, ma questo potrebbe darle una possibilità in più.

3. Il collasso di Seneca. Prima di essere colpita dal disastro climatico, l’economia mondiale potrebbe sperimentare un “collasso di Seneca” in conseguenza dell’esaurimento delle risorse. In una situazione del genere, le persone non avrebbero tempo di preoccuparsi di niente se non della loro sopravvivenza immediata e questo porterebbe a dimenticare completamente il cambiamento climatico. D’altra parte, il collasso economico causerebbe una riduzione delle emissioni probabilmente ben oltre anche ai sogni più arditi degli ambientalisti. Non è scontato, tuttavia, che questo sarebbe sufficiente per evitare di andare al di sopra del limite dei 2°C.

4. Gli stati in guerra. L’attuale situazione è stata paragonata all’inizio della Prima Guerra Mondiale e ci sono rischi seri che i conflitti in corso possano intensificarsi fino a diventare un grande confronto mondiale. In un caso del genere, tutte le preoccupazioni sul cambiamento climatico verrebbero immediatamente dimenticate. Una grande guerra probabilmente rinforzerebbe gli sforzi per estrarre quanti più combustibili fossili possibile, compresi, probabilmente, gli scisti petroliferi che le forze di mercato non sembrano in grado di estrarre (Potrebbe essere che l’attuale motore della guerra emerga in parte da questo tipo di considerazione). Ciò porterebbe all’impennata delle emissioni, perlomeno per la durata della guerra. Dall’altra parte, è probabile che qualsiasi grande guerra si spenga lentamente a causa della mancanza di energia e di risorse per portarla avanti. Per cui il picco del carbonio non durerà a lungo. Eppure, potrebbe fare molto danno, rendendo le cose anche più difficili.

5. L’olocausto nucleare. Una variante dello scenario di guerra, ipotizza che uno o più contendenti decidano di giocare la carta nucleare. Ciò potrebbe assumere la forma di bombardamenti nucleari tattici o strategici o anche quella di attaccare le centrali nucleari dell’avversario utilizzando armi convenzionali. In ogni caso, vedremmo una rapida caduta delle emissioni di carbonio, grande tanto quanto le aree industriali che sarebbero distrutte o semplicemente rese inabitabili. Un massiccio scambio nucleare genererebbe anche così tanta polvere nell’alta atmosfera che il risultato potrebbe essere descritto come un “inverno nucleare” che causa un raffreddamento estremo che farebbe ancora più danno del riscaldamento. Tuttavia, non farebbe niente per cambiare l’effetto di lungo termine dei gas serra già emessi nell’atmosfera. La polvere alla fine ricadrebbe e il riscaldamento ricomincerebbe più di prima.

6. Spopolamento. Le proiezioni più attuali ipotizzano che la popolazione umana continuerà a crescere dolcemente per tutto il XXI secolo, raggiungendo un plateau a circa 9-10 miliardi di persone, o forse più di così. Tuttavia, le registrazioni storiche mostrano che le popolazioni umane raramente seguono questo tipo di traiettoria, tendendo più spesso al collasso dopo aver raggiunto un picco. Un esempio è quello dell’Irlanda, fra il 1845 4 il 1850, quando la popolazione è collassata a circa la metà della dimensione che aveva al picco. La popolazione mondiale potrebbe collassare allo stesso modo in conseguenza di guerre, epidemie, inquinamento, di qualcuno che gioca con le armi biologiche e potrebbe non essere impossibile perdere diversi miliardi di persone in pochi decenni, o persino più rapidamente. Il risultato sarebbe una forte riduzione delle emissioni di gas serra, anche se ottenuta ad un prezzo che nessuno vorrebbe pagare. Tuttavia, le persone continuerebbero a bruciare combustibili fossili e la quantità cumulativa dei gas serra nell’atmosfera continuerebbe ad aumentare. Quindi non è scontato che anche questo scenario estremo possa portare ad evitare il punto di non ritorno climatico.

