Effetto Cassandra

Cosa vogliono questi catastrofisti?

Immagine: i contatti del blog “Effetto Risorse” secondo Google Blogger

Credo che Dario Fo non abbia mai dato una definizione di “catastrofista”, ma penso di poter parafrasare una sua vecchia definizione di “masochista” dicendo che “Il catastrofista è uno che gli piacciono le cose che gli fanno schifo.”

Mi è venuta in mente questa cosa dopo aver visto il balzo in avanti folgorante nei contatti di “Effetto Risorse” dopo che abbiamo pubblicato tre post pesantemente catastrofisti, uno dietro l’altro. Non che si possa mai prevedere cosa andrà virale sul Web, ma credo che si possa dire che il catastrofismo tira e tira parecchio. Non solo fra i catastrofisti, ma anche fra gli anti-catastrofisti (vedi l’orribile articolo di Aldo Grasso sul “Corriere”)

Ora, fa sempre piacere avere un impatto, ma non è che lo scopo di questo blog sia di “fare audience.” Nemmeno per idea. E’ però interessante questo fatto del catastrofismo rampante. Si sa che tutto quello che esiste esiste perché ha una ragione di esistere, e questo deve essere vero anche per il catastrofismo. Mi sa che molta gente percepisca, a qualche livello più o meno conscio, che c’è qualcosa di profondamente bacato nel modo in cui ci stiamo gestendo questo povero pianeta. E cerca, per quanto possibile, di informarsi (oppure anche di inveire contro i catastrofisti).

Quindi, tutto questo interesse nelle catastrofi è bene oppure male? In principio, potrebbe anche essere bene ma c’è il problema che nessuno fa niente in proposito (a parte inveire contro i catastrofisti). Mi viene in mente una cosa che mi disse una volta Dennis Meadows, uno degli autori dei “Limiti dello Sviluppo”. “L’errore che abbiamo fatto non è stato di prevedere problemi, ma di non prevedere soluzioni.”

In effetto, credo che Meadows abbia ragione. E’ che è inutile parlare di catastrofi se non si parla anche dei modi per evitarle. Mettiamo soltanto la gente di cattivo umore (o rendiamo felici quelli che gli piacciono le cose che gli fanno schifo). E allora smettiamo di dire che l’energia rinnovabile non serve a niente. Non sarà la soluzione a tutti i problemi, ma è molto meglio che stare al buio a mugugnare.

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Crisi globale: uno sguardo nell’altra direzione.

Di Jacopo Simonetta

Quando si parla e si scrive della crisi che minaccia la nostra civiltà, si focalizza l’attenzione sulle risorse che l’economia richiede in quantità crescenti.   Si ragiona quindi su come i ritorni decrescenti nello sfruttamento delle risorse pongano un’ipoteca sulle possibilità di ulteriore sviluppo dell’economia globale. 

Certamente è un tema di estremo interesse, ma qui io suggerisco di voltarsi e dare un’occhiata dall’altra parte; cioè a cosa succede dove scarichiamo le risorse usate.

In effetti, la nostra società (come tutte le altre nella storia) è una struttura dissipativa.   Ciò significa che esiste solamente in quanto è capace di dissipare energia, accumulando informazione al proprio interno.  Questo genera un anello di retroazione positiva: più energia permette di costruire più complessità e più complessità necessita, ma anche permette, un maggiore flusso di energia.
Io penso che il punto cruciale sia questo: alla fin fine, la ricchezza non è altro che informazione accumulata nel sistema socio-economico di varie forme (ad esempio bestiame, infrastrutture, sistemazioni agrarie, macchine, costruzioni, libri, internet eccetera.) La popolazione umana è particolare perché costituisce essa stessa una grossa fetta dell’informazione accumulata nel sistema sociale.   Quindi, da un punto di vista termodinamico, noi siamo parte integrante della “ricchezza”, mentre da un punto di vista economico la gente può essere vista semmai come il denominatore della ricchezza globale.
Le leggi fisiche ci assicurano che l’accumulo di informazione all’interno di un determinato un sistema è possibile solo aumentando l’entropia al di fuori di esso.   E’ una norma generale a proposito delle strutture dissipative, ma la nostra civiltà è unica nella storia per le sue dimensioni.   Oggi circa il 97% della biomassa di vertebrati terrestri è composta da noi e dai nostri simbionti (bestiame).   Usiamo circa il 50% della produttività primaria, più quasi 20 TWh all’anno che ricaviamo dai combustibili fossili ed altre fonti inorganiche.
Ai suoi albori, la nostra moderna civiltà si comportò allo stesso modo di tutte le altre nella storia: appropriandosi di bassa entropia sotto forma di cibo, bestiame, minerali, schiavi, petrolio, carbone eccetera.   E scaricando alta entropia nella biosfera in forme diverse come inquinanti, semplificazione di ecosistemi, estinzioni, calore, eccetera.   Oppure scaricando entropia ad altre società sotto forma di guerre, migrazioni eccetera.
Ma  mano che l’economia industriale ha soggiogato e sostituito le altre, è diventata l’unico sistema economico globale.   In tal modo, necessariamente, ha trovato sempre più difficoltà a dissipare energia fuori da se stessa.  
In pratica, le discariche (sink) sono diventate un problema prima dei pozzi (well).   Ma ricordiamoci che per mantenere il proprio livello di complessità, una struttura dissipativa ha bisogno di un flusso crescente di energia, cioè ha bisogno sia di pozzi che di discariche inesauribili.
Oggi, sia l’inquinamento globale, sia l’immigrazione di massa verso i paesi più industrializzati evidenziano che il nostro sistema non è più in grado di espellere alta entropia fuori da se stesso, semplicemente perché di questo “fuori” ce ne è sempre di meno.    Ma se l’alta entropia non è scaricata fuori dal sistema, necessariamente si accumula entro di esso.   E man mano che fluisce più energia, aumenta l’entropia interna, minando la complessità.   Una tipica dinamica di Ritorni Decrescenti.   Forse possiamo vedere in questo una retroazione negativa che sta fermando la crescita economica e che, forse, sbriciolerà l’economia globale in qualche decennio.Se questo ragionamento fosse corretto, la crisi economica e politica, la disgregazione sociale e, alla fine, la disintegrazione degli stati non sono altro che l’aspetto visibile dell’entropia che cresce all’interno del mostro meta-sistema.
Attualmente, la società globale è talmente grande e complessa da essere articolata in moltissimi sub-sistemi correlati fra loro.   Stiamo quindi gestendo le cose in modo da aumentare l’entropia nelle parti più periferiche del meta-sistema.   Ad esempio alcuni paesi, classi sociali subalterne e, soprattutto, i giovani che pagheranno il prezzo di tutto il benessere che abbiamo avuto noi.
Ma questo sistema provoca instabilità politica, sommosse e masse di migranti verso il cuore del sistema. Ciò significa anche che la classe dirigente mondiale ha perduto la capacità di capire e/o controllare le dinamiche interne del sistema socio-economico.
Nel frattempo, il sovraccarico delle discariche (sink) sta cominciando a deteriorare i pozzi di bassa entropia (well).   Esempi evidenti sono l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, l’acidificazione degli oceani, l’estinzione di specie, la distruzione di ecosistemi e molto altro ancora.   Alla fine, man mano che l’economia cresce, il sistema sociale necessariamente perde la sua capacità di dissipare energia all’esterno, condannandosi così alla disintegrazione.
Si può trovare lo stesso fenomeno ad una scala minore.   Ad esempio un singolo organismo, come un essere umano.   Se è disponibile un buon flusso di energia in forma di cibo e calore, un bambino cresce diventando un adulto forte e sano.   Un buon flusso di energia durante la vita adulta significa una buona qualità di vita e la possibilità di sviluppare cultura, abilità, arte, scienza e di restare sani per molto tempo.  Scarsa energia significa malnutrizione e malattia.   Ma anche se il corpo assorbe più di quanto riesca a dissipare ci sono problemi come ingrassamento, malattie ed obesità; in definitiva una brutta vita con una prematura morte.
Troviamo sostanzialmente lo stesso fenomeno a scala maggiore.   Anche la Terra nel suo insieme è una struttura dissipativa ed un sistema complesso.   Non ha alcun problema dalla parte del suo pozzo principale: il Sole.   Possiamo contare sul fatto che i circa 86.000 TWh che riceviamo mediamente dal Sole non diminuiranno.   Anzi, semmai aumenteranno molto gradualmente in tempi estremamente lunghi.
 
