Effetto Cassandra

Il cattivo Antropocene


C’è chi parla del “buon Antropocene”, ma sembra che ci siano grossi problemi con questa idea (UB)


Da “Chronìques del l’Anthopocéne”. Traduzione di MR (via Jacopo Simonetta)

Di Alain Grandjean

L’Antropocene è una nuova era geologica caratterizzata dall’impatto sempre più determinante delle attività umane sui grandi equilibri della biosfera e da una pressione considerevole sulle risorse naturali. Abbiamo avviato delle dinamiche esponenziali su tutti i fronti: emissioni di gas ad effetto serra, uso di energie fossili, consumo di acqua, degrado dei suoli, deforestazione, distruzione delle risorse ittiche, erosione della biodiversità, dispersione di prodotti tossici e/o ecotossici…

Consumo energetico e demografia

Cominciamo dalla demografia. Nel 1800, l’umanità celebra il suo primo miliardo d’individui, dopo

I tre periodi della demografia umana

 essersi moltiplicata per 5 in 1800 anni, Se le ci sono voluti milioni di anni per diventare demograficamente miliardaria, il suo secondo miliardo le ha richiesto 130 anni, il suo terzo 30 anni, il suo quarto 15 anni, il suo quinto e sesto 12 anni ciascuno. Le proiezioni per il 2050 [1] conducono a degli effettivi compresi fra i 9 e i 10 miliardi.

In parallelo, la capacità dell’umanità di trasformare il proprio ambiente si è moltiplicata, grazie alla potenza termodinamica delle sue macchine. Nel 1800, l’umanità consumava circa 250 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (TEP) [2], vale a dire un quarto di TEP a persona. Questo consumo è stato moltiplicato nei 200 anni seguenti per più di 40, mentre la popolazione si è moltiplicata per 6: il consumo individuale è cresciuto di un fattore dell’ordine di 7 [3]. Oggi consumiamo più di 13 miliardi di TEP…

Questa doppia crescita (demografica e della potenza disponibile) permette all’umanità di appropriarsi di una parte di un quarto della produzione primaria di biomassa [4] e del 40% della produzione primaria terrestre valutata in circa 120 miliardi di tonnellate all’anno.

Consumo di risorse ed emissione di inquinanti

L’80% delle nostre energie è di origine fossile, la cui combustione emette del CO2, un gas ad effetto serra. I “climatologi” [5] comprendono sempre meglio i meccanismi e le conseguenze della deriva climatica, anche se le incertezze rimangono ancora grandi. La deriva climatica attuale è legata alle emissioni di gas ad effetto serra (GES), cioè, nel 2010, circa 50 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente [6] all’anno di cui il 60% circa sono di biossido di carbonio provenienti dalla combustione di energia fossile (carbone, petrolio e gas). Dopo la metà del XIX secolo, l’umanità ha emesso 2.000 miliardi di tonnellate di biossido di carbonio.

La concentrazione di questo gas è passata da 280 ppm [7] (un livello stabile in media per 400.000 anni) a 400 ppm nel 2013. In effetti la biosfera (principalmente gli oceani e i vegetali) non assorbono che 12 miliardi di tonnellate all’anno. E’ livello di emissioni al quale bisognerebbe giungere per far sì che l’aumento di temperatura si arresti.

Molti minerali sono sfruttati in proporzioni insostenibili. Facciamo un esempio, quello dell’acciaio, seguendo la dimostrazione di  François Grosse [8]. Annualmente produciamo una cifra nell’ordine del miliardo di tonnellate di accia, cioè 30 volte di più che all’inizio del XX secolo. La crescita è stata, in quel periodo, di circa il 3,5% all’anno. A questo ritmo, la produzione cumulativa di acciaio in un secolo è uguale a 878 volte la produzione del primo anno. Se si prolunga questa tendenza, la produzione annuale sarà moltiplicata per 100 ogni 135 anni. Si produrrebbero quindi, in 270 anni, 10000 volte più acciaio di oggi! Inutile essere troppo precisi sulla stima delle riserve di minerali di ferro per comprendere che un ritmo del genere è impossibile da mantenere, persino per un minerale così abbondante!

Ogni anno vengono liberate 160 milioni di tonnellate di biossido di zolfo, cioè più del doppio delle emissioni naturali [9]

Siamo capaci di spostare ogni anno tanti materiali quanto i meccanismi naturali (erosione annuale, vulcanesimo, attività tettonica), cioè nell’ordine dei 40 miliardi di tonnellate all’anno.

Era del muco, sesta grande estinzione, erosione, acqua dolce…

Secondo il Millenium Ecosystem Assessment, [10] il tasso d’estinzione delle specie è da 50 a 500 volte più alto del tasso “naturale” (le stime più recenti portano questa cifra probabilmente a 1.000). Siamo all’inizio di quella che il biologo Edward Wilson ha proposto di chiamare la sesta estinzione [11] (la vita precedente dalla sua apparizione sulla Terra ha conosciuto cinque grandi estinzioni). Limitandoci alla sola pesca, peschiamo ogni anno 90 milioni di tonnellate ed abbiamo raggiunto dopo 20 anni un picco che non possiamo superare malgrado la crescente potenza dei nostri pescherecci. Il professor Daniel Pauly [12], esperto internazionale di risorse ittiche, stima che rischiamo di entrare, per quanto riguarda gli oceani, nell’era del muco, in cui regnano le meduse e i batteri, a causa della distruzione dei loro predatori.

Gli oceani vengono trasformati in una gigantesca discarica. Una zona gigantesca di rifiuti larga

Sfruttamento attuale delle risorse ittiche

centinaia di migliaia di km2 è stata scoperta nel Pacifico dall’oceanografo Charles J. Moore. Una pattumiera della dimensione del Texas è stata a sua volta individuata nell’Oceano Atlantico.

Dall’inizio dell’agricoltura le foreste hanno perso una superficie difficile da valutare, ma sull’ordine del 15-45%. 450 milioni di ettari sono scomparsi dalle regioni tropicali fra il 1960 e il 1990. Il bilancio delle risorse idriche è ugualmente difficile da fare e ha senso solo a livello regionale. Utilizziamo ogni anno la metà delle risorse d’acqua dolce disponibili, degradandone generalmente la qualità quando la restituiamo agli ecosistemi. Mac Neill cita la stima seguente che è ugualmente significativa: il consumo di acqua alla fine del XX secolo rappresenta il 18% della quantità di acqua dolce che scorre sul pianeta e l’utilizzo diretto o indiretto ne rappresenta il 54%. Nel 1700, l’umanità prelevava annualmente 110 km3 d’acqua per abitante, nel 200 ne prelevava 5190 km3, cioè 7 volte di più. A questo ritmo anche l’acqua, una risorsa molto abbondante sul pianeta, potrebbe venir meno.

La situazione non è migliore sul fronte dei suoli. Circa un quarto delle terre utilizzate dall’umanità sono degradate [13] ? “Perdiamo ogni anno lo 0,5% del nostro capitale di suolo, sottraendone diverse migliaia di ettari per l’accrescimento delle nostre città e delle nostre strade, perdendone a causa del nostro inquinamento e per salinizzazione, per erosione”. La rovina progressiva dei suoli ci condurrà a nuove carestie. Ultimo elemento di questa rapida panoramica: abbiamo prodotto e disseminato più di 100.000 nuove molecole, delle quali alcune sono molto pericolose per la salute umana e/o per gli ecosistemi (fra questi i mille esempi di neonicotinoidi che uccidono le api o gli interferenti endocrini fortemente cancerogeni). Il nostro pianeta è diventato letteralmente tossico [14].

Cause dell’Antropocene

Come comprendere questa ferocia dell’umanità nel distruggere le condizioni della sua stessa vita? Tre grandi cause mi sembrano all’origine di questo comportamento: la cultura no-limits, la rivoluzione scientifica e il dogma neoliberale.

La “cultura no-limits”: consumismo, tecno-ottimismo e cinismo

La nostra civiltà è caratterizzata da diverse credenze letali. Siamo individualisti, facciamo della libertà un assoluto e rifiutiamo i limiti. Economicamente è Bernard Mandeville, con la sua favola delle api che ha fatto il primo passo verso un mondo assurdo in cui si suppone che i vizi privati generino le virtù collettive. L’apologia del consumo e della crescita, una cosa tira l’altra, è risultata alla base del consumo del pianeta che caratterizza l’antropocene.

La Favola delle api (1715) segna una vera e propria rottura antropologica. Tutte le civiltà, tutte le culture umane, tentano di disciplinare quello che i greci chiamavano la hubris, l’eccesso. Le morali ed altre regole religiose o sociali, presenti in tutte le culture, sono tutte concepite per evitare che l’uomo si metta a “debordare”, a mettere la sua intelligenza al servizio delle proprie passioni. Nelle civiltà di tipo sciamanico o animista ciò che viene ricercato è un equilibrio fra l’uomo e la natura. Mandeville inverte quest’ordine di cose e trasforma in valore ciò che veniva considerato come un grave errore. Il rifiuto dei limiti ora pervade la nostra cultura, in tutti i campi, e si declina in credenze:

  • La scienza e la tecnologia risolvono tutti i problemi 
  • Tutto ciò che è scientificamente concepibili deve essere ricercato e sperimentato
  • I prodotti devono essere sempre nuovi, quindi diventano obsoleti in fretta (spreco senza limiti) e sempre di più usa e getta
  • L’innovazione incessante è il motore del progresso e della soddisfazione
  • E’ proibito proibire
  • Tutto è possibile
  • L’arte in sé deve essere trasgressiva

Questo dei limiti è nutrito dal progresso delle scienze e delle tecniche è all’origine di un profondo paradosso. Di fronte a distruzioni di massa dell’ambiente permesse dalle scienze e dalle tecniche, queste sono presentate dai“tecno-ottimisti” come la fonte della soluzione ai problemi che esse stesse hanno creato. E’ la scienza che ci salverà trovando nuove fonti di energia (la fusione nucleare, per esempio, o l’idrogeno). Questo paradosso si basa infatti su un valore (il rifiuto dei limiti) ed una credenza (la capacità di trovare una risposta a tutti i problemi creati) ma per niente su delle prove. Gli industriali, gli uomini del marketing, sanno sfruttare questo rifiuto dei limiti in tutti i campi del consumo:

  • la cosmetica, che permette di non vedersi invecchiare o di attenuare i segni dell’età
  • il cibo, dove diventa possibile soddisfare tutti i gusti, di fare invogliare sempre di più, per poi degenerare a volte in obesità 
  • i prodotti che danno dipendenza come il tabacco e tutte le forme di droga, dall’alcol alle altre
  • i beni di consumo attuali o il rischio di affaticamento, di perdita di desiderio, vengono combattuti senza sosta e milioni di nuovi prodotti inventati ogni giorno

Il cinismo di alcuni, mosso dai loro interessi che esprimono in potere, o in soldi, è ovviamente nascosto dietro a tutti questi comportamenti e tutte queste ricerche. Il cerchio è completo: scienza, tecnologia, marketing, idealismo e cinismo si sposano per distruggere sempre più le nostre risorse e le nostre condizioni di vita, dando un’apparenza di razionalità a questo delirio collettivo.

Transumanesimo: un nuovo orizzonte?

La corrente transumanista, apogeo della cultura no-limits, applica le cose suddette all’umanità stessa e pensa di migliorare grazie alla convergenza delle tecniche NBIC. Secondo i transumanisti, il “mortalismo” sarebbe una credenza. Il loro obbiettivo di transumanisti è l’immortalità, cioè il rifiuto del “limite dei limiti”… vedete www.transhumanistes.com

La rivoluzione scientifica

Noi crediamo che la scienza e la tecnica supereranno i limiti e più in generale ci “salveranno”. Bel paradosso quando si constata che sono proprio le scienze e le tecniche che ci permettono di esercitare questa pressione antropica insopportabile sul pianeta! Ma è vero che l’efficacia del metodo sperimentale (fisica, biologia, medicina, …) e qualcosa di stupefacente, addirittura di magico! Il metodo sperimentale ha condotto a delle applicazioni in tutti i campi (dalla macchina del caffè al GPS…), cosa che ci ha permesso di mettere a punto milioni di macchine, automi e robot, di migliaia di molecole che rispondono a dei bisogni apparentemente infiniti (dalla lotta contro la sofferenza alla cosmetica passando agli schermi piatti…).

I ricercatori mettono in campo una creatività senza limiti (un milione di articoli scientifici prodotti nel mondo ogni anno, in crescita…) e talvolta rivendicato (la bioetica si scontra spesso con la domanda di ricerca a priori a tutto campo). La scienza ci ha dotati di una capacità di prevedere che potrebbe permetterci di evitare le conseguenze delle nostre attività e, probabilmente, della capacità di trasformare la Natura.

Il dogma neoliberale e il capitalismo finanziario

Il liberalismo economico si fonda sull’idea che la prosperità nasca spontaneamente dal libero gioco degli interessi e delle forze individuali. Il ruolo dello Stato sul piano economico dovrebbe limitarsi a permettere questa libertà (per il diritto di concorrenza e l’insieme dei dispositivi che permettono di applicarlo). Il liberalismo economico deriva dal CNL e ne è uno dei pilastri. Ha finito per trasformarsi in religione: i mercati diventano degli dei capaci di soddisfare tutti i nostri desideri e quindi non possono essere sorvegliati e regolamentati.

