Effetto Cassandra

Inquinamento e traffico: cosa contano i costi energetici

Durante questo periodo di siccità e aria stagnante, è ripartito un certo dibattito su cosa fare per cercare di evitare l’avvelenamento generalizzato della popolazione. E’ stato un dibattito molto fiacco, dove è parso che nessuno, veramente, avesse la minima idea di cosa fare per risolvere il problema, o perlomeno alleviarlo. Gli amministratori non sono riusciti a pensare a niente di meglio di qualche provvedimento del tutto irrilevante come la circolazione a targhe alterne, la maggioranza dei cittadini sono impegnati in una lotta sempre più difficile per arrivare a fine mese e in queste condizioni la faccenda del particolato passa in secondo piano.

Su questo punto, vi suggerisco per prima cosa un articolo interessantissimo di Dario Faccini su ASPO italia che fa il punto della situazione. Riferisce Faccini che l’inquinamento da traffico automobilistico, pur importante, non è il principale fattore alla situazione di “camera a gas” che sta affliggendo soprattutto l’Italia del Nord. Piuttosto, il problema sta nell’aumento dell’uso di legna e pellet per il riscaldamento domestico: un tipo di riscaldamento che passa per “ecologico” ma, come succede quasi sempre, si rivela avere l’effetto contrario.

Poi, a proposito di imbrogli ecologici legati al traffico, il dibattito mi ha portato a recuperare un articolo di Leonardo Libero che risale a un paio di anni fa e che non mi risulta sia mai stato pubblicato. Seppure la faccenda degli “incentivi verdi alle rottamazioni” sembra sia passata nel dimenticatoio (per fortuna), è un articolo che ci porta qualche dato quantitativo sui costi energetici e l’inquinamento correlato a un sistema di trasporto che non ci possiamo più permettere.

Il pavimento dell’Inferno
è lastricato di buone intenzioni

di Leonardo Libero (2013)

La salubrità dell’aria è un’esigenza tanto importante e sentita che già Giuseppe Parini le aveva dedicato un’ode alla metà del 1700 ( http://online.scuola.zanichelli.it/letterautori-files/volume-2/pdf-online/11-parini.pdf ), quando nessuno poteva immaginare che lo sviluppo dell’umanità sarebbe arrivato a influire sui mutamenti del clima. Oggi invece lo sappiamo e quindi occorre evitare che i provvedimenti assunti (anche in buona fede, e non lo preciso a caso) per tutelare quella salubrità abbiano per contro effetti negativi nell’ottica del Riscaldamento Globale o “Global Warming”.

Li hanno per esempio, a mio avviso, le incentivazioni alla rottamazione-sostitutiva di auto; per le quali vengono sempre dichiarate o sott’intese finalità ambientali, ma in realtà quasi tutte comportano non necessari ed ingenti emissioni artificiali di CO2, che di quel fenomeno sono la principale concausa, mentre è minima l’efficacia di quei provvedimenti sul piano locale. Queste le ragioni:

a)- il “costo energetico” di un’autovettura media, per esempio la VW Golf, è di 18.000-22.000 kWh ( http://de.wikipedia.org/wiki/Graue_Energie ) ed esso aumenta molto per le monovolume, i fuoristrada e i SUV, che da un paio di lustri almeno sono una quota non trascurabile delle auto acquistate nuove;

b)- è noto in ambito automobilistico che da almeno 15 anni tutte le vetture vengono prodotte prevedendo che debbano percorrere, senza problemi di rilievo, non meno di 250.000 chilometri (chiedere a qualsiasi taxista per averne conferma); è quindi solo al raggiungimento di quella percorrenza che il loro costo energetico si può considerare ammortizzato;

c)- la percorrenza media annua delle auto italiane, nel decennio 2000-2009, ( http://www.autopromotec.it/ew/news/ChilometriMediAnnuali.pdf ) è stata di circa 13.000 chilometri; come dire che esse hanno, o avrebbero, impiegato 10 anni per ammortizzare poco più della metà del loro costo energetico;

d)- la rottamazione-sostituzione di un’auto, prodotta negli ultimi 15 anni e che abbia percorso meno di 250.000 chilometri, comporta quindi: I)- lo spreco della quota del suo costo energetico non ancora ammortizzata; II)- l’anticipata “spesa” del costo energetico della rottamazione, non grande, ma nemmeno trascurabile; III)- l’anticipata “spesa” dell’ingente costo energetico dell’auto sostitutiva;

e)- le centrali elettriche italiane, col mix di fonti primarie che utilizzano, emettono circa 450 grammi di CO2 per ogni kWh prodotto (http://www.eea.europa.eu/data-and-maps/figures/co2-electricity-g-per-kwh); e quelle dei Paesi che utilizzano di più il carbone ne emettono di più (in Germania se ne emettono oltre 500); poichè perciò circa 20.000 kWh x circa 450 g CO2/kWh = circa 9.000.000 g, sono circa 9 le tonnellate di CO2 che vengono immesse in atmosfera nel produrre una sola auto, media, in Italia (in Germania sono oltre 10 tonnellate).

Il danno così prodotto all’ambiente globale – senza apprezzabili vantaggi in sede locale – risulta molto maggiore di quello che si sarebbe avuto lasciando circolare la vecchia auto fino alla fine dei suoi programmati chilometri di vita; perchè per lo più è minima la differenza fa le sue emissioni nocive e quelle dell’auto sostitutiva ( http://en.wikipedia.org/wiki/European_emission_standards ) e perchè è molto piccola anche la quota di inquinamento urbano che gli esperti VERI addebitano ai motori delle auto.

In proposito è illuminante l’articolo http://www.automoto.it/eco/polveri-sottili-tutto-quello-che-non-vi-dicono.html , scritto dall’ing. Enrico De Vita – un pioniere della propulsione stradale elettrica e come tale amico dell’ambiente – e riferito ad uno studio del prof. Hans Peter Lenz dell’Università di Vienna, eseguito sui territori dell’Austria e della Germania (http://books.google.it/books/about/Emissions_and_Air_Quality.html?id=wWqzW9vruIYC&redir_esc=y). Vi si legge che solo il 26% del “particolato”, che è l’inquinante più nocivo alla salute, deriva dal traffico locale, e che solo il 9% di quel 26% – cioè appena il 2,5% del totale – è emesso dai motori delle auto private mentre del rimanente sono colpevoli le ruote di tutti i veicoli circolanti, per abrasione dell’asfalto, usura dei pneumatici e usura delle pastiglie e perché nel rotolare esse sollevano da terra anche quello di ogni origine che vi si era depositato.

“Come dire – ha scritto De Vita – che quando in certe aree si proibisce la circolazione di tutte le auto si riducono le polveri emesse della stessa percentuale e che quando si introducono norme più severe per gli scarichi delle nuove vetture, si interviene su una frazione infinitesimale di quel 2,5%, ma non si modifica in alcun modo quella ben più grande prodotta e sollevata dai pneumatici (che nel traffico locale vale 3 volte di più)”. Una fonte di inquinamento, aggiungo io, dalla quale non sono esenti neanche i veicoli elettrici.

C’è poi la questione ossidi di Azoto – NOx – da molti indicati anch’essi come nocivi alla salute, ma sui quali gradirei l’opinione di un chimico amico. In proposito si sa comunque che l’allarmismo su di essi arriva dagli USA, dove è da sempre ostacolata la diffusione dei motori diesel; i quali ne emettono sì più di quelli a benzina, ma a parità di potenza consumano anche il 40% in meno di carburante, cosa che certo non piace alla lobby dei petrolieri.

Inoltre l’Ossido Nitrico (NO), che rappresenta circa il 98 % delle emissioni totali di ossidi di azoto di un motore a combustione interna (http://www.lamiaaria.it/tutto-su/gli-inquinanti/ossidi-di-azoto.aspx ), è anche un farmaco dai molti effetti positivi (http://www.lapalestra.net/2011/03/22/ossido-nitrico-si-grazie/ ) oltre che un fertilizzante che la Natura produce per sé stessa ossidando l’Azoto dell’aria con i fulmini. Si dice perfino, a quel riguardo, che nei campi costeggianti le autostrade il mais cresca più rigoglioso che altrove. E non è fertilizzante solo per i vegetali, l’Ossido Nitrico, dato che sembra abbia avuto un ruolo nella preparazione…. del Viagra.

Leonardo Libero

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Calendario 2016

1° Gennaio, Venerdì, anno bisestile.
Ricordati che devi morire (prima o poi).
Non é necessario scriverselo, basta andare un giorno all’anno al cimitero,da vivo, per dare uno sguardo ai defunti e sepolti.
Anche un’occhiata furtiva ad un’urna cineraria può bastare.

2 Gennaio, Sabato. 
Ricordati che sei nato da una funzione esponenziale, e finirai con una funzione funebre, se avrai fortuna. 
Altrimenti nemmeno con quella. 
E ricordati anche quanta finzione adoperiamo per mostrare che di ciò non c’importa nulla.

 3 Gennaio, Domenica.
Ricordati che é impossibile sfuggire ad una qualche forma di fede.
Per esempio che esistano infiniti numeri naturali, quelli per contare uova, capelli, attimi fuggenti 
e molte altre cose, materiali ed immateriali .[Non dimenticare mai i numeri negativi che non sono quelli sfortunati, bensì quelli solitamente (un tempo) segnati in rosso nei conti bancari].
Puoi anche credere che siano in numero limitato, i numeri, ma sempre di fede si tratta.
Ma stai attento, se ti dovessero chiedere qual è il limite, dì che è un numero non interessante, 
anzi il meno interessante di tutti.
Di solito l’intelocutore ammutolisce e cambia argomento. 

4 Gennaio, Lunedì.
S’anna da Foligno.
I vizi s’imparano anche senza maestri ( tratto da un noto calendario di un pio indovino).

5 Gennaio, Martedì.
Pensa, se già trovi ostiche le funzioni esponenziali, pensa come potrebbero essere quelle ricorsive.
Ma, almeno sappi che esistono e non solo nella mente dei matematici.
Anche in una testa di cavolfiore c’è qualcosa del genere, ed è pure evidente.
Se non ami i cavoli ammira le felci, o i cristalli di bismuto. 
O ascolta la filastrocca: 
C’era una volta un Re che disse alla sua serva “Raccontami una storia e la serva incominciò”:
“C’era una volta un Re che disse alla sua serva “Raccontami una storia e la serva incominciò”: 

(almeno per una decina di minuti).

6 Gennaio,  Mercoledì.
Se la Terra fosse una spugna o una groviera, se non altro molti avrebbero trovato una tanetta dove abitare. Infatti mangiamo groviere in alveari di cemento ed acciaio, che come spugne assorbono miriadi di abitanti.Purtroppo, anche così c’è chi gode ma non s’accontenta.
Epifania e Befana (cercare come una festa ellenica dell’apparizione divina sia diventata una strega
che svolazza con una scopa e delle calze usate come cornucopie).

