Effetto Cassandra

La geopolitica dei gasdotti: finale senza fine

Guest post di Tatiana Yugay,
Docente presso la Plekhanov Russian University of Economics / РЭУ Плехановa Mosca

 
Questa è la parte finale di una serie di post sui gasdotti russi. Vorrei ringraziare il mio caro amico, Ugo Bardi per l’opportunità di publicare i miei post nel suo famoso blog!

E’ passato abbastanza tempo dall’uscita del mio post precendente sui gasdotti in Europa. Volevo scrivere sul nuovo progetto Turkish Stream che dovrebbe sostituire il South Stream ma la sua sorte era cosi’ incerta.

Come ho scritto in precedenza, il primo dicembre 2014 la Russia ha dichiarato la rinuncia al progetto South Stream, perche l’UE aveva posto troppi ostacoli, principalmente tramite il terzo pacchetto energetico (TEP). Però, subito dopo, i presidenti Putin e Erdoğan hanno annunciato al vertice di Ankara della possibile costruzione di un gasdotto, che terminerebbe al confine greco-turco, garantendo l’accesso del gas russo al mercato europeo.

L’accordo per la grande opera firmato a dicembre tra Gazprom e la turca Botas Petroleum Pipeline Corporation, prevedeva appunto la costruzione di una condotta che doveva passare sempre sotto il Mar Nero, partendo dallo stesso punto del South Stream, ma con arrivo in Turchia invece che in Bulgaria. La capacità di questo tubo avrebbe dovuto trasportare 63 miliardi di metri cubi all’anno. Ma questa capacità era la stessa del cancellato South Stream.

Foto 1 PipeLines

Sembrerebbe che un’alleanza del gas tra Russia e Turchia seguisse naturalmente dalle dinamiche delle relazioni commerciali ed economiche. Secondo Nicolò Sartori, esperto nell’ambito della sicurezza energetica dell’Istituto degli Affari Internazionali di Roma, negli ultimi anni “la Turchia è diventata il secondo mercato di destinazione per il gas russo al di fuori dello spazio ex-sovietico, alle spalle della Germania e prima dell’Italia. Si tratta di un volume pari a quello di tutto il mercato dell’Europa centro-orientale e dei Balcani. Al contempo, la Turchia dipende in modo sostanziale da Mosca per i suoi approvvigionamenti energetici. I 27 miliardi di metri cubi annui, importati e forniti dalla Russia rappresentano il 56% dei consumi totali di gas di Ankara”.

Questo ambizioso progetto sarebbe vantaggioso per entrambe le parti. Da un lato, Gazprom sarebbe rafforzata nella sua posizione nel crescente mercato del gas turco. Inoltre, avrebbe permesso al colosso energetico Russo di raggiungere altri mercati (Italia, Balcani ed Europa centro-orientale). Del resto, la Turchia potrebbe realizzare il suo sogno geoeconomico di diventare un polo energetico per l’Europa perche la Russia voleva fornire il gas fin alla porta dell’Unione europea, al confine tra Turchia e Grecia per non cadere sotto la giurisdizione del Terzo pacchetto energetico. Erano in vista anche altri progetti comuni, favorevoli per la Turchia.

Come sostiene Nicolò Sartori, “La luna di miele energetica annunciata da Putin, avrebbe pertanto trasformato la Turchia nell’hub del gas russo, permettendo al contempo a Mosca la potenziale capacità di diversificare le sue esportazioni verso l’Ue, alla luce della crisi con Kiev”.

Tuttavia, dopo il clamoroso annuncio dell’intesa tra Russia e Turchia le cose hanno cominciato di insabbiarsi. Infine, dopo l’abbattimento del caccia-bombardiere Su-24 delle Forze aeree russe nei cieli della Siria é stato chiaro che anche il Turkish Stream non si farà più.

Dal punto di vista economico era assolutamente incomprendibile come la Turchia potesse mettere a rischio un progetto a lungo termine così vantaggioso per entrambe le parti. Anche le informazioni scioccanti che la Turchia rivende il petrolio siriano prodotto nel territorio controllato dal Daesh (ISIS), non hanno completamente spiegato perchè Erdogan abbia preferito i benefici immediati agli interessi a lungo termine. [I filmati e foto divulgati dal ministero della Difesa della Russia mostravano le lunge file di autocisterne con petrolio di contrabbando, proveniente dai territori controllati dal Daesh, che entravano effettivamente in Turchia].

Purtroppo, la geopolitica ha le sue proprie ragioni che non sempre coincidono con le considerazioni di opportunità economica. Come ha raccontato Eugenio Di Rienzo, storico, professore ordinario dell’Università di Sapienza, a Sputnik-Italia, “la Turchia é ritornata ad avere il vecchio sogno di Impero Ottomano. Cioè di riconquistare se non territorialmente ma almeno come l’egemonia tutti i territori che appartenevano all’Impero Ottomano. La filosofia politica di Erdogan è diretta al ritorno ad un controllo del Medio Oriente territorialmente avvalendosi di una parte della Siria e una parte dell’Iraq e facendo fuori una possibilità di un Kurdistan indipendente. E così la Turchia vuole diventare nel Medio Oriente la grande potenza sunnita per poi naturalmente entrare in rotta di collisione con l’Iran sciita. Purtroppo questo sogno folle di ritornare a questo impero — sembra un sogno di Grande Dittatore del film di Chaplin — trova la complicità con gli Stati Uniti”.

Tutto sommato, la Turchia sta usando Daesh come la sua arma e i raid aerei russi hanno scongiurato l’avverarsi di questo incubo geopolitico.

Subito doppo il tragico avvenimento, Nicolò Sartori ha scritto “Quanto accaduto potrebbe avere un forte impatto anche sull’architettura energetica regionale, basata su un crescente ruolo della Turchia come hub del gas, anche in virtù della partnership strategica promossa dal Cremlino nel tentativo di uscire dall’impasse con l’Unione europea per via della questione ucraina».

Dopo l’abbattimento dell’aereo, la Russia ha annunciato delle sanzioni economiche pesanti contro la Turchia. Nondimeno, il 2 dicembre 2015, il ministro dello Sviluppo economico russo Alexey Ulyukayev affermava che il decreto governativo riguardante misure economiche speciali contro la Turchia non si applica per ora ai grandi progetti di investimento come il Turkish Stream.

Andrew Korybko, commentatore politico presso l’agenzia Sputnik, presenta nel suo post “Washington’s “Destabilization Agenda”: A Hybrid War to Break the Balkans?” una ipotesi interessante e nello stesso tempo verosimile. Lui ricorda tutta la catena degli avvenimenti che precedevano l’abbattimento del caccia-bombardiere russo. Prima era la cancellazione del South Stream. E poi dopo l’accordo tra Russia e Turchia sul Turkish Stream avevano ebbero luogo i tentativi di rivolta quasi “Color Revolution” inspirati dagli Usa in Macedonia nel maggio 2015. Anche i disordini in Grecia dopo il referendum sull’austerita’ erano provocati allo scopo di spostare Tsipras per sostituire il Balkan Stream con il progetto Eastring patrocinato dagli Usa. Il Balkan Stream doveva essere collegato al Turkish Stream per portare il gas russo al Sud Europa.

Nondimeno, i Balcani si sono mostrati resistenti alle trame americane. Al parere di Korybko, l’abbattimento del Su-24 fu provocato dagli Usa per lanciare l’effetto domino che in fin dei conti ha causato la rovina della cooperazione energetica tra Russia e Turchia.

Tuttavia, Korybko arriva ad una conclusione piuttosto ottimista sul fatto che il progetto Turkish Stream non’è definitivamente annullato, ma è accantonato temporaneamente. Ma quali sarebbero le condizioni della ripresa del progetto? Secondo l’analista, uno scenario più probabile sarebbe che le masse popolari o i rappresentanti militari sconvolti potranno rovesciare il regime di Erdogan.

Korybko prevede che la Cina avrà un ruolo importante nel dare un nuovo respiro al Balkan Stream perché il Balkan Stream sarà un componente decisivo nella infrastruttura del Balkan Silk Road combinata da Cina. “Il Partenariato strategico russo-cinese è destinato a rivoluzionare il continente europeo con un infuso di influenza multipolare lungo il corridoio balcanico, che avrebbe dovuto supportare il Balkan Stream e Via della Seta dei Balcani” (Per approfondire leggi: Washington’s “Destabilization Agenda”: A Hybrid War to Break the Balkans?).

Intanto, nel mondo dei gasdotti non è tutto completamente oscuro. Mentre nel corridoio meridionale tutti i lavori sono sospesi, è emerso di nuovo il progetto Nord Stream-2 in nord Europa. Come indica Nicolò Sartori, “l’azione turca porti non solo al definitivo congelamento di Turkish Stream – a vantaggio della Germania che vedrebbe la strada spianata per il suo Nord Stream-2 – ma anche un chiaro ridimensionamento del ruolo della Turchia nelle strategie del Cremlino”.

Il progetto Nord Stream-2 prevede la realizzazione di due rami di gasdotti con una capacità totale di 55 miliardi di metri cubi di gas ogni anno che porterà energia dalle coste della Russia fino a quelle tedesche attraverso il Mar Baltico. Il patto sociale tra gli investitori del progetto della joint venture “New European Pipeline AG”, che si occuperà della costruzione del gasdotto, è stato firmato il 4 settembre scorso.

Foto 2 nord-stream-

Si può immaginare che nell’attuale situazione internazionale, la realizzazione di un nuovo progetto di gasdotto debba incontrare una strenua resistenza da parte delle forze europee e di oltreoceano. Non è sorprendente che contro Nord Stream-2 sono schierati gli stessi personaggi che cercavano di impedire la costruzione di Nord Stream nel 2006 – con Slovacchia e la Polonia capofila e sostenuti dalla Repubblica ceca, Ungheria, Romania, Estonia, Lettonia, Lituania e Grecia. Il gruppo di paesi dell’Europa orientale ha inviato la lettera alla Commissione europea chiedendo di bloccare il Nord Stream-2. Sostengono che la costruzione del gasdotto va contro le politiche di diversificazione e di sicurezza energetica dell’UE. Secondo la petizione, il gasdotto Nord Stream-2 permetterà alla Germania di dominare il mercato europeo del gas.

Comunque, il Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker ha detto che il progetto non dovrebbe essere considerato come una questione politica, ma come una questione commerciale.

In questo contesto, l’esperto tedesco Alexander Rahr presunta, “Dobbiamo dire francamente che c’è una guerra in Europa: la guerra energetica. Sette paesi, tra i quali la Polonia, hanno inviato una lettera alla Commissione europea con una la richiesta di non permettere questa costruzione. È un attacco alla Germania, le cui attività sono coinvolte nella costruzione del gasdotto, che considerano economicamente molto importante”.

Le autorità russe e tedesche sono adamanti sul fatto che il progetto ha significato puramente commerciale, non politico. Secondo presidente Putin, “Il progetto ha l’obiettivo di garantire il fabbisogno energetico, prima di tutto, al Nord Europa considerando anche i cali di produzione nel Regno Unito e in Norvegia e contemporaneamente l’incremento della domanda di energia in questa parte d’Europa. Non c’è assolutamente l’intenzione di privare qualcuno delle opportunità di transito”, per questo “chiedo di mettere da parte qualsiasi speculazione politica”.

“Il progetto di gasdotto Nord Stream-2 è in assoluto un progetto economico, commerciale, è sicuramente vantaggioso per la Germania e tutta l’Europa, è utile per la Russia” ha detto il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov nella conferenza stampa sui risultati della politica estera della Russia nel 2015. Lavrov dice “se saremo pragmatici, penseremo ai nostri propri interessi nazionali, che non violano gli obblighi internazionali, il risultato sarà sempre positivo e raggiungibile”.

La cancelliera tedesca, Angela Merkel presume che il progetto di raddoppio del gasdotto Nord Stream “è una proposta di business economico”; bisogna “garantire un quadro legale” e non escludere l’Ucraina come Paese di transito. Il vice-cancelliere Sigmar Gabriel ha osservato che il progetto potrebbe essere economicamente vantaggioso non solo per la Germania, ma anche per la Francia e gli altri Stati membri dell’UE, ma per la sua attuazione è necessario che ci siano le “condizioni politiche”. Quest’ultima clausola è ovviamente al fine di dimostrare che la Germania è preoccupata per la sicurezza energetica dell’Unione europea, in particolare dall’Europa dell’Est.

Durante la sua visita a Mosca il 29 gennaio 2016, il primo ministro finlandese Juha Sipila ha affermato che la Finlandia considera il progetto Nord Stream-2 da un punto di vista pragmatico, non politico. “Questo è un progetto commerciale per la Finlandia, e noi siamo pragmatici verso di essa.”

La posizione dell’Italia sul Nord Stream-2 è abbastanza ambigua. La questione del gasdotto Nord Stream-2 è stata sollevata durante il vertice Ue dal presidente del governo Matteo Renzi. A suo parere, è strano che un anno dopo la chiusura del South Stream che ha danneggiato la Bulgaria e alcune società italiane, la questione del Nord Stream-2 è sia stata adottata “in assoluto silenzio.” “L’Italia e la Bulgaria non capiscono perché il South Stream non è possibile realizzare per la UE, mentre il North Stream-2, che porta in Germania, è possibile”.