La realtà dei fatti e la teoria economica mostrano che si tratta di un dogma e che numerose situazioni necessitano dell’intervento del potere pubblico, cosa che non esclude un ruolo determinante delle imprese, della loro capacità d’innovazione e di risposta sottile ai bisogni dei loro clienti. L’economia si è vestita degli abiti della scienza, fra cui il ricorso alla matematica ed alle statistiche. Ma evidentemente il dogmatismo non viene scartato da questo semplice automatismo!

Gli anni 70 hanno visto la diffusione in tutto il mondo di un capitalismo finanziario, figlio di questo dogma, che orienta l’attività economica in direzione del brevissimo termine (per le sue esigenze eccessive di rendimento di capitale). Non smette mai di stimolare i desideri di avere sempre di più e rende infantili gli individui, controlla i media, colonizza gli spiriti e l’immaginario. Aumenta le disuguaglianze di massa.

Il capitalismo finanziario schiavizza una parte dell’attività scientifica [15]. Lotta contro tutte le regole ed ha sempre più potere per farlo. Si oppone ad ogni rilocalizzazione dell’economia e ad ogni nozione di frontiera e di limite, ed impone un libero-scambismo socialmente ed ecologicamente inaccettabili: le reti sociali e le azioni di preservazione o di ripristino dell’ambiente non sono redditizie e sono viste come delle fonti di perdita di competitività.

L’antropocene, risorse complementari

Lo abbiamo visto con qualche esempio, per chi si prende il disturbo di osservarli, gli strumenti indicano che è in arrivo una tempesta di una brutalità inaudita (vedete in particolare questa presentazione fatta per Carbone 4, ma anche il sito dell’IPCC per il clima, il sito di Manicore per l’energia, il sito dell’IPBES per la biodiversità…)

Ecco una presentazione con grafici fatta per Carbone 4

https://www.scribd.com/doc/212864517/bienvenue-en-anthropoce-neV2

Sintesi dei problemi in un libro ancora da pubblicare

http://www.scribd.com/doc/255170330/Chapitre-1-L-ine-luctable-est-en-marche

[1] Sentite per esempio Gilles Pison, Popolazione e società, N°480, luglio-agosto 2011.
[2] Una tonnellata equivalente di petrolio è l’energia contenuta in una tonnellata di petrolio: le stime di consumo energetico nel XIX secolo sono inaffidabili. Ciò che conta qui sono gli ordini di grandezza.
[3] Questa media si cela in sé enormi disparità. Un americano medio consuma circa 8 TEP all’anno, un europeo si situa invece a 4 ed un abitante dell’Africa sub-sahariana non ha accesso ad 1 TEP all’anno.
[4] Robert Barbault, Jacques Weber, La vita, che impresa! Per una rivoluzione ecologica dell’economia, Seuil, 2010.
[5] Più precisamente la comunità degli scienziati la cui disciplina (che potrebbe essere la biochimica, la modellizzazione informatica, la dinamica dei fluidi e la paleoclimatologia, fra le altre) viene mobilitata nella comprensione dei fenomeni climatici. Le informazioni di sintesi sulla deriva climatica sono fornite dall’IPCC (vedete www.ipcc.ch). Vedete http://alaingrandjean.fr/2015/01/05/le-changement-climatique-points-de-repere/
[6] Le emissioni di gas ad effetto serra vengono misurate in tonnellate di CO2 equivalenti, ogni gas che ha un potere di riscaldamento globale multiplo di quello del CO2. Una tonnellata di metano (CH4), per esempio, “equivale” a circa 25 tonnellate di CO2. Lo si esprime anche in tonnellate di carbonio. A causa del rapporto delle masse (44/12), 1 tonnellata di CO2 vale circa 3,6 tonnellate di carbonio.
[7] Ppm = parti per milione.
[8] François Grosse, “Il disaccoppiamento crescita/materie prime. Dall’economia circolare all’economia della funzionalità: virtù e limiti del riciclaggio”, Futuribles, luglio-agosto 2010, numero 365.
[9] Robert Barbault, Jacques Weber, La vita, che impresa! Per una rivoluzione ecologica dell’economia, Seuil, 2010, pagina 79.
[10] La valutazione degli ecosistemi per millenario (MEA) è uno studio di 5 anni, lanciato dall’iniziativa del segretario generale dell’ONU, Kofi Annan indirizzato alla valutazione dello stato degli ecosistemi mondiali. I lavori sono stati pubblicati nel 2005. Vedete http://www.maweb.org/fr/Synthesis.aspx.
[11] Vedete Richard Leakey e Roger Lewin, op.citata. E più di recente vedete: Raphaël BILLE Philippe CURY, Michel LOREAU, Biodiversità: verso una sesta estinzione di massa, Editore: LA VILLE BRÛLE, 2014
[12] Daniel Pauly, Cinque pezzi facili, l’impatto della pesca sugli Ecosistemi Marini, Island press, 2010.
[13] Daniel Nahon, L’esaurimento della terra, il problema del XXI secolo, Odile Jacob, 2008.
[14] André Cicolella, Pianeta tossico, Le seuil, 2013
[15] Vedete Naomi Oreskes e Erik M. Conway, I mercanti di dubbio, ovvero come un pugno di scienziati hanno mascherato la verità su dei problemi sociali quali il tabagismo e il riscaldamento climatico, Le Pommier, 2012 e Stéphane Foucart,  La fabrica della menzogna, Denoël, 2013.

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Il collasso finanziario come esempio di “Dirupo di Seneca”

Da “The Seneca Trap”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi

Il concetto di “Collasso di Seneca” è stato discusso su “Zero Hedge“, dove  Tyler Durden ha riprodotto un articolo apparso in precedenza sul sito di Charles Hugh Smith.  Smith dice:

Propongo che la Recessione Globale del 2016 seguirà il Dirupo di Seneca come descritto da Ugo Bardi.  … Penso che si possa sostenere che il sistema finanziario/economico globale è pronto per una bella corsa verso Dirupo di Seneca. 

Questo ha molto senso. Nella gerarchia dei sistemi complessi, il sistema finanziario è infatti uno dei più facilmente inclini al collasso. Molti sistemi biologici e sociali hanno sistemi interni per gestire le emergenze e contrastare le perturbazioni esterne che potrebbero mandare il sistema fuori equilibrio. Nei sistemi biologici abbiamo, per esempio, il sistema immunitario. Nei sistemi sociali abbiamo l’esercito, i pompieri ed altri. Ma il sistema finanziario non ne ha nessuno, perlomeno nessuno che sia integrato nel sistema. In realtà si potrebbe sostenere che il sistema finanziario mondiale sia costruito di proposito per essere instabile, anche se certe entità esterne – i governi – potrebbero cercare di stabilizzarlo.

Naturalmente, l’applicazione del fenomeno di Seneca al sistema finanziario è in qualche modo una cosa diversa dal modello che ho sviluppato. Si potrebbe sviluppare un modello migliore per il collasso finanziario, probabilmente, a partire dal modello di collasso delle reti complesse sviluppato da Bak et al. Ma, alla fine, si tratta dello stesso fenomeno: il collasso rapido dei sistemi complessi è una proprietà delle reti connesse, dove il crollo di uno o più collegamenti potrebbe generare una cascata di collegamenti spezzati che fanno crollare il sistema ad uno stato di complessità inferiore. Nel mio modello, ci sono solo tre nodi nella rete, ma questo è sufficiente a generare un rapido collasso.

Ma per cosa sono questi modelli? Il concetto di collasso di Seneca applicato al sistema finanziario non è proprio uno strumento per prevedere qualcosa. Sappiamo che dei collassi finanziari sono già avvenuti in passato e non saremo sorpresi se avverranno di nuovo in futuro. I modelli sono, piuttosto, un quadro di riferimento per capire le ragioni del collasso. Il messaggio principale, in questo caso, è che la maggior parte dei sistemi complessi è fragile e tende al collasso, a meno che non esista qualcosa che operi per stabilizzarli. Ed un problema dell’economia convenzionale è che, come osserva Smith:

Gli economisti convenzionali sono completamente ciechi rispetto alla fragilità del sistema. Non c’è alcuna formula econometrica del culto keynesiano che misuri la fragilità sistemica, quindi semplicemente è qualcosa che non esiste all’interno dell’economia convenzionale. 

E’ un problema? Forse non tanto, perlomeno a lungo termine. I sistemi fragili collassano e scompaiono, quelli resilienti tendono a sopravvivere e prendere il sopravvento. E’ sempre stato così, si chiama selezione naturale. Alla fine, tramite tentativi ed errori, impareremo come gestire i sistemi complessi. Non sarà indolore ma, d’altra parte, nessuno ha mai detto che la vita fosse giusta. Solo movimentata.

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Perché hanno smesso tutti di parlare di popolazione e immigrazione?

Nota: questo articolo potrebbe risultare scomodo e politicamente scorretto. L’ho tradotto perché ci sono delle argomentazioni di cui bisognerebbe tenere conto se vogliamo occuparci in modo sistemico del mondo. Siamo abituati a misurare le cose da un punto di vista morale, ideologico e di consuetudine. La realtà spesso si fa beffe di tutte queste cose e ci ripropone ciò che abbiamo evitato con ancora più violenza. La mia storia è quella di una persona che si è sempre prodigata nella difesa dei più deboli (giacché io stesso faccio parte della categoria…), quindi dei migranti e di tutti coloro che sono costretti a scappare da qualcosa di terribile. Da un punto di vista umano l’atteggiamento non è cambiato, ma da un punto di vista sistemico è evidente che questo atteggiamento non porta a nulla di buono. Spero che l’articolo possa favorire una discussione non ideologica per trovare soluzioni a questo dilemma. MR


Di “Energy Skeptic”. Traduzione di MR (via Jacopo Simonetta)

[Ho cercato di riassumere le 20 ragioni principali per le quali la crescita della popolazione è stata abbandonata dai gruppi ambientalisti ed ha avuto una copertura molto ridotta negli ultimi 40 anni. Raccomando caldamente di leggere “Il movimento ambientalista fa marcia indietro nel sostenere la stabilizzazione della popolazione statunitense” di Beck e Kolankiewicz (2000) e “Conto alla rovescia: la nostra ultima e migliore speranza per un futuro sulla Terra?” di Alan Weisman. Alice Friedemann www.energyskeptic.com].

“Non c’è nessun bisogno di decidere se fermare o no l’aumento della popolazione. Non c’è nessun bisogno di decidere se la popolazione verrà ridotta o no. Succederà, succederà! La sola cosa che la specie umana deve decidere è se lasciare che il declino della popolazione venga attuato col vecchio e disumano metodo che la natura ha sempre usato o inventarci un nuovo metodo umano da soli” Isaac Asimov, 1974.

“Inattesi ma rapidi, siamo arrivati come uno sciame di locuste: una nuvola grande, spessa e oscurante che si è depositata come fiocchi di neve viventi, soffocando ogni stelo, ogni foglia, divorando ogni pezzo di verde fino ridurre tutto a terra grezza e nuda… Ci sono troppi uomini da ospitare per la Terra. Con circa 7 miliardi di persone, abbiamo superato la capacità di carico della Terra”. Dave Foreman, co-fondatore di Earth First.

1) Il problema è il consumo delle nazioni ricche. Non quelle povere.

Ovviamente sono entrambi. Non o uno o l’altro. La famosa equazione per descrivere questo è I = P x R x T, che si traduce in Impatto Umano (I) = (P)opolazione moltiplicato per (R)icchezza moltiplicato per (T)ecnologia. E’ sicuramente vero che le nazioni ricche consumano troppo. Gli Stati Uniti usano 7 miliardi di tonnellate di minerali all’anno. Pro capite fa 21.667 kg per ogni americano: 635 kg di rame, 9 tonnellate di roccia di fosfato, 300 tonnellate di carbone, 16 tonnellate di minerale di ferro, 700 tonnellate di pietra, sabbia, ghiaia e così via. Ma anche i poveri hanno un effetto enorme sull’ambiente:

  • I contadini che tagliano e bruciano migrano all’interno delle foreste pluviali su strade illegali per il disboscamento e le distruggono
  • Si profila l’estinzione per molte specie animali a causa della troppa selvaggina catturata, specialmente in Africa
  • La deforestazione dovuta alla raccolta di legname illegale e per cucinare
  • Eccesso di pesca
  • Desertificazione
  • Competizione per risorse scarse
  • Inquinamento fognario e chimico dovuto alla mancanza di trattamento
  • I poveri alleggeriscono la loro popolazione in eccesso emigrando verso nazioni sviluppate o verso nazioni vicine, quindi la crescita della popolazione rimane senza controllo, la necessità o il desiderio di controllo delle nascite diminuito e l’impatto dell’ancora maggiore consumo nelle nazioni sviluppate che ricevono i migranti peggiorato
  • Adottando il consumismo delle nazioni ricche e consumando più carne ed altri beni
Crescita della popolazione mondiale 1950-2050. Fonte Divisione per la Popolazione delle Nazioni Unite, Prospettive per la Popolazione Mondiale, revisione del 2008.