7 Gennaio, Giovedì.
Se l’Inferno esiste, è vuoto, pieno o colmo e stracolmo?
Stessa domanda per quanto riguarda il Paradiso.
Più difficile rispondere alla domanda relativa al Purgatorio.
Essendo un luogo di transizione lì avvengono i fenomeni e i fatti più interessanti ed imprevedibili.
Qui ed ora hic et nunc, non pare siamo in nessuno dei tre loci menzionati.
Se fosse l’Inferno, allora i morti dovrebbero essere in Paradiso.
Se fosse il Paradiso i vivi non dovrebbero morire, e se fosse il Purgatorio, allora le regole vigenti 
sono davvero incomprensibili, almeno, se lo scopo è quello della universale redenzione degli occupanti.
Dove siamo allora?

E qui invito a proseguire le citazioni, gli aforismi, gli algoritmi anche, e tutto quanto possa servire 
a rendere il prossimo anno, il 2016, un periodo vissuto in un clima di armistizio, se non di pace, 
pur se afflitto da qualche ora di noia.   

Marco Sclarandis

Post scriptum: Auguri!more

2015: l’anno che ha cambiato tutto?

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Recenti incendi in California, foto da the Independent 

Certo che nel 2015 non sono mancati i disastri. Alcuni possono essere classificati come “naturali”, altri come causati dall’uomo. In tutti i casi, comunque, sono un’indicazione dello stress percepito dall’ecosistema e dal sistema economico allo stesso tempo. Stiamo raggiungendo, infine, i nostri limiti, come sapevamo che avremmo dovuto dal momento in cui siamo stati avvertiti, nel 1972, dallo studio intitolato “I Limiti della Crescita”.

Ma non tutto è stato poi così male nel 2015 e in questo post di fine dell’anno (e traduzione di inizio anno, ndt), concentriamoci sulle cose buone che sono accadute. Se lo facciamo, vediamo che il 2015 è stato un anno molto speciale. Non è che siano stati risolti tutti i problemi che abbiamo di fronte, ma sta succedendo qualcosa di nuovo, qualcosa di inatteso ma che potrebbe dare una spinta in una nuova direzione che il mondo potrebbe intraprendere. Una direzione che ci potrebbe portare ad un mondo migliore. E’ possibile che stiamo imparando qualcosa, dopotutto.

Lasciate quindi che elenchi alcune delle cose buone avvenute nel 2015.

L’Enciclica del Papa sul clima, la “Laudato sì. E’ stata davvero una cosa grossa. Tanto per dirne una, è stato chiaro dal modo in cui ha condizionato il dibattito. In maggioranza gli scienziati del clima, e gli scienziati in generale, sono persone pratiche, spesso atei o agnostici, raramente dei fedeli. Così, l’arrivo del Papa nel dibattito li ha presi di sorpresa: “Il papa? Cosa? E’ d’accordo con noi? Davvero? Ha detto che Dio ci ordina di salvaguardare la creazione… eh…?” Non potete immaginare quanto fossero felici questi solenni scienziati, come bambini che ricevono un regalo di Natale ad agosto! Ma l’effetto principale dell’Enciclica del Papa è stato nel campo anti-scientifico. Si sono chiaramente trovati in difficoltà. In reazione avrebbero potuto demonizzare il Papa, dicendo che è un comunista o che è posseduto dal diavolo, o qualcosa del genere. Alcuni strambi hanno hanno fatto esattamente questo ma, nel complesso, il campo anti-scientifico mainstream ha deciso che la loro migliore strategia (e probabilmente la sola) fosse di mantenere un profilo basso e sperare che la “Laudato sì” venisse ignorata e quindi dimenticata. Non lo è stata e non lo sarà. L’effetto dell’Enciclica è stato grande sulla comprensione del cambiamento climatico da parte dell’opinione pubblica. Si tratta di un effetto che sta continuando e che può solo aumentare in futuro.

La conferenza sul clima COP21 a Parigi. So che molte persone dicono che non è stato ottenuto abbastanza, il che è vero. Ma è anche vero che la conferenza è stata un successo principalmente nel mostrare la marginalità del campo anti-scientifico. Hanno speso così tanti soldi per cercare di demonizzare la scienza e gli scienziati, cercando di ridicolizzare la scienza del clima, diffondendo diverse leggende di cospirazione e poi cosa? Hanno scoperto che le delegazioni di 190 paesi a Parigi hanno dichiarato che il cambiamento climatico è reale, è antropogenico e che si deve fare qualcosa per fermarlo. Ora, pensateci: se foste nei loro panni, come vi sentireste? E’ questa la ragione principale per cui la conferenza di Parigi è stata un notevole successo. E’ stato solo un primo passo, naturalmente, ma non si va da nessuna parte senza un primo passo!

La nuova percezione della necessità di energia pulita. Quest’anno ha visto una vera esplosione nell’appoggio alle energie rinnovabili. Un insieme di tecnologie che un tempo erano viste come semplici giocattoli per sfigati verdi, ora sono sempre più viste non solo come parte della soluzione del problema del cambiamento climatico, ma LA soluzione. Fra coloro che si sono espressi con forza in favore dell’energia rinnovabile nel 2015, posso citare Arnold Schwarzenegger, Michael Klare, Naomi Oreskes, Bill Gates e sì, il Papa stesso! E’ vero, non tutti hanno capito esattamente i termini del problema. Alcuni, come Bill Gates, pensano ancora che le rinnovabili devono essere migliorate in modo sostanziale prima di essere schierate, senza rendersi conto di quanto sia stringente la necessità della transizione rinnovabile. Altri hanno capito che l’energia è un problema, ma hanno scelto la soluzione sbagliata: l’energia nucleare – come hanno fatto James Hansen ed altri. Entro certi limiti, è un errore comprensibile da parte di persone che non sono esperte di energia, ma perlomeno capiscono la necessità di produrre energia. Si tratta di un vero cambiamento di percezione: stiamo passando dalla percezione che vede la riduzione delle emissioni come la priorità ad una percezione che vede la produzione di energia pulita come la priorità. Se riusciamo a produrre energia rinnovabile pulita ad un costo inferiore dell’energia fossile, allora passeremo alle rinnovabili senza la necessità di leggi, trattati e tasse speciali (e lo possiamo fare già!)

Il collasso dei mercati petroliferi. A prima vista, i prezzi del petrolio bassi sembrerebbero essere esattamente l’opposto di quello che ci serve per combattere il cambiamento climatico. Ma non è così: pensate che abbiamo raccontato alle persone che dobbiamo “lasciare il petrolio nel sottosuolo” senza grande successo, finora. Ma ora i prezzi bassi stanno facendo il lavoro per noi rendendo non redditizia l’estrazione! I basi prezzi del petrolio del 2015 mostrano l’impossibilità del mercato di mantenere la produzione da fonti costose (e sporche) come il petrolio di scisto. Di conseguenza, l’industria del petrolio di scisto sta esalando l’ultimo respiro e ci troviamo di fronte all’inizio del declino terminale della produzione mondiale di petrolio. Questo porterà con sé il declino della produzione di combustibili fossili. L’importanza di questo evento può difficilmente essere sottovalutata. Significa che il declino delle emissioni è probabile che sia molto più rapido di qualsiasi cosa che sia stata anche vagamente immaginata alla COP21 di Parigi e che gli scenari contemplati nelle INDC (Intended Nationally Determined Contributions) saranno presto tanto obsoleti quanto le macchine volanti e i bollitori nucleari. Il declino delle emissioni potrebbe anche assumere la forma di un “Collasso di Seneca” che potrebbe fermare la crescita delle concentrazioni al di sotto del temuto “punto di svolta” climatico. Ciò sarebbe certamente una cosa buona ma, naturalmente, un collasso di Seneca della produzione mondiale di energia sarebbe un grande disastro in sé, probabilmente in grado di distruggere il sistema economico mondiale. Ma c’è una via di mezzo: l’effetto Seneca potrebbe aiutarci nel riuscire a limitare l’uso dei combustibili fossili, ma non così tanto da rimanere senza le risorse necessarie a costruire un nuovo sistema energetico basato sulle rinnovabili. E’ difficile, ma non impossibile, come mostrato dai calcoli quantitativi.

Naturalmente, le cose potrebbero andare male in altri modi. Per esempio una grande guerra potrebbe aumentare la necessità di combustibili e causare la ripresa dell’estrazione di risorse che un’economia di mercato non può estrarre da parte dell’industria petrolifera. E’ possibile, infatti, che l’attuale spinta alla guerra sia esattamente il risultato di questo tipo di considerazione. Ciononostante, la guerra non è inevitabile e, se riusciamo ad evitarla, allora il 2015 potrebbe essere ricordato come l’anno in cui tutto è cambiato. Un anno di speranza!

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Per la fine e per l’inizio, auguri.


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Fonte: wikipedia
Forse che di formiche
dobbiamo avere invidia
di loro che hanno arti
mandibole artigli antenne
occhi dalle mille lenti
menti essenziali minime
unificate in una grande
noi si ha tenaglie trapani
trivelle telescopi celle
connesse come tele
di aracnidi astutissimi
siamo più potenti e fragili
di loro esapodi un po’automi
contiamo gli attimi ed i secoli
stracciamo calendari
e ne stampiano nuovi
siamo molliche d’un intero pane
ed ognuno pane di briciole raduno
per questo ogni bambino
s’incanta del cammino
della formichina sul suo dito.

Marco Sclarandis

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Amate questo mondo fino a che vi fa male

Da “toughtcatalog.com”. Traduzione di MR (via Donella Meadows Institute)

Di Leehi Yona

Ultimamente ho sognato di dormire fino a dopo che ha suonato la sveglia. I sogni finiscono sempre nello stesso modo – nei sogni, mi sveglio spaventata, rendendomi conto di quello che è successo, ma a quel punto è già troppo tardi.

Nella vita reale, la sveglia la sento sempre.

Studio il cambiamento climatico. Sono una scienziata in erba. Sono un’organizzatrice di comunità. Sono una ventiduenne troppo consapevole di cosa significhino i gas serra per la mia generazione: vivremo le conseguenze di un problema così monumentale che colpirà ogni aspetto del nostro futuro.

Gran parte della mia ricerca si è svolta nell’Artico. Ricordo la prima volta che ho visto dei ghiacciai staccarsi in Groenlandia.

Erano le due del mattino. C’era il sole – come sempre in estate – basso sull’orizzonte. Facevo un’escursione con altri assistenti di ricerca, camminando lungo la tundra spoglia. Potevo vedere a miglia di distanza. Ogni passo che facevo lasciava un’impronta profonda sull’erba. Sentivo il peso dei miei piedi – conoscendo l’Artico, ero profondamente consapevole che quelle impronte sarebbero durare anni, come minimo.