Eppure proprio ora l’intera Biosfera sta collassando in una delle più gravi crisi mai verificatesi nei circa 4,5 miliardi di anni della sua storia.   Una crisi risultante dell’attività umana che riduce la capacità dell’ecosistema di dissipare l’energia in entrata, in particolare come risultato dell’effetto serra prodotto bruciando combustibili fossili.   Così l’entropia interna cresce minando ulteriormente gli ecosistemi e riducendo la complessità.   Potenzialmente, producendo un disastro globale di portata geologica.
In conclusione, suggerisco che, nei prossimi decenni, l’aumento dell’entropia sarà un problema anche più drammatico del rifornimento di energia.   
Solamente una drastica riduzione nell’ingresso di energia nel sistema socio-economico potrebbe salvare al Biosfera.   Ma ci sarebbe un prezzo elevato da pagare perché una riduzione nel flusso di energia significa necessariamente una riduzione della complessità e della quantità di informazione accumulata nel sotto sistema umano.   In parole povere, questo significherebbe miseria e morte per la maggior parte della popolazione attuale, anche se significherebbe speranza per quella del futuro. 
  
In definitiva, affinché  possano nascere nuove civiltà, è necessario che la nostra collassi abbastanza in fretta da lasciare un pianeta abitabile ai nostri discendenti.

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I mari si stanno sollevando al ritmo più rapido degli ultimi 28 secoli

Da “The New York Times”. Traduzione di MR (via Cristiano Bottone)