Gianni Petrosillo, giornalista ed esperto presso conflittiestrategie.it, scrive in maniera fin troppo ironica, “Renzi sembra l’unico a non capire un tubo. Cioè a non comprendere l’importanza delle rotte strategiche dei gasdotti, delle possibili alleanze internazionali veicolate dagli approvvigionamenti degli idrocarburi e degli scambi nel settore energetico che producono vantaggi al sistema politico ed economico di un Paese. La sua dichiarazione riportata qualche giorno fa dal Messaggero lascia letteralmente di stucco: “Siamo in una fase di riflessione, la questione richiede molto tempo per arrivare a eventuale maturazione. Soprattutto non si può perdere la faccia per due tubi…”. Petrosillo presume, “Evidenziati questi scenari, l’offerta russo-tedesca dovrebbe essere colta al volo dalla nostra classe dirigente, così come la possibilità di riaprire il discorso sul South Stream. Insomma, meglio “perdere la faccia per due tubi” (con chi poi?) che finire intubati per deperimento e per false credenze ambientalistiche che potrebbero portarci ad una completa rovina.”

La ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, ha notato che “l’Italia importa dalla Russia, il principale fornitore del nostro Paese, tra il 45 e il 50% della domanda annuale di gas nazionale e questo spostamento di flussi richiederebbe anche nuovi investimenti sulla rete interna europea e sulla connessioni tra gli Stati membri necessari anche per mantenere le attuali forniture europee all’Ucraina e analoghi problemi sorgerebbero anche per alimentare i Paesi dell’area balcanica, nei casi in cui la rotta ucraina dovesse essere abbandonata”.

Uno dei voci piu’ influenti dell’Italia – Romano Prodi, l’ex presidente del Consiglio italiano ed l’ex presidente della Commissione europea, ha scritto l’articolo sul Nord Stream-2 su Il Messaggero. Da un lato, Prodi tratta con la comprensione la decisione russa di bypassare l’Ucraina. Egli scrive, “Esistono naturalmente ragioni fondate perché la Russia cerchi di evitare il passaggio ucraino: infinite sono state infatti le controversie sui prezzi e sui diritti di passaggio. Io stesso, come Presidente della Commissione Europea, mi sono recato più volte a Kiev per cercare di porre fine al vero e proprio furto di gas che veniva messo in atto, ovviamente con il tacito permesso e forse con l’attiva cooperazione delle autorità, facendo buchi nel grande tubo e spillando il gas come si fa con il vino da una botte.”

D’altra parte, Prodi propone un piano che, purtroppo, è quasi impossibile da realizzare in questa fase di confronto tra l’Unione europea e la Russia a causa dell’Ucraina. “La soluzione è quella che da tempo propongo, cioè un’impresa comune per la gestione dei gasdotti che attraversano l’Ucraina. Un’impresa posseduta per un terzo dalla Russia, un terzo dal governo ucraino e un terzo da soggetti europei, in modo che russi ed europei si sentano garantiti nei loro interessi e gli ucraini siano correttamente controllati.”

Gli analisti italiani capiscono benissimo che accanita opposizione al progetto Nord Stream-2 non ha il carattere principalmente economico, ma sopratutto politico. Elena Veronelli scrive nel Fatto quotidiano, “Si fa più agguerrita e ingarbugliata la partita sul gas russo che sta spaccando il Vecchio Continente. Berlino va a braccetto con Mosca ma al tempo stesso chiede all’Europa di mantenere la linea dura e prolungare le sanzioni contro il Cremlino. Roma accusa di doppiogiochismo e incoerenza la cancelliera tedesca Angela Merkel e blocca di fatto il rinnovo delle sanzioni. Il ‘casus belli’ è il raddoppio del Nord Stream”.

Mentre i progetti South Stream e Turkish Stream sono decisamente sospesi a tempo indefinito se non abbandonati per sempre, l’Italia può entrare nel gioco del Nord Stream-2 attraverso il gruppo Eni. Gli business esperti italiani sostengono che “il gasdotto Nord Stream-2 rappresenterebbe un ottimo progetto potenziale per Saipem che ha già realizzato i gasdotti del Nord Stream per un valore complessivo di oltre 1 miliardo di euro e potenzialmente con margini di guadagno ampiamente a doppia cifra”, commentano gli analisti di Equita. Anche per gli analisti di Icbpi qualsiasi coinvolgimento di Saipem nel progetto Nord Stream-2 sarebbe “molto positivo per il gruppo italiano, che ha visto svanire il contratto South Stream da 2,4 miliardi di euro nel corso del 2015, contratto che avrebbe dovuto essere sostituito da uno di dimensioni simili per il progetto Turkish Stream, anche questo abbandonato”.

Dietro la discordia europea è possibile distinguere anche la mano degli Usa. Come ritiene Andrea Indini, “contro Berlino… si sono recentemente schierati anche gli Stati Uniti. Che, come fa notare l’Huffington Post, puntano al Vecchio Continente per esportare il gas naturale.”

E’ chiaro che l’arbitro supremo della battaglia tra i giganti e i nani dell’Europa è sempre la Commissione Europea con il suo temibile Terzo pacchetto energia. Secondo Sergey Pravosudov, l’esperto russo, “Il Nord Stream-1 al suo tempo rientrava nelle norme del terzo pacchetto energetico. E adesso la posizione di Gasprom è la stessa che per quel progetto é disponibile alla costruzione di due ulteriori linee. Ma molti altri europei lo considerano come un progetto del tutto nuovo e a Gazprom gli serve ottenere tutti i permessi che per ora ritardano la sua realizzazione”.

Danila Bochkarev, Senior Fellow presso il East West Institute (Bruxelles), scrive, “La situazione è ulteriormente complicata dalle rivendicazioni, che sostengono che la legge energetica dell’UE potrebbe essere applicata anche al fondo marino del Baltico. Se questa opzione diventerà la realtà, il Nord Stream-2 sarà costretto a mantenere il 50% della sua capacità riservata ai fornitori non-Gazprom sia in sottomarino offshore e condotte a terra”.

Ciò nonostante, egli presume che esiste “un elegante soluzione a questo problema… che richiede meno tempo e i sforzi, rispetto ai tentativi di ottenere una deroga alle norme energetiche esistenti dell’UE”. Siccome la Russia “ha già liberalizzato le sue esportazioni di GNL e nessuno puo’ impedire a Mosca di prenotare il 50% del gasdotto Nord Stream-2 per le forniture non-Gazprom”. L’esperto sostiene che tale decisione sarà vantaggiosa per tutte le parti interessate: 1) il progetto sarà pienamente compatibile con il diritto comunitario; 2) Gazprom avrà la sua quota garantita di forniture di gas (minimo 27,5 miliardi di metri cubi) e potrebbe anche condividere le spese di costruzione del gasdotto con i fornitori di gas indipendenti russi; 3) la partecipazione dei fornitori non Gazprom permetterà di esportare più gas russo verso l’Europa e di conseguenza aumentare i ricavi del governo.

Così, come un infinito serial tv quello dei gasdotti russi in Europa ha la possibilità di concludersi con un Happy end. Il Nord Stream-2 puo’ essere pienamente conforme alle norme del terzo pacchetto energetico e anche la parte importante del SouthTurkish Stream puo’ incarnarsi nel Balkan Silk Road.

I post precedenti

La geopolitica dei gasdotti

La geopolitica dei gasdotti: Nord Stream

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2050: Odissea sulla Terra

di Stefano Ceccarelli

Da Stop Fonti Fossili

Il tempo degli umani è scandito dal susseguirsi delle generazioni. L’arco temporale fra una generazione e la successiva, convenzionalmente fissato in 35 anni, dà la misura di come è cambiato il mondo da quando i nostri genitori avevano la nostra età ad oggi. Allo stesso modo siamo portati a guardare al futuro immaginando le vite dei nostri figli quando essi avranno l’età che noi abbiamo oggi. Mi è sembrato allora interessante provare a rivolgere uno sguardo all’anno 2050, cioè ad una generazione da oggi, tentando di estrapolare alcuni dei trend che oggi osserviamo a livello globale in materia di economia, energia ed emissioni di gas serra, con l’obiettivo di prefigurare l’entità delle trasformazioni necessarie a scongiurare gli impatti più gravi dei cambiamenti climatici.

Partiamo dall’economia. E’ notizia recente che la Banca Mondiale ha rivisto al ribasso le stime per la crescita economica globale del 2016, portandola al 2,9% rispetto al 3,4% previsto in precedenza. Le ragioni di una revisione al negativo delle previsioni sono note e non mi soffermerò su questo. Faccio solo notare che una crescita di questa entità del PIL mondiale è la media fra gli aumenti dei paesi emergenti – che seppure in forte difficoltà crescono del 5-7% – e quelli non lontani dallo zero dei paesi sviluppati. Supponendo che questo tasso di crescita annuale si mantenga invariato per i prossimi 34 anni (la qual cosa suona tutt’altro che entusiasmante per il mainstream economico-finanziario e per i leader politici, che si ostinano a sognare crescite ben più sostenute), nel 2050 la ricchezza complessiva delle economie mondiali sarà aumentata di 2,6 volte rispetto ad oggi. Se consideriamo che la popolazione mondiale sarà di circa 9 miliardi di persone rispetto agli attuali 7,3, questo dato si traduce in un aumento medio pro-capite di 2,1 volte. E’ ovviamente del tutto verosimile che, per quanto lo scandaloso divario fra una esigua minoranza di superricchi e una maggioranza di poveri possa ancora aumentare, gran parte della nuova ricchezza generata sarà destinata ai paesi in via di sviluppo.

Passiamo ora all’energia. Può un simile aumento di ricchezza avvenire senza una crescita parallela dei consumi di energia? Ovviamente no, e neanche su questo mi dilungo. Osservo solo che, visti i miglioramenti da attendersi in tema di efficienza energetica, i tassi di crescita dell’energia primaria globale saranno con ogni probabilità sensibilmente inferiori all’aumento del PIL immaginato prima. Nell’ultimo decennio l’energia consumata nel mondo è cresciuta in media del 2,1% l’anno, nonostante la profonda recessione che ha colpito l’economia mondiale. Ipotizzando dunque una leggera ripresa dei consumi combinata ad ulteriori progressi nell’uso efficiente dell’energia, ho voluto tentativamente immaginare una crescita dell’energia primaria mondiale del 2% l’anno fino al 2050, anche in questo caso a quasi esclusivo beneficio dei popoli in via di sviluppo la cui popolazione aumenterà rapidamente. Ne risulta al 2050 un raddoppio del fabbisogno di energia rispetto ad oggi.

Con mia sorpresa, ho scoperto che questa grossolana previsione è perfettamente in linea con lo scenario dipinto da Nicola Armaroli e Vincenzo Balzani in una loro pregevole rassegna appena pubblicata, nella quale viene considerato ottimale un consumo medio pro-capite annuo al 2050 pari a 2,8 tonnellate equivalenti di petrolio (tep) contro il valore di 1,8 registrato nel 2014. I due studiosi argomentano che il valore di 2,8 tep pro-capite deve ritenersi adeguato sulla base di indicatori che correlano il livello di sviluppo umano di una data popolazione con il suo consumo di energia. Si è visto, ad esempio, che paesi come la Nigeria o il Ciad, che presentano elevati tassi di mortalità infantile, hanno un consumo pro-capite di soli 0,1 tep, e che la mortalità diminuisce con l’aumentare della disponibilità di energia fino ad un livello approssimativamente pari a 3 tep, oltre il quale non vi sono ulteriori apprezzabili miglioramenti. Si deve rimarcare come il valore di 2,8 tep considerato desiderabile è comunque largamente inferiore agli attuali consumi pro-capite di paesi come gli USA o il Canada, pari rispettivamente a 7,2 e 9,4 tep.

Dunque, a meno di incrementi strepitosi nell’efficienza energetica (su cui comunque si deve continuare ad investire) o di un collasso dell’economia globale, si può ipotizzare un consumo mondiale di energia al 2050 pari a 25.200 Mtep (2,8 tep x 9 miliardi), che è appunto circa il doppio di quello, pari a 12.928 Mtep, calcolato al 2014 dalla BP Statistical Review of World Energy 2015. Quale potrà essere il mix delle fonti energetiche a quella data? Non certo quello attuale che vede le fonti fossili giocare un ruolo del tutto predominante. Come sottolineato fino alla noia in questo blog, se vogliamo avere delle chances di contenere a livelli ancora accettabili il riscaldamento globale dobbiamo accelerare la transizione già in atto dalle fonti fossili alle rinnovabili. Pertanto mi sono chiesto quale dovrà essere l’entità dell’incremento annuo da qui al 2050 della quota di energia primaria proveniente dalle rinnovabili non idroelettriche, ed ho provato a fase dei semplici conti.

Ipotizzando che l’apporto percentuale di energia idroelettrica e nucleare, attualmente pari rispettivamente al 7% e al 4%, rimanga invariato (il che vuol dire prevedere comunque un raddoppio del loro contributo in valore assoluto, cosa per nulla scontata considerando per un verso i programmi di smantellamento di molte centrali nucleari nei prossimi vent’anni e per l’altro i limiti alla crescita dell’idroelettrico dovuti alla crescente penuria di acqua in vaste aree del pianeta causata proprio dai cambiamenti climatici), otteniamo gli scenari illustrati nella Tabella 1.




Come si vede, per ribaltare l’attuale egemonia delle fonti fossili non è sufficiente neanche un incremento annuo delle rinnovabili del 10%, che lascerebbe ancora una quota maggioritaria a petrolio, gas e carbone. La situazione invece si ribalterebbe con un aumento annuo del 12%, che farebbe lievitare le rinnovabili ai 2/3 del totale. La conferma che, nelle ipotesi date, il tasso di aumento del 10% è insufficiente a contenere il riscaldamento globale viene dall’elaborazione riassunta nella Tabella 2, nella quale sono riportate le presumibili variazioni delle emissioni di CO2 in funzione dei diversi tassi di crescita delle rinnovabili.