Ci siamo appollaiati su un costone di montagna seduti di fronte ad una calotta di ghiaccio.

Abbiamo aspettato.

E poi, è venuto – immenso fulmine a ciel sereno. Poi,  un crack penetrante.

Prima che ci si rendesse conto, cinque grattacieli si sono staccati e trasformati in iceberg. Mai nella mia vita mi sono sentita un granello di polvere come in quell’occasione.

La maggior parte di noi conosce fin troppo bene cosa significa il cambiamento climatico per la nostra generazione. Le persone più rispettate, serie ed intellettuali ci dicono che non avremo futuro in cui vivere a meno che la società non si unisca come una sola umanità per ridurre le emissioni di gas serra. Poi, i decisori politici, gli adulti, questa stessa società, ci dicono che il nostro essere giovani ci rende impotenti. Come possiamo vivere con l’afflizione di sapere che non abbiamo delle vite future a cui pensare? Dobbiamo prendere in considerazione il fatto di far nascere dei figli in questo mondo quando sappiamo che il mondo sta tradendo il loro stesso diritto di vivere?

Oggi, i capi mondiali sono riuniti a Parigi per dare inizio ai colloqui sul clima della COP 21 delle Nazioni Unite – la più grande conferenza sul cambiamento climatico di questo decennio. C’erano più Capi di Stato nello stesso posto oggi che in qualsiasi altro momento storico.

Mi sono seduta con altri giovani nelle stesse sale. Abbiamo trattenuto tutti il fiato mentre guardavamo Barack Obama, François Hollande, Vladimir Putin e Justin Trudeau parlare.

“Credo, nelle parole del dottor Martin Luther King Jr., che c’è la possibilità di essere in ritardo”, ha detto il presidente Obama. “E quando si tratta di cambiamento climatico, ci siamo quasi. Ma se qui agiamo, se agiamo adesso, se mettiamo i nostri interessi a breve termine dietro all’aria che respireranno i nostri giovani, il cibo che mangeranno, l’acqua che berranno e le speranze che sostengono le loro vite, allora non saremo in ritardo per loro”.

Nel frattempo, gli Stati Uniti sono ancora un paese che mina deliberatamente il processo climatico dell’ONU.

Siamo giovani, e terrorizzati.

La nostra paura ha radici nell’immenso amore che nutriamo per questo mondo.

La mia paura più grande nella vita è di vedere i capi del mondo agire per il cambiamento climatico – vedere i nostri governi riconoscere cosa significhi essere umani e sentire la sofferenza degli altri, per mostrare compassione – piangere di felicità e poi svegliarmi.

Siamo tutti giovani in cerca di un senso – abbiamo a malapena formato le nostre identità.

Come possiamo amarci, amarci fra noi, in un mondo tanto a pezzi?

Come possiamo amare questo mondo se è così a pezzi? Come possiamo sperare quando, mentre parliamo, i capi del mondo si tengono per mano mentre si incamminano verso l’oblio? Stanno negoziando sul nostro futuro.

Amate questo mondo fino a che vi fa male. Fomentate un amore doloroso per qualsiasi cosa intorno a noi – cieli limpidi, denti di leone, neve intonsa, luce del sole, la sensazione dell’erba morbida sotto i nostri piedi nudi.

Trovatelo dentro di voi come amare questo mondo nonostante sia a pezzi. Amatelo perché è a pezzi.

Di fronte al cambiamento climatico, l’amore è la sola cosa che ci rimane. C’è speranza nel cuore di tutto questo – siamo giovani, ma sappiamo come può essere il futuro e il nostro amore per il mondo ci spinge a continuare a lavorare per renderlo migliore.

Le sveglie stanno suonando.

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Il 2016 è destinato ad essere l’anno più caldo mai registrato a livello globale

Da “The Guardian”. Traduzione di MR (via Climate Central)

Il Met Office del Regno Unito stima che il 2016 sarà perlomeno caldo quanto il 2015, il che significherebbe i tre anni più caldi mai verificatisi uno in fila all’altro

La fusione della calotta glaciale della Groenlandia e il suo effetto sull’area che circonda la Groenlandia stessa è uno degli effetti più immediati del cambiamento climatico. Foto: John Mcconnico/AP

Di Damian Carrington

Il 2016 è destinato ad essere l’anno più caldo mai registrato, secondo una previsione pubblicata dal MET Office giovedì. Si pensa che il cambiamento climatico e il picco del fenomeno meteorologico de El Niño portino la temperatura media globale del prossimo anno oltre il record, ora sicuro, che verrà stabilito dal 2015, che a sua volta batte un nuovo record stabilito nel 2014. La previsione arriva solo cinque giorni dopo che 195 nazioni hanno concordato un accordo storico per combattere il riscaldamento globale al summit delle Nazioni Unite di Parigi mantenendo l’aumento della temperatura al di sotto dei 2°C, con un’ambizione di limitare l’aumento a 1,5°C.

La previsione del Met Office indica che la temperatura media globale nel 2016 sarà di 1,14°C al di sopra delle temperature preindustriali, mostrando quanto sia impegnativo soddisfare l’obbiettivo degli 1,5°C. Il Met Office ha detto che c’è una possibilità di solo il 5% che la temperatura media globale del 2016 sarà più bassa di quella del 2015.

“La grande maggioranza del riscaldamento è il riscaldamento globale, ma la ciliegina sulla torta è il grande evento de El Niño”, ha detto il professor Adam Scaife, capo delle previsioni da mesi a decenni del Met Office. El Niño è un ciclo naturale di riscaldamento dell’Oceano Pacifico che ha un impatto globale sul meteo. L’attuale episodio è il più grande dal 1998 e sta raggiungendo ora il suo picco, ma gli effetti della temperatura globale impiegano tempo per diffondersi sul globo. “ci aspettiamo il picco del riscaldamento da El Niño nelle cifre del 2016”, ha detto Scaife. L’aumento delle temperature alimentato dal riscaldamento globale insieme alla variabilità naturale porta ad una maggiore possibilità di eventi meteo estremi, ha detto: “Quando la variabilità si aggiunge al sottostante riscaldamento, può dare impatti che non sono mai stati visti prima”. Ondate di calore sono imperversate in Cina, Russia, Australia, Medio Oriente e parti del Sud America negli ultimi due anni. Le recenti alluvioni nel nordest dell’Inghilterra si stima che siano state rese il 40% più probabili dal cambiamento climatico.

Nonostante l’aumento delle emissioni di gas serra che intrappolano sempre più calore sulla Terra, l’ultimo decennio ha visto un riscaldamento relativamente lento delle temperature dell’aria, soprannominato “pausa” del cambiamento climatico da qualcuno. Di fatto, il riscaldamento globale non ha fatto alcuna pausa. Piuttosto, i cicli climatici naturali hanno portato una parte maggiore del calore intrappolato negli oceani. Ora, secondo il Met Office, tutti i segnali dicono che il periodo di aumenti lenti delle temperature dell’aria è finito e il tasso di riscaldamento globale accelererà velocemente nei prossimi anni. Il 2014 è stato il primo anno in cui il mondo ha superato 1°C di riscaldamento al di sopra dei livelli preindustriali. La tendenza delle temperature causate dal cambiamento climatico continueranno ad andare verso l’alto a meno che le emissioni di carbonio non cominciano a crollare. Tuttavia, il Met Office non si aspetta che la rincorsa al record dal 2014 al 2016 continui all’infinito, in quanto El Niño è atteso in declino durante il 2016.

L’attuale situazione mostra come il riscaldamento globale possa unirsi con fluttuazioni naturali più piccole per spingere il nostro clima a livelli di riscaldamento che non hanno precedenti fra i dati registrati”, ha detto Simon Bullock di Friends of the Earth. “L’accordo di Parigi è stato chiarissimo sul fatto che servono misure urgenti adesso, eppure il governo di David Cameron ha reagito calpestando l’industria del solare, mentre ha  sostenuto il fracking. Questa risposta moralmente fallimentare è l’esatto opposto di ciò che serve”. Bob Ward, direttore delle politiche all’Istituto di Ricerca Grantham sul Cambiamento Climatico della London School of Economics, ha detto: “La temperatura media globale di superficie continua ad aumentare, Ciò significa che i governi devono agire con forza ed urgenza per tagliare le emissioni di gas serra se vogliamo che ci sia una possibilità di mantenere il riscaldamento futuro ben al di sotto dei 2°C, come disposto nel trattato di Parigi”. Ed ha aggiunto: “Questa proiezione è un altro colpo mortale alle affermazioni degli ‘scettici’ del cambiamento climatico secondo i quali il riscaldamento si è fermato o è in stallo”. La previsione del Met Office ipotizza una temperatura media globale di 1,14°C al di sopra dei livelli preindustriali, con una probabilità del 95% che sia fra 1,02 e 1,26°C. Si pensa che il 2015 sia di 1°C più caldo.

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La crescita inesorabile della popolazione umana

Da “The Independent”. Traduzione di MR (via Population Matters)

Anche una guerra mondiale o una pandemia darebbero come risultato una popolazione di perlomeno 5 miliardi di persone nel 2100

Di Steve Connor

Attualmente ci sono circa 7,1 miliardi di persone (qui il numero reale aggiornato momento per momento, ndt)  sulla Terra e i demografi stimano che questo numero potrebbe salire a circa 9 miliardi nel 2050. (Getty) 

La popolazione globale umana è “bloccata” ad un aumento inesorabile in questo secolo e non sarà facilmente spostata, nemmeno da eventi apocalittici come una terza guerra mondiale o pandemia letale, ha scoperto uno studio. Non ci sono “soluzioni facili” alla bomba a orologeria della popolazione, perché ora ci sono così tante persone che nemmeno un disastro globale inimmaginabile fermerà la crescita, hanno concluso gli scienziati.

Anche se le misure progettate per ridurre la fertilità umana nelle parti del mondo in cui la crescita della popolazione è più veloce alla fine avranno impatti a lungo termine sui numeri, questo deve andare a braccetto con politiche mirate a ridurre il consumo di risorse naturali, hanno detto. Due importanti ecologisti, che di solito studiano le popolazioni di animali selvaggi, hanno concluso che il numero di persone nel mondo oggi costituirà uno dei problemi più scoraggianti per una vita sostenibile sul pianeta nel secolo a venire – anche se ogni paese adottasse la politica draconiana del “figlio unico”.