7. La rivoluzione rinnovabile. L’energia rinnovabile è il jolly della situazione. E’ già abbastanza efficiente da competere coi combustibili fossili e potrebbe crescere abbastanza velocemente da sostituirli prima che sia troppo tardi. Ipotizziamo che le persone capiscano sia i vantaggi delle energie rinnovabili sia il disperato bisogno che abbiamo di smettere di bruciare combustibili fossili, potremmo quindi giungere ad una rivoluzione “dal basso” in cui non ci serve un mercato delle emissioni imposto dal governo o una carbon tax. Una situazione in cui persino i negazionisti della scienza del clima non sarebbero così stupidi da pagare di più per energia fossile sporca se possono avere energia più economica e pulita. Alla fine, la battaglia per il clima verrebbe vinta quando un consorzio di società di rinnovabili compra la Exxon e la chiude. Problema risolto, ed è l’inizio di una nuova era.

Potremmo mettere insieme alcuni di questi scenari, o pensarne di diversi. La sola regola è che non debbano essere troppo improbabili. Per esempio, non dovremmo includere scenari che hanno a che fare con un’invasione aliena del pianeta o con la COP97 che si tiene a Siorapaluk, nel nord della Groenlandia nel 2074, che alla fine giunge ad un trattato vincolante sull’eliminazione progressiva dei combustibili fossili. A parte questo, il futuro ci sorprende sempre. Solo non dimenticate che il futuro non può essere previsto, ma per il futuro ci si può preparare.

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COP21 a Parigi: La situazione è critica, ma state calmi

da “Pisorno.it”

Max Strata
Max Strata

L’accordo c’è ma cosa cambia? Si è conclusa a Parigi la 21ma conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici

14dicembre 2015 di  Max Strata

clima urgenza.Ha riunito tecnici e politici di tutto il mondo per trovare un accordo che sia in grado di contenere il surriscaldamento del pianeta entro i due gradi centigradi a fine secolo rispetto alla temperatura media del periodo in cui è iniziata la rivoluzione industriale.

L’accordo, tra un generale entusiasmo, è dunque arrivato e immediatamente è stato salutato dai media come una pagina storica per l’umanità. Non c’è dubbio che dopo gli insuccessi delle trattative che avevano segnato un percorso durato oltre venti anni, siamo apparentemente di fronte a qualcosa di nuovo e di auspicabile, se non altro per il fatto che la diplomazia ha battuto un colpo e si è fatta sentire. A guardar bene però, il risultato è tutto qui, poiché di vincolante non c’è niente (e non potrebbe esserci stato) e i singoli Paesi, da quelli più ricchi, a quelli “emergenti”, ai più poveri, continueranno a muoversi ciascuno per conto proprio, autocertificando, gli interventi finalizzati a diminuire le emissioni climalteranti.

parigi clima
Parigi per la Cop21Sulla revisione e l’aggiornamento delle politiche nazionali di riduzione delle emissioni climalteranti bisognerà attendere il 2020 e addirittura il 2023 per il controllo dell’attuazione degli impegni; il 2020 è anche l’anno in cui dovrebbe essere reso completamente disponibile il fondo comune da cento miliardi di dollari all’anno, destinato al trasferimento delle “tecnologie pulite” ai paesi a scarsa industralizzazione (un buon business per molte aziende occidentali), mentre nel frattempo gli incentivi all’uso del petrolio potrebbero continuare a ricevere la modica cifra di cinquecento miliardi di dollari all’anno.
Ancora tempo dunque per dare fondo alle riserve di oro nero prima di procedere con convinzione su una via alternativa benché la ricerca scientifica abbia da tempo precisato che siamo in grave ritardo rispetto ai cambiamenti da effettuare.