Di Justin Gillis


Juan Carlos Sanchez ha remato su un kayak con le proprie scarpe su una strada allagata di Miami Beach lo scorso anno. Lynne Sladky/Associated Press
Gli scienziati hanno dichiarato che il peggioramento delle inondazioni di marea nelle comunità costiere americane è in gran parte una conseguenza dei gas serra da attività umana e che il problema diventerà di gran lunga peggiore nei prossimi decenni. Quelle emissioni, principalmente dovute alla combustione di combustibili fossili, stanno causando l’innalzamento dell’oceano al tasso più rapido almeno dalla fondazione dell’Antica Roma, hanno detto gli scienziati. Hanno aggiunto che in assenza di emissioni umane, la superficie dell’oceano salirebbe meno rapidamente e potrebbe persino scendere. L’inondazione di marea sempre più di routine sta rendendo la vita miserabile in luoghi come Miami Beach; Charleston, Carolina del Sud  Norfolk, Virginia, anche nei giorni di sole. Anche se questi tipi di inondazione spesso producono solo 30-60 cm di acqua salata permanente, stanno rendendo la vita difficile in molte città uccidendo prati ed alberi, bloccando le strade di quartiere e intasando i tombini, inquinando le riserve di acqua dolce e a volte mettendo in difficoltà intere comunità isolane  invadendo per ore le strade che le collegano alla terraferma. 
Eventi del genere sono solo dei precursori del danno in arrivo, suggerisce la nuova ricerca. “Penso che ci serva un modo nuovo di pensare alle inondazioni costiere”, ha detto Benjamin H. Strauss, l’autore principale di uno dei due studi correlati pubblicati lunedì. “Non è la marea. Non è il vento. Siamo noi. Questo è vero per la maggior parte delle inondazioni costiere che stiamo vivendo”. Nel secondo studio, gli scienziati hanno ricostruito il livello del mare nel tempo ed hanno confermato che è molto probabile che cresca più velocemente di qualsiasi momento in 28 secoli, col tasso di aumento che cresce nettamente nell’ultimo secolo; in gran parte, hanno scoperto, a causa del riscaldamento che gli scienziati hanno detto è quasi certamente causato dalle emissioni umane. Hanno anche confermato le previsioni precedenti secondo le quali se le emissioni dovessero continuare ad un tasso alto nei prossimi decenni, l’oceano potrebbe salire dai 90 ai 120 cm entro il 2100.
Gli esperti dicono che la situazione diventerebbe di gran lunga peggiore nel XXII secolo ed oltre e probabilmente richiederebbe l’abbandono di molte città costiere. Le scoperte sono l’ennesima indicazione che il clima stabile in cui la civiltà umana ha prosperato per migliaia di anni, con un oceano ampiamente prevedibile che ha permesso la crescita delle grandi città costiere, sta per finire.   “Penso che possiamo essere assolutamente certi che l’aumento del livello del mare continuerà ad accelerare se ci dovesse essere ulteriore riscaldamento, cosa che ci sarà inevitabilmente”, ha detto Stefan Rahmstorf, un professore di fisica dell’oceano all’Istituto Potsdam per la Ricerca sull’Impatto del Clima in Germania e coautore di uno degli articoli, pubblicati online lunedì da una rivista americana, Proceedings of the National Academy of Sciences. (Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze). In un rapporto pubblicato per accompagnare l’articolo scientifico, un’organizzazione di ricerca climatica e comunicazione di Princeton, nel New Jersey, Climate central, ha usato le nuove scoperte per calcolare che circa tre quarti dei giorni di inondazione di marea ora avvengono in città lungo la costa orientale non avverrebbero in assenza di aumento del livello del mare causato dalle emissioni umane. 
L’autore principale del rapporto, il dottor Strauss, ha detto che la stessa cosa è probabile che valga anche su scala globale, in ogni comunità costiera che abbia avuto un aumento dell’inondazione di acqua salata negli ultimi decenni. L’aumento del livello del mare contribuisce solo ad un grado limitato alle enormi e disastrose mareggiate che accompagnano uragani come Katrina e sandy. In proporzione, ha effetti maggiori sulle inondazioni fastidiose che possono accompagnare quelle che sono conosciute come maree reali. Il cambiamento della frequenza di quelle maree è impressionante. Per esempio, nel decennio dal 1955 al 1964 ad Annapolis, nel Maryland, uno strumento chiamato mareografo ha misurato 32 giorni di inondazione. Nel decennio dal 2005 al 2014 è saltato a 394. I giorni di inondazione a Charleston sono saltati da 34 nel decennio precedente a 219 in quello più recente e a Key West, in Florida, la cifra è saltata da nessun giorno di inondazione nel decennio precedente a 32 in quello più recente. 
La nuova ricerca è stata condotta da Robert E. Kopp, un ricercatore di scienze della terra all’Università Rutgers che si è guadagnato il rispetto dei suoi colleghi portando tecniche statistiche elaborate per affrontare problemi di lunga data, come comprendere la storia del livello del mare complessivo. Sulla base di estese prove geologiche, gli scienziati già sapevano che il livello del mare è salito drasticamente alla fine dell’ultima era glaciale, di circa 121 metri, causando il ritiro delle linee costiere di centinaia di chilometri in alcuni luoghi. Sapevano anche che il livello del mare si è sostanzialmente stabilizzato, come il resto del clima, durante gli ultimi millenni, il periodo in cui è nata la civiltà umana. 
Un automobilista che guida dentro all’acqua di marea Charleston,
Carolina del Sud, lo scorso anno. Nel decennio dal 2005 al 2014,
il numero è salito a 219. Stephen B. Morton/Associated Press
Ma ci sono state piccole variazioni del clima e del livello del mare in quel periodo e il nuovo articolo è il tentativo più esaustivo finora di metterle in chiaro. L’articolo mostra che l’oceano è estremamente sensibile alle piccole fluttuazioni della temperatura terrestre. I ricercatori hanno scoperto che quando la temperatura media globale è scesa di un terzo di grado Fahrenheit nel Medioevo, per esempio, la superficie dell’oceano è scesa di circa 7 cm in 400 anni. Quando il clima si è leggermente riscaldato, quella tendenza si è invertita.
“La Fisica ci dice che il cambiamento del livello del mare e il cambiamento di temperatura potrebbero andare di pari passo”, ha detto il dottor Kopp. “Questa nuova registrazione geologica lo conferma”. Nel XIX secolo, man mano che si è affermata la Rivoluzione Industriale, l’oceano ha cominciato a salire vivacemente, salendo di circa 20 cm dal 1880. Sembra poco, ma ha causato un’erosione estesa in tutto il mondo ed è costata miliardi. Dovute in gran parte alle emissioni umane, le temperature globali sono salite di 1°C dal XIX secolo. Il mare è salito a quello che sembra essere un ritmo accelerato, raggiungendo ultimamente un tasso di circa 30 cm per secolo. Uno degli autori del nuovo articolo, il dottor Rahmstorf, ha precedentemente pubblicato stime che suggeriscono che il mare potrebbe salire di 150-180 cm entro il 2100. Ma con i calcoli migliorati del nuovo articolo, la sua stima maggiore è 90-120 cm. 
Ciò significa che la previsione del dottor Rahmstorf ora è più coerente coi calcoli pubblicati nel 2013 dal IPCC, un organismo dell’ONU che periodicamente rivede e riassume la ricerca climatica. Quell’organismo ha scoperto che le continue alte emissioni potrebbero produrre un aumento del livello del mare da 51 a 97 cm durante il XXI secolo. In un’intervista, il dottor Rahmstorf  ha detto che l’aumento alla fine raggiungerà i 152 cm e molto di più – la sola domanda era quanto tempo ci vorrà. Gli scienziati dicono che il recente accordo sul clima negoziato a Parigi non è lontanamente ambizioso a sufficienza da prevenire una fusione significativa della Groenlandia e dell’Antartide, ma se venisse attuato pienamente potrebbe in qualche modo rallentarne il ritmo. “Il ghiaccio fonde in fretta quando le temperature si alzano”, ha detto il dottor Rahmstorf. “E’ semplice Fisica di base”.

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Luca Mercalli colpisce duro. E qualcuno accusa il colpo

La trasmissione di Sabato scorso di “Scala Mercalli” ha generato un commento abbastanza delirante di Aldo Grasso sul “Corriere della Sera.” A parte il rifugiarsi nelle offese per mancanza di argomenti, basta notare con che argomenti (per così dire) se la prende con Mercalli per aver criticato il carbone.

Secondo Grasso, qualcuno che ha “sostituito la caldaia a gas per risparmiare” verrebbe “fulminato dallo sguardo Mercallesco.” Ma, per favore, un attimo di logica: come si collegano queste due cose? Cosa c’entra il carbone con una caldaia a metano? E perché Mercalli dovrebbe “fulminare” uno che ha fatto una cosa buona migliorando l’efficienza della sua caldaia? E non è la sola mancanza di logica di un articolo senza capo né coda dove si sostiene che Mercalli dovrebbe andare a spaccare a martellate i pannelli fotovoltaici che lui stesso ha installato. Ma perché mai?

Luca Mercalli, evidentemente, ha colpito duro se genera queste reazioni scomposte. Speriamo che continui così!

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L’impero delle bugie

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

La colonna traiana è stata costruita per celebrare le vittorie degli eserciti Romani nelle conquiste della Dacia, durante il secondo secolo D.C. Mostra che i Romani conoscevano ed usavano la propaganda, anche se in forme che a noi sembrano primitive. A quei tempi, proprio come ai nostri, un impero morente poteva essere tenuto insieme per un po’ dalle bugie, ma non per sempre. 

di Ugo Bardi

All’inizio del quinto secolo D.C., Agostino, vescovo di Ippona, ha scritto il suo “De Mendacio” (“Del mentire”). Leggendolo oggi, potremmo sorprenderci di quanto fosse rigido e severo Agostino nelle sue conclusioni. Un cristiano, secondo lui, non poteva mentire in nessuna circostanza, nemmeno per salvare vite o per evitare la sofferenza a qualcuno. In seguito i teologi hanno sostanzialmente ammorbidito questi requisiti, ma c’era una logica nella posizione di Agostino se consideriamo i suoi tempi: l’ultimo secolo dell’Impero Romano.

