Effetto Cassandra

Febbraio infrange i record di temperatura in modo “scioccante”

Da “The Guardian”. Traduzione di MR (via Cristiano Bottone)

Avvertimenti di emergenza climatica dopo che le temperature superficiali si sono scaldate di 1,35°C rispetto alla media del mese.


Terra colpita dalla siccità in Thailandia. Stefan Rahmstorf, dell’Istituto per la Ricerca sull’Impatto Climatico di Potsdam in Germania, dice che le temperature globali di febbraio sono “senza precedenti”. Foto: Rungroj Yongrit/EPA

Di Damian Carrington e Michael Slezak

Febbraio ha stracciato un secolo di registrazioni della temperatura di un margine “sbalorditivo”, secondo i dati pubblicati dalla NASA. Il salto senza precedenti ha portato gli scienziati, di solito cauti nel sottolineare la temperature di un solo mese, ad etichettare il nuovo record come “sconvolgente” ed danno l’allarme di una “emergenza climatica”. I dati della NASA mostrano che la temperatura media di superficie a febbraio è stata di 1,35°C più alta della temperatura media del mese fra il 1951 e il 1980, un margine di gran lunga maggiore di qualsiasi altro mai visto prima. Il record precedente, stabilito solo il mese prima a gennaio, è stato di 1,15°C al di sopra della media a lungo termine di quel mese. “La NASA ha lanciato una rapporto climatico esplosivo”, hanno detto Jeff Masters e Bob Henson, che hanno analizzato i dati del sito Weather Underground. “Febbraio ha superato il vecchio record mensile di 0,21°C pieni – un margine straordinario con cui battere un record di temperatura mondiale su base mensile”. “Questo risultato è davvero scioccante ed è l’ennesimo promemoria dell’aumento a lungo termine incessante della temperatura globale conseguenza dei gas serra prodotti dagli esseri umani”, hanno detto Masters ed Henson. “Ora stiamo sfrecciando ad un ritmo spaventoso verso il massimo di riscaldamento concordato di 2°C al di sopra dei livelli preindustriali”.

Indice di temperatura globale di terra ed oceani

Cambiamenti in °C, periodo base 1951-1980


Grafica del Guardian | Fonte: NASA 

Il summit sul clima dell’ONU a Parigi in dicembre ha confermato i 2°C come il limite pericoloso del riscaldamento globale che non deve essere superato. Ma ha anche concordato di “perseguire sforzi” per limitare il riscaldamento agli 1,5°C, un obbiettivo che ora sembra molto ottimistico. Il cambiamento climatico di solito viene valutato in anni e decenni e il 2015 ha stracciato il record stabilito nel 2014 come anno più caldo, coi dati che risalgono al 1850. Il Met Office britannico si aspetta che il 2016 stabilisca un nuovo record, il che significa che il record di temperatura globale sarà stato battuto per tre anni di fila. Una delle tre temperature chiave del mondo viene presa dal Goddard Institute for Space Studies (Giss) della NASA e il suo direttore, il professor Gavin Schmidt ha reagito alle misure della temperatura con un semplice “wow”. Ha tweettato:

“Ci troviamo in una specie di emergenza climatica adesso”, ha detto il professor Stefan Rahmstorf, dell’Istituto per la Ricerca sull’Impatto Climatico di Potsdam, in Germania. Rahmstorf ha detto a Fairfax Media: “Ciò è veramente impressionante… è del tutto senza precedenti”. “Si tratta di un risultato preoccupante”, ha detto Bob Ward, direttore delle politiche dell’istituto di Ricerca sul Cambiamento Climatico Grantham della London School of Economics, osservando che ognuno degli ultimi cinque mesi sono stati più caldi di qualsiasi altro mese che li ha preceduti. “Questi risultati suggeriscono che potremmo essere anche più vicini di quanto ci rendessimo conto al superamento del limite dei 2°C. Abbiamo finito tutto il nostro spazio di manovra. Se ritardiamo ancora forti tagli alle emissioni di gas serra, sembra che la temperatura media di superficie è probabile che superi il livello oltre il quale gli impatti del cambiamento climatico è probabile che siano molto pericolosi”.  Un grande evento de El Niño, il più grande dal 1998, sta aumentando le temperature globali, ma gli scienziati sono concordi sul fatto che il riscaldamento globale alimentato dalle emissioni di gas serra dell’umanità siano di gran lunga il fattore più grande della corsa stupefacente dei record di temperatura. Il professor Adam Scaife, del Met Office, ha detto che i livelli molto bassi di ghiaccio Artico hanno a loro volta aiutato ad aumentare le temperatura: “C’è stato un record negativo del ghiaccio dell’Artico per due mesi ancora in corso e che rilascia un sacco di calore”. Scaife ha detto che il Met Office ha previsto un 2016 da record già in dicembre. “Non è che non si potessero prevedere queste cose”.