2) E’ un tabù nominare il collegamento fra povertà e popolazione

Gran parte della miseria e della fame in Nigeria è causata dal fatto di avere il più alto tasso di nascite del mondo, che chiaramente riduce la fetta di risorse per persona. Ma i giornalisti non parlano mai di questo collegamento visto che non è politicamente corretto. 
3) Non preoccupatevi, il tasso di nascite americano è sceso
Dal 1973 il tasso di nascite è sceso al di sotto del livello di sostituzione, quindi i media sparano titoli dichiarando che il problema della popolazione è stato risolto e che l’America ha raggiunto la crescita della popolazione zero. Non è vero! La popolazione degli Stati Uniti è stata, ed è, ancora in crescita. 
4) I gruppi di femministe e per i diritti umani hanno preso il comando del Sierra Club
Dopo che i sostenitori del femminismo e dei diritti umani sono stati messi nel comitato del Sierra Club, hanno combattuto per ottenere l’emancipazione delle donne come principale obbiettivo. Dave Foreman è stato nel comitato e si è opposto a questo in quanto l’obbiettivo era la stabilizzazione della popolazione e quindi la sua riduzione. Emancipare le donne potrebbe essere una strada chiave verso quell’obbiettivo, ma non l’obbiettivo in sé. I nuovi venuti hanno replicato che ogni restrizione implicita, come un obbiettivo di stabilizzazione della popolazione, era un assalto ai diritti delle donne di scegliere quanti bambini avere. Il solo nominare i limiti della crescita era coercitivo. 
Il sopravvento sulla piattaforma per la popolazione del Sierra Club da parte di persone inconsapevoli ed incapaci di comprendere “I limiti della crescita” e “La tragedia dei beni comuni” è stata una tragedia. Il Sierra Club è stato determinante nel rendere l’argomento della popolazione un tabù e politicamente scorretto. Dagli anni 80 c’è stata poca attenzione dei media verso la crescita della popolazione e quasi nessuna dal 1994. Non solo il Sierra Club ed altri gruppi ambientalisti hanno smesso di scrivere sui problemi della popolazione, hanno smesso di ricordare alle persone che la sovrappopolazione è responsabile di ogni singolo problema che stavano cercando di “risolvere”. Chiaramente, tutti questi problemi sarebbero ridotti se ci fossero meno persone: 
  • Cambiamento climatico
  • Oceani: acidificazione, pesca eccessiva, inquinamento
  • Distruzione della foresta (pluviale) per agricoltura, bestiame, costruzione
  • Perdita di biodiversità (sesta estinzione di massa)
  • Fornire una buona educazione ai bambini ovunque 
  • Nutrire tutti
  • Rendere disponibili posti di lavoro per numeri record di giovani disoccupati
Martha Campbell lo esprime ancora con più forza – lei crede che l’ostilità verso il nominare la questione della popolazione sia dovuta alle università che insegnano agli studenti che anche solo discutere del collegamento fra popolazione ed ambiente sia un argomento non tollerabile e che sia politicamente scorretto anche solo suggerire che rallentare la crescita della popolazione possa proteggere l’ambiente per le future generazioni. 
5) I Cornucopiani e gli ambientalisti di sinistra hanno distrutto anche gli obbiettivi di stabilizzazione di immigrazione e popolazione.

Pensereste che la Sinistra sosterrebbe la conservazione, ma ci sono schegge al suo interno che vedevano il fatto di parlare di sovrappopolazione come un dare la colpa ai poveri della loro situazione. Meglio impedire ai paesi ricchi di consumare così tanto. Nel 1998, il gruppo marxista della Bay Area “Gruppo di Politica Ecologica” è riuscito ad uccidere un’iniziativa per ridurre l’immigrazione del Sierra Club. Gli ideologi di sinistra hanno anche soppresso la conversazione sulla sovrappopolazione alla Conferenza delle Nazioni unite del 1972 sull’Ambiente Umano perché i tentativi di Cina ed India di ottenere una stabilizzazione della popolazione erano visti da loro come coercitivi.  

6) L’opinione pubblica americana non è scientificamente istruita ed ignora gli avvertimenti degli scienziati
Tutti coloro che negano che la sovrappopolazione sia un problema dovrebbero essere chiamati negazionisti della sovrappopolazione, proprio come coloro che insistono che non c’è nessun cambiamento climatico vengono chiamati negazionisti climatici. Per qualche ragione quasi tutti, scientificamente colti o no, ignorano gli avvertimenti che riguardano la popolazione: 
  1. 1798 Un saggio sul Principio della Popolazione di Thomas Malthus
  2. 1968 La tragedia dei beni comuni di Garrett Hardin
  3. 1968 La bomba della popolazione di Paul Ehrlich
  4. 1973 I Limiti della crescita di Donella Meadows et al
  5. 1980 Overshoot di William Catton (specialmente il secondo capitolo
  6. 1992 L’avvertimento degli scienziati mondiali all’umanità. 1.700 dei maggiori scienziati del mondo, compresa la maggioranza dei Premi Nobel laureati in scienze, hanno pubblicato questo appello
  7. 1993 L’aritmetica della crescita: metodi di calcolo di Albert Bartlett.
  8. 1995 Il dilemma dell’immigrazione: evitare la tragedia dei beni comuni di Hardin
  9. 1999 Il fattore struzzo: la nostra miopia sulla popolazione di Garrett Hardin
  10. 2001 Panoramica globale sulla biodiversità 
  11. 2005 Valutazione millenaria dell’ecosistema 
  12. 2006 L’esponenziale essenziale: per il futuro del nostro pianeta di Albert Bartlett (video
  13. 2014 Premi Nobel fanno appello per un cambiamento rivoluzionario nell’uso delle risorse da parte degli esseri umani. Undici detentori del prestigioso premio dicono che il consumo eccessivo minaccia il pianeta e gli esseri umani devono vivere in modo più sostenibile. 
7) Educare le donne a ridurre la popolazione è una buona idea ma…
Per quanto riguardala riduzione della popolazione, Virginia Abernethy ha qualche critica valida sul fatto che funzioni o meno su “Politiche della popolazione: le scelte che plasmano il futuro”. La ragione principale per cui non funzionerà è che è troppo tardi. Siamo andati troppo oltre nel superamento della capacità di carico, una volta che i combustibili fossili cominciano a declinare. Ma si tratta sempre di una buona idea di modo che man mano che l’energia, le risorse naturali  e la popolazione declinano, le donne istruite forse combatteranno la perdita dei loro diritti perché sapranno che non deve essere così.

8) Importano solo gli esseri umani, che si fottano le altre specie sul pianeta
Quasi tutti i libri ottimistici scritti col tema generale di “SI?, POSSIAMO SOSTENERE 10 MILIARDI DI PERSONE” ignorano le altre specie sul pianeta: Tutto ciò che conta sono i bisogni umani. La sesta estinzione di massa causata dagli esseri umani è già in corso. L’idea che possiamo far estinguere la maggior parte delle altre specie e mantenere una popolazione di 10 miliardi di persone è assurda. 
9) Chiunque voglia limitare l’immigrazione o la popolazione viene dipinto come un razzista
Quale è stata l’ultima volta che avete letto o sentito di qualcuno intervistato sul giornale o alla televisione che abbia affermato che la ragione per cui vuole una riduzione dell’immigrazione fossero il declino di falde acquifere, pesca, foreste ed energia? Al loro posto vengono intervistati soltanto persone che sembrano odiosi razzisti. Molti ecologisti sistemici hanno stimato che senza combustibili fossili, gli Stati Uniti potrebbero sostenere al massimo 100 milioni di persone. I media dovrebbero chiedere alle persone come possiamo passare da 320 milioni a 100 milioni senza controllo delle nascite, aborto e limitazione dell’immigrazione.
Personalmente penso che sia meno di 100 milioni a causa di quello che abbiamo fatto: suolo, falde acquifere, enormi estinzioni di vita marina a causa dell’eutrofizzazione (causata dal dilavamento di fertilizzanti), mancanza di terra per coltivare cibo una volta che l’intensificazione x4 o x5 del cibo prodotto grazie all’uso di fertilizzanti prodotti con gas naturale non sarà più ottenuta, esaurimento del fosforo, specie invasive e tutta una serie di altri intoppi di cui parliamo altrove in questo sito. 
10) Il Sierra Club ed altri gruppi ambientalisti hanno abbandonato gli obbiettivi di livellamento dell’immigrazione
Nel 1989, la posizione del Sierra Club era che “l’immigrazione verso gli Stati Uniti non dovrebbe essere maggiore di quella che permette l’ottenimento della stabilizzazione della popolazione”. Ma negli anni 90 i conservatori hanno temuto di alienarsi i progressisti e i gruppi per i diritti di razza ed hanno mollato l’immigrazione per la stabilizzazione della popolazione dalle loro piattaforme. Da allora l’immigrazione è cresciuta immensamente. Fino al 1965, i livelli erano a circa 200.000 persone all’anno. Nel 1965 sono saltati a 1.000.000 e nel 1990 a 1.500.000. Ora l’immigrazione è la causa principale dell’aumento della crescita della popolazione negli Stati Uniti. Fra il 1900 e il 2000 la popolazione è quasi quadruplicata (da 76 milioni a 281 milioni), con l’aumento decennale più grande fra il 190 ed il 2000 (32,7 milioni). 
11) Dobbiamo avere più popolazione per finanziare i pensionati e far crescere l’economia
Questo è chiaramente uno schema Ponzi che non può andare avanti per sempre in un pianeta finito.
12) Gli immigrati prendono lavori che gli americani non vogliono
Chi beneficia dell’immigrazione? Le imprese che vogliono pagare di meno le persone. Tutti gli altri perdono. I salari sarebbero molto più alti se non ci fossero così tante persone a competere per pochi posti di lavoro, cosa che porta all’abbassamento di salari, sicurezza e condizioni di lavoro.
13) Siamo ricchi, quindi siamo obbligati ad offrire rifugio agli immigrati e noi stessi siamo una nazioni di immigrati
Solo perché non possiamo controllare le politiche di popolazione di altre nazioni non significa che dovremmo premiarle perché si riproducono oltre la propria capacità di carico. Visto che le nazioni sviluppate consumano molte più risorse, gli immigrati dall’India agli Stati Uniti aumentano l’esaurimento delle risorse di 40 volte, visto che gli americani consumano 40 volte di più degli indiani, pro capite. 
14) La natura ci tiene in vita
Le persone hanno subito il lavaggio del cervello guardando il mondo attraverso i filtri economici, dimenticando che foreste, pesca, paludi, falde acquifere suoli profondi e sani di classe 1 e 2 ed altre risorse sono essenziali per la sopravvivenza e possono essere ridotti e persino esauriti. 
15) la Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite su Popolazione e Sviluppo del 1994
A questa conferenza gli attivisti hanno spostato l’obbiettivo della stabilizzazione e della crescita della popolazione all’emancipazione delle donne. Hanno etichettato i tentativi di Cina ed India come coercitivi, pertanto hanno ucciso la pianificazione famigliare, sostituendola con l’emancipazione e i diritti riproduttivi e la salute, perché adesso la pianificazione famigliare era stata rigirata come coercitiva. Forse hanno dimenticato che le donne vengono costrette ad avere gravidanze indesiderate e che spesso muoiono o rimangono gravemente ferite nel parto. Uno dei risultati di questa conferenza è che molte donne povere hanno poco accesso o nessuno alla pianificazione famigliare e di conseguenza sono incapaci di controllare i propri corpi, quanti figli avere e quando averli. Questa conferenza ha scoraggiato la discussione del collegamento fra crescita della popolazione e distruzione ambientale, perché fare questo era visto come contro le donne. Chiunque abbia persistito nel parlare di crescita della popolazione veniva sprezzantemente etichettato come malthusiano.

16) La teoria demografica standard
E’ stato assunto che le donne avrebbero voluto meno figli man mano che le loro nazioni si fossero modernizzate e più donne fossero istruite. Una teoria migliore, e che corrisponde alla realtà, è che se gli uomini e le donne possono ottenere un facile accesso al controllo delle nascite, avranno meno figli. Per esempio in Thailandia, dove la pianificazione famigliare è facile da ottenere, le donne senza alcuna istruzione hanno usato il controllo delle nascite quanto le donne istruite. Nelle Filippine, dove il controllo delle nascite è difficile da ottenere a causa della Chiesa Cattolica, le donne non istruite non usa contraccezione perché non riescono ad averla.
Se le donne potessero accedere al controllo delle nascite, il tasso di crescita della popolazione scenderebbe. Le donne non sono stupide, sanno che il parto è pericoloso – il rischio di morte o di ferite è molto alto. Le donne preferirebbero restare vive e prendersi cura dei figli che hanno già. Un milione di bambini sono rimasti senza madre ogni anno – il parto uccide 287.000 donne e ne ferisce altri 10 milioni ogni anno, secondo la World Health Organization.
17) E’ nella natura umana non preoccuparsi per la sovrappopolazione
Alla fine potrebbe essere che non siamo predisposti a preoccuparci di questo problema. Tutti amano i bambini. Siamo tribali. Siamo ottimisti. 
18) Non preoccupatevi: il tasso di fertilità e le malattie stanno diminuendo la popolazione
Nel mondo, la pianificazione famigliare ha portato i tassi di fertilità da 5,5 a 2,5 bambini per donna. Pertanto i media ci dicono: l’esplosione della popolazione è finita. Ma il tasso è ancora al di sopra della sostituzione, la popolazione sta ancora crescendo esponenzialmente. Solo un po’ più lentamente. 
19) La propaganda degli attivisti antiabortisti, dei capi religiosi e dei think tank di destra
I più estremisti non sono solo contro l’aborto, ma anche contro la pianificazione famigliare. I Cattolici e quelli per il diritto alla vita hanno adottato strategie per convincere le persone che non c’era alcun problema di popolazione, visto che quella era una delle ragioni per cui molte persone sostenevano la legalizzazione dell’aborto. Si dice che i paesi islamici vivano come nel medioevo, ma alcuni paesi islamici sono i più avanzati nella pianificazione famigliare. In Iran, i sussidi per fermarsi dopo il terzo figlio e le lezioni sui moderni metodi di contraccezione sono richiesti prima di prendere la licenza di matrimonio. I capitalisti sono riusciti a dipingere gli ambientalisti con termini negativi come l’essere troppo preoccupati per l’ambiente, il che minaccia i posti di lavoro, e che le loro preoccupazioni riguardo all’inquinamento e le specie a rischio di estinzione sono esagerate. 