Secondo questo calcolo approssimativo, solo un incremento ininterrotto non inferiore al 12% annuo fino al 2050 può garantire una consistente riduzione delle emissioni in linea con quanto stimato nello scenario RCP2.6 dell’IPCC (quello che dà buone probabilità di contenere l’aumento delle temperature al 2100 sotto i 2°C), che infatti stima al 60% la quota necessaria di energia “low-carbon” al 2050.
Dobbiamo a questo punto interrogarci sulla reale fattibilità di un aumento, anno dopo anno per 35 anni, del 12% della quota rinnovabili non idroelettriche. Per la verità, il 12% è proprio l’aumento complessivo registrato nel 2014 rispetto al 2013 secondo le statistiche BP. E’ possibile mantenere per tanto tempo un incremento così sostenuto? E’ facile comprendere che si tratta di un’impresa immane, che in assenza di innovazioni tecnologiche dirompenti richiederebbe la produzione e l’installazione forsennata di moduli fotovoltaici, pale eoliche e centrali solari termodinamiche per molti anni e in ogni angolo del globo (compatibilmente con l’insolazione e la ventosità). Anche con il massimo supporto politico possibile, che peraltro oggi non c’è, una crescita impetuosa di un singolo comparto industriale per un tempo così lungo presenta enormi ostacoli. Secondo l’ultimo rapporto della International Energy Agency (IEA), in assenza di forti stimoli politici ed economici è da attendersi un rallentamento dell’attuale trend di crescita delle rinnovabili sia nei paesi sviluppati che in quelli emergenti, a causa di persistenti barriere di accesso ai mercati, difficoltà di integrazione nelle reti elettriche, mancanza di incentivi adeguati e persistenza di sussidi alle fonti fossili. Va poi ricordato che quasi tutta l’espansione delle rinnovabili registrata finora si riferisce alla produzione di elettricità: i settori dei trasporti e del riscaldamento continuano ad essere dominati dalle fonti fossili, e tutto lascia pensare che lo saranno ancora per parecchi anni.
Oltre ad una certa stabilità economica (tutt’altro che garantita in tempi nei quali la volatilità dei mercati la fa da padrona e il rischio di un nuovo shock globale è dietro l’angolo), all’assenza di conflitti su vasta scala e ad una sufficiente tenuta degli equilibri ecologici fondamentali, il prerequisito fondamentale perché una scommessa così azzardata possa essere vinta è la disponibilità ancora per parecchi anni di energia a basso costo (per uscire dalle fonti fossili abbiamo bisogno delle fonti fossili, come è stato già spiegato in un precedente post), necessaria per la produzione di una mole imponente di dispositivi e impianti di energia rinnovabile e relative infrastrutture di supporto. L’attuale congiuntura che vede le quotazioni del greggio ai minimi da molti anni è una preziosa opportunità e deve costituire uno stimolo a potenziare gli sforzi produttivi. Lo scenario potrebbe mutare in peggio nel giro di pochi anni man mano che la disponibilità di giacimenti ad alto ERoEI andrà a scemare, e a quel punto tutto sarà più difficile e imprevedibile.

Lo sforzo collettivo della nuova generazione di giovani può cambiare il mondo. E’ già accaduto in passato e può accadere ancora. La missione assomiglia ad una nuova odissea, non nello spazio ma sulla Terra, dove però non ci sarà nessun misterioso monolite nero a guidarci. Se fallirà, sarà soprattutto a causa delle scelte sbagliate della nostra generazione, che non potrà mai perdonarsi di aver lasciato un pianeta così malridotto ai nostri figli.



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Una Rispostina a Rubbia

Questo articolo di Claudio della Volpe è una risposta (“rispostina”) a un intervento di Carlo Rubbia dove, dispiace dirlo, il nostro premio nobel per la fisica si è trovato a tirar fuori una serie di affermazioni del tutto slegate da ogni realtà fattuale e basate su una serie di leggende, tipo quella che gli elefanti di Annibale avrebbero potuto passare le Alpi dato che il clima, a quel tempo, era molto più caldo di oggi. Purtroppo, la realtà è un altra cosa, come si può vedere nella figura qui sopra, da un articolo recente di Buentgen et al. discusso anche in un post precedente. Insomma, la lotta al cambiamento climatico non si fa con le leggende urbane, come ci spiega qui Claudio della Volpe

Una Rispostina a Rubbia

Di Claudio della Volpe

la chimica e l’industria | anno XCVIII n° 1 | GENNAIO/FEBBRAIO 2016, 63

Wilhelm Ostwald è uno di quei nomi che tornano ripetutamente nella nostra vita di chimici, non solo perché sviluppò alcune teorie od equazioni ancor oggi valide, dopo oltre un secolo, ma anche perché svolse un ruolo fondamentale nello sviluppo della “cultura” chimica e, più in generale, scientifica nel suo Paese e in tutto il mondo.

Ostwald vinse il Nobel per la Chimica nel 1909; eppure ancora pochi anni prima era un convinto assertore di una teoria energetica ed “anti-atomica” che aveva esposto e difeso a partire a  lmeno dalla famosa conferenza di Lubecca degli scienziati e medici tedeschi del 1895. Si convinse ad abbandonare quelle posizioni solo dopo gli esperimenti di J. Perrin, anch’egli Nobel nel 1926 per il suo lavoro sulla struttura discontinua della materia; aveva determinato fra l’altro il numero di Avogadro e la dimensione degli atomi.

Ma nessuno di noi si sentirebbe di criticare banalmente le asserzioni di Ostwald o di considerarlo “in ritardo” rispetto alle concezioni atomistiche moderne; era un periodo di grande fermento spirituale e scientifico in cui si gettarono le basi della meccanica quantistica e della scienza moderna e queste contraddizioni c’erano tutte: Boltzmann si era suicidato nel 1906 a Duino e non vinse mai il Nobel (come non lo vinse Poincaré, che pare non avesse scoperto nulla di cruciale); una veneziana come Agnes Pockels  ancora nel 1891 dovette rivolgersi a Lord Kelvin per pubblicare su Nature le prime misure di tensione superficiale fatte con l’antenato del trough di Langmuir e degne di questo nome (Fig. 1). Da allora ne è passata acqua sotto i ponti se per esempio oggi abbiamo come presidenti, attuale della Società Italiana di Fisica e prossima ventura di quella di Chimica, due donne.

Perché vi racconto questa storia? Perché anche  oggi abbiamo scienziati di indubbio valore, anche loro premi Nobel o comunque molto famosi, che però criticano alcuni dei risultati fondamentali della ricerca moderna; il 26 novembre 2014 per esempio Carlo Rubbia, Nobel per la Fisica nel 1984 per aver contribuito alla scoperta dei portatori della cosiddetta “interazione debole” e nominato successivamente Senatore a Vita della Repubblica, ha sostenuto in un intervento in Senato (http://www.senato. it/service/PDF/PDFServer/DF/309730.pdf) che

“Ai tempi dei Romani, ad esempio, Annibale ha attraversato le Alpi con gli elefanti per venire in Italia. Oggi non ci potrebbe venire, perché la temperatura della Terra è inferiore a quella che era ai tempi dei Romani. Quindi, oggi gli elefanti non potrebbero attraversare la zona dove sono passati inizialmente. C’è stato il periodo, nel Medioevo, in cui si è verificata una piccola glaciazione; intorno all’anno 1000 c’è stato un aumento di temperatura simile a quello dei tempi dei Romani. Ricordiamo che ai tempi dei Romani la temperatura era più alta di quella di oggi; poi c’è stata una mini-glaciazione, durante il periodo del 1500-1600. Ad esempio, i Vichinghi hanno avuto degli enormi problemi di sopravvivenza a causa di questa miniglaciazione, che si è sviluppata con cambiamenti di temperatura sostanziali.”

Ora a parte le testimonianze di livello liceale di Polibio e Livio sulla neve incontrata da Annibale sulle Alpi, i dati climatologici (fra gli altri la famosa mummia del Similaun o i dati glaciologici di Gabrielli) raccontano storie del tutto diverse. La temperatura al tempo dei Romani non era assolutamente maggiore che nel nostro periodo, anzi era inferiore (un solo elefante dei 37 di Annibale sopravvisse all’inverno padano) ma soprattutto il periodo caldo medioevale e la cosiddetta piccola età glaciale difficilmente avrebbero potuto dare fastidio ai Vichinghi, la cui epopea si situa tutta fra l’800 e il 1066 [U. Büntgen et al., 2500 Years of European Climate Variability and Human Susceptibility, Science, 2011, 331, 579] (Fig. 2).

Dice ancora Rubbia “Vorrei ricordare ad esempio- chiedo al Ministro conferma di questo – che dal 2000 al 2014, la temperatura della Terra non è aumentata: essa è diminuita di -0,2 °C e noi non abbiamo osservato negli ultimi 15 anni alcun cambiamento climatico di una certa dimensione. Questo è un fatto di cui tutti voi dovete rendervi conto, perché non siamo di fronte ad un’esplosione esplosiva della temperatura: la temperatura è montata fino al 2000: da quel momento siamo rimasti costanti, anzi siamo scesi di 0,2 °C. È giusto, Ministro?”.

Nessun climatologo si arrischierebbe a definire “climatico” un trend di soli 14 anni, per altro riportato in modo sbagliato: la temperatura media della Terra, secondo i dati più accettati (http://data.giss.nasa.gov/gistemp/graphs_v3/Fig.A.txt) nel 2000 era superiore di 0,57 °C alla media 1951-1980 mentre nel 2014 lo era di 0,89 °C, ossia 0,32 °C IN PIÙ.

Rubbia non è un caso isolato; sono sulla stessa linea parecchi colleghi fisici o chimici famosi, alcuni dei quali scrivono comunemente su questa rivista; ma anche la presidente della SIF, Luisa Cifarelli, allieva di Zichichi, che recentemente si è rifiutata di sottoscrivere un documento che dichiarava che è certo che l’umanità abbia un effetto sul clima e che è estremamente probabile che sia essa all’origine dell’attuale riscaldamento globale. Ora, mi dirà qualcuno che conosco, dove è la differenza fra il diritto di Ostwald di rifiutare la teoria atomica e quello della Cifarelli di rifiutare la teoria climatologica attuale o di Rubbia di stravolgere la storia del clima?

Beh, è presto detto. Ostwald era uno dei protagonisti della chimica e della fisica della sua epoca, era uno che pubblicava cose che sono rimaste dopo più di 100 anni proprio nel settore in cui esprimeva poi dissenso e la scienza del primo Novecento viveva grandi contrasti. Oggi, viceversa, non ci sono climatologi attivi che neghino l’evidenza del ruolo umano sul clima o che neghino almeno la possibilità che il ruolo dell’uomo sia decisivo; viceversa nessuno dei colleghi italiani che negano tale ruolo pubblica attivamente nel settore climatologico; anzi, a dire il vero, la cultura italiana del settore è abbastanza indietro; basti pensare che in Italia, unico Paese in Europa, non c’è una laurea in meteorologia o in climatologia, le previsioni e perfino i dati meteo passano ancora obbligatoriamente per l’aeronautica militare; si tratta di una situazione di arretratezza culturale che si paga duramente e che è alla base di polemiche così prive di fondamento.

Anche noi chimici non abbiamo fatto un gran figurone sul tema della COP21 durante la sua preparazione; comunque la SCI nel Consiglio Direttivo del 12 dicembre ha deliberato di costituire un gruppo di lavoro allo scopo di redigere un documento sul tema dei cambiamenti climatici che possa rappresentare la posizione ufficiale della SCI.

E questa decisione mi fa piacere! In attesa di leggere il documento, voi che ne pensate?

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La caduta dell’Impero Romano d’Occidente: un effetto del cambiamento climatico?

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Immagine dall’articolo di Buentgen et al., pubblicato su  “Nature Geoscience” l’8 febbraio 2016. Le curve rosse sono i cambiamenti di temperatura ricostruiti dagli anelli degli alberi nell’Altai russo (curva in alto) e della Alpi europee (curva in basso). Osservate il notevole crollo delle temperature che ha avuto luogo a partire dal sesto secolo D.C.. Ma, a quel punto, l’Impero Romano d’Occidente è bello che andato. Il suo collasso NON è stato causato dal cambiamento climatico. 

Il rapporto fra clima e collasso delle civiltà è un tema molto discusso. Dal recente collasso dello stato Siriano a quello molto più antico della civiltà dell’Età del Bronzo, i cambiamenti climatici sono stati visti come i colpevoli di diversi disastri successi alle società umane. Tuttavia, un punto di vista alternativo del collasso della società lo vede come il risultato naturale (“sistemico”) dei ritorni decrescenti che una società ottiene dalle risorse che sfrutta. E’ il concetto definito “ritorni decrescenti della complessità” da Joseph A. Tainter. Su questo punto, potremmo dire che potrebbero benissimo esserci diverse cause del collasso di una società. Cambiamento climatico ed esaurimento delle risorse possono indebolire sufficientemente le strutture di controllo di qualsiasi civiltà da piegarla e farla scomparire. Nel caso dell’Impero Romano d’Occidente, tuttavia, i dati pubblicati da Buentgen et al. confermano totalmente l’interpretazione di Tainter del collasso dell’Impero Romano: è stato un collasso sistemico, NON è stato causato dal cambiamento climatico.


dai dati, possiamo vedere che c’è stato un episodio di raffreddamento che probabilmente ha condizionato tutta l’Eurasia e che è cominciato con l’inizio del sesto secolo D.C.. Questo periodo si chiama LALIA (Late Antiquity Little Ice Age) e sembra essere stato più forte della più famosa LIA (Little Ice Age) che si è verificata durante il diciottesimo e diciannovesimo secolo. Apparentemente, la LALIA è stata causata da una serie di eruzioni vulcaniche che hanno iniettato grandi quantità di particolato nell’atmosfera, raffreddandola riflettendo la luce solare. In generale, le temperature sono scese di un paio di gradi in confronto al periodo che chiamiamo “Periodo Romano Caldo”.