“L’inesorabile spinta demografica della popolazione umana globale sta rapidamente erodendo il sistema di supporto vitale della Terra”, dicono il professor Corey Bradshaw dell’Università di Adelaide e il professor Barry Brook dell’Università della Tasmania nel loro studio, pubblicato negli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze. “Ipotizzando una continuazione delle attuali tendenze nella riduzione della mortalità, anche una rapida transizione ad una politica mondiale del figlio unico porta ad una popolazione analoga a quella di oggi nel 2100”, dicono. “Persino un evento catastrofico di morte di massa di  due miliardi di persone in una finestra ipotetica a metà del XXI secolo darebbe ancora circa 8 miliardi di persone per il 2100”, aggiungono.

Attualmente ci sono circa 7,1 miliardi di persone sulla Terra e i demografi stimano che questo numero possa aumentare a circa 9 miliardi per il 2050 – e a 25 miliardi per il 2100, anche se questo si basa sugli attuali tassi di fertilità, che sono attesi in diminuzione nei prossimi decenni.

Il numero di persone nel mondo oggi costituirà uno dei problemi più scoraggianti per una vita sostenibile sul pianeta nel secolo a venire. (Getty)

Il professor Bradshaw ha detto al The Independent che lo studio è stato progettato per guardare i numeri umani con lo sguardo di un ecologista che studia gli impatti naturali sugli animali per determinare se fattori come pandemie e guerre mondiali possano influenzare drammaticamente le proiezioni della popolazione. “Fondamentalmente abbiamo scoperto che la dimensione della popolazione umana è così grande da avere una spinta propria. E’ come una macchina in accelerazione che viaggia a 150 miglia all’ora. Si può pigiare forte sui freni, ma ci vuole comunque tempo per fermarsi”, ha detto il professor Bradshaw. “la popolazione globale è aumentata così rapidamente che circa il 14% di tutti gli esseri umani che siano mai vissuti sono ancora vivi oggi – questo è un dato statistico che fa pensare”, ha detto.

“Abbiamo esaminato vari scenari di cambiamento della popolazione umana globale fino al 2100 adattando i tassi di fertilità e di morte per determinare la gamma plausibile di dimensioni della popolazione alla fine del secolo. “Persino una politica mondiale del figlio unico come quella della Cina, implementata durante il secolo a venire, o eventi di mortalità catastrofica come un conflitto globale o una pandemia, risulterebbero comunque probabilmente in una popolazione dai 5 ai 10 miliardi di persone per il 2100”, ha aggiunto.

I ricercatori hanno ideato nove diversi scenari che potrebbero influenzare i numeri umani in questo secolo, che vanno dal “business as usual” con gli attuali tassi di fertilità ad un improbabile politica di un figlio per famiglia in tutto il mondo, a catastrofi su scala globale in cui muoiono miliardi di persone. “Siamo rimasti sorpresi che uno scenario di cinque anni di Terza Guerra Mondiale che imitano la stessa proporzione di persone uccise nella Prima Guerra Mondiale e nella Seconda Guerra Mondiale insieme abbiano registrato a malapena un sussulto sulla traiettoria della popolazione umana di questo secolo”, ha detto il professor Brook.

Le misure per controllare la fertilità attraverso le politiche di pianificazione familiare alla fine avranno un impatto sulla riduzione della pressione sulle risorse limitate, ma non immediatamente, ha detto. “I nostri bis-bis-bis-bis-bisnipoti potrebbero alla fine beneficiare di una tale pianificazione, ma le persone che vivono oggi no”, ha detto il professor Brook. Simon Ross, il dirigente esecutivo della Onlus Population Matters, ha detto che introducendo la moderna pianificazione famigliare nel mondo in via di sviluppo costa meno di 4 miliardi di dollari – circa un terzo del bilancio di aiuti annuale del Regno Unito. “Così, mentre la riduzione della fertilità non è una soluzione rapida, è relativamente conveniente, affidabile e popolare per i più, con effetti collaterali generalmente positivi. Diamo il benvenuto al riconoscimento del potenziale della pianificazione famigliare e dell’educazione riproduttiva per alleviare la disponibilità di risorse sul lungo termine”, ha detto il signor Ross.

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World Energy Outlook 2015: Prospettive di decrescita imminente

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

Cari lettori,

il rapporto annuale per eccellenza nel mondo dell’energia, il World Energy Outlook (WEO), pubblicato ogni anno dalla IEA in questo periodo, è stato appena presentato a Parigi lo scorso 10 novembre. Si tratta, come sempre, di un rapporto voluminoso (718 pagine, quest’anno) in cui l’agenzia commissionata dall’OCSE perché consigli i governi degli stati membri in materia di politica energetica ci dà i dettagli di quali sono gli scenari di futuro sull’evoluzione dell’energia e dell’economia nei prossimi decenni. Date le caratteristiche del rapporto (numerosissime statistiche, previsioni non contestualizzate storicamente, poca tracciabilità della veridicità o non veridicità delle edizione passate, testo ampolloso e molto esteso, eccesso di focalizzazione su alcuni dettagli poco importanti e scarso accento su altri più rilevanti, uso deliberato di un linguaggio di basso profilo e molteplicità di scenari per eludere responsabilità in caso di previsioni molto sbagliate) portano al risultato che rimestare fra i dati e le previsioni della IEA per i prossimi anni comporti sempre una certa fatica. Tuttavia, dato che si tratta di un documento centrale nelle discussioni sul cambiamento politico e che i dati inventariati contenuti nel rapporto (le sue previsioni sul futuro sono altra cosa) sono di fatto di buona qualità, si rende necessario prendersi un certo tempo e leggere il rapporto, salvando alcune conclusioni che si annidano nel rapporto stesso che a volte sono importanti e che la IEA comunica in modo aperto ma non pubblicizzato. Come negli anni precedenti, esporrò nelle prossime righe una revisione preliminare degli aspetti più salienti che ho trovato ad una lettura rapida del WEO 2015, lasciando a post successivi lo sviluppo di qualche aspetto che credo valga la pensa di evidenziare.

Come sempre, la IEA distingue vari scenari. Ci sono i tre fondamentali: Politiche Attuali (Current Policies), Nuove Politiche (New Policies) e 450 ppm. Lo scenario della Politiche Attuali descrive come ci si aspetta che evolvano le cose se continuiamo con le attuali tendenze, lo scenario Nuove Politiche è l’evoluzione attesa se si implementano le politiche annunciate dagli Stati e 450 ppm è come evolverebbero le cose se il mondo si impegnasse a fare uno sforzo per evitare che la concentrazione di CO2 nell’atmosfera giunga ad essere di 450 parti per milione. Le Politiche Attuali quindi corrispondono al BAU, mentre le Nuove Politiche corrispondono a ciò che viene considerato lo scenario più probabile ed è pertanto lo scenario di riferimento. 450 ppm sta lì per mostrare cosa si potrebbe fare se volessimo, ma ovviamente nessuno crede che verrà implementato nemmeno lontanamente. A questi scenari si aggiungono diversi sotto-scenari, in concreto quelli che fanno riferimento all’evoluzione prevista del prezzo del petrolio (vedere più in basso).

Secondo la sintesi del rapporto, le questioni più rilevanti sono la forte caduta dei prezzi del petrolio, gli impegni che le nazioni stanno prendendo in tutto il mondo per ridurre le emissioni di CO2, la transizione della Cina ad un’economia ad un’economia meno intensiva in quanto a carbonio e l’ascesa energetica dell’India. Rispetto ai prezzi del petrolio ci viene detto che dovrebbero salire nei prossimi anni, ma che se non lo fanno possiamo avere problemi di incertezza dell’offerta. Andiamo, non hanno nessuna idea di quello che succederà, il che è logico, perché non capiscono nemmeno quello che sta succedendo ora. Nella sintesi ci dicono anche che aumenterà il consumo di gas naturale, mentre si pensa che il carbone avrà “tempi turbolenti di fronte a sé”. Nella sintesi non manca una certa dose di tecno-ottimismo, fede nelle rinnovabili e di lode all’efficienza. E termina con un appello a sforzarsi di più per evitare un riscaldamento del pianeta di più di 2°C (la prima volta che la IEA ha fatto questo un famoso quotidiano spagnolo ha titolato : “La IEA si converte al credo rinnovabile”).

Una delle parole più ripetute in questo WEO: peak (picco, massimo di produzione o di domanda di qualcosa), La cosa interessante non è che questa parola viene ripetuta molto di più che in altri WEO, ma nel contesto in cui viene citata. Sempre riferendosi allo scenario di riferimento (Nuove Politiche), si parla del fatto che la UE sia giunta al proprio picco della domanda di gas ed anche che l’OCSE nel suo insieme giungerà al proprio massimo della domanda di energia verso il 2020 (senza considerare che senza energia non c’è crescita). Si dice anche che i paesi produttori di petrolio non OPEC giungeranno al loro picco prima del 2020 (un modo amabile di dire che ci si trovano già e che sfumano dicendo “a causa del disinvestimento in esplorazione e sviluppo”, come se si potesse scollegare dalla dinamica propria dal peak oil). La parola “peak” viene utilizzata anche molto in abbinamento alla parola “Cina”; per esempio, ci viene detto che la domanda cinese di carbone giungerà al suo massimo verso il 2020, che la produzione industriale cinese sta giungendo già al suo massimo (per concentrarsi a partire da ora sui servizi, secondo la IEA, contro tutte le evidenze di recessione nel paese asiatico) e che la sua popolazione lo farà verso il 2030, per essere superata allora da quella dell’India come paese più popolato del mondo. Rispetto agli Stati Uniti, il WEO riconosce che la produzione di gas di scisto (questo meraviglioso El Dorado che ci veniva promesso cinque anni fa) giungerà al suo picco nel 2020 e, in quanto al petrolio di scisto, non escludono che giunga al proprio massimo nello stesso periodo (ipotizzando, pertanto, che lo specchietto per le allodole del fracking giunga alla sua fine). C’è anche una frase provocatoria circa la possibilità che la generazione fotovoltaica sia giunta al suo massimo in Europa (pagine 359) che analizzeremo più tardi. Ma la frase più distruttiva che ho trovato riferita a massimi di domanda o produzione si trova a pagina 56, quando si afferma che “la domanda globale congiunta di petrolio e carbone giungerà al suo massimo nel 2020 per poi entrare in un chiaro declino, mentre l’uso del gas naturale lo compenserà solo fino al 2030”. Tenendo conto della grande dipendenza cinese dal carbone e di tutto il mondo rispetto al petrolio e che si sta parlando di un periodo veramente breve senza si siano realmente prodotti progressi sostanziali per la sostituzione di entrambe le materie prime, ci porta a pensare che questo sia il modo più digeribile che ha la IEA per dirci che non è il picco petrolio, ma del picco dei combustibili fossili ad essere sulla nostra testa (in accordo con quello che veniva indicato già l’anno scorso). Come se questo non fosse troppo allarmante, la IEA ci piazza a pagina 57 una bella tavola, la 2.1, che nonostante rifletta il declino del carbone e del petrolio, sottolinea chiaramente una ripresa difficile da giustificare verso il 2040. E’ che l’accettazione dei limiti è ancora un tema difficile per la IEA…