20) Molte persone non capiscono quanto sia potente la crescita esponenziale
Tempi di raddoppio della popolazione

Fonte: Scheidel (2003)
Citazioni
Aldo Leopold: “Per una specie piangere la morte di un’altra è una cosa nuova sotto il sole. I Cro-Magnon che hanno ucciso l’ultimo mammut pensavano solo alle bistecche. Lo sportivo che ha sparato all’ultimo piccione pensava solo alla sua prodezza. Il marinaio che ha bastonato l’ultima alca non pensava proprio a niente. Ma noi, che abbiamo perso i nostri piccioni, piangiamo la perdita. Se il funerale fosse stato il nostro, difficilmente i piccioni ci avrebbero pianto”.

Leon Kolankiewicz: “La nostra specie è unica, perché solo qui ed ora abbiamo la capacità di distruggere, o di salvare, la biodiversità. Solo noi abbiamo la capacità di scegliere un modo o l’altro. Il destino di tutte le cose viventi selvagge sono nelle nostre mani. Le schiacceremo o le lasceremo vivere libere? Limitare la popolazione umana non garantisce il successo, ma non farlo significa fallimento sicuro”.

Isaac Asimov: “La democrazia non può sopravvivere alla sovrappopolazione. La dignità umana non può sopravviverle. La comodità e la decenza non possono sopravviverle. Man mano che metti sempre più persone nel mondo, il valore della vita non solo declina, scompare”. 
Riferimenti
APPG 2007. Il ritorno del fattore crescita della popolazione: il suo impoatto sugli obbiettivi di sviluppo del millennio. Tutti i gruppi parlamentari dei partiti su popolazione, sviluppo e salute riproduttiva.
Asimov, I. 1974. Til futuro dell’umanità. Newark college of engineering. asimovonline.com.
Beck e Kolankiewicz. 2000. “Il movimento ambientalista fa marcia indietro nel sostenere la stabilizzazione della popolazione statunitense”
Erb, Karl-Heinz, et al. 2009. Mangiare il pianeta: sfamare ed alimentare il mondo in modo sostenibile, giust ed umano – uno studio di ambito. Social Ecology Working Paper no. 116. Institute of Social Ecology and Potsdam Institute for Climate Impact Research.
Erlich, P. 1970. Popolazione Risorse Ambiente: problemi dell’ecologia umana.
Hays, S. 1987. Bellezza, salute e permanenza: politiche ambientali negli Stati Uniti, 1955-1985.
IUGS (International Union of Geological Sciences) 2013. Geoindicatori. Suolo ed erosione dei sedimenti.
Levinson “The Box”
Meijer, R. I. Apr 16 2014: La sovrappopolazione non è un problema per noi. Theautomaticearth.com 
Scheidel, W. 2003. “Mondo antico, demografia del”. Encyclopedia of Population.
Homer-Dixon, T. 2001. Ambiente, scarsità e violenza.

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Il rumore del picco del petrolio

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

Cari lettori,

questo 2016 è stato segnato da una notizia che ha occupato una parte apprezzabile del sempre conteso spazio mediatico: la volatilità della borsa cinese. Nell’Impero di Mezzo si sono vissuti giorni di grande ribasso, fino al punto che si è dovuta sospendere la sessione per un paio di giorni, essendo il ribasso oltre il 7%. La borsa cinese aveva avuto un’evoluzione abbastanza mediocre nel 2015 e a quello che sembra tutti i problemi accumulati sono sempre più evidenti nel 2016. Le borse occidentali hanno accusato l’impatto con diminuzioni accumulate che ammontano alla metà di quelle cinesi, ma dimostrano che l’evoluzione del gigante asiatico ha molta influenza in ciò che avviene nel mondo.

Ma che succede alla Cina? Semplicemente che la Cina, la fabbrica del mondo, sta accusando con forza la diminuzione della domanda mondiale di ogni tipo di bene. Cosa logica, se si tiene conto del fatto che la riduzione della leva finanziaria del debito iniziata nel 2008 è andata a minare progressivamente la rendita disponibile delle classi medie (tramite la diminuzione delle prestazioni ed il degrado della qualità del lavoro salariato). E quella classe media, sempre più impoverita, compra meno cose e consuma di meno.


Durante i primi mesi del 2015, la pianificazione del flusso di merci su scala mondiale ha seguito gli schemi dettati quasi all’unisono dalla pletora di consulenze economiche di questo mondo: la domanda continuerà a crescere, la domanda di beni seguirà i canali previsti. Tuttavia, la domanda è diminuita e i prodotti e le materie prime hanno cominciato ad accumularsi, perché quello che usciva era di meno di quello che entrava. E’ un fenomeno generalizzato in tutto il mondo. Ha portato ad una drastica diminuzione del commercio mondiale. Il Baltic Dry Index (un indice che misura la quantità di materie prime che viene spostata via mare) si trova ai minimi mai visti per un paio di decenni (nemmeno nel 2008) e in generale il commercio su strada, treno, aereo, ecc. si trova su valori molto, molto bassi (per esempio, il commercio fra Cina ed Africa, sua principale fornitrice di materie prime, lo scorso anno è diminuito del 40%). Indizio del fatto che il commercio mondiale sta subendo un grande ribasso e che stiamo entrando in una grande recessione globale.

Come è successo durante l’ultima grande recessione, nel 2008, il prezzo del petrolio è sceso molto e il barile di Brent attualmente si attesta al di sotto dei 30 dollari, persino meno di quanto sia sceso nel 2008. Una tale caduta precipitosa porterà conseguenze molto negative per il settore visto che contrariamente al 2008, quando il prezzo del petrolio scese fortemente da luglio a dicembre per poi risalire relativamente in fretta e stabilizzarsi intorno ai 100 dollari al barile alla fine del 2009, in questa occasione la diminuzione dura da più di un anno e sta minando l’economia dei paesi produttori di materie prime, non solo di petrolio. Per esempio, negli Stati Uniti ha appena fallito la seconda società produttrice di carbone di quel paese e non proprio perché gli Stati Uniti si stiano decarbonizzando, ma perché seguono la tendenza generale. Ma il settore dove si sente odore di sangue negli Stati Uniti è quello della produzione di petrolio, specialmente in quelle società che avevano scommesso forte sul fracking. Oltre al fallimento prossimo di Chesapeake, una società di media importanza, che molti analisti danno per gli inizi del 2016 (le sue azioni sono crollate dell’80% durante l’ultimo anno, in parallelo coi suoi introiti), altre società importanti del settore potrebbero fallire nel 2016. Non si scommette ancora su nessuna delle grandi, ma ovviamente quest’anno soffriranno e in parallelo riducono le loro spese per cercare di sopravvivere il più a lungo possibile.

Il problema non è circoscritto agli Stati Uniti. Per esempio, la BP ha appena annunciato che licenzierà il 15% del proprio personale occupato nella divisione di esplorazione e sviluppo, circa 4.000 lavoratori. E il problema non colpisce solo le società private. Per esempio, apprendiamo da poco che la Pemex licenzierà 13.000 lavoratori. Alcune società, soprattutto le più grandi e diversificate, ricorrono alla vendita delle attività in sofferenza, ottenendo così il doppio beneficio di fare cassa e diminuire il rischio, e si concentrano a partire da lì sulle proprie attività più sicure. Genereranno meno soldi, è vero, ma con molto meno rischio. Tuttavia, le società come quelle che si dedicano al fracking non hanno niente di buono da offrire e cercano disperatamente più finanziamenti con cui mantenersi a galla, mentre alcune si impegnano in imbarazzanti campagne pubblicitarie per far credere al pubblico che il fracking è ancora redditizio (quando, in realtà, non lo è mai stato).

E’ in questo un contesto di lotta per la sopravvivenza che va inteso il recente annuncio che l’Arabia Saudita farà un’offerta pubblica di azioni della propria società nazionali di petrolio, Aramco, la più grande del mondo. Mentre viene chiarito il contesto di questa privatizzazione (si parla del fatto che verrebbe venduta solo la divisione che si occupa delle raffinerie), cresce la tensione bellica nella zona. Lasciando  da parte ciò che sta succedendo in Siria ed Iraq, non si tratta solo del confronto crescente fra Arabia Saudita ed Iran: la guerra che l’Arabia Saudita porta avanti in Yemen non accenna a finire (e in alcune occasioni i ribelli yemeniti hanno l’audacia di colpire l’Arabia Saudita nel suo stesso territorio). Nel frattempo, l’Arabia Saudita mantiene la situazione di protettorato di fatto in Bahrein (paese che “ha liberato” manu militari nel 2011). Tutto questo carico militare dell’Arabia Saudita acutizza pericolosamente i problemi economici derivati dalla discesa degli introiti della vendita di petrolio, cosa che ha obbligato a ridurre le prestazioni sociali e ad aumentare il costo del carburante nel regno. Il potenziale destabilizzante di queste misure è enorme. Vi immaginate quali conseguenze avrebbe se scoppiasse una rivolta in Arabia Saudita?

Da un punto di vista meramente economico, la gravità della situazione attuale è l’ostinata contrazione dell’investimento in esplorazione e sviluppo di nuovi giacimenti petroliferi e non solo di quelli non convenzionali. Proprio in questo momento, in cui più che mai si dovrebbe aumentare l’investimento in esplorazione e sviluppo (upstream) perché i giacimenti sono sempre più difficili da trovare e da sfruttare, abbiamo inanellato una serie di anni di contrazione dell’investimento molto forte nel settore petrolifero. Secondo la IEA, l’investimento in upstream si è ridotto del 15% nel 2014 rispetto al 2013 e del 20% in più nel 2015 rispetto al 2014. E la serie negativa non si ferma qui, tanto che la stessa IEA prevede una nuova diminuzione del 15% nel 2016. A livello mondiale, crolla il numero dei rigs (piattaforme di trivellazione). Il problema non è tanto il crollo catastrofico delle piattaforme attive negli Stati Uniti, ma il crollo comincia ad essere monumentale (circa il 50% a livello del mondo intero.

Anche se la maggioranza degli analisti economici non lo percepiscono, è abbastanza ovvio che ci stiamo incamminando a tappe forzate verso una scarsità di petrolio che non solo è imminente, ma che che sarà irreversibile. La combinazione di disinvestimento nel ricambio dei pozzi oggi imprescindibile e il fallimento delle società che estraggono risorse di idrocarburi liquidi più cari da produrre (la cui percentuale nella produzione mondiale è già del 10% e dovrebbe crescere nei prossimi anni semplicemente per mantenere la produzione totale costante) garantiscono non solo che non recupereremo mai il livello di produzione del 2015 (la cosa è questa, il picco del petrolio si è verificato lo scorso anno), ma che la discesa a partire da qui sarà abbastanza rapida.

Il fallimento delle società che sfruttano giacimenti di idrocarburi diversi non fa scomparire la risorsa, naturalmente. Tuttavia ci parla della difficile fattibilità dello sfruttamento di queste risorse ai prezzi che l’economia si può realmente permettere. Ma il fatto è che questi fallimenti fanno scomparire qualcosa di fondamentale: investitori disposti a rischiare i propri soldi in un affare che, all’improvviso, non sembra più tanto sicuro com’era sempre sembrato. Per questo, realmente, il fallimento di società petrolifere implica la scomparsa effettiva di tutta la produzione attuale che stava realizzando in modo antieconomico, semplicemente perché si avevano prospettive per il futuro molto buone. E questa è una percentuale crescente di tutto il petrolio che si può produrre…

Pertanto ci troviamo di fronte ad una rapida discesa della produzione di petrolio che si andrà evidenziando nei prossimi anni. E cosa raccontano nei media della situazione attuale? Poca cosa. Poche voci osano avvertir che se si manterranno i prezzi bassi attuali ci sarà una forte scarsità nel giro di un paio d’anni. La stragrande maggioranza delle analisi economiche che possiamo leggere scommettono che il prezzo del petrolio si manterrà basso a medio termine, cioè, per i prossimi 2-5 o persino 10 anni. E’ ovvio che non capiscono niente di quello che sta succedendo (servirebbe raccomandare loro, di nuovo, la nostra guida?). Ed alcuni di tanto in tanto si permettono anche di fare battute sulla “teoria ridicola del picco del petrolio”, a loro modo di vedere smentita dai prezzi bassi del petrolio.