Un raffreddamento davvero brutale, sì, e sicuramente ha avuto effetti sulla vita umana, come discusso in modo esteso nell’articolo di Buentgen et al.. Ma non ha avuto niente a che fare con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, il cui declino era iniziato almeno due secoli prima. L’Impero ha iniziato la sua fase di disintegrazione finale con l’inizio del quinto secolo, quando non è più stato in grado di presidiare le fortificazioni ai confini. Poi, Roma è stata saccheggiata una prima volta nel 410 D.C. E infine distrutta dai Vandali nel 455 D.C. E’ stata questa la vera fine dell’Impero d’Occidente, anche se, per qualche decennio, ci sono stati ancora individui che rivendicavano il titolo di Imperatori. Ma tutto questo è avvenuto in un periodo di clima relativamente stabile, perlomeno da quello che possiamo dire circa i dati disponibili. Così, il collasso è stato sistemico, collegato a fattori diversi dal clima e, secondo me, principalmente legati al collasso del sistema finanziario Romano, causato a sua volta dall’esaurimento dei minerali.

Ma potrebbe essere che, dopo tutto, ci sia una correlazione fra il collasso Romano e il cambiamento climatico? Solo che potrebbe essere il contrario di ciò che a volte abbiamo proposto: può il collasso Romano aver causato il raffreddamento di LALIA (o, perlomeno, aver contribuito ad esso)? L’idea non è fuori di testa: il collasso della popolazione verificatosi con la caduta dell’Impero potrebbe aver portato a livelli considerevoli di riforestazione dell’Europa occidentale e ciò avrebbe riassorbito il CO2 dall’atmosfera. Questo avrebbe potuto essere un fattore aggiunto al raffreddamento da vulcani. E’ un’idea già espressa qualche anno fa da William Ruddiman. Sembra essere fuori moda, oggigiorno, ma penso che dovrebbe essere esplorata di più.

Alla fine, questa storia ci può insegnare molto: per prima cosa, quanto sia fragile il clima. Nell’interpretazione di Buentgen et al., solo tre eruzioni vulcaniche – relativamente grandi, ma non realmente gigantesche – sono state sufficienti a causare un raffreddamento di 2°C esteso su tutta l’Eurasia. Pensate a quale potrebbe essere l’effetto se dovesse succedere qualcosa di simile ai giorni nostri! Poi, mostra anche in che modo la situazione, oggi, sia del tutto cambiata. Le temperature hanno preso una tendenza completamente diversa con l’inizio di emissioni su vasta scala di emissioni di gas serra nell’atmosfera. Incidentalmente, questi dati confermano i dati della “Mazza da Hockey” di Michael Mann ed altri. Il riscaldamento globale è reale, il clima terrestre è fragile e siamo in guai seri.

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Riforestare contro il riscaldamento globale? Come sempre, i sistemi complessi ti prendono di sorpresa

Da “Reuters”, Traduzione di MR (via Alexander Ač)

Di Alister Doyle

Due persone camminano lungo una foresta mentre il sole splende oltre la nebbia vicino la passo montano di Albis, in Svizzera, lo scorso 12 novembre 2015. REUTERS/ARND WIEGMANN/FILES

Questo articolo potrebbe essere facilmente capito male. Non va inteso nel senso che riforestare il pianeta fa danni, ma piuttosto che, come tutte le cose che si fanno con un sistema complesso, i risultati possono essere il contrario di quello che uno si aspetterebbe. In sostanza, lo studio dice che la quantità di CO2 che si può assorbire per riforestazione è piccola in confronto alla quantità emessa dalla combustione dei fossili. E che questo modesto risultato può facilmente essere annullato dall’effetto del colore scuro delle foreste. Particolarmente interessante è il risultato che il passaggio da foreste “naturali” a foreste “gestite” causa la rimozione e la combustione di una gran quantità di legna secca dai boschi che agiva prima come riserva di carbonio e che invece va a finire nell’atmosfera come CO2. Alla faccia della biomassa intesa come una tecnologia benigna per l’ambiente! Insomma, leggetevi questo articolo di Reuters, ma, se avete tempo, date un’occhiata all’articolo originale potete trovare a questo link. E’ veramente molto interessante (UB)


Un’espansione delle foreste di conifere verde scuro ha alimentato il riscaldamento globale, secondo uno studio pubblicato giovedì che contrasta con un punto di vista diffuso secondo il quale piantare alberi aiuterebbe i tentativi umani di rallentare l’aumento delle temperature. I cambiamenti delle foreste hanno spinto verso l’alto le temperature estive europee fino a 0,12°C dal 1750, in gran parte perché molte nazioni hanno piantato conifere come pini ed abeti il cui colore scuro intrappola il calore del sole, hanno detto gli scienziati. Gli alberi latifoglie di colore più chiaro, come le querce e le betulle, riflettono più raggi del sole verso lo spazio, ma hanno perso terreno a favore delle conifere che crescono rapidamente, usate per tutto, dai materiali di costruzione alla pasta di legno. In generale, l’area boschiva europea si è estesa del 10% dal 1750. “Due secoli e mezzo di gestione forestale in Europa non hanno rinfrescato il clima”, ha scritto la squadra condotta dal France’s Laboratoire des Sciences du Climat et de l’Environnement sulla rivista Science. I ricercatori hanno detto che i cambiamenti nella composizione delle foreste europee ha sopravvalutato il ruolo degli alberi nel frenare il riscaldamento globale. Gli alberi assorbono biossido di carbonio, il principale gas serra proveniente dai combustibili fossili, dall’aria man mano che crescono. “Non si tratta solo di carbonio”, ha detto alla Reuters l’autrice principale Kim Naudts, dicendo che le politiche governative per favorire le foreste dovrebbero essere ripensate per tenere conto di fattori come il colore ed i cambiamenti di umidità nei suoli.

Un accordo di Parigi fra 195 nazioni a dicembre, inteso come punto di svolta dai combustibili fossili, promuove le foreste per aiutare a limitare un aumento delle temperature, incolpate di causare più alluvioni, ondate di calore ed aumento dei livelli del mare. Le temperature medie mondiali sono aumentate di 0,9°C dall’inizio della Rivoluzione Industriale. Dal 1750, le foreste europee hanno guadagnato 196.000 kmq – un’area più grande della Grecia – per raggiungere i 2,13 milioni di kmq nel 2010, ha detto lo studio. Nello stesso periodo, le foreste di conifere si sono estese di 633.000 kmq, mentre le foreste di latifoglie si sono ridotte di 436.000 kmq. In quel periodo, gli europei hanno raccolto sempre più legno dalle foreste, riducendo il loro ruolo nello stoccaggio del carbonio. Lo studio uscito giovedì era limitato all’Europa ma ha detto che effetti analoghi sono probabili in altre parti del mondo con grandi programmi di riforestazione come Cina, stati Uniti e Russia. Un altro studio di Science, condotto da esperti di un centro di ricerca della Commissione Europea dell’Ispra, in Italia, hanno anche collegato una perdita di foreste in tutto il mondo ad un aumento medio e massimo delle temperature, specialmente in regioni aride e tropicali.

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La sinistra di fronte al collasso della civiltà

Nota: in questo elenco su come prepararsi ad un futuro postpetrolio mancano molte cose, in particolar modo l’implementazione di una rete di energie rinnovabili che faccia da cuscinetto nel passaggio da una società industrializzata in ogni suo aspetto ad una che, in un prevedibile futuro, potrebbe essere anche completamente deindustrializzata o ad una con una struttura industriale molto ridotta. E non si fa accenno al problema climatico e a quello dell’eccessiva popolazione, per esempio. Tuttavia l’elenco, pur parziale, potrebbe servire come base di discussione su quanto le amministrazioni pubbliche ed i governi potrebbero (e dovrebbero) fare per favorire la transizione. Spesso chiediamo cose ai governi/amministrazioni e lo facciamo con atteggiamenti rivendicativi, ma sono persuaso che nemmeno noi, “la gente”, abbiamo le idee poi così chiare. Aggiungete i vostri punti/suggerimenti fra i commenti, magari questo potrebbe essere un primo tentativo di visualizzazione collettiva di quanto ci serve per il futuro. Buona lettura. Massimiliano.

Da “The Oil Crash”. Traduzione di MR

Cari lettori,

per i lettori di questo blog che vivono in Galizia, da quelle parti sapranno già della recente pubblicazione del libro “A esquerda ante o colapso da civilización industrial – La sinistra di fronte al collasso della civiltà industriale”, un saggio di Manuel Casal Lodeiro, attivista e mebro attivo di un’associazione molto conosciuta in queste pagine, Véspera de nada. Inoltre, Manuel è anche il coordinatore della rivista post-collassista “per una nuova civiltà” 15/15\15.

“A esquerda ante o colapso da civilización industrial” è, in un certo senso, la continuazione della “Guida per la discesa energetica” che ha pubblicato Véspera de nada due anni fa, ma in questo caso il libro è concentrato direttamente sul terreno politico. Come sta reagendo la sinistra di fronte al collasso che sta cominciando? Come, e perché, dovrebbe reagire? Queste sono le domande alle quali cerca di rispondere l’autore, soffermandosi soprattutto sul panorama politico galiziano, ma guardando anche la Catalogna, i Paesi Baschi e il resto dello stato spagnolo o persino alla Grecia di Syriza. Il libro offre alcuni materiali aggiuntivi sotto forma di allegato che sono particolarmente interessanti. Uno di questi consiste in un gruppo di misure che qualsiasi governo dovrebbe affrontare per cominciare la “transizione” necessaria verso un mondo in declino energetico e che Pau Valverde Ferreiro, uno dei lettori-mecenati del libro, ha tradotto in castigliano per ampliarne la diffusione. Mentre attendiamo l’edizione spagnola di “La sinistra…” (che proprio adesso è in discussione, anche quella portoghese), d’accordo con Manuel abbiamo deciso di condividere l’allegato da questo blog. Allo stesso tempo, vi invitiamo a conoscere gli altri contenuti che l’autore sta pubblicando nel sito web esquerda.colapso.info.

Saluti.
AMT

Alcune misure pubbliche di base per un a strategia di facilitazione dell’adattamento sociale post-petrolifero 

Economia:

– Sostenere in modo deciso la creazione e/o il consolidamento delle reti locali di distribuzione di alimenti e le cooperative di consumo ecologico e locale.

– Sostenere i progetti di monete complementari che abbiano una funzione sociale ed utile per la transizione.

– Favorire la creazione di banche del tempo.

– Sostenere le reti di distribuzione locale ed il commercio di prossimità di generi di prima necessità.

– Aiutare economicamente le imprese che forniscano prodotti sostitutivi di quelli importati in aree di prima necessità.

– Avviare campagne mediatiche a favore del consumo di prodotti locali.

– Realizzare campagne informative di promozione e riconoscimento del consumo ed uso di beni e servizi con minore intensità energetica.

– Dare priorità agli aiuti economici alle imprese che avviino piani di risparmio energetico e che abbiano mostrato un’alta efficienza energetica.

– Promuovere prestazioni economiche palliative nelle zone con la presenza di attività fortemente consumatrici di energia prima di riduzioni future e possibili di tali attività.
 – Realizzare statistiche costanti dell’utilizzo delle energie primarie, dell’uso e trasformazione delle stesse, così come del consumo per tipologia di energia ed utilizzatore, che permettano di disporre delle informazioni sufficienti a stabilire linee di attuazione governative e tracciarne la realizzazione.

– Promuovere in modo deciso il mantenimento e l’ampliamento della popolazione rurale, a discapito delle aree urbane, mediante leggi e misure specifiche che facilitino il ritorno alla campagna in tutti i campi: economico, ambientale, dei servizi, abitativo, di qualità della vita, ecc. Incoraggiare gli ecovillaggi come modello valido per la rivitalizzazione rurale, così come dare la priorità ai progetti collettivi per il recupero dei villaggi o per il ritorno in campagna in generale.

– Promuovere l’isolamento termico delle abitazioni, il loro sfruttamento solare passivo e penalizzare un alto consumo energetico nella loro costruzione.

– Diffondere le possibilità dell’architettura bioclimatica nel settore delle costruzioni e sovvenzionare la sua applicazione nella costruzione e ristrutturazione delle abitazione ed altri edifici.

– Sfruttare le fattorie non utilizzate di proprietà statale per la creazione di orti urbani comunitari ed ecologici.

– Promuovere il fatto che anche i municipi facilitino la creazione di orti nei terreni di loro proprietà.

– Promuovere la creazione di orti per l’autoproduzione di alimenti nei giardini delle urbanizzazioni private.

– Favorire l’uso della montagna autogestito, sostenibile, diverso e indirizzato all’insediamento della popolazione in aree rurali.

– Sovvenzionare (per esempio eliminando o riducendo le tasse) l’acquisto, l’affitto e la ristrutturazione di abitazioni rurali per persone attualmente residenti in nuclei urbani che volessero cambiare residenza abituale in aree rurali o a persone che volessero mantenere la propria residenza in aree rurali.

– Semplificare i requisiti per le opere e ristrutturazioni rurali e potenziarne la realizzazione con materiali e mano d’opera locali, oltre che con criteri di risparmio energetico.

– Promuovere la sovranità e l’autosufficienza alimentare. Sostenere la produzione ecologica locale. Priorità assoluta del governo: assicurare la fornitura di acqua potabile ed alimenti alla popolazione..