Ai tempi di Agostino, l’Impero Romano era diventato un impero di bugie. Fingeva ancora di sostenere lo stato di diritto, di proteggere la gente dagli invasori barbari, di mantenere l’ordine sociale. Ma tutto ciò era diventato un brutto scherzo per i cittadini di un impero ridotto a niente di più che una gigantesca macchina militare dedita all’oppressione dei molti per conservare il privilegio di pochi. L’impero stesso era diventato una bugia: che esisteva per la grazia degli Dei che premiavano i Romani a causa delle loro virtù morali. Nessuno poteva crederci più: è stato il collasso del tessuto stesso della società, la perdita di ciò che gli antichi chiamavano auctoritas, la fiducia che i cittadini avevano verso i loro capi e verso le istituzioni dello stato.

Agostino reagiva a tutto questo. Cercava di ricostruire la “auctoritas”, non sotto forma di mero autoritarismo di un governo oppressivo, ma sotto forma di fiducia. Così, ricorreva al’autorità più alta, Dio stesso. Costruiva la sua argomentazione sul prestigio che i cristiani avevano guadagnato ad un prezzo molto alto coi loro martiri. E non solo questo. Nei suoi testi, in particolare nelle sua “Confessioni” Agostino si apriva completamente ai suoi lettori, raccontando loro tutti i suoi pensieri ed i suoi peccati nei minimi dettagli. Era, ancora una volta, un modo per ricostruire la fiducia mostrando che non aveva motivazioni nascoste. E doveva essere severo nelle sue conclusioni. Non poteva lasciare alcuna apertura che permettesse all’Impero delle Bugie di tornare.

Agostino e gli altri antichi padri cristiani erano impegnati, per prima cosa, in una rivoluzione epistemologica. Paolo di Tarso aveva già capito questo punto quando aveva scritto: “ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro, poi vedremo faccia a faccia”. Era il problema della verità, come vederla? Come determinarla? Nella visione tradizionale dell’epistemologia, la verità veniva riportata da un testimone di cui ci si poteva fidare. L’epistemologia cristiana è partita da questo per costruire il concetto di verità come risultato della rivelazione divina. I cristiani chiamavano Dio stesso come testimone.

Era una visione spirituale e filosofica, ma anche una visione molto pratica. Oggi diremmo che i cristiani dei tempi del tardo Impero Romano erano impegnati nella “rilocalizzazione”, abbandonando le strutture costose ed indifendibili del vecchio Impero per ricostruire una società basata sulle risorse locali e l’amministrazione locale. L’era che ne è seguita, Il Medioevo, può essere vista come un periodo di declino ma è stata, piuttosto, un adattamento necessario alla condizioni economiche del tardo Impero. Alla fine, tutte le società devono fare i conti con la verità. L’Impero Romano d’Occidente come struttura politica e militare non poteva farlo. E’ dovuto sparire, in quanto era inevitabile.

Ora, passiamo ai nostri tempi e siamo arrivati al moderno impero delle bugie. Nella situazione attuale, non penso debba dirvi niente che non sappiate già. Durante gli ultimi decenni, la montagna di bugie che ci hanno propinato è stata compensata dalla perdita disastrosa di fiducia nei nostri capi da parte dei cittadini. Quando i sovietici hanno lanciato il loro primo satellite artificiale, lo Sputnik, nel 1957, nessuno dubitava che fosse vero e la reazione dell’Occidente è stata quella di lanciare il loro satellite. Oggi, moltissime persone negano persino che gli Stati Uniti abbiano spedito degli uomini sulla Luna negli anni 60. Potrebbero essere ridicolizzati, potrebbero essere etichettati come teorici della cospirazione, certo, ma ci sono. Forse lo spartiacque di questo collasso di fiducia è stata la storia delle “armi di distruzione di massa” che ci hanno raccontato fossero nascoste in Iraq. Non è stata la loro prima bugia, ma non sarà l’ultima. Ma come ci si può mai fidare di un’istituzione che mente così sfacciatamente? (e che continua a farlo?).

Oggi, ogni affermazione da parte di un governo o da parte di qualsiasi fonte anche lontanamente “ufficiale” sembra generare un’affermazione opposta e parallela di negazione. Sfortunatamente, l’opposto di una bugia non è necessariamente la verità e ciò ha originato un castello barocco di bugie, contro-bugie e contro-contro-bugie. Pensate alla storia degli attacchi dell’ 11 settembre a New York. Da qualche parte, nascosta sotto la massa di leggende e miti che si sono accumulati su questa storia, ci deve essere la verità, una qualche forma di verità. Ma come trovarla quando non ti puoi fidare di niente di ciò che leggi nel web?

Oppure, pensate al picco del petrolio. Al livello più semplice di interpretazione cospirazionista, il picco del petrolio può essere visto come una reazione alle bugie delle società petrolifere che nascondono l’esaurimento delle loro risorse. Ma potreste anche vedere il picco del petrolio come una truffa creata dalle società petrolifere per cercare di nascondere il fatto che le loro risorse sono in realtà abbondanti – persino infinite, secondo la leggenda diffusa del “petrolio abiotico”. Ma, per altri, l’idea che il picco del petrolio è una truffa creata per nascondere l’abbondanza potrebbe essere una truffa di ordine superiore creata per nascondere la scarsità. Teorie di cospirazione di ordine superiore sono possibili. E’ un universo frattale di bugie, dove non ci sono punti di riferimento per dirci dove ci troviamo.

Alla fine, si tratta di un problema di epistemologia. Lo stesso che risale all’affermazione di Ponzio Pilato “cos’è la verità?”. Dove dovremmo trovare la verità nel nostro mondo? Forse nella scienza? Ma la scienza sta rapidamente diventando una setta marginale di persone che farfugliano di catastrofi a venire, persone alle quali nessuno crede più dopo che non sono stati capaci di mantenere le loro promesse di energia troppo a buon mercato da poterla misurare, viaggi interplanetari e macchine volanti. Quindi, tendiamo a cercarla in cose come la “democrazia” e a credere che una maggioranza votante in qualche modo definisca la “verità”. Ma la democrazia è diventata un fantasma di sé stessa: come possono i cittadini fare una scelta informata dopo che abbiamo scoperto il concetto di “gestione della percezione” (in precedenza chiamata “propaganda”)?

Seguendo una traiettoria parallela a quella degli antichi Romani, non siamo ancora arrivati ad avere un imperatore semidivino che risiede a Washington D.C. E a considerarlo come il depositario di una verità divina. E non vediamo ancora una nuova religione prendere il sopravvento ed espellere quelle vecchie. Al momento, la reazione contro le bugie ufficiali assume più che altro la forma che chiamiamo “atteggiamento cospirazionista”. Anche se largamente disprezzato, il cospirazionismo non è necessariamente sbagliato. Le cospirazioni esistono e molta della disinformazione che si diffonde nel web deve essere creata da qualcuno che sta cospirando contro di noi. Il problema è che il cospirazionismo non è una forma di epistemologia. Una volta che decidi che ogni cosa che leggi è parte di una grande cospirazione, a quel punto ti sei chiuso in una scatola epistemologica ed hai buttato via la chiave. E, come Pilato, puoi solo chiedere “cos’è la verità?”, ma non la troverai mai.