Da un punto di vista economicistico, il picco del petrolio dovrebbe tradursi in prezzi permanentemente alti. Si tratta di una visione semplicistica, tipica del pensiero economico liberale, che non capisce il ruolo dell’energia nell’economia. La cosa più curiosa è che non pochi degli studiosi del picco del petrolio è da anni che affermano che l’arrivo del massimo di produzione del petrolio genera volatilità del prezzo (io stesso lo dicevo nel quinto post che ho scritto su questo blog, il 3 febbraio del 2010). Nel mio caso concreto e come se non bastasse, quando la fase dei prezzi alti si è prolungata un po’ di più di quanto atteso, mi hanno criticato perché non arrivava la diminuzione dei prezzi che prevedevo (vedete il post del 28 marzo del 2014, sei mesi prima che cominciasse l’attuale episodio di prezzi bassi). Tornerò a ripeterlo ancora una volta: il problema della scarsità di petrolio non è che il prezzo salga molto in modo permanente. Perché il prezzo si mantenga permanentemente alto, il petrolio deve diventare un articolo di lusso e smettere di essere ciò che è ora, cioè il motore dell’economia e, anche se un giorno arriveremo a questa situazione, ci troviamo ancora lontani da quel momento. Nei prossimo anni, ciò che caratterizzerà il prezzo del petrolio è una volatilità brutale, nella misura in cui scendiamo in profondità nella spirale di distruzione della domanda – distruzione dell’offerta. Non si tratta semplicemente di dire che il prezzo del petrolio a volte sale e a volte scende, no. La questione è che durante certi periodi si manterrà troppo alto, in modo che danneggerà le società produttrici. Questa oscillazione selvaggia, senza mezzi termini (la maggior parte del tempo il prezzo o sarà molto alto o sarà molto basso, situandosi su valori intermedi solo nel suo rapido cammino verso l’alto o verso il basso), è ciò che caratterizzerà l’evoluzione del prezzo durante i prossimi anni, con un periodo di ripetizione tipico che nel post del 2010 stimavamo in circa 3-4 anni, anche se nella misura in cui accelera la discesa della produzione, i cicli di salita e discesa saranno sempre più rapidi. Osservate il grafico (del tutto qualitativo) che disegnava Dave Cohen  8 anni fa:

E osservate cosa ha fatto il prezzo del petrolio negli ultimi 10 anni:
Come vedete, fino al 2011 la forma qualitativa di entrambi i grafici erano molto simili. Nel 2011 viene introdotto il fracking in modo massiccio negli Stati Uniti e, nonostante sia un affare disastroso, si riescono a mantenere i prezzi poco al di sopra dei 100 dollari al barile, ma senza superare il tetto dei 149 dollari al barile del 2008. Tuttavia, 100 dollari al barile è un prezzo troppo alto perché non pregiudichi l’economia in generale a medio termine. Con l’introduzione forzata del fracking abbiamo posticipato il crollo dei prezzi di circa 3 anni, ma ora ci troviamo con un’economia danneggiata (come mostrano i dati che fornisco all’inizio del post) ed alcune società petrolifere eccessivamente indebitate e che falliscono (come avevamo già avvertito a settembre del 2014). Pertanto, ci siamo risparmiati uno dei cicli di 3 anni, ma lo abbiamo fatto al costo di mettere in una situazione precaria le nostre società petrolifere, per cui in questo momento stiamo avendo una fase di distruzione della domanda e dell’offerta contemporaneamente. 
E’ importante evidenziare che dal punto di vista dell’evoluzione del picco del petrolio non abbiamo guadagnato assolutamente niente: producendo in perdita idrocarburi subprime, come il LTO (Light Thigt Oil) o le sabbie bituminose, abbiamo mantenuto un livello totale di idrocarburi in questi anni, ma adesso la caduta sarà più brusca e arriveremo direttamente al punto della curva dove dovremmo essere se si fosse sfruttato soltanto ciò che era economicamente redditizio. O forse più in basso, perché nel processo abbiamo danneggiato l’equilibrio delle società ed estrazioni che potevano essere fattibili. E la cosa peggiore: la rapidità dei cambiamenti rende più probabili i conflitti geopolitici e le guerre per le risorse, perché gli economisti che consigliano i governi di tutto il mondo non comprendono la situazione e vedono fantasmi di “guerre dei prezzi” e “intenzioni di destabilizzazione” dove la sola cosa che c’è è fondamentalmente l’impero della termodinamica dura e pura ed una cattiva comprensione della realtà economica da parte di coloro che si dicono suoi specialisti. 
Per questo motivo, tutti coloro che prevedono scenari di prezzi bassi del petrolio a 5 anni si sbagliano senza ombra di dubbio: i prezzi si manterranno bassi quest’anno fino a che non scoppi una nuova guerra o fino a che non falliscano abbastanza società del settore e, al diminuire dell’offerta, il prezzo schizzerà alle stelle, aggravando la crisi economica globale in atto (ricordate che lo scorso anno il PIL globale si è contratto di circa il 5%). Inizierà così il ciclo successivo dell’oscillazione del prezzo, che sarà più duro del precedente perché gli investitori, già scottati, non torneranno tanto rapidamente ad investire nelle società petrolifere.
La cosa più triste di questo processo è che nessuno guarderà la produzione di petrolio, al fatto che questa sta già decadendo per non recuperare mai più ai livelli attuali e per seguire una tendenza generale al ribasso con piccole riprese transitorie. L’ossessione economicista per il prezzo farà sì che venga ignorata la variabile che in realtà è fondamentale, poiché l’energia è il vero motore dell’economia, mentre i soldi (fra le altre cose) sono solo una rappresentazione del valore e non il valore in sé stessi. Le rare volte che venga detto che la produzione è scesa, gli economisti se ne usciranno dicendo che ciò è dovuto alla recessione e che quando ne usciremo la produzione tornerà a salire, mettendo così il carro davanti ai buoi, ignorando che il problema è che sta diminuendo la quantità di energia a prezzi accessibili per alimentare questo sistema, incapaci di comprendere che bisogna cambiare paradigma economico completamente per adattarlo ad una realtà nella quale abbiamo già sbattuto contro i limiti del pianeta.
Ebbene sì, signori, le conseguenze del picco del petrolio erano queste, ciò che da tempo io chiamo l’oil crash: l’impossibilità della nostra società di mantenere il sistema attuale una volta che siamo giunti allo zenit della produzione di petrolio. E’ a questo, a quanto sembra, è questo l’odore e il sapore. E questo è solo l’inizio: se non lo capiamo e non cominciamo ad intraprendere da subito misure per adattarci, arriveranno guerre, scarsità, carenza…Io personalmente è da tempo che punto sul fatto che la Spagna si metterà in avventure militari in vari paesi e particolarmente in Algeria, quando lì scoppierà la guerra civile attualmente agli inizi. Guerre che esauriranno più rapidamente la Spagna e che ci faranno sprofondare con maggiore celerità nel fango. 
Ma, ripetiamolo ancora una volta: niente di tutto questo è necessario, non abbiamo bisogno di sprofondare nella miseria, non è inciso sulla pietra che il nostro destino inevitabile sia il collasso. Non è vero. Possiamo ancora cambiare la direzione delle cose. Dobbiamo dire e dirci la verità in faccia, passare dall’idea all’azione, fare una proposta di futuro. E’ possibile, facciamolo
Non lo sentite? E’ il rumore del picco del petrolio. Affrettiamoci, prima che sia un fragore, prima che la prevedibile valanga ci travolga.
Saluti.
AMT

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Un altro chiodo nella bara dell’impero USA: il collasso della produzione di gas di scisto è cominciata

Da “SRSrocco report”. Traduzione di MR

Di Steven S. Rocco

L’impero USA è in guai seri, visto che è cominciato il collasso della sua produzione interna di gas di scisto. Si tratta dell’ennesimo chiodo di una lunga serie che sono stati piantati nella bara dell’impero USA. Sfortunatamente, la maggior parte degli investitori non danno peso a ciò che sta succedendo nell’industria energetica statunitense. Senza energia, l’economia statunitense si fermerebbe. Tutti i trilioni di dollari in attività finanziarie non significano niente senza petrolio, gas naturale e carbone. L’energia alimenta l’economia e la finanza la guida. Come ho già detto diverse volte, l’industria finanziaria ci sta portando sul baratro.

Il grande boom del gas di scisto statunitense probabilmente è finito per sempre

Pochissimi americani hanno notato che la produzione dei quattro principali giacimenti di gas di scisto messa insieme ha raggiunto il picco già nel luglio del 2015. La produzione totale di gas di scisto di Barnett, Eagle Ford, Haynesville e Marcellus ha raggiunto il picco con 27,9 miliardi di piedi cubi al giorno (Mpc/g, circa 790 milioni di metri cubi) a luglio ed è crollata a 26,7 Mpc/g (756 milioni di metri cubi) a dicembre 2015:

Come possiamo vedere dal grafico, Barnett e Haynesville hanno raggiunto il picco quattro anni fa, alla fine del 2011. Ecco i profili di produzione di ciascun giacimento di gas di scisto:

Secondo la Energy Information Agency (EIA), la produzione di gas di scisto di Barnett ha raggiunto il picco nel novembre del 2011 ed è scesa del 32% dal suo massimo. Barnett ha prodotto un record di 5 Mpc/g (circa 141,5 milioni di metri cubi) di gas di scisto nel 2011 ed attualmente sta producendo solo 3,4 Mpc/g (circa 96,3 milioni di metri cubi). Inoltre, il numero delle piattaforme di trivellazione è sceso di un impressionante 84% nell’ultimo anno abbondante.

Haynesville è stato il secondo a raggiungere il picco nel gennaio 2012 con 7,2 Mpc/g (circa 203,9 milioni di metri cubi) e produce attualmente 3,6 Mpc/g (circa 102 milioni di metri cubi). Si tratta di un declino enorme del 50% dal suo massimo. Non solo il numero delle piattaforme di perforazione ad Haynesville è sceso del 57% in un anno, è sceso di altre cinque piattaforme nell’ultima settimana. Ci sono solo 18 piattaforme di perforazione in funzione ad Haynesville.

La EIA riporta che la produzione di gas di scisto di Eagle Ford ha raggiunto il picco nel luglio del 2015 con 5 Mpc/g (circa 141,6 milioni di metri cubi) ed ora è sceso del 6% a 4,7 Mpc/g (circa 133 milioni di metri cubi) Come possiamo vedere, il totale delle piattaforme di trivellazione di Eagle Ford più di tutti, di 117 piattaforme dallo scorso anno. La ragione per cui il crollo del numero di piattaforme di trivellazione è così marcato è dovuta al fatto che Eagle Ford è il giacimento di petrolio di sciato in produzione degli Stati Uniti.

Infine, il Grande Marcellus ha a sua volta raggiunto il picco nel luglio del 2015 con un impressionante 15,5 Mpc/g (circa 438,9 milioni di metri cubi) ed ora è sceso del 3%, producendo attualmente 15 Mpc/g (circa 424,7 milioni di metri cubi). Marcellus produce più gas (15 Mpc/g) degli altre tre principali giacimenti messi insieme (12,1 Mpc/g – circa 342,6 milioni di metri cubi).
Ho postato sotto il grafico della produzione di gas di scisto di Haynesville per parlare del perché la produzione di gas di scisto statunitense probabilmente collasserà andando avanti:

La cosa interessante del giacimento di gas di scisto di Haynesville, che si trova in Louisiana e Texas, è il forte declino della produzione dal suo massimo. Dall’altra parte, Barnett (grafico sopra in rosso) ha avuto un profilo molto diverso, in quanto il suo picco di produzione è stato più arrotondato e lento. Non così ad Haynesville.Il declino della produzione di gas di scisto di Haynesville è stato più rapido ed improvviso. Credo che i declini della produzione di gas di scisto di Eagle Ford e Marcellus somiglierà a ciò che è accaduto ad Haynesville.

Tutto ciò che si deve fare è guardare in che modo Eagle Ford e Marcellus hanno aumentato la produzione. I loro profili di produzione sono più simili a quello di Haynesville che a quello di Barnett. Così i declini probabilmente si comporteranno allo stesso modo. Inoltre, trivellare ed estrarre gas di scisto da Haynesville è stato un “fallimento commerciale”, come affermato dall’analista energetico Art Berman nel suo articolo su Forbes del 22 novembre 2015:

Il giacimento di gas di scisto di Haynesville ha bisogno di prezzi del gas 6,50 dollari per andare in pareggio. Col gas naturale di poco al di sopra ai 2 dollari per mille piedi cubi (circa 28,3 metri cubi), mettiamo in discussione il modello commerciale del gas di scisto che ha 31 piattaforme di trivellazione in quel giacimento che costano 8-10 milioni l’una per vendere gas in perdita in un mercato con eccesso di offerta.
Con prezzi del gas di 6 dollari, solo il 17% dei pozzi di Haynesville fanno pari (Tavola 3) e circa 115.000 (circa 46.500 ettari) sono commerciali (Figura 2) dei circa 3,8 milioni di acri (circa 1.538.000 ettari) compresi nell’area di trivellazione del giacimento. Il giacimento di gas di scisto di Haynesville è un fallimento commerciale. La Encana si è defilata dal giacimento alla fine di agosto. La Chesapeake e la Exco, i due produttori principali del giacimento, hanno entrambe annunciato svalutazioni nel terzo trimestre del 2015.