– Potenziare le banche di credito agricolo, anche in zone urbane e periurbane per mettere in contatto proprietarie/ri di fattorie potenzialmente produttive con persone di città interessate alla produzione orticola per l’autoconsumo o per la vendita.

– Eliminare le pastoie burocratiche e fiscali alla vendita nei mercati locali delle eccedenze di alimenti autoprodotti.

– Potenziare l’avvio di food forest ed altri progetti agroforestali.

– Rivedere la normativa relativa ai requisiti di materiali ed imballaggi per i prodotti orticoli per facilitare l’impiego di materiali locali non derivati dal petrolio.

– Modificare la normativa degli aiuti all’inserimento nella produzione agricola e dell’allevamento alla luce di una semplificazione necessaria degli ingressi e delle caratteristiche tecniche delle fattorie.

– Promuovere le fiere e i mercati locali, soprattutto di generi alimentari.

–  Sostenere le banche e le reti dei semi locali, facilitandole per qualsiasi persona sia interessata a coltivare alimenti.

– Avviare centri di uso comunitario per il confezionamento di alimenti e la fabbricazione di conserve mediante sistemi di massima garanzia sanitaria e minimo consumo energetico. Divulgare da questi centri, fra la popolazione in generale, le tecniche di conservazione casalinghe.

– Promuovere la riconversione delle fattorie agricole al modello agroecologico.

– Promuovere la riconversione degli allevamenti per aumentare il loro risparmio energetico e minimizzare la loro dipendenza da input esterni.

– Promuovere il car sharing: con corsie riservate sulle strade (auto con 3 o più passeggeri), esenzione dai pedaggi ed altre misure per la sua promozione.

– Promuovere cooperative di trasporto privato (auto di proprietà dei loro membri), club di noleggio di auto, reti di autostoppisti registrati ed altri sistemi analoghi. Facilitare il noleggio di auto per viaggi lunghi occasionali.

– Facilitare e promuovere l’uso della bicicletta (corsia per biciclette, ecc.). Sostituire le strade per le auto con piste ciclabili. Dar priorità alle biciclette nella riprogettazione delle strade.

– Avviare aiuti perché le città e i paesi creino piste ciclabili, parcheggi per bici nelle stazioni di autobus e treni e percorsi pedonali.

– Promuovere la riduzione della settimana lavorativa: meno giorni di lavoro per settimana, concentrando le ore. Incentivare l’orario continuato nelle imprese pubbliche, private e negli orari scolastici.

– Incoraggiare il ripristino autobus aziendali per lo spostamento dei lavoratori.

– Rivedere tutti i tributi per penalizzare le attività che ostacolino la transizione energetica ed abbassando o annullando le imposte a quelle che la favoriscono.

– Ridurre la fiscalità agli esercizi commerciali di prossimità ed ai piccoli negozi, soprattutto di generi alimentari e di prodotti di prima necessità.

– Favorire fiscalmente le imprese che facilitino il telelavoro per evitare gli spostamenti dei loro lavoratori al di fuori delle città e come misura complementare che favorisca il ritorno alla campagna.

– Favorire fiscalmente il noleggio e la condivisione di ogni tipo di attrezzatura come alternativa alla compravendita e per favorire l’allungamento della vita utile dei prodotti e dei macchinari.

– Penalizzare l’obsolescenza programmata dei prodotti industriali e favorire la produzione di beni di lunghissima durata.

Acqua:

– Pressare tutte le aziende responsabili della fornitura di acqua potabile perché analizzino le vulnerabilità delle stesse nel caso di una carenza improvvisa di derivati del petrolio o di fornitura elettrica.

Educazione:

– Collaborare per la realizzazione di ogni tipo di giornata di divulgazione sociale del picco del petrolio e delle sue implicazioni per la nostra società.

– Favorire la formazione di persone disoccupate in nuovi mestieri e servizi per la resilienza.

– Sostenere e promuovere il recupero di saperi, tecniche e mestieri tradizionali.

– Rivedere i curriculum educativi per includervi la formazione degli studenti nelle capacità e nelle conoscenze specifiche per una vita post petrolifera.

– Rivedere i libri di testo scolastici, specialmente nel campo della conoscenza dell’ambiente, per includere la visione storica della relazione fra la nostra specie e l’energia, fino a giungere al momento attuale della fine di un’era di abbondanza energetica.

– Introdurre l’insegnamento della Permacultura e di tecniche analoghe a tutti i livelli formativi ed aree dove sia applicabile.

– Mantenere e potenziare l’insegnamento nelle zone rurali.

– Promuovere le scuole popolari, gli atenei ed altri meccanismi di autoformazione collettiva delle persone, fornendo loro, per esempio, locali e l’acquisizione di materiale formativo.

– Promuovere una nuova cultura energetica che metta l’enfasi sul risparmio, sull’efficienza e sui modelli di mobilità e coordinamento del territorio che riduca il consumo reale.

– Incoraggiare, con la collaborazione dei municipi, l’agricoltura/orticoltura urbana ecologica mediante campagne, corsi, incentivi vari, cessione di spazi e strumenti, sovvenzione dei semi, ecc.

– Incoraggiare la ricerca in Permacultura, tecniche di coltivazione, progettazione di fattorie autosufficienti, tecnologie e specie adeguate ed altri aspetti per una nuova agricoltura postpetrolifera. Identificare ingressi alternativi a quelli attuali, sistemi di prevenzione delle infestazioni non chimici, ecc. facendo uso della storia agricola del paese e del sapere tradizionale, come delle esperienze che funzionano in altri luoghi.

– Realizzare campagne per la formazione di autisti di veicoli privati in guida per il risparmio di combustibile.

– Incoraggiare un cambiamento culturale rispetto al consumo. In esso, promuovere fortemente i prodotti locali anziché quelli importati.

– Realizzare campagne di formazione specifica di persone di tutte le età per l’autogestione e la cura collettiva e personale della salute, primo soccorso, ecc.

– Collaborare attivamente perché si realizzino discussioni, giornate, attività scolari, proiezioni di documentari, creazione di progetti interattivi, libri e fumetti divulgativi e pratici legati a:

  • Picco del petrolio.
  • Economia ecologica.
  • Risparmio energetico.
  • Decrescita.
  • Resilienza comunitaria.
  • Capacità utili in un mondo senza petrolio.
  • Agricoltura naturale/ecologica/tradizionale.
  • Permacultura.
  • Autoproduzione e conservazione di alimenti.
  • Compostaggio casalingo.
  • Forni solari.
  • Autocostruzione di sistemi di energia rinnovabile.
  • Stili di vita ed alimentazione salutari.
  • Trazione animale per l’agricoltura ed il trasporto.
  • Ecc.

– Incoraggiare la cultura del possedere solo quello che è veramente personale e che il resto è più efficiente condividerlo (beni comunitari) tramite noleggio ed altri sistemi.

– Creare un centro autonomo di riferimento permanente su queste questioni, a mo’ di centro di sperimentazione e diffusione, centro dimostrativo di tecniche sostenibili, fattorie didattiche, ecc. Questo dovrebbe coordinare ed appoggiare esperienze a livello regionale e municipale che replichino queste funzioni e le applichino sul campo in ogni regione.

– Fare congressi divulgativi diretti anche alle associazioni ed alle entità della società civile, così come alle imprese.

– Promuovere il fatto che le città ed i paesi si uniscano alla rete di Città di Transizione (Transition Towns).

– Potenziare l’autogestione e l’autoorganizzazione della società civile mediante un pacchetto di misure specifiche. Incoraggiare su tutti i terreni l’autoorganizzazione della società civile, prestando aiuto ma senza dirigismi.

Salute:

– Potenziare la fitoterapia fra i professionisti della medicina così come il riciclaggio professionale anche in tecniche di diagnosi e trattamento di uso tecnologico minimo, per esempio nel campo dell’assistenza ai parti, incoraggiando la formazione di ostetriche e doule per l’assistenza ai parti con minimo intervento e facilitando il parto in casa.

– Studiare le vulnerabilità dei centri sanitari, degli ospedali, ecc. di proprietà pubblica in uno scenario di scarsità energetica e di materie derivate dal petrolio. Proporre alternative in un piano specifico.

– In collaborazione coi professionisti della medicina del paese, analizzare in dettaglio quali altre trasformazioni è necessario intraprendere per preparare il sistema di salute pubblica nel contesto di carenza di energia e materie prime.

– Stimolare al massimo la prevenzione nel campo della salute fra la popolazione e potenziare le abitudini di vita e l’alimentazione salutari.

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Lupi, mannari ed il vangelo di Filippo

Di Jacopo Simonetta.

In questi giorni sta circolando una petizione in favore dei lupi, forse mille in tutta Italia, ma c’è chi dice che siano troppi.   Forse lo stato, le regioni ed i bracconieri riusciranno a distruggere i lupi, ma non sono qualche centinaio di cani selvatici a minacciare la nostra civiltà, bensì quasi 8 miliardi di esseri umani.   E’ così difficile da capire?   Pare di si.

In un Appennino in cui oramai tutti si lamentano, talvolta a proposito, dei troppi cinghiali e dei troppi caprioli, il lupo dovrebbe essere il beniamino di tutti.   Magari non dei pastori, ma certamente dei cacciatori e degli agricoltori.   E invece no.   Perché?

Forse lo possiamo capire considerando che quello materiale è solo uno dei molti piani di realtà in cui ci muoviamo.   Un altro è quello dei simboli ed è proprio qui che troviamo importanti tracce di lupo.   Il significato simbolico non è intrinseco, siamo noi che lo elaboriamo e lo attribuiamo a qualcosa.   Ma una volta creato, il simbolo esiste ed esercita un effetto potentissimo sulla realtà materiale, come testimoniato dai milioni di soldati morti seguendo una bandiera.   Oppure dai forse cento lupi annualmente uccisi perlopiù da gente che avrebbe tutto l’interesse a proteggerli.

Dunque la spiegazione di questa assurdità va cercata lontano dai testi di biologia; magari nelle favole di Esopo e di Fedro, dove i lupi non fanno mai bella figura.   Il lupo travestito da pecora, il lupo ladro ed assassino sono parte integrante della cultura dei popoli pastori.  Per questo il Cristianesimo, nato fra i pastori, basò da subito la sua narrativa sui simboli della pecorella smarrita e del Buon Pastore. Necessariamente il lupo doveva impersonare stupida ferocia, inganno e prevaricazione.

Più tardi, man mano che il nostro controllo sul mondo cresceva, il lupo è finito col diventare simbolo delle forze indomite della Natura, contrapposte alla nostra volontà ed al nostro diritto di controllo universale.

E’ di questi fantasmi che discute la conferenza stato-regione, non di gestione faunistica.   Ma anche coloro che si indignano per questo assurdo avvertono urgente il bisogno di difendere un simbolo, ancor prima di una sana gestione ambientale.   Un simbolo di cui troviamo traccia nella tradizione medioevale.

Tutti conoscono la leggenda di S. Francesco, che assai poco ha a che fare con questa storia.   Pochi invece conoscono quella di S. Galgano nel cui santuario ancora oggi sono conservate le ossa dei suoi nemici, sbranati dai lupi che proteggevano il santo.   Una traccia tenue, ma che ritroviamo nella letteratura dell’epoca e, secoli dopo, nei verbali dell’inquisizione.   Testi che certificano un rapporto molto profondo e complesso delle popolazioni rurali con questo animale e con la sua “elevazione a potenza”: il Lupo Mannaro.    Perlomeno in Europa occidentale, i Mannari erano uomini con il potere di trasformarsi in lupi e di andare in tal forma fino all’inferno a combattere contro il Diavolo per recuperare le promesse di raccolto che il Maligno rubava dai campi.   Se vincevano i lupi il raccolto era buono, se invece venivano sconfitti la carestia avrebbe colpito la regione.   Dunque dei difensori, ma come spesso accade ai difensori, anche dei predatori.   Durante le loro scorribande in cerca del Nemico, i mannari avevano infatti fame e divoravano qualunque animale gli si parasse dinnanzi: porco, vacca o uomo che fosse.

Quello che qui preme notare è che in questo contesto il Lupo è simbolo di una forza indispensabile alla vita umana, ma anche pericolosa ed alla quale è dovuto un tributo di sangue.   Erano lupi e corvi che seguivano Wotan nei suoi viaggi e tutta la tradizione indoeuropea è intrisa del concetto che gli Dei sono qualcosa al di sopra e al di fuori di ogni ragione o morale umana.   Elargiscono doni e protezione, ma anche uccidono e distruggono senza che noi possano capire, tanto meno esercitare un controllo sul loro operato.

Il ritorno dei lupi sulle montagne dove erano stati sterminati cento anni fa ridesta oggi un atavico scontro fra due diverse concezioni dell’uomo e del suo ruolo.   Cioè se ha il diritto di dominare il mondo, oppure il dovere di rispettare la Natura e le sue leggi.

Cosa c’entra tutto ciò con il Vangelo di Filippo?  Questa massima:

“La verità non è venuta nel mondo nuda, ma è venuta abbigliata di simboli ed immagini.”

Bentornati Lupi, simbolici e materiali.

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La Fisica dell’energia e l’economia

Da “Our Finite World”. Traduzione di MR

Di Gail Tverberg

Mi approccio al tema della Fisica di energia ed economia con qualche trepidazione. Un’economia sembra essere un sistema dissipativo, ma cosa significa veramente questo? Non ci sono molte persone che capiscono i sistemi dissipativi e molto poche che capiscono in che modo funziona un’economia. La combinazione delle due cose porta a moltissime false credenze sulle necessità energetiche di un’economia.