La definizione degli scenari è quella abituale, si considera che il mondo nel suo insieme continuerà a crescere a ritmi di più del 3% all’anno, anche se con una certa tendenza al rallentamento (dal 3,8% del 2030 al 3,1% del 2040). La OCSE crescerà meno del resto del mondo, al di sotto del 2% alla fine del periodo (il che ha interpretazioni interessanti in termini di creazione di lavoro, compreso da una prospettiva economica classica). Il WEO fa una curiosa disquisizione riguardo al fatto che le economie si stanno decarbonizzando, ogni volta si osserva che in tutto il mondo l’intensità energetica (kw·h di energia consumata per ogni dollaro di PIL prodotto) sta migliorando, Come varie volte abbiamo commentato in questo blog, questa approssimazione equivale a prendere fischi per fiaschi e fare di necessità virtù, visto che in epoche di crisi come questa le prime attività economiche ad essere abbandonate sono quelle meno redditizie, le quali di solito sono quelle coi costi energetici maggiori e di altro tipo, per cui l’intensità energetica migliora relativamente, è sicuro, ma ma a discapito della distruzione di attività ed impiego, il che non sembra una notizia tanto buona se viene posta in questo modo. La definizione degli scenari finisce con le classiche lodi ai progressi tecnologici che concedono il futuro, anche se qui l’immaginazione sembra essersi esaurita visto che praticamente si menzionano gli stessi progressi “in arrivo” degli ultimi decenni.

Passiamo all’analisi dello scenario centrale della IEA. Richiamano l’attenzione il riconoscimento della stagnazione del consumo delle due fonti principali di energia del mondo (petrolio e carbone), anche quando si volesse mascherare qualcosa di finto e cercato. Leggendo il rapporto apprendiamo che la IEA prevede che il consumo di petrolio negli Stati Uniti e nella UE diminuisca, per entrambi, di circa 4 milioni di barili al giorno (Mb/g), il che rappresenta qualcosa di più del 20% del consumo attuale nel caso dei primi e intorno al 30% nel caso della seconda. Perché si verifichi una tale diminuzione senza che abbia luogo una debacle economica si ipotizza che soprattutto il gas naturale, ma anche le rinnovabili, li sostituiranno parzialmente (peccato che il picco del gas, anche se un po’ più lontano di quelli probabilmente già passati di petrolio e carbone, non lo sia poi tanto: probabilmente nel 2020). In ogni caso, in realtà la IEA si sta avvicinando, senza saperlo, alle posizioni dei difensori dell’economia di stato stazionario, come mostra il seguente grafico sull’evoluzione della domanda di energia prevista per alcuni paesi e regioni in funzione dell’evoluzione prevista del loro PIL (più che altro desiderata):

Come vedete, il pronostico della IEA è che tanto la UE quanto gli Stati Uniti riducano, anche se in modo graduale, il loro consumo di energia nei prossimi decenni (nel caso degli Stati Uniti il consumo di energia primaria si manterrebbe praticamente costante, mentre nel caso dell’Europa scenderebbe dai 1.760 Mtoe nel 2013 ai 1554 Mtoe nel 2040, una diminuzione del 12%). Per essere politicamente corretto, fanno ciò mentre si muovono graziosamente verso la destra dell’asse del PIL, cioè, consumano meno energia ma producono più PIL. Purtroppo, un tale fenomeno (una forte diminuzione negli anni del consumo energetico accompagnata da un vigoroso aumento del PIL) non si è mai vista su questo pianeta, pertanto è un’ipotesi straordinaria che la IEA dovrebbe giustificare. La questione è semplice: anche i modelli più ritoccati dalla IEA dicono che non c’è energia disponibile sufficiente perché il consumo di energia aumenti in tutto il mondo, per cui è stato introdotto una variabile spettacolare di miglioramento dell’intensità energetica attraverso il progresso tecnologico inarrestabile per presentare dei dati politicamente digeribili. La realtà è che il futuro che viene dipinto per l’occidente (compreso il Giappone, per il quale la diminuzione del consumo di energia primaria prevista è del 10%) non è affatto lusinghiero e lo sarà ancora meno quando più paesi produttori cadranno nel fallimento petrolifero.

Anche se non è niente di nuovo, la IEA identifica chiaramente che la produzione di petrolio nei paesi non OPEC è  giunta al suo peak oil, pertanto prevede un moderato declino (e quindi poco credibile) per i prossimi anni (vedete la figura più in basso). Nel caso dell’OPEC, prevede un aumento sostanziale che compenserebbe con aumenti la diminuzione dei non OPEC; da questo grafico la cosa da evidenziare è che considerano che l’Arabia Saudita si manterrà praticamente costante e se ci fate caso vedrete che questo aumento poggia, ancora una volta, sul fatto che alla fine venga mantenuta la sempre disattesa promessa dell’Iraq (e ciò nonostante che nel testo si riconosca che la presenza del ISIS sul terreno sia un grave problema). Naturalmente la IEA ipotizza che se la produzione non aumenta più è per i problemi di investimento, cosa che potrebbe essere anche peggiore se, appunto, non si fanno gli investimenti necessari.

Quindi non è strano che in altre parti del rapporto si insista tanto sul fatto che bisogna ridurre le sovvenzioni ai combustibili fossili, “che alleggeriscono il loro costo”. Dando uno sguardo alla tavola 2.3 di pagina 99, dove vengono indicate alcune recenti riduzioni dei sussidi al consumo di combustibili fossili, vediamo che la maggioranza delle riforme corrispondono a paesi produttori di petrolio. Ciò rende chiaro a cosa si riferisce la IEA con l’eliminazione dei sussidi dei combustibili fossili: si pretende che nei paesi produttori si paghi coi prezzi internazionali, di modo che noi, i paesi consumatori, possiamo optare anche di comprare il petrolio che ora viene consumato internamente a quei paesi. Un esercizio di cinismo, si potrebbe dire.

Del resto del capitolo sul petrolio, evidenzio la tavola 3.5 di pagina 134, che mi servirà per la nuova edizione de “Il tramonto del petrolio” (il cui confronto con l’edizione del 2014 promette di essere molto interessante). Evidenzio anche il grafico seguente sull’investimento in investigazione e sviluppo a seconda del tipo di società, che credo rifletta bene la debacle del settore che si intuiva già nel post “L’illogica finanziaria“.