E’ possibile pensare ad una “epistemologia 2.0” che ci permetterebbe di riguadagnare la fiducia nelle istituzioni e sui nostri compagni esseri umani? Probabilmente si ma, in questo momento, vediamo come in uno specchio, in modo oscuro. Di certo qualcosa si sta agitando, là fuori, ma non ha ancora assunto una forma riconoscibile. Forse sarà un ideale, forse una rivisitazione di una vecchia religione, forse una nuova religione, forse un nuovo modo di vedere il mondo. Non possiamo dire che forma assumerà la nuova verità, ma possiamo dire che niente può nascere senza la morte di qualcosa. E che tutte le nascite sono dolorose ma necessarie.

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Una seconda rispostina a Rubbia: un po’ più di serietà e di rigore non guasterebbero

In un post precedente, intitolato “Una rispostina a Rubbia,” Claudio della Volpe, dell’Università di Trento, ha commentato sulle molteplici inesattezze ed errori di un intervento a ruota libera di Carlo Rubbia al Senato. Della Volpe commenta soltanto sugli errori di climatologia, ma non sulle soluzioni che Rubbia tira fuori per il cambiamento climatico. Sfortunatamente, se Rubbia ha cominciato male il suo intervento lanciandosi in ardite speculazioni sugli elefanti di Annibale, lo finisce forse peggio con le sue considerazioni sul gas naturale che meritano decisamente un’ulteriore “rispostina.”

Nel suo intervento, Rubbia sostiene che ci sono enormi riserve di  gas naturale, citando i clatrati di metano contenuti nel permafrost. Su questa base, Rubbia dichiara che le energie rinnovabili sono completamente inutili e che un processo che lui sta studiando ci permette di ottenere energia dal gas naturale senza emettere gas serra. Il processo consiste nel trasformare il metano in carbonio (“grafite,” secondo Rubbia) e idrogeno.

Cominciamo dal fatto che nessuno è mai riuscito a estrarre metano dal permafrost, se non a livello di test sperimentali. Così, queste “enormi riserve” al momento, si trovano soltanto sulla carta. Di certo, se fossero facili da estrarre qualcuno le avrebbe già estratte.  Poi, il processo di combustione incompleta che trasforma metano in idrogeno e “carbon black” (detto normalmente “nerofumo” in italiano) è cosa nota da molto tempo. Il problema è che trasformare il gas naturale in questo modo è sfavorito dal punto di vista termodinamico, ovvero richiede energia invece di produrla. E’ anche vero, tuttavia, che si può recuperare energia dalla combustione dell’idrogeno prodotto con un bilancio finale che è teoricamente positivo, ovvero produce energia. Ma bisogna vedere con quanta efficienza lo si può fare nella pratica. Dai dati disponibili, sembra che nella migliore delle ipotesi il processo non sia più efficiente di quello della “sequestrazione” tradizionale del CO2. Non per niente, questo processo non è mai stato utilizzato per produrre energia ma solo per produrre nerofumo e/o idrogeno.

Anche assumendo che ci sia qualche vantaggio energetico nella combustione incompleta del metano, ci sono comunque dei problemini sui quali Rubbia glissa alla grande. Supponiamo di realizzare questo processo su una scala tale da avere un effetto sul cambiamento climatico. Siamo a parlare di qualcosa come 10 miliardi di tonnellate di carbonio in forma di CO2 prodotte tutti gli anni dalla combustione dei combustibili fossili. Questa è la quantità che dobbiamo eliminare, o perlomeno ridurre sostanzialmente. Ora, se lo potessimo trasformare in carbonio solido, è vero che non genererebbe riscaldamento globale. Ma dove la cacciamo questa enorme massa di robaccia? Di certo, se siete preoccupati dell’inquinamento da nanoparticelle (e dovreste esserlo) non sembra proprio una buona idea crearne qualche miliardo di tonnellate in più; circa un fattore mille più grande dell’attuale produzione di nerofumo. E tenete conto che il nerofumo è un materiale tossico e potenzialmente cancerogeno. Forse lo potremmo trasformare in grafite, riducendone il volume e la pericolosità (questa sembra essere l’idea di Rubbia, che non menziona il nerofumo, ma solo la grafite). Ma questo richiede alte temperature e sarebbe un ulteriore costo energetico.
  
E, infine, che sia grafite o nerofumo, questa massa enorme di carbonio rimarrebbe comunque un materiale infiammabile. Dovunque ci possa venire in mente di metterlo, c’è il rischio di incendi. E se questa roba prende fuoco si trasforma in CO2 e siamo al punto di partenza: abbiamo lavorato tanto per niente – anzi, per fare di peggio. Potremmo forse mettere tutto questo carbonio sottoterra? Certo, aiuterebbe a ridurre il rischio, ma a un ulteriore costo energetico: vi immaginate le immense gallerie che dovremmo scavare? E, anche così, non vuol dire che il rischio di incendi verrebbe eliminato. Lo sapevate che ci sono delle miniere di carbone che sono in fiamme da decenni e non si riesce a spegnerle? Il problema degli incendi è un ostacolo fondamentale anche per altri schemi di rimozione del carbonio dall’atmosfera, per esempio per l’idea di trasformarlo in “biochar” e sparpagliarlo nel terreno. E’ per questo che in questo campo si parla quasi esclusivamente di sequestro del CO2 che, pur con tutti i problemi associati, non rischia di prendere fuoco.

Alla fine dei conti, non è privo di senso esplorare l’idea di una combustione incompleta del metano che potrebbe essere utile per qualche scopo. Ma non la si può presentare come la soluzione ovvia al problema climatico, glissando su tutti i problemi associati e sostenendo nel contempo che le rinnovabili non servono a nulla. Insomma, in queste cose ci vorrebbe un po’ più di serietà e di rigore, soprattutto da parte di un premio Nobel.