Il principale problema a portata di mano è che, in quanto sistema dissipativo, ogni economia ha le proprie necessità energetiche (in termini di luce solare) ed ogni pianta ed animale ha le sue necessità energetiche, in una forma o in un’altra. Un uragano è un altro sistema dissipativo. Ha bisogno dell’energia che ottiene dall’acqua calda dell’oceano. Se si sposta sulla terraferma , si indebolirà presto e morirà. C’è una gamma piuttosto ristretta di livelli di energia accettabili – un animale senza cibo sufficiente si indebolisce ed è più probabile che venga mangiato da un predatore o che soccomba ad una malattia. Una pianta senza luce solare sufficiente è probabile che si indebolisca e che muoia.

Infatti, gli effetti del non avere flussi di energia sufficienti potrebbero diffondersi più ampiamente della singola pianta o animale che si indebolisce e muore. Se la ragione per cui una pianta muore è perché la pianta è parte di una foresta che nel tempo è cresciuta così fitta che le piante del sottobosco non possono ricevere luce sufficiente, allora potrebbe esserci un problema più grande. Il materiale della pianta morente potrebbe accumularsi al punto da incoraggiare gli incendi. Tale incendio forestale potrebbe bruciare un’area piuttosto grande della foresta. Pertanto, il risultato indiretto potrebbe essere di mettere fine ad una parte dell’ecosistema stesso della foresta. Come dovremmo aspettarci che si comporti un’economia nel tempo? Lo schema di energia dissipata durante il ciclo di vita di un sistema dissipativo varierà, a seconda del sistema particolare. Negli esempi che faccio, lo schema sembra in qualche modo seguire ciò che Ugo Bardi chiama un Dirupo di Seneca.

Figura 1. Dirupo di Seneca di Ugo Bardi

Lo schema del Dirupo di Seneca è chiamato così perché molto tempo fa, Lucio Seneca ha scritto:

Sarebbe una consolazione per la nostra debolezza e per i nostri beni se tutto andasse in rovina con la stessa lentezza con cui si produce e, invece,l’incremento è graduale, la rovina precipitosa.

La credenza standard sbagliata sulla Fisica di energia ed economia

C’è una credenza standard sbagliata circa la Fisica di energia ed economia, è la credenza secondo la quale possiamo in qualche modo allenare l’economia ad tirare avanti senza tanta energia. In questa visione sbagliata, la sola Fisica davvero rilevante è la termodinamica dei giacimenti di petrolio ed altri tipi di deposito di energia. Tutti questi giacimenti si esauriscono se sfruttati nel tempo. Inoltre, sappiamo che c’è un numero finito di questi giacimenti. Pertanto, sulla base della Seconda Legge della Termodinamica, la quantità di energia libera che avremo disponibile in futuro tenderà ad essere meno di quella di oggi. Questa tendenza sarà particolarmente vera dopo la data in cui viene raggiunto il “picco di produzione del petrolio”.

Secondo questa visione sbagliata di energia ed economia, tutto ciò che dobbiamo fare è progettare un’economia che usi meno energia. Potremmo probabilmente farlo aumentando l’efficienza e cambiando la natura dell’economia per usare una proporzione maggiore di servizi. Se aggiungiamo anche le rinnovabili (anche se sono costose), l’economia dovrebbe essere in grado di tirare avanti bene con molta meno energia. Queste visioni errate sono incredibilmente diffuse. Sembrano essere alla base della speranza diffusa secondo cui il mondo possa ridurre il proprio uso di combustibili fossili del 80% da adesso al 2050 senza disturbare gravemente l’economia. Il libro 2052: scenari globali per i prossimi 40 anni di Jorgen Randers sembra riflettere queste visioni. Anche il “modello del mondo stabilizzato” presentato nel libro del 1972 I Limiti dello Sviluppo di Meadow et al. sembra essere basato su assunti ingenui su quanta riduzione del consumo di energia sia possibile senza causare il collasso dell’economia.

L’economia come sistema dissipativo

Se un’economia è un sistema dissipativo, ha bisogno di flussi di energia sufficienti. Altrimenti collasserà in un modo che è analogo a quello degli animali che soccombono ad una malattia o ad una foresta che soccombe agli incendi. La fonte primaria dei flussi di energia verso l’economia sembra arrivare attraverso la leva del lavoro umano con prodotti energetici supplementari di vari tipi, come il lavoro animale, i combustibili fossili e l’elettricità. Per esempio, un uomo con una macchina (che è fatta usando prodotti energetici ed opera usando prodotti energetici) può fare più gingilli di uno senza una macchina. Una donna che lavora ad un computer in una stanza illuminata può fare più calcoli di una che incide i numeri con una bacchetta in una tavola di argilla e li somma a mente, lavorando all’aperto quando il tempo lo permette.
Finché la quantità di forniture di energia supplementare continua ad aumentare abbastanza rapidamente, il lavoro umano può diventare sempre più produttivo. Questo aumento di produttività può nutrirsi tramite salari più alti. A causa di questi salari in crescita, il pagamento delle tasse può essere più alto. I consumatori possono anche avere sempre più fondi disponibili per comprare beni e servizi dalle aziende. Pertanto, un’economia può continuare a crescere. Oltre all’energia supplementare inadeguata, l’altro rischio negativo per la crescita economica continua è la possibilità che i ritorni decrescenti comincino a rendere l’economia meno efficiente. Ecco alcuni esempi di come accade questo:

  • Sono necessari pozzi più profondi o la desalinizzazione per l’acqua perché le falde acquifere si esauriscono e la popolazione cresce.
  • Serve più produttività da ogni acro di terra coltivabile a causa della popolazione in crescita (e quindi diminuzione della terra coltivabile per persona). 
  • Sono richieste miniere più grandi in quanto i depositi con alta concentrazione minerale sono esauriti e siamo costretti a sfruttare miniere meno produttive.  
  • Man mano che l’inquinamento aumenta, sono necessari più dispositivi di controllo dell’inquinamento o soluzioni più costose (come le “rinnovabili”).
  • I combustibili fossili dalle zone di facile estrazione sono esauriti, quindi l’estrazione deve provenire da zone di più difficile estrazione. 

In teoria, anche questi problemi di ritorni decrescenti possono essere superati, se la leva del lavoro umano con energia supplementare cresce abbastanza in fretta. Teoricamente, la tecnologia potrebbe anche aumentare la crescita economica. L’intoppo con la tecnologia è che questa è molto strettamente collegata al consumo di energia. Senza consumo di energia non è possibile avere metalli. Gran parte della tecnologia di oggi dipende (direttamente o indirettamente) dall’uso di metalli. Se la tecnologia rende un particolare tipo di prodotto più economico da fare, c’è anche una buona possibilità che vengano venduti più prodotti di quel tipo. Quindi, alla fine, la crescita della tecnologia tende a permettere che l’energia venga consumata.

Perché avvengono i collassi economici

I collassi delle economie sembrano provenire da una varietà di cause. Una di queste sono i salari inadeguati dei lavoratori di grado inferiore (coloro che non sono molto istruiti o di livello gestionale). Questo tende ad accadere perché se non ci sono flussi di energia non sufficienti per procedere, tendono ad essere i salari degli impiegati di “bassa classifica” ad essere spremuti. In alcuni casi non ci sono abbastanza posti di lavoro disponibili; in altri, i salari sono troppo bassi. Questo può essere pensato come un ritorno inadeguato dal lavoro umano – un diverso tipo di ritorno energetico dall’energia investita (EROEI) che viene attualmente analizzato in gran parte degli studi accademici odierni.

Un’altra area vulnerabile ai flussi di energia inadeguati è il livello di prezzo dei beni. Se i flussi di energia sono inadeguati, i prezzi dei beni tenderanno a diminuire al di sotto del costo di produzione di questi stessi beni. Questo può portare ad un taglio della produzione di quel bene. Se questo accade, il debito legato alla produzione di quel bene tenderà a sua volta al default. Il debito in default può essere un problema enorme, a causa dell’impatto negativo sulle istituzioni finanziarie.

Un altro modo in cui si possono manifestare i flussi di energia inadeguati è attraverso il crollo della redditività delle società, come il crollo degli introiti che le banche stanno ora sperimentando. Un altro modo ancora in cui si possono manifestare i flussi di energia inadeguati è attraverso il crollo delle entrate fiscali. I governi esportatori di beni sono particolarmente vulnerabili quando i prezzi dei beni sono bassi. Alla fine, questi flussi di energia inadeguati possono portare al fallimento di società e al collasso dei governi.
La situazione più vicina al collasso che gli stati Uniti abbiano sperimentato è la Depressione degli anni 30 del 900. La Grande Recessione del 2007-2009 rappresenterebbe un leggero caso di flussi di energia inadeguati – uno che potrebbe essere corretto da una grande dose di Quantitative Easing (QE) (portando al prezzo più basso dei prestiti), oltre allo stimolo del debito da parte della Cina. Queste cose hanno aiutato a portare i prezzi del petrolio di nuovo su, dopo il loro crollo a metà del 2008.

Figura 2. Prezzi spot mensili dell’offerta mondiale di petrolio (la produzione include biocombustibili e liquidi del gas naturale) e Brent, sulla base dei dati EIA.

Chiaramente, ora stiamo di nuovo cominciando a sperimentare gli effetti di flussi di energia inadeguati. Ciò è preoccupante, perché molte economie sono collassate in passato quando si è verificata questa situazione.

Come sono regolati i flussi di energia di un’economia

In un’economia, il sistema finanziario è il regolatore dei flussi di energia del sistema. Se i prezzi di un prodotto sono bassi, ciò impone che una piccola percentuale di flussi di energia verranno diretti verso il prodotto. I salari seguono uno schema simile, coi salari bassi che indicano flussi di energia bassi e i salari alti che indicano flussi di energia più alti. I flussi di energia di fatto “pagano” tutti gli aspetti del sistema, compresa una tecnologia più avanzata e i cambiamenti del sistema (più istruzione, meno tempo nella forza lavoro) che rendono possibile la tecnologia avanzata.

Un aspetto disorientante dell’economia di oggi è l’uso di un approccio del tipo “ti pago dopo” per pagare i flussi di energia. Se i flussi di energia sono inadeguati usando quelli che pensavamo come i flussi naturali del sistema, il debito viene spesso usato per aumentare i flussi di energia. Il debito ha l’effetto di dirigere flussi energetici futuri in una direzione particolare, come pagare una fabbrica, una casa o una macchina. Questi flussi saranno disponibili quando il prodotto è già parte del sistema e quindi sono più facili da adattare nel sistema.

L’uso di debito crescente permette alla “domanda” totale di prodotti di molti tipi di essere più alta, perché dirige i flussi futuri e i flussi attuali di energia verso un prodotto. Dal momento che fabbriche, case ed automobili sono fatte usando beni, l’uso di una quantità crescente di debito tende ad aumentare i prezzi dei beni. Con prezzi dei beni più alti, una quantità maggiore delle risorse dell’economia è diretta alla produzione di prodotti energetici. Questo consente di aumentare il consumo di energia. Questo aumento del consumo di energia tende a favorire i flussi di energia a troppe aree dell’economia allo stesso tempo: salari, tasse, redditività delle imprese e fondi per il pagamento di interessi e dividendi.

La necessità di debito cresce fortemente quando un’economia comincia ad usare combustibili fossili, perché l’uso di combustibili fossili consente uno stile di vita intensificato. Non c’è modo che questa intensificazione dello stile di vita possa essere pagato in anticipo, perché i benefici del nuovo sistema sono parecchio migliori di ciò che era disponibile prima dei combustibili fossili. Per esempio, un agricoltore che coltiva cereali usando solo una zappa come strumento non sarà mai in grado di risparmiare i fondi sufficienti (flussi di energia) necessari a pagare un trattore. Anche se potrebbe sembrare bizzarro che le banche prestino soldi in esistenza, questo approccio è di fatto essenziale, se devono essere disponibili flussi di energia adeguati per compensare il miglior stile di vita reso possibile dall’uso di combustibili fossili.

Le necessità del debito sono basse quando il costo (il vero costo energetico) della produzione di prodotti energetici è basso. Serve molto più debito quando il costo di estrazione dell’energia è più alto. La ragione per cui serve più debito è perché i combustibili fossili ed altri tipi di prodotti energetici tendono a fare leva sul lavoro umano, rendendolo più produttivo, come detto precedentemente. Per mantenere questa leva, è necessaria una quantità adeguata di prodotti energetici (misurati in Unità Termiche Britanniche di Barili di Petrolio Equivalente o qualche unità simile). Man mano che il prezzo necessario ai prodotti energetici aumenta, ci vuole sempre più debito per finanziare una simile quantità di prodotto energetico, oltre al maggior costo di case, automobili, fabbriche e strade che usano energia a costo più alto. Infatti, con costi energetici più alti, i beni capitali di ogni genere tenderanno ad essere più costosi. Questa è una delle grandi ragioni per cui il rapporto del debito rispetto al PIL tende ad aumentare man mano che il costo della produzione di prodotti energetici aumenta. A questo punto, negli Stati Uniti ci vogliono circa 3 dollari di debito in più per aumentare il PIL di un dollaro (calcolo dell’autrice).

Figura 3. Prezzi del petrolio Brent al netto dell’inflazione (in dollari del 2014, principalmente dalla Revisione Statistica dell’energia Mondiale della BP) mostrata a fianco di due misure del debito dell’economia statunitense. Una misura del debito comprende tutto, l’altra esclude il debito degli affari Finanziari. Entrambe sono basate su dati della FRED-Federal Reserve of St. Louis.