In questo WEO c’è tutto un capitolo dedicato all’analisi di quello che succederebbe se i prezzi del petrolio in particolare, ma anche delle materie prime in generale, si mantenessero bassi. Per la IEA, l’evoluzione del prezzo del petrolio risponde a fattori intrinseci: c’è un eccesso di offerta o un deficit di domanda, ma nella visione della IEA ciò non dipende per niente dall’energia stessa, ma si tratta di un fatto isolato e, se volete, fortuito di compratori e venditori. Per la IEA, l’unica cosa che può accadere è che siamo di fronte ad un tipico ciclo di mercato o meglio che si stanno producendo cambiamenti strutturali profondi, frutto del desiderio della società di ridurre le emissioni di CO2 ed essere più efficienti, che si stanno materializzando grazie alla tecnologia sopraggiunta convenientemente per facilitarlo. Ovviamente, non considera la possibilità che quello che sta succedendo è che l’energia è sempre meno disponibile e che è impossibile trovare un prezzo che convenga sia ai compratori che ai venditori (il che origina la spirale di distruzione dell’offerta – distruzione della domanda tante volte commentata su questo blog), pertanto una grande volatilità dei prezzi. Insomma, non capisce quali processi stanno avendo luogo, quindi si sentono incapaci di prevedere quale sarà il corso futuro del prezzo del petrolio. Per questo hanno deciso di aprire uno scenario alternativo a quello di riferimento, denominato “Prezzi bassi”. Perlomeno nella IEA sono in grado di identificare correttamente che i prezzi bassi pregiudicano l’investimento in esplorazione e sviluppo di nuovi giacimenti (dal 2014 al 2015 l’investimento è diminuito di un 20%) e di fatto nella loro sintesi indicano che ci possono essere rischi di sicurezza energetica importanti se la situazione non si corregge, visto che al mancare dell’investimento si mette in pericolo la fornitura futura. Vale la pene di fare un inciso qui per evidenziare la scarsa qualità dell’informazione giornalistica in Spagna: i quotidiani spagnoli hanno sottaciuto questa situazione, quella del rischio di fornitura di petrolio futuro, quando questa viene menzionata anche nel titolo della sintesi consegnata alla stampa; i quotidiani spagnoli parlano solo del fatto che il barile di petrolio potrebbe valere 80 dollari nel 2040, senza tenere conto che ciò è riferito in concreto ad un sotto-scenario (vedete la figura qui in basso: di fatto, nello scenario di riferimento il barile costerebbe più di 130 dollari nel 2040) e non essendo questo il messaggio più evidenziato dalla stessa IEA.
Il resto del capitolo sullo scenario dei prezzi bassi non vale troppo la pena di essere letto: la IEA crede che in quel caso tutto il mondo adatterebbe i suoi costi (compresi gli Stati, che dovrebbero conformarsi al fatto di chiedere meno imposte), un’analisi della rapidità con cui possono rispondere i paesi produttori alla necessità di immettere più petrolio nel mercato (un proposito contorto per evitare di parlare della classica, ed ora praticamente inesistente, capacità produttiva inutilizzata) ed una serie di disquisizioni sul costo produttivo del tight oil e sul suo ruolo come “flessibilizzatore del mercato”, che a me sono sembrate abbastanza inconsistenti, ma che servono alla IEA per salvare la faccia, tenendo conto di quanto la IEA abbia lodato questo petrolio nei sui precedenti WEO. Per riassumere una lunga discussione, la IEA considera che in media il tight oil è redditizio a partire dai 60 dollari al barile (lontano dai 90-100 che considera Art Berman, per esempio).  
Il capitolo successivo è dedicato al gas naturale, nonostante non sia la seconda fonte di energia del mondo ma la terza. La ragione è che il gas naturale ha ancora la capacità di incrementare la propria produzione, contrariamente a quello che sta succedendo al petrolio ed al carbone, anche se già nella sintesi del capitolo ci viene detto che la sua produzione aumenta a ritmi più moderati (probabile sintomo del fatto che il picco del gas non è tanto lontano come piacerebbe loro). Richiama l’attenzione l’assenza, in tutto il capitolo, di una discussione specifica di come i prezzi bassi delle materie prime possono finire per condizionare la produzione di gas naturale. Per la IEA, il futuro del gas è brillante e lo attende una forte e continua ascesa del suo consumo fino al 2040 (dev’essere così se si deve compensare la stagnazione secolare – o meglio la discesa, ma questo non lo possono riconoscere – di petrolio e carbone). Il capitolo discute le tendenze delle diverse regioni, con alcune annotazioni interessanti (che in Russia il gas naturale rappresenta già il 55% di tutta l’energia primaria consumata, o che in Europa non si attende che i livelli di consumo tornino ai valori del 2007, principalmente per la diminuzione della domanda di elettricità). Ci sono affermazioni abbastanza audaci, come per esempio che l’offerta di gas naturale della Russia non è limitata da questioni di produzione (quando tutto indica che è arrivata al suo picco del gas) ma perché i suoi mercati sono saturati e la domanda (soprattutto interna e della UE) non aumenta. Questa visione è abbastanza scioccante, tenendo conto che, come indicavamo prima, la IEA si aspetta una discesa energetica in Europa, ma con un aumento del PIL. Non sembra contemplare che nel caso in cui l’Europa non raggiunga questi meravigliosi miglioramenti di efficienza dovrà cercare una qualche energia di cui rifornirsi e il carbone e i petrolio non hanno corso. Dall’altra parte, avendo la Russia una immensa frontiera con la Cina, che ha un grande interesse a decarbonizzarsi ed ha già firmato forti accordi commerciali per accedere al gas russo e che eventualmente l’India potrebbe avere interesse ad aggiungersi a questo mercato, si direbbe che o gli analisti della IEA hanno una visione molto tendenziosa del mercato russo o è perfettamente consapevole del fatto che la produzione di gas russo ha raggiunto il vertice, ma non deve cercare scuse per giustificarlo. La figura 5.5 conferma questa impressione, nella quale si ricorre al vecchio trucco di usare percentuali di partecipazione alla produzione (in questo caso, delle diverse regioni russe) per cercare di camuffare il fatto che la regione attualmente più importante (la Siberia occidentale) è in declino.
Evidenzio, per ultimo, che si enfatizza il ruolo potenziale dell’Iran nel mercato del gas nei prossimi decenni, rafforzando anche il messaggio nello stesso senso espresso nel capitolo sul petrolio.  
Non contento di dedicare un capitolo al gas naturale, il WEO 2015 ci offre un altro capitolo completo sulle prospettive del gas non convenzionale, che si presenta sotto la domanda: “Rivoluzione globale o fenomeno nordamericano?” Come abbiamo già discusso tempo fa il petrolio sfruttabile col fracking è solo marginalmente redditizio e con un rendimento decrescente nel tempo, mentre lo sfruttamento del gas i rocce non porose mediante fracking è sempre rovinoso ed è giustificato solo dall’abuso della condizione di valuta di riserva di cui gode il dollaro, la quale permette agli Stati Uniti di importare energia incorporata (energia grigia, ndt) nei materiali elaborati comprati all’estero, esportando nello stesso processo l’inflazione che causa le misure di espansione quantitativa. Insistere, come fa la IEA, sul fatto che è necessario migliorare i quadri normativi della maggior parte dei paesi per favorire l’arrivo di una nuova era d’oro del gas (come la chiamano da tre anni) sa più di autoinganno che di realtà. Dal momento che è effettivamente consapevole del fatto che i prezzi bassi del gas naturale condizionano, e anche in che modo, quella che chiamano “rivoluzione energetica americana”, la IEA dedica loro un’analisi, che si basa sull’assunto che continueranno a diminuire i costi e a migliorare la efficienza delle estrazioni, assumendo che alla fine si troveranno più “sweet spots” o localizzazione particolarmente favorevoli (quando in realtà queste si stanno esaurendo negli Stati Uniti e quello che rimane è sensibilmente peggiore a ciò che è stato già estratto). Segue un’analisi del potenziale della Cina (in cui li esortano ad estrarre le loro immense risorse), per poi rivisitare le sette “regole d’oro” per l’estrazione del gas naturale. C’è anche posto per la discussione delle preoccupazioni ambientali e del rischio di terremoti, ma come al solito si confida che la tecnologia risolverà tutto. 
Il capitolo dedicato al carbone ha un’epigrafe abbastanza rivelatrice: “C’è mica un’altra Cina da quelle parti?”. La figura sull’evoluzione prevista per il consumo di carbone secondo gli scenari ci porta a quella che abbiamo già visto in passato per il caso delle Nuove Politiche. Qui, tuttavia, non ci viene spiegata l’origine di questo carbone, che nel caso delle Politiche Attuali  implicherebbe l’apertura di un sacco di nuove miniere non identificate.
Risulta significativa la discesa brutale del consumo di energia proveniente dal carbone in tutta l’OCSE: da 1470 Milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtoe) nel 2013 a 878 Mtoe nel 2040. Dato che Stati Uniti ed Australia, due dei paesi con le maggiori riserve, si trovano nell’OCSE e che la produzione dell’OCSE nel 2040 sarebbe non molto maggiore del consumo interno (1042 Mtoe), questa diminuzione presume una brusca diminuzione del consumo di carbone in Europa, come risulta chiaro nella figura 7.5 (vedete al di sotto di queste righe). Questo scenario ha un certo senso, perché anche se in Europa c’è ancora carbone, ed in condizioni di scarsità di petrolio è sicuro che si ricorrerà a questa materia prima, è anche vero che il carbone che rimane è di qualità peggiore (abbonda la lignite)e che quindi l’energia estraibile da esso non è tanta come quella delle antraciti o dei carboni minerali. Emerge anche la stagnazione della domanda della Cina (di nuovo, confondendo problemi di contrazione dell’offerta come se fossero di domanda) e la forte ascesa dell’India. 
Dall’altra parte, la discussione sul prezzo futuro del carbone è abbastanza inane, visto che lo si contempla come se fosse piuttosto scollegato dal prezzo del petrolio e dell’energia in generale. Per esempio, nella discussione di pagina 288 veniamo informati del fatto che una diminuzione del prezzo del petrolio del 30% si ripercuote solo in una riduzione dei costi di gestione delle miniere di carbone fra il 2 e il 10%. Lasciando da parte che forbice della variazione dei costi della stessa è abbastanza ampia e che la risposta di questi costi ai cambiamenti del prezzo del petrolio saranno sicuramente poco lineari, soprattutto per i prezzi del petrolio alti, la piroetta retorica della IEA occulta il fatto che, nell’estrazione del carbone, una parte molto considerevole del costo del carbone è associato al suo trasporto e non solo ai costi di gestione delle miniere. Bisogna dire, inoltre, che la valutazione che fa della sensibilità dei costi di gestione del carbone al prezzo del petrolio la ottiene confrontando la situazione del primo trimestre del 2014 (con prezzi del petrolio a 100 dollari al barile) con quella dell’ultimo trimestre del 2014 (con prezzi a meno di 50 dollari a barile di petrolio), il che è abbastanza assurdo, dato che non si tratta di una situazione stazionaria, gli acquisti di petrolio si fanno a tre mesi, vista la propagazione dei cambiamenti del prezzo del petrolio per tutta la catena produttiva impiega mesi, ecc. 
Risulta interessante anche la figura 7.11, nella quale ci viene mostrato che la produzione di carbone negli Stati Uniti (paese che ha un quarto delle riserve mondiali) è in declino, secondo il punto di vista della IEA a causa di una diminuzione della domanda.
Il resto del capitolo non aggiunge molto alle questioni qui discusse. C’è una parte in cui ci viene spiegato quanto sono abbondanti le riserve di carbone (come se fosse quella la variabile realmente importante e non la produzione), una discussione sul ruolo dei diversi produttori e poco altro. 
I riferimenti all’energia nucleare sono numerosi anche se molto brevi in tutto questo WEO 2015. Tuttavia la discussione circa l’uranio nel WEO 2015 è di una brevità scandalosa. E certo che la discussione di questa risorsa non è mai stata molto dettagliata, ma questo WEO supera tutti i limiti di ragionevolezza: a parte una discussione sulle riserve dell’India nel capitolo dedicato a questo paese, il solo riferimento all’uranio si concentra in un breve paragrafo della pagina 80, che traduco per intero qui di seguito: 
“Le risorse identificate di uranio sono più che sufficienti a coprire le necessità del mondo fino al 2040. Si stima che siano sufficienti a coprire le richieste globali per più di 120 anni ai ritmi di consumo del 2012 (NEA/IAEA, 2014)”. 
Questa nota brevissima contrasta con l’informazione che ci dava il WEO dello scorso anno, nel quale si riconosceva che ci potevano essere problemi di fornitura già nel 2025 e questo ipotizzando che i nuovi progetti delle miniere entrassero in funzione in tempo. La chiave si trova, come sempre, nel fatto che alludendo alle risorse si elude di parlare di quello che conta realmente, che è la produzione, continuando con il vecchio errore economicista secondo cui qualsiasi risorse può essere stratta economicamente al ritmo che più ci aggrada. Questa omissione enorme riguardo all’uranio, e in generale il tono basso che viene dato nel rapporto all’energia nucleare, fa pensare che l’attuale crisi delle materie prime sta condizionando anche l’uranio, il che implica che le miniere previste ritarderanno, pertanto probabilmente i problemi di scarsità sopraggiungeranno prima del previsto, cioè prima del 2025. Restate sintonizzati, poiché con l’uranio che abbiamo già tre materie prime energetiche (petrolio, carbone ed uranio) che sono entrate in fase di declino o sono sul punto di farlo.
Il WEO dedica anche un capitolo intero alla generazione elettrica. Ci è chiaro che è attesa una crescita della capacità installata del 71% da qui al 2040 (da 6.170 Gw a 10.570 Gw) e che la maggior parte di questa crescita proverrà dalle rinnovabili. Nella sintesi si gioca molto coi cambiamenti di percentuali (ci viene detto che il carbone passerà dall’essere il 41% della generazione di oggi al 30% nel 2040) e non è che arrivando alla tavola 8.2 che ci possiamo fare un’idea più chiara di ciò di cui si sta parlando.
Li ci rendiamo conto che se anche le rinnovabili non idroelettriche crescono con molta forza (un aumento di quasi 6.000 Tw·h annuali), in realtà il consumo di tutto il resto cresce a sua volta molto: 2.200 Tw·h annuali per il carbone, 4.000 per il gas naturale, 2.200 per il nucleare e 2.500 per l’energia idroelettrica. Il che è curioso, poiché implica un aumento considerevole del consumo di carbone (considerevole in volume, tenendo conto del fatto che ci resta il carbone di qualità peggiore), di uranio (molto dubbio) ed un incremento di energia idroelettrica, il che deve essere qualificato come molto ottimista. E quando si considera che le centrali hanno un tempo di vita utile e che quindi per coprire gli obbiettivi della IEA si dovranno aggiungere molte altre centrali delle tecnologie più sfruttate, e che pertanto bisogna sostituire più centrali nei prossimi 25 anni, è qui che scopriamo che in realtà ciò che si installerà di più sono le centrali termiche a gas naturale:
Un altro aspetto interessante di questo capitolo si riferisce alla discussione degli investimenti che si dovrebbero realizzare, naturalmente gigantesche, soprattutto per quanto si riferisce alle tecnologie rinnovabili (il che rende chiaro che hanno costi iniziali maggiori delle centrali a gas, per esempio). Curiosamente, quando si analizzano i costi di gestione vediamo che, di nuovo, sono più elevati nel caso delle rinnovabili, visto che sebbene non richiedano l’uso di combustibile, hanno alcuni costi finanziari molto elevati (cose che evidenzia che la loro redditività è abbastanza inferiore a quella che credono alcuni). 
Il resto del capitolo corrisponde ad una (lunga) discussione sui miglioramenti di efficienza che, secondo la IEA, verranno intrapresi principalmente per quanto riguarda la generazione elettrica basata sul carbone, che spiegherebbero il fatto che si possa aumentare la generazione elettrica senza aumentare tanto le emissioni di CO2. Questa parte mi sembra più un’espressione di un desiderio che la realtà, pertanto non la vedo di grande interesse.  
E veniamo infine al capitolo dedicato alle rinnovabili. La sintesi fa una lode alle rinnovabili, introducendo quando le conviene l’idroelettrico (per esempio, nell’evidenziare la percentuale attualmente generata dalle fonti rinnovabili o parlando della sua redditività) ed escludendola dall’equazione quando le rimane comodo (per esempio, quando parla di percentuali di espansione futura). Tutti questi trucchi retorici fanno pensare che siamo di fronte al trucco finale, la pietra angolare necessaria perché il WEO ottenga la quadratura del cerchio: far fronte al picco congiunto del carbone e del petrolio (e sicuramente dell’uranio), ottenere la riduzione delle emissioni di CO2 e finalmente garantire la crescita economica. La prima parte del capitolo si dedica a darci le previsioni di crescita delle diverse tecnologie. Qui c’è da evidenziare che una tecnologia rinnovabile evidenziata è la “bioenergia”, il che fondamentalmente fa riferimento alla combustione di biomassa per la generazione elettrica in una centrale termica. 
Nel paragrafo riferito all’energia fotovoltaica ci troviamo di fronte a cattive notizie per gli entusiasti di questo sistema di generazione nel Vecchio Continente: secondo la IEA, in Europa il numero annuale di nuove installazioni diminuirà durante i prossimi decenni, seguendo la tendenza degli ultimi anni (vedere la figura sotto a queste righe). Ciò non significa che la quantità di installazioni diminuisca, ma che è il ritmo di crescita a rallentare, confermando una intuizione espressa qualche mese fa da Carlos de Castro. Secondo la IEA ciò è dovuto a cattive politiche (in tutti i paesi europei, compresa esplicitamente la Germania) dalle quali si spera di trarre le “buone lezioni” atte ad evitare di commettere gli stessi errori. 
Pertanto è nell’eolico dove la IEA spera che si facciano le puntate più forti nell’ambito di quello che chiamano “le nuove rinnovabili”. Naturalmente, non ci si addentra a considerare che potrebbero esserci limiti alla quantità massima di energia che si può estrarre dai venti.
Nel resto del capitolo si discute una serie di questioni riguardo a chi sono i principali costruttori di pannelli fotovoltaici, di biocombustibili, di quanto CO2 si evita di emettere grazie alle rinnovabili, eccetera. Particolarmente interessante risulta l’analisi sulla competitività attuale e futura delle rinnovabili, dove si evince in modo piuttosto chiaro il tecno-ottimismo della IEA.
Il capitolo seguente è dedicato alla discussione sull’efficienza nell’uso dell’energia. E’ completamente assente qualsiasi allusione a Jevons. L’unica cosa interessante di questo capitolo è che si discute anche della cosiddetta “efficienza materiale”, cioè nell’uso dei materiali. 
Il resto del rapporto è dedicato all’analisi delle prospettive dell’India, con alcuni dati interessanti.
A mo di conclusione, potremmo dire che questo è il WEO del riconoscimento degli zenit, visto che sorprendentemente la IEA riconosce che ci troviamo già al massimo produttivo congiunto di petrolio e carbone, anche se lo maschera da zenit della domanda. Particolarmente grave è la sua previsione che il consumo di tutta l’energia primaria in Europa si ridurrà ancora di un 12% aggiuntivo da qui al 2040, simile alla riduzione prevista per il Giappone, mentre gli Stati Uniti non aumenteranno il loro consumo di energia. Una cosa del genere succederà, dicono, mentre nello stesso tempo il PIL aumenterà, contraddicendo tutta l’esperienza di decenni sulla relazione fra la produzione economica e l’energia.
Per i lettori incompetenti (ed anche per alcuni definiti “esperti”) conviene fare un chiarimento. Di solito si insiste sul fatto che i paesi occidentali sono riusciti a migliorare la propria intensità energetica, cioè a produrre di più per unità di energia consumata. Lasciando da parte il modo in cui è stato ottenuto questo (fondamentalmente trasferendo ad altri paesi, per esempio in Cina, la produzione dei beni che richiedono il maggior consumo di energia e che sono più inquinanti, poi importando il prodotto finito per il nostro consumo qui, pertanto in realtà aumentando in questo modo la spesa energetica per prodotto) è importante evidenziare che la relazione fra PIL e consumo di energia è sempre crescente: i paesi più “efficienti” (col trucco dell’offshoring che ho appena spiegato) producono più PIL per ogni unità di energia consumata, ma se vogliono far crescere il loro PIL devono analogamente continuare ad aumentare il consumo di energia. Non si è mai vista una relazione negativa fra consumo di energia e PIL, cosa che sarebbe fisicamente assurda (anche se per periodi molto brevi in mezzo ad una grave recessione potrebbe dare questa impressione). Di fatto, non si è nemmeno mai vista una relazione nulla (in cui il PIL cresca senza aumentare il consumo di energia). In definitiva, ciò che propone la IEA è una cosa che non si basa sulla conoscenza empirica ma su una fede infondata nel progresso tecnologico, capace di ottenere questa dematerializzazione dell’economia, quando si sa che è esattamente il contrario.
La realtà è che i dati della IEA ci dicono che attraverseremo inevitabilmente un declino energetico continuo nei prossimi decenni, perlomeno nell’OCSE, ma ci sono i segnali che questo finirà per estendersi al resto del mondo (per esempio, alla Cina). E’ questo che indicano realmente i loro dati. La supposizione che in questo contesto il PIL crescerà è completamente sua e non riesce giustificarla nelle 718 pagine del rapporto. La realtà è che la IEA ci sta parlando di declino e di decrescita, ma non lo vogliono ancora accettare. 
Saluti.
AMT
P.S.: L’accelerazione del momento storico, frutto del nostro inevitabile declino, segna l’agenda coi terribili attentati di oggi a Parigi. I miei pensieri sono con gli amici ed i ricordi che ho lasciato in quella bella città. Spero che il colto ed avanzato popolo francese non si faccia trascinare da nessuna follia dei demagoghi. Aujourd’hui, plus que jamais, je suis parisien.