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“La vecchia normalità è finita”: febbraio 2016 frantuma il record di temperatura globale

Da “Future Tense/Slate”. Traduzione di MR (via Skeptical Science)

Di Eric Holthaus

A febbraio le temperature globali hanno toccato un nuovo record assoluto, frantumando il vecchio record stabilito solo il mese scorso nel bel mezzo di un El Niño da record. Ryan Maue/Weatherbell Analytics

I dati preliminari della temperatura di febbraio sono arrivati ed ora è abbondantemente chiaro: il Riscaldamento Globale sta mettendo la quinta. Ci sono dozzine di serie di dati della temperatura globale e di solito io (e i miei colleghi giornalisti che si occupano di clima) aspetto finché non vengono pubblicati quelli ufficiali, circa a metà del mese successivo, per annunciare un mese di caldo record a livello globale. Ma i dati di questo mese sono così straordinari che non c’è bisogno di aspettare: febbraio ha cancellato il record di temperatura assoluto stabilito il mese scorso.
Usando i dati ufficiosi ed adattandoli a diverse linee di base di temperature, sembra che febbraio 2016 sia stato probabilmente far gli 1,15 e gli 1,4°C più caldo della media a lungo termine e circa 0,2°C al di sopra del mese scorso – niente male per il mese più al di sopra della media mai misurato. (Visto che il globo si era già riscaldato di circa +0,45° gradi al di sopra dei livelli preindustriali durante la linea di base 1981-2010 comunemente usata dai meteorologi, quella quantità è stata aggiunta ai dati pubblicati oggi). Tenete in mente che c’è voluto dall’alba dell’era industriale fino allo scorso ottobre per raggiungere il primo grado Celsius e siamo giunti fino ad altri 0,4°C in più solo negli ultimi cinque mesi. Anche tenendo conto del margine di errore associato a queste serie di dati preliminari, ciò significa che è virtualmente sicuro che febbraio batte comodamente il record stabilito solo il mese scorso come mese più anomalamente caldo mai registrato. E’ impressionante.

Significa anche che per molte aree del pianeta, non c’è stato praticamente inverno. Parti dell’Artico sono state di oltre 16°C più calde del “normale” per il mese di febbraio, portandole a qualche grado al di sopra del punto di congelamento, alla pari coi livelli tipici di giugno, in quello che tipicamente è il mese più freddo dell’anno. Negli Stati uniti, l’inverno è stato di caldo record in città da costa a costa. In Europa ed Asia, dozzine di paesi hanno stabilito o pareggiato i loro record di temperatura assoluti di febbraio. Ai tropici, il caldo record sta prolungando l’episodio di sbiancamento del corallo più lungo mai visto.

L’insediamento permanente più a nord, l’arcipelago delle Svalbard in Norvegia, ha avuto una media di 10°C al di sopra della norma quest’inverno, con temperature che sono salite al di sopra del punto di congelamento in quasi due dozzine di giorni dal primo dicembre. Quel tipo di meteo estremamente inusuale ha portato a stabilire il record minimo del ghiaccio marino artico, soprattutto nell’area del Mare di a nord dell’Europa.

In dati di febbraio sono così schiaccianti che persino i principali scettici del cambiamento climatico hanno già accettato il nuovo record. Scrivendo sul suo blog, l’ex scienziato della NASA Roy Spencer ha detto che secondo i dati satellitari – la serie di dati preferiti dagli scettici del clima per diverse ragioni – febbraio 2016 ha evidenziato anomalie di temperatura “da urlo”, specialmente nell’Artico. Incredulo, Spencer ha anche controllato i propri dati con altri pubblicati ed ha detto che la sovrapposizione è “ il meglio che si possa avere”. Parlando col Washington Post, Spencer ha detto che i dati di febbraio provano “che c’è stato riscaldamento. La domanda è quanto riscaldamento c’è stato”.

Naturalmente, tutto ciò avviene nel contesto di un El Niño da record, che tende a rafforzare le temperature globali per sei-otto mesi oltre il proprio picco invernale – principalmente perché ci vuole quel tempo perché il calore in eccesso per filtrare attraverso il pianeta dall’Oceano Pacifico tropicale. Ma l’influenza de El Niño non è del tutto responsabile dei numeri assurdi che stiamo vedendo. L’influenza de El Niño sull’Artico non è ancora ben conosciuta ed è probabilmente piccola. Infatti, l’influenza de El Niño sulle temperature globali nel complesso è probabile che sia piccola – nell’ordine di 0,1°C, più o meno.

Quindi ciò che sta accadendo ora è la liberazione dell’energia di due decenni di riscaldamento globale che è stata immagazzinata negli oceani dall’ultimo grande El Niño del 1998.

I numeri come questo costituiscono un cambio di passo del sistema climatico del pianeta. Peter Gleick, uno scienziato del clima dell’Istituto del pacifico ad Oakland, in California, ha detto che è difficile confrontare l’attuale picco di temperatura: “Le vecchie ipotesi su cosa fosse la normalità vengono buttate dalla finestra… La vecchia normalità è finita”.

Quasi nel volgere di una notte, il mondo si è portato vicino agli obbiettivi negoziati soltanto lo scorso dicembre a Parigi. Lì, le piccole isole-nazione in prima linea per il cambiamento climatico hanno stabilito un obbiettivo di temperatura non non più di 1,5°C di aumento per il 2100 come una linea sulla sabbia e quel limite è stato accolto dalla comunità globale delle nazioni. Con questo ritmo, potremmo raggiungere quel livello per la prima volta – seppur brevemente alla fine di quest’anno. Infatti, a livello giornaliero, probabilmente ci siamo già. Potremmo trovarci proprio nel cuore di una serie di punti di svolta con implicazioni di vasta portata sulla nostra specie e sulle innumerevoli altre con le quali condividiamo il pianeta.

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Aggiornamento:

Un’analisi giornaliera delle temperature globali mostra che l’emisfero settentrionale ha superato i 2°C al di sopra dei livelli “normali” il 3 marzo 2016. Ryan Maue/Weatherbell Analytics


Aggiornamento del 3 marzo 2016: Da quando questo post è stato originariamente pubblicato, l’ondata di calore ha continuato. Giovedì mattina, sembra che le temperature medie in tutto l’emisfero settentrionale abbiano superato i 2°C al di sopra della soglia “normale” per la prima volta nella storia delle registrazioni e probabilmente la prima volta da quando la civiltà umana è cominciata migliaia di anni fa. Quella soglia è stata mantenuta a lungo (in modo un po’ arbitrario) come il punto al di sopra del quale il cambiamento climatico potrebbe cominciare a diventare “pericoloso” per l’umanità. Ora è arrivato – seppur molto brevemente – molto più rapidamente di quanto previsto. Si tratta di una pietra miliare per la nostra specie. Il cambiamento climatico merita la nostra più grande attenzione possibile.

Correzione, 4 marzo 2016: A causa di un errore nei dati della Weatherbell Analytics, il grafico aggiunto nell’aggiornamento del 3 marzo a questo post mostrava che negli ultimi giorni le temperature avevano raggiunto i 2,5°C al di sopra dei livelli preindustriali. Il grafico è stato sostituito con una versione aggiornata che mostra un picco di temperatura meno drammatico, anche se supera comunque i 2°C se misurato rispetto ai livelli preindustriali. Questo picco è stato riprodotto in una serie di dati separata, quindi rimane una forte certezza che il livello di 2°C si stato superato. (h/t Roberto Ingrosso)

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L’intossicazione dei pesci

Studio: l’aumento delle emissioni di biossido di carbonio costituiscono una minaccia di “intossicazione” anticipata rispetto a quanto si pensasse per i pesci degli oceani del mondo

Da “UNSW Australia”. Traduzione di MR

Di Deborah Smith

Le concentrazioni di biossido di carbonio nell’acqua di mare potrebbero raggiungere livelli sufficienti ad “intossicare” i pesci e a disorientarli molti decenni in anticipo di quanto si pensasse, con implicazioni gravi per la pesca mondiale, hanno scoperto gli scienziati della UNSW. Lo studio della UNSW, pubblicato sulla rivista Nature, è la prima analisi globale dell’impatto dell’aumento delle emissioni di biossido di carbonio da combustibili fossili sulle variazioni naturali delle concentrazioni di biossido di carbonio degli oceani del mondo.