Fondamentalmente, la maggioranza schiacciante del gas di scisto estratto ad Haynesville è stata fatta così in perdita completa. Quindi perché continuano a trivellare e produrre gas ad Haynesville? La ragione dichiarata da Art Berman è questa:

Ciò che vediamo nel giacimento di gas di scisto di Haynesville sono società che perseguono ciecamente i volumi di produzione piuttosto che il valore e alle quali non importa nulla degli interessi degli azionisti. Il modello commerciale è rotto. E’ tempo che gli investitori cominciano finalmente a porre domande serie. 

La Chesapeake è una delle società produttrici di gas di scisto più grandi ad Haynesville così come negli Stati Uniti. Secondo i suoi recenti rapporti finanziari, la Chesapeake ha ricevuto 1,05 miliardi di dollari in flusso di cassa operativo nei primi tre trimestri del 2015, ma ne ha spesi 3,2 in spese di capitale per continuare a trivellare. Pertanto il suo flusso di cassa è stato negativo di 2,1 miliardi di dollari nei primi nove mesi del 2015. E questo non include ciò che ha pagato in dividendi. Lo stesso fenomeno si sta verificando in altre società che trivellano per il gas di scisto in altri giacimenti degli Stati Uniti. Questa follia ha reso perplesso Berman, come ha affermato in quest’altro articolo dal suo sito:

Questo mi ha confuso perché i giacimenti di gas di scisto non sono commerciali a meno di circa 6 dollari a mmBtu (un milione di Btu) eccetto in piccole parti delle aree centrali di Marcellus, dove prezzi di 4 dollari portano al pareggio. I prezzi del gas naturale sono stati in media meno di 3 dollari per mmBtu nel primo trimestre del 2015 ed attualmente sono ai loro livelli più bassi da più di 2 anni.

La ragione per cui queste società continuano a produrre gas di scisto in perdita è quella di continuare a generare introiti e flusso di cassa per ripagare il loro debito. Se riducono significativamente l’attività di trivellazione, la loro produzione precipiterebbe. Ciò provocherebbe la caduta come un sasso del loro flusso di cassa come, compreso il prezzo delle loro azioni, e fallirebbero in quanto non potrebbero continuare a pagare il loro debito. Fondamentalmente, l’industria del gas di scisto statunitense non è nulla di più di uno schema Ponzi.

Il collasso della produzione di gas di scisto statunitense anche a prezzi

Credo che il collasso della produzione del gas di scisto statunitense avverrà anche a prezzi più alti. Perché? Perché il prezzo del gas naturale è aumentato da 2,75 dollari per mmBtu nel 2012 a 4,37 dollari per mmBtu nel 2014, ma il numero delle piattaforme di trivellazione ha continuato a crollare:

Man mano che il prezzo del gas naturale aumentava dal 2012 al 2014, le piattaforme che trivvellano il gas sono crollate del 40%, da 556 a 333. inoltre, le piattaforme di trivellazione hanno continuato a declinare ed ora sono al minimo record di 127. Proprio come ha affermato Art Berman, il prezzo medio di pareggio per la maggior parte dei giacimenti di gas di scisto è di 6 dollari per mmBtu, mentre solo una piccola percentuale di Marcellus è redditizio con 4 dollari per mmBtu. Guardando ancora il grafico, si può vedere che il prezzo del gas naturale non si è mai avvicinato ai 6 dollari per mmBtu. Il prezzo più alto è stato 4,37 mmBtu. Pertanto, l’industria del gas di scisto statunitense è stata un fallimento commerciale. Ora che i grandi produttori di gas di scisto sono appesantiti dal debito e molti degli sweet spot dei giacimenti di gas di scisto sono già stati trivellati, credo che la produzione di gas di scisto statunitense collasserà andando avanti. Se si guarda il profilo di produzione del giacimento di gas di scisto di Haynesville, un 50% di declino in 4 anni rappresentas un collasso, dalle mie parti.

I due chiodi nella bara dell’impero USA

Come ho affermato in diversi articoli ed interviste, E’ L’ENERGIA AD ALIMENTARE L’ECONOMIA,  non la finanza. Così l’energia è la chiave dell’attività economica. Il che significa che la produzione di energia e il controllo dell’energia sono le chiavi della prosperità economica. Mentre il collasso della produzione di gas di scisto statunitense è un chiodo sulla bara dell’impero USA, l’altro è il petrolio di scisto. La produzione statunitense di petrolio di scisto ha raggiunto il picco prima di quella del gas:

Questo grafico è vecchio di qualche mese, ma secondo i Rapporti di Produttività della EIA, la produzione interna di petrolio dai quattro principali giacimenti di petrolio di scisto hanno raggiunto il picco nell’aprile del 2015… tre mesi prima dei grandi giacimenti di gas di scisto (luglio 2015). Sfortunatamente per gli Stati Uniti, non sarebbero mai diventati energeticamente indipendenti. L’idea dell’indipendenza energetica degli Stati Uniti è stata costruita su una montatura, una speranza ed escrementi di mucca. Piuttosto, stiamo per essere testimoni del collasso della produzione di petrolio e gas di scisto statunitense.

Il collasso della produzione di petrolio e gas di scisto statunitense sono i due chiodi sulla bara dell’impero USA. Perché? Perché gli Stati Uniti dovranno affidarsi ad importazioni di petrolio e gas sempre maggiori in futuro man mano che la forza e la fiducia nel dollaro si indeboliscono. Prevedo un momento in cui i paesi esportatori di petrolio non accetteranno più il dollaro o i Buoni del Tesoro statunitensi in cambio del petrolio. Il che significa… stiamo per dover scambiare qualcosa di valore reale anziché promesse di carta. Credo che la produzione di petrolio di scisto statunitense declinerà del 30-40% dal suo picco (9,6 milioni di barili al giorno nel luglio 2015) entro il 2020 e del 60-75% entro il 2025. L’impero Usa è un’economia di espansione suburbana che ha bisogno di molto petrolio per mantenere treni, camion e macchine in movimento. Un collasso della produzione di petrolio significa anche un collasso dell’attività economica.

Pertanto, un collasso dell’attività economica significa default del debito alle stelle, fallimenti di massa e il crollo degli introiti delle tasse. Questo sarebbe un disastro per l’impero USA. Infine, è difficile prevedere come questo si andrà a sviluppare, ma il miglior piano di azione è quello di essere più autosufficienti nel paese con la ricchezza posseduta in oro e argento fisico.

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La colpa è del capitalismo!!

Da “rabble.ca”. Traduzione di MR (via Nicola Savio)

Di Jesse McLaren

Cowspiracy getta una luce sulle emissioni di carbonio dell’industria dell’agricoltura animale, ma il suo raggio è così ristretto che lascia il resto dell’agricoltura e dell’economia nascosti alla vista ed eleva la scelta dietetica a strategia politica. Come molte persone, Kip Anderson ha visto “Una scomoda verità” di Al Gore ed è rimasto frustrato dalla limitatezza delle scelte di vita per fermare il cambiamento climatico – come andare in bici o usare meno acqua. Poi ha scoperto che l’agricoltura animale è responsabile di emissioni significative ed è sostenuta dai grandi poteri, ma non è oggetto di attenzione da parte di molte ONG ambientaliste. Quindi ha fatto una scelta.


Avrebbe potuto fare un film che collegava l’agricoltura animale al resto dell’economia petrolifera, mettendo a nudo le enormi multinazionali che dominano la fornitura di cibo e che hanno deformato le nostre relazioni con gli animali. Avrebbe potuto chiedere che vegani e non vegani si unissero, sostenendo un movimento di avanguardia per un cambiamento di sistema ed un reale controllo sulla produzione e distribuzione di cibo. Invece ha scelto di fare un film che contrappone l’agricoltura animale al resto dell’economia dipendente dal petrolio, liquida la sfida verso le sabbie bituminose e il fracking e la necessità di posti di lavoro ‘climatici’, dà la colpa alle mucche e a coloro che consumano prodotti animali, mette a ludibrio le ONG ambientaliste al posto dell’agribusinesses, ignora la conoscenza tradizionale su come vivere in modo sostenibile con gli animali e definisce i non vegani ambientalisti ipocriti – mentre predica il veganesimo come panacea per tutto, dal cambiamento climatico alla fame nel mondo.

Il risultato: delle persone che protestavano ispirate dal suo film hanno denunciato la recente People’s Climate March di Edmonton: “Gli organizzatori volevano concentrarsi solo su petrolio e gas, gli argomenti climatici sicuri e non ‘spostare l’attenzione’ per affrontare i comportamenti personali che possono davvero fare la differenza”. Non ci sarebbe una People’s Climate March ed un movimento per la giustizia climatica se non fosse per le comunità indigene che hanno sfidato le sabbie bituminose ed il fracking, mentre difendevano i loro diritti, compreso quello di cacciare, pescare e usare trappole. E’ ridicolo scartare come “argomenti sicuri” la sfida a queste potenti industrie e dare la colpa alle diete che le comunità hanno seguito in modo sostenibile per millenni. Come piazziamo l’agricoltura animale industrializzata nel suo contesto di modo che le preoccupazioni dei vegani possano integrarsi con quelle del movimento per la giustizia climatica?

Cowspiracy o cowpitalismo?

Cowspiracy solleva il punto importante che la crisi climatica non è alimentata solo dalle società di petrolio e gas, ma è anche collegata al nostro sistema alimentare. Ma invece di sfidare le multinazionali che controllano la produzione e distribuzione di cibo, da tutta la colpa alla “agricoltura animale”. Usando statistica e grafici decontestualizzati, sottintende che le mucche sono creature intrinsecamente distruttive che sprecano acqua mentre producono il metano che alimenta la crisi climatica – al posto di evidenziare come il capitalismo abbia separato le mucche dalle comunità, le abbia concentrate in fabbriche e trasformate in macchine da metano. Kip Anderson sostiene che “le parole sostenibile e agricoltura animale sono un ossimoro. Non possono stare insieme”. Ma come spiega la grande ambientalista indiana (e vegetariana) Vandana Shiva,

“L’allevamento industriale di bestiame è assolutamente un contributo importante di gas serra, specialmente metano. Ma il bestiame normale – alimentato con foraggio – è importante per una soluzione sostenibile. Il problema di molti di questi studi è stato che la maggiore pratica industriale, per esempio l’allevamento industriale per ottenre carne… e la estrapolano per tutto il mondo. Come se tutto il mondo trattasse il proprio bestiame nel modo straziante con cui lo tratta l’allevamento industriale”. 

Come spiega ne Il raccolto rubato: il dirottamento della fornitura globale di cibo,

  • “Ecologicamente, la mucca è stata centrale nella civiltà indiana… Usando il suo letame e la terra non coltivata, i bovini indigeni non competono con gli esseri umani per il cibo, piuttosto forniscono fertilizzante biologico per i campi e quindi migliorano la produttività del cibo… I bovini indiani forniscono più cibo di quanto ne consumino, al contrario di quelli dell’industria degli Stati Uniti, in cui i bovini consumano sei volte il cibo che possono fornire”. 

Al posto di sfidare la multinazionalizzazione dell’agricoltura, Cowspiracy dà la colpa alle mucche – rinforzando la prospettiva dell’industria degli animali come unità di produzione astratte scollegate dalle comunità. Come spiega Vandana Shiva,

“Il bestiame è assolutamente cruciale. La tragedia è da un lato che ci sono coloro che metterebbero gli animali negli allevamenti intensivi – e questa è la fonte di emissioni di metano, non il pascolo libero… E c’è il problema che coloro che pensano di amare gli animali fanno pressione per una situazione in cui non ci siano animali. Per cui dobbiamo evitare entrambi questi estremi che sono anti-animali negando un ruolo effettivo dell’animale e un ruolo effettivo del contadino. E penso che provenga dal paradigma che assume che sia esseri umani sia animali possano avere solo relazioni predatorie con la natura. No, possiamo avere una relazione armoniosa con la natura”. 

Capitalismo, sostenibilità e scelta

La nostra relazione armoniosa con la natura non è stata disturbata dal consumo di animali (che le comunità hanno fatto per millenni in modo sostenibile) ma da un sistema relativamente recente di produzione che ci ha separati dalla natura ed ha trasformato i mondi animali e vegetali – e gli umani stessi – in fonti di profitto. Cowspiracy non solo sbaglia nel non differenziare uso tradizionale e industriale degli animali, ignora anche le emissioni di carbonio dell’agricoltura capitalistica in generale. Il nostro sistema alimentare non è insostenibile perché include gli animali, è insostenibile a causa del capitalismo – che è basato sulla colonizzazione dei territori indigeni e sulla cacciata dei contadini dalla terra, sfruttando i lavoratori per il profitto e riducendo animali e piante ad unità di produzione. Facendo questo, il capitalismo in Europa ha creato, dal XIX secolo, una frattura metabolica fra gli esseri umani e la natura ed ha eroso la fertilità del suolo, innescando una ricerca di fertilizzanti artificiali. Come ha descritto Karl Marx,

“La produzione capitalistica raccoglie riunisce la popolazione in grandi centri… Disturba l’interazione metabolica fra gli [esseri umani] e la terra, cioè impedisce il ritorno al suolo dei suoi elementi costituenti consumati dagli [esseri umani] sotto forma di cibo e vestiario, pertanto ostacola l’operazione dell’eterna condizione naturale per la fertilità del suolo… Tutto il progresso dell’agricoltura capitalistica è un progresso nell’arte non solo di rubare ai lavoratori, ma di rubare al suolo”. 