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Uccidete gli scienziati! (Il trionfo del negazionismo)

Da “The great change”. Traduzione di MR

“Ci siamo abituati allo spettacolo bizzarro di un mondo intero di 190 paesi tenuto in ostaggio da 60 o 70 milionari repubblicani del Senato degli Stati Uniti”

Di Albert Bates

Ci viene in mente la formulazione classica di Elisabeth Kübler-Ross dei cinque stadi dell’afflizione – negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione – che sono trasferibili su varie gradazioni in modi diversi al cambiamento personale e allo sconvolgimento emotivo risultanti da fattori che non siano la morte o il morire, come l’angoscia da “solastalgia” prodotta dal cambiamento del proprio ambiente casalingo.

Alla conferenza sul clima di Parigi, il negazionismo ha preso il sopravvento sulla contrattazione, mentre l’Arabia Saudita, parlando (apertamente) per gli stati arabi e (indirettamente ma in modo trasparente) per Stati Uniti, Canada ed
Australia, così come per altri paesi produttori di petrolio, ha bloccato il rapporto del Structured Expert Dialogue prima che raggiungesse il piano della plenaria per essere discusso.

Barrate c’erano le 70 raccomandazioni dei Saggi, come quella di escludere qualsiasi nozione per cui i 2°C, o anche 1,5°C, possano essere considerati in qualche modo sicuri, o che in qualche modo ci fossero rimasti spazi liberi nell’atmosfera tali da permettere a Cina ed India di prendersi il lusso di riempire costruendo più centrali a carbone e facendo fracking.

In una sessione in tarda serata di giovedì, mentre diversi piccoli comitati hanno corretto una serie di voci fra parentesi sul testo negoziato, voci sorprendenti come la finanza dell’adattamento (troppo “senza limiti precisi”) e tangenti per la deforestazione evitata, i sauditi hanno obbiettato a “tutto quello che c’è di sostanzioso” nella Review being consegnata alla plenaria.

Per ricapitolare ciò che abbiamo descritto qui ad inizio settimana, lo Structured Expert Dialogue è

iniziato nel 2013 e completato nel 2015, pubblicato a Bonn come bozza, annacquato per la presentazione al Summit e poi programmato per la pubblicazione qui questa settimana. L’Arabia Saudita a disegnato la sua linea sulla sabbia e rifiutato di cedere. Le raccomandazioni procedurali, come le revisioni scientifiche periodiche ogni cinque anni a partire dal 2020, era giusto menzionarle. Soltanto niente di sostanzioso dal rapporto.

Dopo che tutti hanno fatto del loro meglio per far cedere il gruppo arabo e si stava facendo tardi, India e Cina si sono schierate con l’Arabia Saudita e così è stato fatto l’accordo.

Gli obbiettivi della COP 21 non saranno basati sulla scienza. Il negazionismo ha trionfato. Il fatto è che il negazionismo stava già vincendo qui a Parigi. Il dibattito circa la possibilità che potesse essere firmato un trattato vincolante, come è stato promesso sin da prima di Kyoto circa 20 anni fa, è solo necessario perché il più grande inquinatore storico del mondo, genitore orgoglioso del 25% dei gas serra antropogenici che ora riscaldano l’atmosfera, ha una costituzione che conferisce potere sui trattati nelle mani di un Senato di 100 membri, tutti milionari, dei quali una cospicua maggioranza sono negazionisti climatici messi dove sono dai fartelli Koch ed altre fonti fossili di soldi. E così siamo assuefatti allo spettacolo bizzarro di un mondo intero di 190 paesi tenuto in ostaggio da 60 0 70 milionari repubblicani del Senato degli Stati Uniti. Sapendo che questi non ratificheranno mai un trattato che obbliga 190 paesi a piegare la luce intorno alla loro stella.