“I nostri risultati sono stati impressionanti ed anno enormi implicazioni per la pesca globale e per gli ecosistemi marini del pianeta”, dice l’autore principale, il dottor Ben McNeil, del Centro di ricerca sul cambiamento climatico della UNSW. “Alte concentrazioni di biossido di carbonio causano l’intossicazione dei pesci – un fenomeno noto come ipercapnia. Essenzialmente, i pesci si perdono in mare. Il biossido di carbonio altera i loro cervelli e i pesci perdono il loro senso della direzione e la capacità di ritrovare la strada di casa. Non sanno nemmeno dove si trovino i loro predatori. “Abbiamo dimostrato che se l’inquinamento atmosferico da biossido di carbonio continua ad aumentare, i pesci e le altre creature marine nelle zuppe di CO2 degli oceani Pacifico del sud e Atlantico del nord avranno episodi di ipercapnia da metà di questo secolo – molto prima di quanto era stato previsto e con effetti più dannosi di quanto pensato. “Entro il 2100, si pensa che le creature di quasi la metà degli oceani della superficie mondiale saranno colpite da ipercapnia”. Lo studio è dei dottori McNeil e Tristan Sasse della Scuola di Matematica e Statistica della UNSW.

https://www.youtube.com/watch?v=eD4xwGhyh9k

L’ipercapnia nell’oceano è prevista sopraggiungere quando le concentrazioni di biossido di carbonio atmosferiche superino le 650 ppm. Gli scienziati della UNSW hanno utilizzato un database globale delle concentrazioni di biossido di carbonio nell’acqua di mare raccolto durante gli ultimi 30 anni come parte di una varietà di programmi oceanografici. “Abbiamo quindi ideato un metodo numerico per elaborare i massimi ed i minimi naturali mensili delle concentrazioni di biossido di carbonio durante l’anno sulla superficie degli oceani del mondo, sulla base di queste osservazioni”, dice il dottor Sasse. “Questo ci ha permesso di prevedere per la prima volta che queste oscillazioni naturali saranno amplificate fino a dieci volte in alcune regioni dell’oceano per la fine del secolo, se le concentrazioni di biossido di carbonio atmosferico continuano ad aumentare”. Per aiutare ad accelerare quest’importante are di ricerca, gli scienziati della UNSW hanno anche offerto premi ad altri ricercatori che possono migliorare i loro risultati. “Prevedere l’inizio della ipercapnia è difficile, a causa dalla mancanza di misurazioni oceaniche globali delle concentrazioni di biossido di carbonio”, dice McNeil. “Stiamo sfidando altri scienziati con approcci predittivi innovativi a scaricare l’insieme dei dati che abbiamo usato, impiegare i loro metodi numerici e condividere le loro previsioni finali, per vedere se possono battere il nostro approccio”. La competizione e i premi sono descritti sul sito web thinkable.org, di cui il dottor of Dr McNeil è fondatore.

Contatti media:

Dottor Ben McNeil: b.mcneil@unsw.edu.au
Dottor Tristan Sasse: t.sasse@unsw.edu.au
Addetta stampa scientifica della UNSW: Deborah Smith: 9385 7307, 0478 492 060, deborah.smith@unsw.edu.au

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Cambiare lo stile di vita contro il cambiamento climatico

Da “The Guardian”. Traduzione di MR

Un documento trapelato dalla Commissione Europea fa appello per un dibattito allargato su come mantenere il riscaldamento globale a 1,5°C


La centrale elettrica di Ratcliffe-on-Soar, nel Nottinghamshire. ‘La rimozione di CO2’ potrebbe risucchiare le emissioni dall’aria. Foto: David Davies/PA

Di Arthur Neslen

I paesi europei si dovrebbero preparare per un dibattito di vasta portata sui “profondi cambiamenti di stile di vita” richiesti per limitare il cambiamento climatico, secondo un documento trapelato della Commissione Europea. La Commissione dirà all’incontro dei Ministri degli Esteri, lunedì a Brussels, che serve un dibattito a livello europeo su come limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, secondo una squadra che lavora ad un documento per i Ministri contattata da The Guardian. E’ stato scritto in risposta al summit climatico di Parigi della fine di dicembre, che ha concordato un piano per tagliare le emissioni fino allo zero netto per meta secolo e per l’intenzione di bloccare il riscaldamento globale a 1,5°C. Le temperature sono già aumentate di 1°C dal periodo preindustriale e premere sui freni del cambiamento climatico “non è affatto un’impresa facile”, dice il documento. “Richiederà l’esplorazione di possibilità per realizzare emissioni “negative” così come di profondi cambiamenti di stile di vita delle generazioni attuali”.

Le emissioni negative possono riferirsi alla tecnologia di ‘carbon capture and storage’ alimentata dalla biomassa, alla geoingegneria dell’atmosfera e degli oceani, o alla rimozione di CO2 che risucchia le emissioni dall’aria. Una revisione dell’ambizione dell’impegno a tagliare le emissioni di almeno il 40% dai livelli del 1990 entro il 2030 sarà cruciale, aggiunge l’articolo. Ciò avrà luogo dopo la pubblicazione di un rapporto da parte del IPCC, nel 2018. “Non c’è necessità che la UE aggiorni il suo obbiettivo principale per il 2030 a causa di questo processo nel 2020, ma il quadro temporale presenta alla UE una opportunità di farlo”, dice. La fine del decennio sarà “il solo momento politico significativo prima del 2030 per fare leva su una maggiore ambizione da parte di altre grandi economie come Cina ed India”, così come Stati Uniti e Brasile, afferma il documento. Tuttavia, si sa che la Commissione Europea sta già sviluppando scenari per l’aumento del taglio delle emissioni tramite risparmi energetici ed una nuova direttiva sull’energia rinnovabile. In quel contesto, i gruppi verdi hanno detto di essere delusi dal fatto che l’azione per l’obbiettivo conquistato a fatica degli 1,5°C e stata ritardata.