Man mano che il capitalismo si è sviluppato è diventato concentrato e centralizzato in enormi multinazionali che dominano ogni industria . Rendendo tutta la nostra economia, comprese le piante e gli animali che mangiamo, dipendenti dal petrolio. Come spiega Vandana Shiva in Soil Not Oil (Suolo, non petrolio),

“L’agricoltura industrializzata globalizzata è una ricetta per mangiare petrolio. Il petrolio viene usato nei fertilizzanti chimici che vanno ad inquinare suolo ed acqua. Il petrolio viene usato per cacciare piccoli agricoltori con enormi trattori e mietitrebbiatrici. Il petrolio viene usato per elaborare industrialmente il cibo. Il petrolio viene usato per la plastica delle confezioni. E infine, sempre più petrolio viene usato per trasportare cibo sempre più lontano da dove viene prodotto. I combustibili fossili sono il cuore dell’agricoltura industriale”. 

Cowspiracy ha ragione nell’evidenziare gli enormi sussidi e gli interessi forti che sostengono l’industria del manzo e creano domanda ed offerta artificiali, ma ciò vale per tutte le industrie – compreso gli enormi agribusiness che hanno ridotto le nostre diete a monocolture di mais, soia e grano, sostenuti da enormi emissioni in fertilizzanti, macchinari, stoccaggio e trasporto. Chiedere una “scelta” dietetica fra prodotti capitalistici delle piante e prodotti capitalistici degli animali non fa nulla per sfidare il sistema che alimenta il cambiamento climatico e vincola le scelte. Ogni scelta limitata che qualcuno di noi possa avere nei consumi – una scelta determinata dalla distribuzione iniqua di risorse e reddito – non sfida il sistema di produzione.

Consumismo vs giustizia climatica

Per decenni il movimento ambientalista ha dato questo sistema per scontato. Depoliticizzando l’ambiente, le ONG si sono tradizionalmente concentrate sulla riforma dei singoli problemi facendo azione di lobbying presso i governi e chiedendo una limitata scelta da parte dei consumatori sui prodotti del capitalismo – piuttosto che sfidare il sistema di produzione guidato dal profitto e la distribuzione iniqua. Ancora peggio, alcuni gruppi ambientalisti preso come capri espiatori le comunità indigene per aver portato avanti le loro pratiche culturali. Come ha detto Francis Frank, co-presidente del Consiglio tribale dei Nuu-chah-nulth, in risposta alle proteste contro la caccia alle balene indigena nella costa occidentale nei tardi anni 90, ”Le proteste che sono state studiate sono solo un’altra forma di eco-colonialismo… Stanno sostenendo la continua oppressione del nostro popolo”. Il movimento per la giustizia climatica è emerso negli ultimi anni andando oltre le vecchie politiche di consumismo individuale, verso movimenti di massa basati su politiche anti-coloniali ed anti-capitalistiche. E’ emozionante che le ONG ambientaliste si uniscano agli indigeni e i gruppi operai per combattere per il cambiamento di sistema necessario per fermare il cambiamento climatico. Le ONG ambientaliste hanno ancora delle limitazioni strutturali e non afrontano tutti i problemi, come il fatto che l’apparato militare statunitense è il più grande consumatore di petrolio del pianeta (un fatto ignorato da Cowspiracy). Ma la risposta dei gruppi contro la guerra non è stata quella di suggerire una cospirazione fra ONG e l’apparato militare, ma piuttosto di integrare le loro preoccupazioni a quelle del movimento per la giustizia climatica – come il contingente “No guerra, no riscaldamento” (No war, no warming) alla manifestazione 100% è possibile ad Ottawa.

Cowspiracy invece nomina e svergogna una dozzina di ONG senza nominare nessun agribusiness, rifiuta le richieste di lavori ‘climatici’ ed ignora le comunità indigene mentre afferma che coloro che mangiano carne sono ipocriti. Il regista presenta persino sé stesso come l’eroe climatico perseguitato, senza intervistare o nemmeno menzionare gli indigeni e le comunità di avanguardia che sopportano il peso della crisi climatica e dello stato di repressione. Il documentario afferma anche che una dieta vegana metterà fine alla fame nel mondo, senza affrontare le disuguaglianze nella produzione e distribuzione di cibo. Sembra che il punto sia questo, come ha spiegato Kip Anderson in una intervista: “la soluzione è molto semplice… Non comporta nemmeno necessariamente una trasformazione diffusa del sistema legale e delle nostre politiche. Si tratta semplicemente di cambiare dieta”. Ciò non sorprende, provenendo da una persone che si autodefinisce un “imprenditore seriale” che spinge il suo DVD e le magliette e qualche celebrità che vuole attrarre gli ambientalisti, ma non dovrebbe essere la guida di un movimento.

Solidarietà e cambiamento di sistema

Come ha scritto l’organizzatore climatico (e vegano) Cam Fenton,

“abbiamo bisogno di un cambiamento di sistema per fermare il cambiamento climatico e le nostre scelte dietetiche personali non sono un cambiamento di sistema. Cambiare le lampadine e fare docce più corte non è stata una strategia davvero efficace per il clima e a me sembra che passare dalle bistecche al tofu sia la stessa cosa. Non solo non farà un sacco di cose per risolvere la crisi climatica, di fatto non va nemmeno al cuore di quello che si pretende di spingere – la riduzione delle emissioni dall’agricoltura. Se l’obbiettivo è davvero affrontare le emissioni dell’agricoltura, e queste emissioni sono un gran problema, è ora di smetterla di dire alle persone di non mangiare carne e cominciare a pensare come ci si metterà a fianco dei contadini che sono stati costretti dalle Monsanto del mondo ad abbandonare i loro metodi agricoli tradizionali a favore di enormi monocolture. E’ il momento di sostenere le comunità che si stanno opponendo ai baroni dei bovini che vogliono spianare enormi tratti di terreno – come la foresta pluviale in Sud America – per espandere le loro operazioni. Queste cose potrebbero aiutare a far pendere la bilancia e a ridurre le emissioni da parte dell’agricoltura in un modo che molti vegani semplicemente non vogliono, e potrebbero farvi conquistare qualche alleato nel percorso”.

Queste alleanze stanno aumentando. Un paio di anni fa l’organizzatore della comunità di Heiltsuk, Jess Housty, ha scritto un articolo sugli otto modi in cui i coloni possono sostenere Idle No More, compreso partecipare a manifestazioni e sfidare il razzismo. Questi sono “comportamenti personali” che possono davvero fare la differenza, piuttosto che cambiare semplicemente dieta. All’inizio dell’anno la Nazione Heiltsuk ed i suoi alleati hanno fermato il Dipartimento della Pesca e degli oceani che volevano sfruttare eccessivamente la pesca delle riserve di aringhe sulla costa occidentale. La strategia è stata non di affermare che la pesca è intrinsecamente insostenibile e di chiedere alla comunità di mettere fine alla loro tradizionale dieta a base di pesce, ma di sostenere la nazione Heilstuk che stava difendendo la riserva di aringhe ed i loro diritti di pesca. Come ha spiegato il Capo Marylin Slett, “Non stiamo cercando di impedire alle persone di guadagnarsi da vivere. Ma dobbiamo gestire le cose in modo da avere una risorsa che sostenga tutti in futuro… Ci sono persone molto motivate nella comunità che faranno tutto ciò che è in loro potere per proteggere le riserve di aringhe”. C’è anche una solidarietà vegana crescente con le comunità indigene che difendono i loro territori:

“Sul fuoco sull’embargo sui pasti vegani per il cuoco della Wildlife Defence League vicino ai cibi tradizionali per il Klabona Keepers. C’è comprensione e rispetto reciproci fra i due gruppi in quanto lavorano insieme per fermare l’eccesso di caccia sulle terre sacre di Tahltan… Essi riconoscono che non è un loro diritto quello di dire ai popoli indigeni che li hanno accolti nel loro territorio come vivere. Si rendono conto che i Klabona Keepers hanno salvato più vita selvaggia nella loro resistenza ai progetti industriali di quanto qualsiasi persona possa fare cambiando dieta… I vegani possono cominciare a decolonizzare il nostro lavoro e combattere per la liberazione di tutti, che si tratti dei confini di un mattatoio o i confini di uno stato coloniale”. 

Sono esempi come questi, piuttosto che Cowspiracy, che mostrano come le preoccupazioni vegane possano essere incluse nel movimento per la giustizia climatica, di modo che possiamo sfidare le multinazionali e gli stati responsabili della crisi climatica ed ottenere un cambiamento di sistema piuttosto che combattere sul cambiamento delle dieta individuale.

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Zombi, chimere e totalitarismo

Di Jacopo Simonetta

“Il vecchio mondo muore e il nuovo non può nascere; in questo chiaro-scuro sorgono i mostri” scriveva Gramsci nei suoi quaderni.   Sia il “vecchio” che il “nuovo” mondo cui pensava lui sono stati archiviati dalla storia, ma di mostri se ne incontrano più che mai.

Zombi e chimere, come creature fantastiche, nascono da tradizioni lontanissime, ma come mostri politici sono invece strettamente affini.   Come definire, ad esempio, un soggetto come il partito Nazi-Bolscevico se non una chimera formata da due zombi?   Per citare un solo esempio, particolarmente spettacolare e inquietante.

Fra tanti mostri, quelli probabilmente più pericolosi sono quelli genericamente riconducibili ad un revival di nazionalismo e ad un ricorrente desiderio di “un governo forte”.   Entrambi fenomeni cui tutti i popoli europei (e non solo) hanno già versato un ingente tributo di lacrime e sangue, ma che ostinatamente tornano ad emergere.   Quasi che, quando le cose si mettono male, sorga una specie di irrefrenabile desiderio di farle andare ancora peggio.   Forse non aveva tutti i torti Freud con la sua “Pulsione di morte”.

Ma esiste un altro zombi, particolarmente insidioso perché seduce anche molte persone impermeabili alla retorica nazionalista e/o razzista.   Si tratta del “complotto”.   Non sembra tanto pauroso, anzi molte delle sue varianti, dalle scie chimiche al dominio dei rettiliani, sono particolarmente stravaganti, perfino buffe.   Eppure…

L’evocazione di fronte a fenomeni nuovi e non interamente ancora conosciuti della vita sociale e politica di un simile passepartout (il complotto), capace di fornire una spiegazione onnicomprensiva di fenomeni (…) ben più complessi, funse come fattore di rassicurazione nei confronti di ceti soprattutto della piccola e media borghesia insidiati da insicurezza economica, ma anche da problemi di status

Queste parole furono scritte nel 1995 dallo storico Enzo Collotti a proposito del “Complotto giudaico” che tanto contribuì all’ascesa di Hitler.   Si tratta di fenomeni diversi, eppure fra i “Saggi di Sion” e gli “Illuminati” o simili ci sono delle analogie.   In entrambi i casi si tratta infatti di immaginari gruppi di persone dotate di un potere oscuro e sfuggente, forse perfino sovrannaturale.   In segreto tessono trame secolari ed esiziali.   Per salvarsi e riportare in auge i gloriosi e/o prosperi tempi passati è necessario sconfiggerli una volta per tutte.

Ovviamente, ciò non basata a dimostrare che siamo in pericolo; tantomeno che un piccolo “Adolf” sia in agguato da qualche parte.   Ma zombi e chimere non sono gli unici sintomi di malattia dei sistemi democratici.   Secondo l’Eurobarometro, oggi solo il 33% dei cittadini europei dichiara di avere fiducia nelle istituzioni comunitarie, mentre per i governi nazionali la percentuale scende ad uno scarso 27%.    Percentuali analoghe od ancora inferiori bollano anche partiti, sindacati, amministrazioni locali e tutte le altre istituzioni.   Perfino le associazioni di ogni genere sono quasi ovunque screditate e, spesso, in via di estinzione.

Se ne potrebbe concludere che la gente ne abbia abbastanza della democrazia, sennonché il 90% degli intervistati afferma che questo è invece il metodo di governo migliore.    Anzi, la maggior parte di loro si lamenta del fatto che non ci sia abbastanza democrazia e ciò malgrado gli stati democratici siano passati da una dozzina, nel 1946, ad un centinaio oggidì.   Si direbbe che, mentre gli ordinamenti di tipo democratico si sono moltiplicati, la credibilità dei medesimi sia diminuita.   Un fenomeno certamente molto complesso sulle cui cause si discute molto più che sulle possibili conseguenze; quasi che lo status di “democrazia matura” sia un traguardo evolutivo irreversibile.   Non ne sarei troppo sicuro.

Hannah Arendt ed i suoi continuatori hanno analizzato a fondo gli elementi che concorrono a creare un governo totalitario.   Vorrei ricordarne alcuni.

Il primo è la trasformazione della popolazione in “massa”, intesa come insieme sovrabbondante di individui sradicati da ogni tradizione e fedeltà sociale, isolati e frustrati, impoveriti e spaventati, privi di prospettive e di riferimenti.   Insomma proprio il tipo di umanità che sta proliferando.