Chiaramente, uno dei fattori di rischio per un’economia che usa i combustibili fossili è che il debito diventerà inaccettabilmente alto. Un secondo rischio è che il debito smetterà di crescere abbastanza rapidamente da mantenere i prezzi dei beni ad un livello accettabilmente alto. Il recente rallentamento della crescita del debito (Figura 3) senza dubbio contribuisce agli attuali prezzi bassi dei beni.

Un terzo rischio per il sistema è che il tasso di crescita economica rallenterà nel tempo perché anche con la grande quantità di debito aggiunto al sistema, la leva del lavoro umano con energia supplementare non sarà sufficiente a mantenere la crescita economica di fronte ai ritorni decrescenti. Infatti, è chiaramente evidente che la crescita economica degli Stati Uniti ha avuto una tendenza al ribasso nel tempo (Figura 4).


Figura 4. Tassi di crescita annuale statunitense (usando dati di inflazione “reale” o dati adattati provenienti dal Bureau of Economic Analysis).

Un quarto rischio è che l’intero sistema diventerà insostenibile. Quando viene emesso nuovo debito, non c’è una reale corrispondenza col flusso di energia futuro. Per esempio, i salari di coloro che fanno un debito per pagare l’università saranno sufficientemente alti da permettere ai debitori di metter su famiglie e comprare case? Se no, la loro mancanza di reddito adeguato sarà uno dei fattori che rendono difficile che i prezzi dei beni rimangano abbastanza alti da incoraggiare l’estrazione.

Uno dei problemi dell’economia di oggi è che le promesse di flussi di energia futuri si estendono ben al di là di ciò che viene formalmente chiamato debito. Queste promesse comprendono i dividendi degli azionisti i pagamenti dei programmi di governo come la Sicurezza Sociale e l’Assistenza Medica. Rinnegare promesse come queste è probabile che sia impopolare per i cittadini. I prezzi delle azioni è probabile che crollino e le pensioni private diventeranno impagabili. I governo potrebbero essere rovesciato da cittadini delusi.

Esempi di collassi di economie passati

Esempio del parziale collasso della ex Unione Sovietica

Un esempio recente di un collasso parziale è stato quello della ex Unione Sovietica (EUS) nel dicembre del 1991. Lo chiamo collasso parziale perché ha coinvolto “soltanto” il collasso del governo centrale che teneva insieme le diverse repubbliche. I governi delle singole repubbliche sono rimasti al loro posto e molti dei servizi che fornivano, come il trasporto pubblico, sono continuati. La quantità di produzione eseguita dalla EUS è diminuita precipitosamente, così come l’estrazione di petrolio. Prima del collasso, la EUS aveva problemi finanziari seri. Poco prima del collasso, le principali nazioni industriali del mondo si sono accordate per prestare all’Unione Sovietica un miliardo di dollari e posticipare il pagamento su 3,6 miliardi di altro debito. Un grande problema che sta alla base di questo collasso è stato un crollo dei prezzi del petrolio nella gamma dei 30 dollari al barile nel periodo 1986-2004. L’Unione Sovietica era una grande esportatrice di petrolio. Il prezzo basso ha avuto un impatto negativo sull’economia, una situazione simile a quella di oggi.


Figura 5. Produzione di petrolio e prezzo dell’ex Unione Sovietica, sulla base della Revisione Statistica dell’energia Mondiale della BP del 2015.

La Russia ha continuato a pompare petrolio anche dopo che il prezzo è crollato nel 1986. Di fatto ha aumentato la produzione, per compensare il prezzo basso (il flusso di energia che riceveva per ogni barile). Questo è simile alla situazione di oggi e ciò che ci dovremmo aspettare se gli esportatori di petrolio sono molto dipendenti da questi flussi di energia, non importa che siano piccoli. La produzione di petrolio non è scesa al di sotto dei livelli del 1986 fino al 1989, molto probabilmente per gli scarsi finanziamenti reinvestiti. La produzione di petrolio è aumentata ancora, una volta che il prezzo è aumentato. La Figura 6 mostra che il consumo di prodotti energetici della EUS hanno iniziato a cadere precipitosamente nel 1991, l’anno del collasso – proprio un declino da Dirupo di Seneca.

Figura 6. Consumo della ex Unione Sovietica per fonte, sulla base dei dati della Revisione Statistica dell’Energia Mondiale della BP del 2015 .
Di fatto, il consumo di tutti i combustibili, persino il nucleare e l’idroelettrico, sono caduti simultaneamente. E questo che ci dovremmo aspettare sei i problemi della EUS fossero causati dai prezzi bassi che stava ricevendo come esportatrice di petrolio. Con prezzi del petrolio bassi, potevano esserci pochi lavori ben pagati. La mancanza di lavori ben pagati – in altre parole, un ritorno inadeguato dal lavoro umano – è ciò che taglia la domanda di prodotti energetici di tutti i tipi. C’è stata anche una caduta della popolazione, ma non è cominciata fino al 1996. La diminuzione della popolazione è continuata fino al 2007. Fra il 1995 e il 2007, la popolazione è scesa di un totale del 1,6%, quindi il collasso sembra aver ridotto il tasso di crescita della popolazione di circa l’1% all’anno. Parte della caduta della popolazione è stata causata dall’eccessivo consumo di alcool da parte di alcuni uomini che avevano perso il lavoro (le loro fonti di flussi di energia) dopo la caduta del governo centrale. 
Quando i prezzi dei beni scendono al di sotto del costo di produzione del petrolio è come se l’economia fosse fredda a causa dei flussi di energia bassi. Il professor Francois Roddier descrive il punto in cui il collasso interviene come il punto di criticità auto-organizzata. Secondo Roddier (corrispondenza privata):


Oltre il punto critico, la ricchezza si condensa in due fasi che possono essere confrontate ad una fase gassosa ed una fase liquida. Un piccolo numero di persone ricche formano l’equivalente di una fase gassosa, mentre un grande numero di persone povere formano l’equivalente di una fase liquida. Come le molecole di gas, le persone ricche monopolizzano gran parte dell’energia ed hanno li libertà di spostarsi. Incorporati nella loro fase liquida, le persone povere hanno perso l’accesso a energia e libertà, Fra i due, la cosiddetta classe media collassa. 

Mi chiederei se quelli che muoiono sarebbero l’equivalente dello stato solido. Non si possono più spostare affatto. 
Analisi dei collassi precedenti
Sono stati eseguiti diversi studi per analizzare i collassi precedenti. Turchin e Nefedov in Cicli secolari analizzano 8 collassi pre combustibili fossili nel dettaglio. La Figura 7 mostra la mia interpretazione dello schema che hanno scoperto.

Figura 7. Forma di un tipico Ciclo secolare, sulla base del lavoro di Peter Turchin e Sergey Nefedov in Cicli secolari.
Di nuovo, lo schema è quello di un Dirupo di Seneca. Alcuni dei problemi che portano al collasso comprendono quanto segue: 
  1. Aumento della popolazione in confronto alla terra coltivabile. O la terra coltivabile veniva divisa in lotti più piccoli, di modo che ogni agricoltore produca di meno, o i nuovi lavoratori ricevevano posti di lavoro “nei servizi”, a salari molto ridotti. Il risultato era il crollo dei guadagni di molti lavoratori non di élite.
  2. Picco dei prezzi di cibo ed energia. I prezzi erano alti a volte a causa della mancanza di offerta, ma tenuti bassi dai salari bassi dei lavoratori. 
  3. Aumento della necessità di risolvere i problemi da parte dei governi (per esempio, andare in guerra per avere più terra, installare sistemi di irrigazione per avere più cibo dalla terra esistente). Ha portato alla necessità di aumentare le tasse, cosa che ha impoverito i lavoratori che non potevano permetterselo. 
  4. Aumento del numero di nobili ed amministratori di alto livello. Il risultato è stato un aumento di disparità nei salari.
  5. Aumento del debito, man mano che più persone non potevano permettersi le necessità primarie.
Alla fine, il lavoratori che sono stati indeboliti dai basi salari e dalle tasse alte hanno avuto la tendenza a soccombere alle epidemie. Alcuni sono morti in guerra. Ancora una volta, abbiamo una situazione di flussi di energia più bassi e i lavoratori a salario più basso che non ricevono un numero sufficiente di questi flussi. Molti sono morti – in alcuni casi il 95%. Queste situazioni sono state molto più estreme di quella della EUS. Il lato positivo è che il fatto che ci fossero poche occupazioni nell’era preindustriale ha significato che coloro che sono sopravvissuti a volte potevano reinsediarsi in altre comunità vicine e continuare a praticare le loro occupazioni.
Joseph Tainter ne Il collasso delle società complesse parla della necessità di un aumento di complessità, man mano che intervengono i ritorni decrescenti. Questo sembrerebbe corrispondere alla necessità di maggiori servizi governativi e ad un aumento di ruolo delle imprese. Nell’aumento di complessità sarebbe incluso anche l’aumento di struttura gerarchica. Tutti questi cambiamenti lascerebbero una parte più piccola di flussi di energia per il lavoratori di grado inferiore – un problema già menzionato. Il dottor Tainter solleva anche il punto che per mantenere la complessità, “La sostenibilità potrebbe richiedere un maggior consumo di risorse, non minore”.
Alcune intuizioni riguardo al problema della Fisica
La Seconda Legge della Termodinamica sembra funzionare in una sola direzione. Parla della tendenza naturale di ogni sistema “chiuso” o degenerato in un sistema più disordinato. Con questa visione, l’implicazione è che l’universo finirà in una morte del calore in cui tutto è alla stessa temperatura. I sistemi dissipativi funzionano nell’altra direzione; creano ordine dove prima non ne esisteva. Le economie diventano sempre più complesse, man mano che le aziende si ingrandiscono e diventano più gerarchiche nella loro forma, i governi fornisco più servizi e il numero di diversi posti di lavoro occupati dai membri dell’economia proliferano. Come spieghiamo questo ordine aggiuntivo? Secondo Ulanowicz, il tradizionale focus della termodinamica è stato sugli stati, piuttosto che sui processi del passaggio da uno stato all’altro. Ciò che serve è una teoria che sia più concentrata sui processi, piuttosto che sugli stati. Scrive: 

… la visione prevalente sulla seconda legge è una versione troppo semplificata della sua vera natura. Detto semplicemente, l’entropia non ha a che fare interamente col disordine. Fuori dall’equilibrio, c’è un lato inverso e largamente misconosciuto della seconda legge che, in alcune circostanze, ordina la creazione di ordine. 