“La UE deve rifare i suoi compiti a casa e stabilire un percorso per soddisfare una maggior efficienza energetica ed obbiettivi per le rinnovabili”, ha detto il consigliere per le politiche climatiche della UE di Greenpeace, Bram Claeys. “Non possiamo avere fiducia in un piano che gioca a tira e molla col riscaldamento globale e non accelera il passaggio dell’Europa al 100% di energia rinnovabile”. Wendel Trio, direttore di Climate Action Network-Europe, ha detto: “Come tutti gli altri paesi, la UE deve assicurare che le sue politiche siano coerenti con ciò che è stato concordato a Parigi e deve aumentare sostanzialmente i propri obbiettivi per il 2020, 2030 e 2050. Questa discussione deve aver luogo adesso e non venire posticipata per altri tre o cinque anni, come propone la Commissione Europea”. I capi della UE devono discutere la possibilità di alzare l’obbiettivo della UE per il 2030 in un summit il 17-18 marzo. Ma figure potenti all’interno della Commissione cercheranno di assicurarsi che questo avvenga tramite una revisione del blocco delle regole per il mercato del carbonio nel 2023.

Il dirigente capo per il clima della UE, Miguel Arias Cañete, ha già segnalato che gli piacerebbe che l’Unione ratifichi l’accordo sul clima di Parigi ad una conferenza a New York il 22 aprile. “E’ nell’interesse della UE di unirsi presto, a fianco di Stati Uniti e Cina ed altri paesi dalle “grandi ambizioni”, dice l’articolo. Altri scenari legali potrebbero anche permettere che l’accordo entri in vigore senza la partecipazione della UE. Le decisioni di alzare l’ambizione climatica saranno molto combattute, con paesi dipendenti dal carbone come la Polonia che probabilmente punteranno i piedi. “La scala potenziale di tale profonda trasformazione richiederà un ampio dibattito sociale in Europa”, dice il documento, che è stato preparato unitamente dalla Commissione Europea e dall’ufficio esteri, il servizio di azione esterna europea. Un aumento di 2°C delle temperature globali potrebbe avere conseguenze che comprendo la migrazione del 20% della popolazione mondiale dalle città inondate dall’aumento del livello del mare, come New York, Londra e Il Cairo, secondo uno studio pubblicato questo mese.

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Malthus aveva ragione. E adesso?

Da “Montreal Gazette”. Traduzione di MR (via Emilio Martines)




Thomas Robert Malthus ha scritto, in questo Saggio sul Principio di Popolazione che, se lasciata senza controllo, la crescita della popolazione umana avrebbe incontrato i propri limiti. MONTREAL GAZETTE FILES


Di Madeline Weld

Sabato era il 250° anniversario della nascita di Thomas Robert Malthus. Vorrei augurargli molti ritorni felici. E lui continua a tornare, non è così?. Nonostante tutti quelli che dicono che abbia sbagliato tutto o sia fuori moda. Il suo saggio sul Principio di Popolazione sosteneva che, se lasciata senza controllo, la popolazione umana avrebbe incontrato i propri limiti: “Il potere della popolazione e infinitamente più grande del potere della Terra di produrre sussistenza per l’uomo”. Ha previsto carestia, malattie e molta sofferenza, specialmente fra i più poveri. Ma oltre a queste “constatazioni negative”, ha anche riconosciuto “constatazioni preventive” come limitare i tassi di nascite e matrimoni ritardati. Come ecclesiastico, sosteneva “il casto posticipo del matrimonio”.

Circa 218 anni dopo la pubblicazione della prima edizione del suo controverso trattato, stiamo ancora discutendone. Nel 1798, la popolazione mondiale era di meno di un miliardo di persone. Ora è di 7,4 miliardi e cresce ancora. Negli ultimi 40 anni, è aumentata di un miliardo ogni 12-13 anni. Alcune persone dicono che non è un problema, che stiamo meglio che mai. La Rivoluzione verde ha tamponato la fame in India prevista da Paul Ehrlich nel suo “La bomba della popolazione”. I progressi in agricoltura, medicina ed altre tecnologie ci hanno resi più ricchi e sani. Julian Simon ha persino detto che avere sempre più persone è una cosa buona, visto che gli esseri umani sono “la risorsa finale”ed ogni bocca da nutrire porta un paio di mani per lavorare e un cervello per risolvere i problemi. Cosa potrebbe mai andare male?

Ma le cose stanno andando seriamente male. Per rifornire la nostra popolazione sempre crescente, nelle parole di Ehrlich, stiamo trasformando il pianeta in una “mangiatoia per esseri umani”. Abbiamo occupato circa un terzo della superficie terrestre e rastrellato gli oceani, spazzando via diversi grandi settori di pesca ed esaurendo il resto. La nostra “soluzione” dell’allevamento di pesce crea altri problemi. Le colture ad alto rendimento della Rivoluzione Verde richiedono pesticidi, fertilizzanti ed acqua. I primi due stanno diventando sempre più costosi, l’ultima più scarsa in molte aree. L’appetito dell’homo sapiens è enorme. Mentre lottiamo per raggiungere risorse in diminuzione per sempre più persone, scaviamo più in profondità nella terra, scoperchiamo le cime delle montagne, deviamo fiumi, abbattiamo foreste e pavimentiamo intere aree di territorio. Riempiamo la terra, l’acqua e l’aria del nostro inquinamento. Stiamo portando un numero record di specie all’estinzione e decimandone altre con attività dall’avvelenamento chimico alla caccia di selvaggina, o semplicemente occupando il loro habitat.

I gas serra della nostra industria stanno cambiando il clima della terra, con conseguenza pericolose come l’acidificazione dell’oceano, l’aumento dei livelli del mare e l’inondazione, i cambiamenti negli schemi delle precipitazioni, compreso in “aree paniere” vitali, e perdita di copertura forestale. Anche se la parola sostenibile è diventata popolare, i numeri in aumento degli esseri umani e delle attività sono tutto fuorché sostenibili. L’aumento di consapevolezza dei nostri impatti ha portato allo sviluppo di energie rinnovabili, riciclaggio, agricoltura rispettosa della terra ed altro. Ci sono stati anche progressi spettacolari nella pianificazione famigliare. Ma un’opposizione potente – in particolare religiosa – ha impedito ai governi ed agli organismi internazionali di promuovere attivamente famiglie piccole e impedito a centinaia di milioni di donne, che pianificherebbero le loro famiglie, di farlo avendo accesso ai metodi moderni.

Coloro che negano che la sovrappopolazione sia un problema dicono che i poveri non consumano molto. Eppure i poveri non vogliono nient’altro che consumare di più, come provato da India e Cina. Chi può biasimarli? E un numero crescente di persone disperatamente povere ha un grande impatto: tagliano le foreste per coltivare cibo, drenano fiumi, esauriscono falde acquifere e pescano e cacciano in eccesso nelle loro aree locali. Ma sollevate questi punti e sarete accusati di dare la colpa ai poveri per i problemi dei ricchi. Sembra che siamo destinati ad imparare nel modo più difficile che c’è davvero un limite al numero di persone che la Terra può sostenere. Vorremmo che non fosse così, ma sta veramente cominciando a sembrare che Malthus avesse ragione.

Madeline Weld è presidentessa del Population Institute Canada, con sede ad Ottawa.

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