Riassumendo, si può dire che è stato creato un quadro di riferimento che addirittura vede come traguardo il contenimento del rialzo della temperatura media ben al di sotto dei due gradi (ovvero un grado e mezzo) sapendo tuttavia che un grado ce lo siamo già giocati e che quindi ci resta un margine strettissimo su cui operare e in cui dovremmo riorganizzare l’intera economia globale dominata dai combustibili fossili.

Questo è il punto.

agricoltura mondoSi tratta di uno spazio di manovra eccezionalmente piccolo all’interno del quale si rende necessario abbattere l’uso di petrolio, carbone e gas naturale, smettere di tagliare le foreste e smettere di allevare animali in modo intensivo, ovvero, ridurre drasticamente le quantità di merci in circolazione e colpire al cuore il tipo di economia dominata dall’idea di crescita a cui (noi dei paesi più ricchi) ci siamo abituati. E tutto questo senza intaccare i consumi del trasporto aereo e marittimo, per non parlare dei costi energetici dell’apparato militare mondiale che per definizione non vengono neppure contabilizzati poiché vale il principio che la guerra è una cosa a parte, pianeta da salvare o meno.

L’accordo dunque non impone e non può imporre quanto è sgradito a chi comanda e in ogni caso sarà rivedibile ogni cinque anni.

Semplificando, ci dice che (forse) ci saranno un po’ di soldi a disposizione per riparare i danni prodotti dal caos climatico (sommersione di terre, distruzione di raccolti e infrastrutture, ecc.) ma che non è possibile introdurre nel documento finale ne il concetto di “giustizia climatica” ne quello di “diritti umani”.

Soprattutto, facendo finta di non sapere che la densità energetica del petrolio non è attualmente sostituibile, ci dice che la Green Economy è il nostro futuro, ovvero che lo sviluppo delle energie rinnovabili ci porterà fuori dal pantano in cui ci siamo infilati e che saranno gli investimenti della finanza a modificare gli assetti attuali e ad avviare la de-carbonizzazione, considerato che per raggiungere gli obiettivi individuati entro il 2050 sarà indispensabile lasciare sotto terra i combustibili fossili.

In sostanza, secondo lo spirito di Parigi, sarà questa nuova indicazione “politica” dei grandi e dei piccoli della Terra a far cambiare strada alla grandi Lobbies del settore, e a far dirottare investimenti e strategie di business verso un altro modello di produzione dell’energia: come a dire a chi ha procurato il problema, “ora devi risolverlo”.

Devo essermi perso qualcosa poiché mi era parso che soprattutto negli ultimi anni fosse ormai chiaro che sono le grandi multinazionali che condizionano i governi nelle loro scelte e non il contrario.

Qualche osservatore, del resto, ha fatto notare come al tavolo dei negoziati non fosse stata invitata, ne dunque sia stata ufficialmente rappresentata, nessuna grande compagnia, come a dire, che probabilmente non ce n’era bisogno in quanto gli interessi di “Big Oil” potevano considerarsi già ampiamente rappresentati.

Dr. James Hansen

Dr. James Hansen

Insomma, il messaggio di Parigi potrebbe essere ironicamente riassunto in una frase del genere “la situazione è critica ma state calmi, non intaccheremo l’economia e salveremo il pianeta”.

James Hansen, uno tra i più importanti studiosi del clima, ha commentato a caldo dicendo che la conferenza ha partorito una frode, un testo che contiene solo promesse, altri come Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace, ha invece sottolineato i passi avanti definendo l’accordo come la tappa di un viaggio che prosegue.

Ma parlare di luci e ombre sarebbe riduttivo e come al solito troveremo anche nelle analisi più accurate dei prossimi giorni, sostenitori del sì -si tratta di un risultato importante- e del no -si tratta di un fallimento -.
Più banalmente vorrei sottolineare che da una conferenza di questo genere sarebbe stato difficile avere preteso di più, considerati i veti incrociati e le ambizioni dei singoli stati che non intendono mettere in discussione il tema centrale della crescita economica.
geopoliticaQuel che è certo è che adesso il tema del caos climatico e del suo rapporto con un modello di sviluppo energivoro che impatta disastrosamente sugli ecosistemi e sulle comunità umane, non potrà più essere messo in discussione.