Veniamo chiamati homo sapiens sapiens, la varietà intelligente, ed ora anche più intelligente, di scimmie nude erette che si è discostata dalle altre scimmie nel Pleistocene, 2,5 milioni di anni fa. Abbiamo avuto quel nome da Carl Linnaeus nel 1758, ma potrebbe essere tardi per un aggiornamento. Se l’Olocene è stata la nostra culla, l’Antropocene è la nostra casa di cura assistita. Probabilmente siamo diventati così dementi da dover essere legati per non farci male da soli.


Quando pensiamo a ciò che ha separato gli esseri umani dagli altri animali, tendiamo a pensare a qualità come la soggettività, la coscienza di sé, l’essere senzienti, la sapienza e la capacità di percepire le relazioni fra noi stessi e il nostro ambiente. Molti filosofi dividono la consapevolezza in consapevolezza fenomenica e coscienza disponibile, che è l’elaborazione delle cose sperimentate.

Se la Conferenza sul Clima di Parigi ci dice qualcosa è che mentre potremmo ancora mantenere la

nostra soggettività, coscienza di sé e capacità comunicative, stiamo costantemente degradando il nostro essere senzienti, la sapienza e la prospettiva di quanto ci siamo allontanati dal mondo naturale. Che un piccolo numero di teste dei paesi che si ergono per approfittare personalmente nel brevissimo termine da tangenti da parte delle industrie dei combustibili fossili possa contrastare un tentativo sincero ed appassionato della maggioranza dell’umanità di arrestare l’Armageddon climatico ci dice che non solo il processo del consenso multilaterale dell’ONU è fallito, ma che abbiamo fallito tutti.

Così, come gli Elfi della Terra di Mezzo, passiamo ad occidente, portando con noi la nostra scienza.

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La grande bufala delle scie chimiche

Da “The Guardian”. Traduzione di MR (via Cristiano Bottone)

Di George Monbiot

Il vero problema – il riscaldamento causato dalle emissioni degli aerei – ci richiede di agire. Ma concentrarsi sulle “scie chimiche” assolve le persone dalla responsabilità di farlo.


Un aereo di linea vola dall’aeroporto di Heathrow a Londra mentre il cielo è solcato da scie di condensazione. Foto: Toby Melville/Reuters 

Passi anni a cercare di portare le persone ad interessarsi alle emissioni degli aerei. Poi alla fine il problema viene colto – ma nel modo più perverso possibile. Gli inquinanti diffusi dagli aerei sono un grande problema. Danno un contributo significativo al riscaldamento globale, eppure sono esclusi dai negoziati internazionali, come la conferenza che si sta svolgendo a Parigi. Di conseguenza, l’espansione dell’aviazione è scevra da preoccupazioni sul cambiamento climatico. Questa esclusione è ridicola, se non altro perché le emissioni degli aerei hanno un ruolo particolare nel riscaldare il pianeta, a causa dell’altitudine alla quale vengono rilasciate e degli impatti moltiplicatori del vapore acqueo ed altri gas prodotti dagli aerei. Gas che a volte formano scie di condensazione nel cielo.

Potreste aspettarvi che io sia contento del fatto che migliaia di persone si stiano interessando alle scie di condensazione ed ai loro effetti e che stiano protestando contro le linee aeree che le producono. Nemmeno per sogno. Le persone che urlano di più nel protestare contro le emissioni dell’aviazione non hanno alcun interesse per il loro contributo al riscaldamento globale. Proprio il contrario. Molti di coloro che ora denunciano l’inquinamento dei cieli vedono la scienza del clima come parte del problema: una cospirazione di multinazionali, pianificatori militari ed altri interessi malvagi per controllare i cieli. Fino a poco tempo fa, ho ignorato questo movimento, anche se se si è diffuso fra presone che conoscevo. Le voci sono diventate così pervasive che il governo, che raramente risponde alle teorie della cospirazione, quest’estate si è sentito obbligato a produrre una scheda informativa per smontarne le affermazioni principali. Ma è stato solo quando l’editore di una grande rivista ambientalista mi ha mandato ciò che ha chiamato “un saggio notevole”, nella speranza di persuadermi di abbracciare la causa, che ho deciso che non potevo più ignorarlo. Il “saggio notevole” era spazzatura: una lunga serie di fatti sconnessi appiccicati insieme per creare ciò che sembra essere una storia coerente, ma ma che ha a che fare con la realtà quanto un discorso di Donald Trump. In una brutta giornata.

Nella mia città natale, le strade ora sono disseminate di graffiti che pubblicizzano il sito www.look-up.org.uk. Così ho guardato in alto. Potreste immaginare, leggendo quanto segue, che io stia scegliendo un esempio estremo, ma mi dispiace dire che questo è tipico delle centinaia di siti che promuovono questa sciocchezza. Continuo ad incontrare persone anche intelligenti che sembrano pronte a crederci. Ecco i loro contenuti principali:

  • “Gli aerei non devono produrre nuvole, eppure li vediamo farlo sui nostri cieli ogni giorno”. 
  • “Tre enormi multinazionali ora possiedono quasi tutte le linee aeree del mondo. Hanno modificato i loro aerei per spruzzare sostanze chimiche sconosciute nei nostri cieli durante il volo”. 
  • “Grandi multinazionali private [stanno]… modificando la nostra atmosfera senza la consapevolezza e il consenso della società”. 
  • “Pensiamo che il loro folle piano di bloccare il nostro sole sia inutile, pericoloso e non abbia niente a che fare con la scienza o col proteggerci, ma abbia più a che fare col controllo meteorologico per motivi finanziari”. 

Potete vedere gli effetti ovunque. Gli autori del sito web osservano che “virtualmente tutto il mese di novembre è stato una “imbiancata”… nuvola senza interruzioni caratterizzata da una sottile copertura traslucida bianca di sostanze chimiche spruzzate dagli aerei”. Cieli nuvolosi a novembre – mmmhh, sospetto come minimo. Quindi cosa “stanno” facendo? Be’, dipende dalla parte del sito che leggete. Su alcune pagine si sostiene che le scie di condensazione (o “scie chimiche”) vengano usate per “manipolare i numeri del CO2”. Ciò giustificherà in seguito la riprogettazione massiva dell’atmosfera. Su altre pagine, le stesse scie di condensazione vengono usate per riprogettare l’atmosfera, usando sostanze chimiche imprecisate per cambiate il meteo. Chi approfitta di questo “controllo meteorologico per motivi finanziari” e come, viene lasciato stranamente vago, anche se, naturalmente, i beneficiari comprendono “scienziati ben pagati”. Non ci sono sempre di mezzo? Come tutti sanno, gli scienziati navigano nell’oro, motivo per cui così tanti dirigenti di società petrolifere si licenziano per intraprendere carriere lucrose come insegnanti universitari.

I misteriosi benefattori degli scienziati devono essere estremamente potenti, tuttavia, in quanto hanno progettato gli attacchi di Parigi (“un altro evento false flag”), per non lasciare niente al caso durante i colloqui sul clima. Tutto conferma la tesi, persino il triste numero di seguaci che il sito è riuscito ad attrarre. Dipende dal ruolo di Facebook – o Fakebook, come preferiscono chiamarlo – nella cospirazione:

“Abbiamo assunto diverse persone intelligenti per analizzare il comportamento e la portata dei nostri post e questi hanno concluso che è stata attuata una restrizione algoritmica per ridurre la portata dei nostri post a sole poche persone, un piccolo numero di abbonati, e di solito si trattava sempre delle stesse persone”.

Quale altra spiegazione potrebbe esserci?

“Sospettiamo anche alcune, se non tutte, queste persone siano operatori che regolarmente mettono un “like” al nostro materiale per assicurarsi che pensiamo di avere un pubblico, mentre quasi nessuno stava vedendo i materiali”.

Così, da un lato abbiamo una minaccia reale, misurabile ed attestabile, che è causata da un’industria identificabile e persiste grazie all’indifferenza ed alla visione a breve termine dei governi mondiali. Dall’altra, abbiamo una cospirazione, attribuita a forze sconosciute e ad interessi non specificati, così potenti e pervasivi, che si estende da Mark Zuckerberg ai terroristi di Parigi. Perché sembra tanto più difficile generare interesse sul problema reale piuttosto che su uno improbabile? Il problema reale – il riscaldamento globale causato dalle emissioni degli aerei – ci richiede di agire. Riducendo il nostro impatto volando di meno, cosa che poche persone sono pronte a fare. Comporta una battaglia estenuante contro un’industria potente e governi insensibili. Significa leggere articoli noiosi, assistere a incontri noiosi ed impegnarsi con un livello di complessità politica e tecnica che molte persone trovano repellente. C’è molto da macinare e poca gloria.


Una parodia di pubblicità di Revolt Design a Parigi recita: “Affrontare il cambiamento climatico? Naturalmente no… i profitti delle società sono più importanti di salvare il pianeta. Così facciamo delle lobby coi politici… Non ditelo a nessuno. Air France è parte del problema”. Foto: Brandalisim

Ma non c’è niente di noioso nelle teorie della cospirazione. Danno un senso di come è a volte un mondo senza senso. Ti dicono che sei fra gli eletti: consapevole del grande schema che altre persone (o persone-pecora/persone che dormono – sheeple/sleeple – come amano chiamarle spesso i siti cospirazionisti) sono incapaci o non disposti a vedere. Ti dicono che sei un crociato solitario che combatte il male, dello stesso tipo di quelli che trovi solo nei film sui supereroi. E se in pochi leggono il tuo sito, ciò prova soltanto quanto sei importante: per quale altro motivo le autorità si spingono così lontano per limitare chi ti segue? Questo ti assolve anche dalla responsabilità di agire. Certo, potresti sentirti spinto a creare un sito, fare qualche foto, forse firmare qualche strana petizione o persino partecipare ad una o due manifestazioni rumorose. Ma non devi cambiare niente, perché da qualche parte, sepolto in profondità nel prosencefalo, c’è la consapevolezza che in realtà non c’è niente da cambiare. Hai la gloria senza macinare. Forse questi movimenti sono anche una risposta al senso di impotenza. In un mondo così complesso, caotico e mal governato, tanto che i suoi dilemmi più pericolosi sembrano spesso inaffrontabili, paradossalmente è confortante credere che ci siano poteri quasi divini al comando, anche se questi poteri sono maligni. Ci allontaniamo dalle realtà scomode creando irrealtà comode. E sembra che non importi quanto queste possano diventare irreali.

www.monbiot.com

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