Stiamo osservando l’ordine di creazione dell’ordine. Per esempio, il corpo umano prende l’energia chimica e la trasforma in energia meccanica. C’è un dualismo del sistema entropico che molti non hanno smesso di apprezzare. Anziché avere sempre una tendenza verso la morte del calore come obbiettivo primario, i sistemi hanno una natura a doppio senso a riguardo. I sistemi dissipativi sono in grado di crescere finché raggiungono un punto chiamato criticità auto-organizzata o “punto critico”, poi si contraggono a causa dei flussi di energia inadeguati. Nelle foreste, questo punto di criticità auto-organizzata arriva quando la crescita degli alberi alti comincia a bloccare la luce per le piante più basse. Come già detto in precedenza, a quel punto la foresta comincia a diventare più esposta agli incendi. Ulanowicz mostra che per gli ecosistemi con più di 12 elementi c’è una “finestra di fattibilità” piuttosto ridotta.
Figura 8. Illustrazione di raggruppamento ravvicinato di ecosistemi con più di 12 elementi che indica la ridotta “finestra di fattibilità” di tali ecosistemi. Da Ulanowicz
Se guardiamo il consumo pro capite mondiale di energia, questo sembra indicare a sua volta una “finestra di fattibilità” piuttosto ridotta.
Figura 9. Consumo mondiale di energia pro capite, sulla base dei dati della Revisione Statistica dell’Energia Mondiale della BP del 2015. Stima per il 2015 e note di G. Tverberg.
Quando guardiamo a cosa è accaduto nell’economia mondiale a fianco della storia del consumo mondiale di energia, possiamo vedere uno schema. Prima del 1973, quando il petrolio costava meno di 30 dollari al barile, il consumo di petrolio e l’economia crescevano rapidamente. In questo quadro temporale venivano aggiunte molte infrastrutture (autostrade interstatali, linee elettriche di trasmissione e condutture). Lo shock dei prezzi e la relativa recessione del 1973-74 ha brevemente fatto scendere il consumo di energia. Non è stato che alla fine della ristrutturazione dell’economia nei tardi anni 70 e primi 80 che il consumo di energia è sceso veramente. Sono stati fatti molti cambiamenti: le macchine sono diventate più piccole e più efficienti; la produzione di elettricità è stata cambiata dal petrolio ad altri approcci, spesso il nucleare; la regolamentazione dei servizi pubblici è stata cambiata in direzione di una maggior competizione, scoraggiando così la costruzione di infrastrutture, a mano che non fossero assolutamente essenziali. 
La caduta del consumo di energia dopo il 1991 riflette la caduta dell’Ex Unione Sovietica. L’enorme  dilagare del consumo di energia dopo il 2001 rappresenta l’effetto dell’aggiunta della Cina (con tuti i suoi posti di lavoro e consumo di carbone) alla WTO. Con questi cambiamenti, le necessità energetiche sono diventate permanentemente maggiori, se la Cina doveva avere abbastanza posti di lavoro per il suo popolo. Ogni piccola flessione sembra rappresentare una recessione. Di recente il consumo di energia sembra essere di nuovo basso. Se consideriamo il basso consumo insieme ai bassi prezzi dei beni, questo costituisce una situazione preoccupante. Ci stiamo avvicinando ad una grande recessione, o peggio? 
Se pensiamo all’economia mondiale in relazione al suo punto critico, l’economia mondiale è stata vicina a questo punto dal 1981, ma varie cose ci hanno tirati fuori. Una cosa che ha aiutato l’economia è il tasso di interesse estremamente alto (18%) implementato nel 1981. Questo tasso di interesse alto ha spinto verso il basso l’uso di combustibili fossili a quel tempo. Ha anche dato ai tassi di interessi un percorso molto lungo per scendere. I tassi di interesse in diminuzione hanno un impatto molto favorevole sull’economia. Incoraggiano maggiori prestiti e tendono ad aumentare i prezzi di vendita delle azioni. L’economia ha ricevuto una spinta favorevole dalla diminuzione degli interessi per quasi tutto il periodo fra il 1981 e il presente. 
Anche altri fattori sono stati importanti. Il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 ha portato al resto del mondo un po’ di tempo (ed ha risparmiato estrazione petrolifera per dopo); l’aggiunta della Cina alla WTO nel 2001 ha aggiunto una grande quantità di carbonio a buon mercato nel mix energetico, aiutando ad abbassare i costi energetici. Questi costi energetici bassi, oltre a tutto il debito che la Cina era in grado di aggiungere, hanno permesso al consumo di energia ed all’economia mondiale di crescere ancora – allontanando temporaneamente il mondo dal punto critico. 
Nel 2008, i prezzi del petrolio sono scesi molto in basso. E’ stato solo con il QE che si è potuto portare molto in basso i tassi di interesse e i prezzi dei beni sono tornati a livelli adeguati. Ora siamo di nuovo di fronte a prezzi bassi. Sembra come se fossimo ancora al punto critico e quindi sull’orlo del collasso. Una volta che una struttura dissipativa supera il punto critico, Roddier dice che ciò che lo abbatte sia una valanga di biforcazioni. Nel caso di un’economia, queste potrebbero essere default del debito. In una struttura dissipativa, comunicazione ed informazione immagazzinata sono entrambe importanti. L’informazione immagazzinata, che è molto vicina alla tecnologia, diventa molto importante quando il cibo è difficile da trovare o l’energia si estrae ad alto costo. Quando l’energia si estrae a basso costo, praticamente tutti possono trovare ed usare energia, quindi la tecnologia è meno importante.  
La comunicazione in un’economia è fatta in vari modi, compreso tramite l’uso di soldi e debito. Poche persone capiscono fino a che punto il debito possa dare segnali falsi circa la disponibilità futura di flussi di energia. Così, è possibile che un’economia si accumuli fino a raggiungere una dimensione molto ampia, mentre pochi si rendono conto che questo approccio per costruire un economia è molto simile ad uno schema Ponzi. Può continuare finché i costi energetici sono estremamente bassi o il debito vien aggiunto rapidamente. 
In teoria, i calcoli dell’EROEI (confrontare l’energia prodotta da un dispositivo o prodotto energetico all’energia da combustibili fossili consumata aumentando quel prodotto) dovrebbe comunicare il “valore” di un particolare prodotto energetico. Sfortunatamente, questo calcolo è basato sul fraintendimento comune della natura del problema fisico che ho menzionato all’inizio dell’articolo. (Ciò è vero anche per analisi simili, come le LCA). Questi calcoli comunicherebbero informazioni preziose, se il nostro problema fosse quello di “finire” i combustibili fossili e se il modo per mitigare questo problema fosse usare i combustibili fossili con più parsimonia possibile. Se il nostro problema è aumentare i livelli di debito, l’EROEI e calcoli simili non fanno nulla per mostrarci come mitigare il problema. 
Se l’economia collassa, collasserà ad un livello più basso sostenibile. Gran parte delle infrastrutture mondiali sono state costruite quando il petrolio poteva essere estratto per 20 dollari al barile. Quel tempo se ne è andato da parecchio. Così, sembra che il mondo avrà bisogno di collassare ad un livello antecedente ai combustibili fossili – forse molto precedente ai combustibili fossili. Se fosse di consolazione, il professor Roddier dice che una volta che ricominciano a formarsi nuove economie, i sopravvissuti dopo il collasso tenderanno ad essere più cooperativi. Infatti offre questo grafico.
Figura 10. Visione di F. Roddier di quanto accade dai due lati del punto critico. Da una traduzione (in inglese) in uscita del suo libro “la Termodinamica dell’evoluzione”. 
Sappiamo che se ci sono sopravvissuti, le nuove economie saranno probabili. Non sappiamo esattamente come saranno, eccetto che saranno limitate all’uso di risorse che sono disponibili in quel momento. 
Alcuni riferimenti al lavoro di Francois Roddier (in francese)
THERMODYNAMIQUE DE L’ÉVOLUTION “UN ESSAI DE THERMO-BIO-SOCIOLOGIE”  – La termodinamica dell’evoluzione – libro presto tradotto in inglese. Ad un certo momento sarà disponibile nello stesso sito in inglese.  Roddier scrive:
Questa è una conferenza che ho fatto al CNAM di parigi il 2 dicembre 2013. Il titolo è: Thermodynamique et économie; des sciences exactes aux sciences humaines
In questa conferenza mostro che il modello di rete neurale di Per Bak può essere usata per descrivere un sistema economico come una rete neurale di agenti che cambiano denaro. L’articolo dà una breve spiegazione di come collassano le economie. L’altra conferenza è una che ho fatto a Parigi il 12 marzo del 2015, per lo Jancovici’s Shift Project. Il titolo è:
La thermodynamique des transitions économiques Un video di questa conferenza è disponibile sul web al seguente indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=5-qap1cQhGA In questa conferenza descrivo l’economia in termini di potenziali di Gibbs-Duhem (analoghi ai potenziali chimici). I flussi di soldi misurano i flussi di entropia (con segni opposti). Il costo dell’energia gioca il ruolo di una temperatura inversa. Mostro che i cicli economici sono simili a quelli del motore a vapore. Si auto-organizzano intorno ad un punto critico. 

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Espulsi dal Paese dei Balocchi. Il destino degli anziani nel mondo post-picco

Di Jacopo Simonetta.

“L’86 per cento dei decessi è provocato da malattie croniche, che colpiscono più dell’80 per cento
delle persone oltre i 65 anni. Una vera piaga, che costa alla sanità 700 miliardi di euro all’anno”
Questa frase, letta in un articolino di agenzia, mi ha molto colpito perché solo una cinquantina di anni fa questi stessi dati si sarebbero letti più o meno in questo senso: “L’86% della gente muore di vecchiaia. “  
Sarebbe stato considerato un bel progresso e ci si sarebbe preoccupati di quel 14% di persone che muoiono giovani o quasi.    Che cosa è cambiato?

Per cominciare è aumentata la vita media che, in Italia, in questi 50 anni è passata da circa 65 a quasi 85 anni.   Questo ha cambiato la nostra prospettiva.   Quando ero bambino, un settantenne veniva complimentato per la sua veneranda età, mentre oggi si dice che “è ancora giovane” e si pretende che lavori e produca come quando di anni ne aveva 40.

Questo ci porta alla seconda considerazione.  

Sicuramente l’aumento della vita media è dovuto all’aumento del benessere, ma in modo un po’ diverso a seconda delle classi di età.   Nel bambini, infatti, la drastica riduzione della mortalità è dipesa sia da una migliore alimentazione media che, soprattutto, dalle campagne di vaccinazione di massa.   Per i vecchi i fattori principali sono invece stati il pensionamento ad un’età attorno ai 60 anni ed il miglioramento delle cure per le malattie croniche, da cui siamo partiti.  

Questo ha però provocato un’esplosione dei costi sanitari e sociali che, malgrado le ristrettezze di bilancio, continuano a crescere.    In media, il costo sanitario di ognuno di noi cresce esponenzialmente dopo i 50 anni, il che è semplicemente naturale.   A 50 anni il fisico comincia infatti a deperire e gli effetti dei fattori avversi ad accumularsi.   La spesa sanitaria nell’ultimo anno di vita di ognuno di noi costa alla società praticamente quanto tutta la sua vita precedente.

Costi che necessariamente ricadono sui giovani sotto varie forme, principalmente una  pressione fiscale crescente.   Né il tentativo di tamponare la spesa sociale alzando l’età pensionabile ha dato buoni risultati poiché riduce drasticamente le opportunità di impiego dei giovani.

Ma proprio la crescente età media dell’elettorato preclude qualunque cambiamento di rotta.   La politica non va solo per classi sociali, ma anche per classi di età e non è un caso se, in tutta Europa, oggi circa il 40% della spesa sociale è per gli anziani e poco più del 2% per i giovani.   In Italia, pensioni e sanità assorbono  quasi il 45% del bilancio statale, contro un 9% all’istruzione, uno scarso 10% alla manutenzione delle infrastrutture vitali e poco più del 3% alla difesa.   Nient’altro che la nostra imprevidenza ha creato una situazione in cui gli anziani, volenti o nolenti, sono diventati un peso anziché un sostegno per i giovani.

Nei prossimi decenni le cose andranno rapidamente peggio per il convergere di tre fattori avversi.

  Il primo è il giungere “in dirittura d’arrivo” dei “baby boomers”.    Tra una ventina di anni la maggior parte della popolazione sarà composta da vecchi, né l’immigrazione o una fiammata di natalità potrebbero mitigare la situazione.   Aumentare i bambine ed i giovani di oggi significa semplicemente aumentare i vecchi di domani, con l’unico risultato di gonfiare ulteriormente la bolla demografica e di farla esplodere in condizioni ancora peggiori.   Insomma sarebbe il classico saltare dalla padella nella brace.

Il secondo fattore è la decrescita di parecchie economie, fra cui quelle dei paesi cosiddetti avanzati.   Non possiamo prevedere i modi ed i tempi con cui questo avverrà, ma che il declino economico in corso sia reversibile non ci crede più nessuno.   Nemmeno le roccaforti del BAU, come l’FMI e la World Bank che parlano eufemisticamente di “stagnazione secolare”.   Dunque, con perfetto contrappasso, l’onda dei nati nel periodo di massima crescita economica morirà povera.   E con chi viene non condivideremo benessere.

Il terzo fattore è il peggioramento delle condizioni ambientali come la circolazione di sostanze tossiche, il clima, le tensioni sociali ed i livelli di stress psicologico.   Forse ancora più importante è il fatto che i vecchi attuali hanno cominciato ad esser esposti a molti di questi fattori avversi in età già avanzata, al contrario delle generazioni successive.   Con quali effetti  sanitari è ancora presto per dirlo.

In molti paesi europei (fra cui l’Italia),  nel 2015 si è verificata la prima molto modesta  riduzione dell’aspettativa di vita dalla fine della guerra mondiale.   Solo fra alcuni anni sapremo se si è trattato di un incidente o di un’inversione di tendenza, ma poco importa perché comunque la tendenza si invertirà .   Tanto vale farsene una ragione ed organizzarsi di conseguenza.

Da una parte, dire a qualcuno che per tutta la vita ha lavorato e pagato “non c’è niente per te” è un evidente tradimento.   Dall’altra coloro che oggi hanno dai 50 anni in su si sono goduti i gli anni migliori dell’intera storia dell’umanità; una festa che non è stata per tutti e che non tornerà mai più per nessuno.    Ed ora che abbiamo finito di mangiare la mela, ci troviamo a contenderci il torsolo coi nostri stessi figli.

Volenti o nolenti, saremo costretti a tagliare servizi e pensioni in misura molto più drastica di quanto non si sia fatto finora.   Eliminare le evidenti sacche di sfacciato privilegio in questo campo sarebbe di vitale importanza politica, ma non cambierebbe gran che sotto il profilo strettamente economico.    Dunque quali scenari possiamo prospettare?    Ci sono società in cui gli anziani vengono soppressi o abbandonati negli interstizi delle megalopoli, dove sopravvivono finché possono e come possono, ma io credo che potremmo evitarlo.   A condizione naturalmente di piantarla di fingere che in futuro le cose andranno come ora o perfino meglio.   Ed a condizione di smettere di considerare “normali” degli standard di vita che, nella storia, non si sono mai visti.  La prima cosa da capire è che non è strano quello che sta accadendo.   Molto strano è quello che è accaduto fra il 1950 ed il 2000; ora stiamo tornando alla normalità.

Negarlo od ignorarlo vale solo ad impattare contro la realtà nel modo più duro possibile.   Viceversa, ammetterlo può essere deprimente, ma apre anche delle possibilità per mitigare questo impatto.    Per fare un esempio,  l’Italia è punteggiata di caserme abbandonate, spesso in città.   Invece di cederle alla speculazione edilizia, con poca spesa vi si potrebbero organizzare degli ospizi e delle mense gratuite o quasi, da fare gestire direttamente da chi ne usufruisce.  

 Certo vitto ed alloggio sarebbero frugali, ma poco è infinitamente meglio di niente.

Non pretendo che questa sia necessariamente una buona idea.   Ciò di cui sono però sicuro è che fare finta di niente per 50 anni non ha portato buoni risultati.   Continuare per altri 20 condurrà milioni di persone al disastro.  

Pinocchio pagò caro il soggiorno nel Paese dei Balocchi.   Già con le orecchi d’asino in testa,  preferì giocare ancora un poco.    Il risultato lo sappiamo e se lui se la cavò fu solo perché era di legno e perché era il protagonista del romanzo.   Noi siamo di carne e siamo tutti personaggi di contorno, esattamente come Lucignolo.

L’unica cosa sensata che possiamo fare è buon viso a cattivo gioco ed organizzarci perché questa bufera passi il meno peggio possibile.   Cercare di contrastarla farebbe solo peggio.

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