Come ho scritto appena qualche giorno fa su Il Tirreno, tecnicamente siamo di fronte ad un generale “tipping point”, ovvero ad punto di “non ritorno ecologico” oltre il quale si manifestano in modo esponenziale i ritorni negativi del processo che abbiamo messo in moto.

Quanto l’accordo di Parigi potrà incidere concretamente sui pessimi scenari che ci attendono, lo vedremo, personalmente continuo a restare scettico sulla capacità dell’establishment di comprendere davvero quanto sta avvenendo sotto il profilo chimico/fisico al pianeta e quindi, come tale sovrastruttura possa essa in grado di organizzare una risposta efficace.

energia contributiUna risposta che peraltro non può prescindere da una profonda modifica dell’esistente, ragione per cui appare quanto meno azzardato confidare che un cambiamento di tale portata possa venire da coloro (individui e gruppi) che sul mantenimento dell’attuale modello economico e sociale fondano le loro posizioni di privilegio e di potere.

Come ho scritto, appare più ragionevole e concretamente fattibile, sviluppare in tempi brevi la costruzione di una resilienza locale che significa iniziare da subito a ridisegnare i flussi di energia e di materia che caratterizzano ciascun territorio secondo una logica “carbon neutral” e di economia circolare, riducendo rapidamente le emissioni climalteranti e organizzando in loco (e non in mega impianti) la produzione di energia rinnovabile e la fornitura di servizi, sviluppando una forte agricoltura locale stagionale e non monocolturale, investendo in progetti di conservazione della biodiversità e degli ecosistemi.

Piuttosto che lasciare che qualcuno provveda per noi, in questo caso si tratta di operare direttamente e non per delega, in modo orizzontale e non verticale (verticistico), affinché diminuisca progressivamente non solo la pressione che esercitiamo su tutte le risorse del pianeta ma anche la concentrazione di denaro e di poteri che attualmente fanno sì che il 99% della ricchezza globale sia posta nelle mani dell’1% dei nostri concittadini.
Per ottenere risultati tangibili è dunque fondamentale comprendere che dovremo fare con meno e fare bene e che non dobbiamo avere paura nel pronunciare il termine -decrescita- in quanto la cosidetta “crescita economica e materiale”, evidentemente risulta ormai appannaggio dei soliti noti e, come tra gli altri spiega molto bene Tim Jackson nel suo “Prosperità senza crescita”, nel provocare alti costi sociali non contribuisce più al “sentirsi bene delle persone”.

A partire dalle singole comunità territoriali, è allora indispensabile riorganizzare il sistema economico e sociale puntando dritto verso un modello ecologico autenticamente sostenibile, inclusivo, equo e stazionario, un modello che si sta già sperimentando con varie modalità in realtà rurali e urbane di tutti continenti e che probabilmente può permetterci di affrontare in modo intelligente la transizione che ci attende.

Un percorso per il cambiamento che la conferenza di Parigi evidentemente non poteva e non ha saputo elaborare.

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Clima: camminare su un sentiero di montagna con gli occhi chiusi sperando che il burrone sia ancora molto lontano…

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Questo post è stato leggermente modificato rispetto alla versione apparsa in inglese


Il pericolo del cambiamento climatico continua ad essere ampiamente frainteso o ignorato. 

Il cambiamento climatico, a quanto pare, viene visto come qualcosa di lontano, la sua importanza viene sminuita da minacce più immediate, dal terrorismo alle preoccupazioni finanziarie. E i governi sembrano soffrire di sindrome di sdoppiamento della personalità, con i politici che si accalcano a Parigi per dichiarare l’assoluta necessità di salvare il pianeta per le future generazioni e poi tornano a casa e dichiarano l’assoluta necessità di far ripartire la crescita.