Questo fattore storico si integra perfettamente con quello che Byung-Chul Han, definisce lo “sciame digitale”.   Vale a dire la massa di cui sopra, ma travolta da un susseguirsi isterico di ondate di indignazione, entusiasmo, ira, eccetera costruite e diffuse tramite la rete.   Un fenomeno spontaneo che potrebbe però essere facilmente manipolato da chi controlla la rete.

Il secondo elemento è un’ideologia che spiega in modo banale come i mali che affliggono la massa, dalla crisi economica fino agli attentati, le alluvioni, le carestie e quant’altro, facciano parte di una trama occulta tessuta da un nemico implacabile.   Il nemico deve essere immaginato come capace di infiltrarsi e diffondersi come un’infezione.  La paura ed il sospetto devono essere i sentimenti dominanti fra i membri della massa.  Una qualunque variante del “Complotto” può quindi divenire un elemento importante di una simile ideologia.

Il terzo è molto pratico: il monopolio o, perlomeno, lo stretto controllo delle armi da fuoco.    Un fatto che è già stato realizzato da decenni per ragioni di sicurezza pubblica in tutti i paesi occidentali, tranne che negli USA che per questo pagano un altissimo tributo di vittime

Il quarto è la persecuzione di una minoranza arbitrariamente scelta come capro espiatorio.   La crescente mobilità di masse umane sta creando in ogni paese un’ampia gamma di minoranze potenzialmente utili a questo scopo.   Oltre agli “evergreen” sempre disponibili: ebrei e zingari in primis.

Il quinto è la presenza di un apparato di spionaggio capillare e pervasivo.   Un campo in cui dal 2001 ad oggi sono stati fatti passi da gigante, specialmente grazie alle moderne tecnologie.   Attualmente, in occidente, queste vengono usate essenzialmente per dare la caccia ad evasori fiscali e islamisti pericolosi.   Ma l’esperienza dimostra che quando una classe dirigente si sente seriamente minacciata non esita ad usare gli strumenti che ha.

Inoltre, la mole dei dati spontaneamente messi a disposizione dagli utenti oramai mette i gestori della rete, o chi per loro, in condizione di poter modellizzare i comportamenti della massa, acquisendo un vantaggio politico immenso su chi non ha accesso a questi dati ed a queste tecnologie (Han “Nello sciame” – ed. Nottetempo 2015)

Un altro pezzo fondamentale del puzzle è una situazione di grave stress sociale, accompagnato da un massiccia perdita di credibilità da parte delle istituzioni democratiche e della classe dirigente in generale.   La massa deve provare un desiderio spasmodico di “cambiamento”, costi quel che costi.

L’ultimo elemento necessario per instaurare un regime totalitario è un capo carismatico.   Magari proprio quell’ “uomo forte” che tanta gente spera sorga dal nulla per risolvere tutti i problemi, punire “loro” che sono i colpevoli e vendicare “noi” che siamo le vittime.   E non è neppure necessario che vengano abolite le elezioni.   E’ sufficiente vincerle per poi adeguare le costituzioni e le norme elettorali, oltre che privare gli oppositori dei mezzi economici e della visibilità necessari per essere efficaci.   Quello che sta accadendo in vari paesi europei (Francia, Ungheria Polonia, Italia fra gli altri) è estremamente preoccupante da questo punto di vista.

Ognuno di questi argomenti è stato approfondito da filosofi e politologi, ma raramente questi si preoccupano della situazione ambientale del nostro pianeta.   E delle prospettive che ne derivano.

Riassumendo all’estremo, la principale conseguenza dell’impatto contro i “Limiti dello Sviluppo”  è un brusco incremento degli effetti dei “ritorni decrescenti”.   Fra le conseguenze principali ricordiamo l’erosione del potere d’acquisto dei lavoratori, l’incremento del debito e della pressione fiscale, il peggioramento delle condizioni di lavoro, l’aumento della disoccupazione ed altri simili.   Vi si associano un clima inclemente, masse di gente allo sbando, classi dirigenti ampiamente screditate ed istituzioni delegittimate, problemi di salute e qualità di vita in peggioramento, guerre locali e movimenti integralisti di ogni colore.

Che sarebbe successo si sapeva con buona approssimazione circa 40 anni fa e gli stati (democratici e non) si sono dimostrati incapaci di prevenire questa situazione.    E ora che la resa dei conti è cominciata, si stanno dimostrando incapaci di fronteggiarla.   Tuttavia, prima di invocare il “cambiamento” ad ogni costo, ricordiamoci che questo potrebbe anche essere in peggio.

Ci sono calamità cui non abbiamo più modo di sfuggire, ma fortunatamente nessuna legge termodinamica o biologica rende necessario un governo totalitario.   Possiamo quindi evitarlo, ma occorre fare molta attenzione.

Si fa presto a passare dalla padella nella brace, mentre tornare indietro è difficile.

 “La democrazia non può sopravvivere alla sovrappopolazione.  La dignità umana non può sopravviverle.   La convenienza e la decenza non possono sopravviverle.   Man mano che si mette sempre più gente nel mondo, il valore della vita non solo declina, scompare.”
Isaac Asimov

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Il cambiamento climatico e gli dei alieni della Bibbia: un’epifania di epistemologia

Di Ugo Bardi, da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Dio-pesce ed alieni vari da un antico sigillo cilindrico Sumero (immagine da wikipedia). Niente di reale, ma così affascinante! 

Mentre stavo aspettando il treno alla stazione di Milano la settimana scorsa, ho fatto un giro in una libreria e sono stato attratto da un libro intitolato “La Bibbia non parla di Dio”, scritto da Mauro Biglino. Libri, libri, libri…. quante cose ci sono scritte nei libri? Non importa, l’ho comprato e l’ho letto. Ed ecco un commento, non tanto sul libro in sé, ma sull’epifania che ha generato in me su quanto sia difficile avere a che fare con un mondo così complesso come è diventato il nostro. E’ tutto un problema di epistemologia, penso, come riusciamo a conoscere quello che dobbiamo conoscere. E non è facile.

Per prima cosa, riguardo agli antichi alieni, devo confessarvi che nella mia gioventù non ero solo interessato all’argomento, ma addirittura drogato. Probabilmente avete sentito parlare di Eric Von Daniken, comunemente considerato colui che ha dato origine alla teoria degli “antichi astronauti” che hanno creato la civiltà umana e forse anche gli esseri umani stessi. Forse non sapete che Von Daniken ha avuto un precursore che scriveva sotto il nome di Peter Kolosimo – ma ha scritto in italiano, quindi non è così famoso al di fuori dell’Italia.

Non so se Von Daniken ha copiato da Kolosimo, ma posso dirvi che negli anni ’60 ho divorato i libri di Kolosimo. Uno scrittore brillante, un tema affascinante, molta fantasia. Posso ancora trovare le mie note scritte a mano sui suoi libri e posso vedere che, già da adolescente, stavo cercando di analizzare in modo critico le affermazioni di Kolosimo. Penso che almeno una parte del mio interesse per la scienza e per i cicli delle civiltà provenga da quei libri.

Col tempo, ho perso interesse per le speculazioni sugli antichi alieni. Cose affascinanti, certo, ma alla fine si capisce di non andare da nessuna parte. Ci sono immagini che sembrano – un po’ – quelle di alieni o di astronavi, testi che parlano – forse – o di alieni o di viaggi nello spazio. Ma niente oltre alle immagini che sembrano come qualcosa o testi che suonano come qualcosa. Mai qualcosa di reale. Mai abbiamo potuto trovare qualcosa che possa ragionevolmente essere ritenuto un vero artefatto alieno. Non intendo un antico phaser ancora funzionante, ma una cosa semplice e piccola come un pezzo di alluminio metallico o di titanio in una tomba sumera sarebbe stata sufficiente per dirci della presenza di una civiltà tecnologicamente avanzata nel passato remoto. Ma non è mai stato trovato niente del genere. Quindi non ci sono astronauti alieni nel nostro passato remoto. Peccato, ma questo sembra essere il modo in cui funziona l’universo.

Eppure, l’argomento resta affascinante e potete capire perché ho comprato il libro di Biglino in quella libreria di Milano. E’ un libro che porta avanti la linea iniziata con Kolosimo negli anni 50, ma in un modo più specifico. Biglino e particolarmente concentrato sulla Bibbia che, secondo la sua interpretazione, ci racconta di una razza aliena di esseri che, in qualche modo, hanno regnato sugli esseri umani in tempi antichi. Non solo questo, in realtà hanno creato gli esseri umani perché fossero i loro servitori in una specie di laboratorio genetico chiamato “Paradiso”.

Ora, non devo dirvi che queste idee di Biglino sono, ehm…, diciamo un po’ difficili da considerare come basate su fatti. Ma il punto che volevo sollevare qui è osservare quanto sia difficile capire il mondo complesso in cui viviamo. Così, quando Biglino comincia a discutere di biologia evoluzionistica  e di genetica, una cosa che occupa quasi tutta la seconda parte del libro, be’, non voglio essere antipatico. Fatemi solo dire che faccio fatica ad immaginare un esempio più lampante di quanto sia difficile avere a che fare con campi che non fanno parte delle nostre competenze di base.

La parte interessante del libro di Biglino, tuttavia – quella collegata alla mia “epifania” – è quando affronta una cosa che dovrebbe conoscere bene, cioè il testo della Bibbia nella sua lingua originale. Sembra che Biglino abbia lavorato per 10 anni con un editore rispettabile “”Edizioni Paoline”) nella traduzione delle versione della Bibbia conosciuta come la “Bibbia Masoretica”. Questo perlomeno può essere verificato. E, infatti, questa sezione del libro dà un’impressione molto migliore di competenza da parte dell’autore.

Biglino interpreta la sua analisi filologica come se desse per scontato che l’entità di nome “Yahweh” nella Bibbia Masoretica non sia “Dio”, ma piuttosto un signore della guerra locale impegnato nella conquista di quanto più territorio possibile. Il fedele lo considererà sbagliato, se non blasfemo (e, infatti, Biglino è stato additato come l’Anticristo in alcuni siti web) ma, perlomeno, non comporta speculazioni su esseri alieni impegnati nell’ingegneria genetica.

Non credo che qui sia interessante discutere chi fosse questo Yahweh, in realtà, anche se molte delle affermazioni di Biglino sembrano essere già conosciute e già discusse da altri autori. Ma ecco l’epifania. Per prima cosa, come potete immaginare, la mia conoscenza dell’ebraico antico è praticamente zero (come suppongo che sia per la maggioranza dei lettori di questo blog). Così, sono andato a verificare i fatti sul web ed ho scoperto un sacco di siti in cui ci sono persone che affermano di essere esperte come Biglino (o di più) in ebraico antico che demoliscono (o cercano di demolire) la sua interpretazione del testo biblico.

Mentre stavo procedendo a stento fra queste discussioni elaborate, mi sono trovato del tutto perso. Chi aveva ragione? Biglino o i suoi detrattori? Davvero, come potevo dirlo? E, mentre mi trovavo in quella situazione, ho avuto un lampo improvviso di illuminazione: non è solo una questione di ebraico antico. Mi sono visto nelle scarpe (o meglio, dietro agli occhiali) di una persona normale che non ha una conoscenza approfondita della scienza del clima e che sta cercando di capire qualcosa del dibattito sul clima. Chiaramente un persona del genere si ritroverebbe nella mia stessa posizione rispetto all’ebraico di Biglino. Al profano medio mancano gli strumenti intellettuali necessari per giudicare in un dibattito sulla scienza del clima proprio come io non ho gli strumenti intellettuali corretti per giudicare in un dibattito sul significato di antiche parole ebraiche.

Quindi ecco l’epifania: il mondo reale è così complesso che per ognuno di noi c’è solo una piccola fetta di realtà in cui possiamo avere una conoscenza sufficiente per giudicare cos’è vero e cosa non lo è. Il resto è avvolto per sempre in una nebbia di ignoranza. Ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro, forse un giorno vedremo la realtà faccia a faccia. Ma per il momento possiamo solo giudicare sulla base del principio di autorità. Riguardo alla Bibbia, proprio come riguardo al clima, crediamo alle persone in cui abbiamo fiducia.

Ed è qui il problema. Sembra che non sia rimasto nessuno nel mondo in cui avere fiducia. I governi? Mio Dio… Politici? Anche peggio. Gli scienziati? Un po’ meglio, ma… I traduttori dall’ebraico che vedono alieni nella Bibbia? No comment… Mai prima di leggere il libro di Biglino mi era sembrato che Pilato avesse ragione quando ha detto: “cos’è la realtà?”

Il problema tragico, qui, è che discutere di Dei alieni che si aggirano intorno alla Terra migliaia di anni fa è un passatempo intellettuale con cui ci possiamo divertire senza subire conseguenze negative. Quando ci occupiamo del cambiamento climatico, invece, rischiamo la nostra stessa sopravvivenza, anche come specie. Perché questo non è un gioco intellettuale, c’è una cosa chiamata “realtà” la fuori. Ma, come come ha detto recentemente Peter Sinclair “Una civiltà non può semplicemente sopravvivere se grandi sezioni di quella stessa civiltà hanno dichiarato guerra ai fatti”. Possiamo dichiarare guerra alla realtà. Ma alla fine la realtà vince.

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