Ma la minaccia climatica non riguarda le future generazioni. E’ una cosa che avviene adesso, che è avvenuta per un secolo e che continua ad avvenire, portandoci lungo un sentiero pericoloso che finisce da qualche parte, probabilmente in un burrone ripido.

Ecco un riassunto della situazione ad oggi. Non è da intendersi come esauriente, ma come un tentativo di cogliere i punti principali di quello che sta avvenendo.

1. Gas serra.  Il biossido di carbonio e il metano sono i principali gas serra generati come risultato delle attività umane. Il loro accumulo nell’atmosfera continua. Riguardo al CO2, il 2015 probabilmente è stato l’ultimo anno della storia durante il quale gli esseri umani hanno potuto respirare un’aria che ne contiene meno di 400 ppm. Da adesso in poi, le concentrazioni saranno maggiori. Non sappiamo quali effetti avranno queste concentrazioni sulle persone, ma sappiamo che gli esseri umani non hanno mai sperimentato un’atmosfera con più di 300 ppm di CO2 per più di 100.000 anni della loro esistenza come specie. Sappiamo anche che il processo cognitivo umano è già compromesso in modo misurabile a concentrazioni al di sopra delle 600-800 ppm. Riguardo al metano, anche le sue concentrazioni stanno aumentando dopo un periodo di stasi che è durato fino al 2006. Esistono possibilità preoccupanti che le temperature in aumento genereranno un “punto di non ritorno” in cui il rilascio di metano intrappolato nel permafrost delle alte latitudini diventerebbe una fonte indipendente e fuori controllo di gas serra. Finora, non ci sono prove che ciò stia avvenendo, ma ci sono rapporti preoccupanti di esplosioni di metano rilasciate da crateri in Siberia.

2. Temperature. Il cambiamento climatico non significa solo aumento delle temperature, ma questa probabilmente ne è la manifestazione più diretta e visibile. La Terra è diventata sempre più calda durante l’ultimo secolo, più o meno, ed oggi la cosiddetta “pausa” è finita, se è mai esistita. Il 2015 sta per diventare l’anno più caldo mai registrato, con buone possibilità che il 2016 sia anche più caldo. Siamo molto vicini, o abbiamo già superato, ad 1°C di aumento della temperatura media rispetto al periodo preindustriale. Gli effetti di questo riscaldamento sono molteplici: siccità, ondate di calore, fusione dei ghiacciai, aumento del livello del mare ed altro. E più la Terra si riscalda, più questi effetti sono importanti.

3. Fusione dei ghiacci e livelli del mare. La fusione celle calotte glaciali e dei ghiacciai continua inarrestabile, anche se non si è verificato nessun evento spettacolare, finora. Alcuni studi sembrano indicare che l’Antartide abbia guadagnato un po’ di calotta glaciale dal 2008 a causa dell’aumento delle nevicate ma, anche se questo risultasse essere vero, la tendenza complessiva alla fusione è evidente. La fusione dei ghiacciai continentali sta destabilizzando le montagne, causando frane estese. L’acqua dolce che fluisce nell’oceano è uno dei fattori principali che causano un aumento dei livelli dei mari. Al momento ci troviamo ad un livello di circa 20 cm più alto di quando sono iniziate le misurazioni, alla fine del XIX secolo. Finora, nessuna città costiera o isola abitata è finita sott’acqua in modo permanente, ma se la tendenza ad aumentare continua questo sarà un problema enorme.

4. Disastri legati al meteo e al clima. Gli schemi meteorologici che cambiano sono uno dei fattori che hanno generato un rapido aumento dei disastri naturali nel XX secolo. Il numero di disastri sembra aver raggiunto un picco intorno al 2004-2006, anche se il danno arrecato continua ad aumentare in termini monetari. Il cambiamento degli schemi meteorologici sta causando danni considerevoli all’agricoltura, colpita dalle siccità (come sta succedendo negli Stati Uniti) e dagli instabili schemi delle precipitazioni. Finora, la produzione di cibo non è stata colpita pesantemente, perlomeno in media e la produzione di cereali rimane stabile, o persino in crescita. Tuttavia, i paesi poveri sono particolarmente a rischio, visto che i contadini non hanno le risorse finanziarie necessarie per adattarsi. La produzione ittica è in declino quasi ovunque, in gran parte a causa della pesca eccessiva, ma anche a causa del riscaldamento degli oceani.

5. Altri effetti. Tutti quelli precedenti sono effetti che possono essere classificati sotto l’etichetta del “cambiamento climatico”, a sua volta un effetto del riscaldamento causato dalla forzante serra. Tuttavia, i cambiamenti in corso nell’ecosistema sono molto più complessi ed estesi. Per esempio, l’acidificazione degli oceani si sta verificando come un effetto del discioglimento del CO2 ad un livello di circa 0,1 unità di pH e che potrebbe avere effetti negativi sui coralli. Dovremmo considerare l’eutrofizzazione, l’erosione del suolo, la dispersione di metalli pesanti, la copertura del terreno con strutture permanenti, le estinzioni multiple, la deforestazione e molto altro.

Anche se breve, questo elenco mostra quanto siano giganteschi e in gran parte irreversibili i cambiamenti che hanno luogo. La Terra sta cambiando, viene trasformata in un pianeta diverso, un ambiente che i nostri antenati non hanno mai conosciuto, ma che non possiamo evitare di affrontare. In questa situazione, un certo grado di adattamento è sicuramente possibile per gli esseri umani. L’aria condizionata può aiutare contro le ondate di calore, l’agricoltura si può adattare alle siccità con l’irrigazione o passando a varietà diverse di piante, le opere ingegneristiche possono aiutare contro le alluvioni e gli incendi possono essere spenti con vari metodi. Ma ci sono limiti all’adattamento e i problemi tendono ad arrivare non gradualmente, ma tutti in una volta. Per esempio, quando New York ha subito la disastrosa inondazione del 2012, l’aumento del livello del mare è stato sicuramente un fattore che ha peggiorato il problema.

In molti casi vediamo una situazione in cui le grandi emergenze legate al clima potrebbero avvenire in ogni momento. Ci sono varie possibilità, come quella di nuove ondate di calore paragonabili, o peggiori, di quella del 2003, che ha rivendicato circa 70.000 vittime in Europa. Potremmo vedere il collasso di grandi masse di ghiaccio dall’Antartide o dalla Groenlandia che porterebbero ad un disastroso e rapido aumento del livello del mare. Oppure cambiamenti degli schemi meteorologici che colpiscono negativamente l’agricolture e quindi la produzione di cibo. O qualcos’altro. In ogni caso, man mano che la forzante serra continua ad aumentare, queste possibilità diventano sempre più probabili.

In cima a tutto questo, c’è la terribile possibilità di un “punto di non ritorno climatico”, il fatto che dopo aver raggiunto un certo grado di riscaldamento, l’intero ecosistema, comincerà a rilasciare il metano immagazzinato nel permafrost, spingendo sé stesso in un nuovo stato di temperatura. Questo nuovo stato potrebbe essere così caldo da rendere gran parte del pianeta inabitabile per gli esseri umani. Ovviamente, non c’è modo di adattarsi ad un evento del genere.

Eppure, non sarebbe impossibile stabilizzare il clima passando ad un’economia completamente alimentata dall’energia rinnovabile prima che sia troppo tardi. Ma ciò richiede sacrifici che, al momento, nessuno è disposto a fare. Quindi, continuiamo a camminare lungo il sentiero di montagna con gli occhi chiusi, sperando che il burrone sia ancora molto lontano…

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