Ed Hawkins, uno scienziato del clima dell’Università di Reading, Regno Unito, ha detto: “E’ un salto molto grande fra gennaio e febbraio, anche se questi dati della NASA sono solo il primo insieme di dati della temperatura globale. Dovremo vedere cosa dicono le cifre dio NOAA e Met Office. E’ in linea con le nostre aspettative che a causa dell’effetto continuo delle emissioni di gas serra, abbinato all’effetto de El Niño, il 2016 è probabile che batta il 2015 come l’anno più caldo mai registrato”. Il record di aumento annuale delle concentrazioni atmosferiche di biossido di carbonio, il gas serra principale, è stato a sua volta demolito nel 2015. Bruciare combustibili fossili e il forte El Niño hanno spinto i livelli di CO2 ad aumentare di 3,05 ppm, fino a 402,6, ppm rispetto al 2014. “I livelli di CO2 stanno aumentando più rapidamente di quanto abbiano fatto negli ultimi centinaia di migliaia di anni”, ha detto Pieter Tans, scienziato capo della Rete di Riferimento per i Gas Serra Globali del NOAA. “Sono esplosivi rispetto ai processi naturali”.… more

La grande carestia globale – Le conseguenze del picco del petrolio

Da “peakoil.com”. Traduzione di MR

(articolo anonimo di uno degli editori di Peak Oil)

L’umanità ha lottato per sopravvivere durante i millenni in termini di tendenza della Natura ad equilibrare la dimensione della popolazione con la disponibilità di cibo. La stessa cosa vale oggi, ma i numeri della popolazione si sono gonfiati per oltre un secolo. Il petrolio, il fattore limitante, è vicino o oltre il suo picco di estrazione. Senza petrolio che fluisce abbondantemente non sarà possibile sostenere una popolazione di diversi miliardi a lungo.Senza combustibili fossili per fertilizzanti e pesticidi, così come per coltivare e raccogliere, i rendimenti agricoli diminuiscono di oltre due terzi (Pimentel, 1984; Pimentel & Hall, 1984; Pimentel & Pimentel, 2007). Nei prossimi decenni, ci sarà una carestia su una scala molte volte maggiore di quanto sia mai accaduto prima nella storia umana. E’ possibile, naturalmente che guerra e peste, per esempio, si faranno pagare il loro dazio su grande scala prima che la carestia rivendichi le sue vittime. Le distinzioni, in ogni caso, non possono mai essere assolute: spesso “guerra + siccità = carestia (Devereux, 2000, p. 15), specialmente nell’Africa sub-sahariana, ma ci sono diverse altre combinazioni di fattori.

Anche se quando si parla di teorie della carestia gli economisti di solito usano il termine “neo-malthusiano” in modo dispregiativo, la carestia in arrivo sarà molto un caso di squilibrio fra popolazione e risorse. La causa ultima sarà: l’esaurimento dei combustibili fossili, non le politiche di governo (come nei giorni di Stalin e Mao), guerra, discriminazione etnica, meteo cattivo, cattivi metodi di distribuzione, trasporti inadeguati, malattie del bestiame o qualsiasi altra variabile che ha spesso trasformato il semplice appetito in vera fame. L’aumento della popolazione mondiale ha seguito una curva semplice: da 1,7 miliardi nel 1900 agli oltre 7 miliardi di oggi. Un rapido sguardo ad un grafico della popolazione mondiale, su una scala temporale più ampia, mostra una linea quasi orizzontale per migliaia di anni che poi fa un’ascesa quasi verticale man mano che si avvicina al presente. Non si tratta solo di una divertente curiosità. E’ un fatto scioccante che avrebbe dovuto svegliare l’umanità alla consapevolezza che c’è qualcosa di terribilmente sbagliato. La specie umana è sempre preda della propria “esuberanza”, per usare il termine di Catton. Ciò è stato certamente vero per la crescita della popolazione. In molte culture, “Hai dei bambini?” o “Quanti bambini hai?” è una forma di saluto o civiltà equivalente a “Come stai?” o “Piacere di vederti”. La crescita della popolazione mondiale, tuttavia, è stata sempre un azzardo ecologico. Con ogni aumento dei numeri umani siamo a malapena in grado di stare al passo con la domanda: fornire a tutte queste persone cibo ed acqua non è stato facile. Ci spingiamo sempre ai limiti della capacità della Terra di sostenerci (Catton, 1982).

Persino questa è una sottovalutazione. A prescindere da come abbiamo esaurito le nostre risorse, c’è sempre stata la sensazione che potevamo in qualche modo “cavarcela”. Ma alla fine del XX secolo abbiamo smesso di cavarcela. E’ importante fare la differenza fra produzione in senso “assoluto” e produzione “pro capite”. Anche se la produzione di petrolio, in numeri “assoluti”, è continuata ad aumentare – solo per declinare nel XXI secolo – ciò che è stato ignorato è stato che anche se la produzione “assoluta” stava salendo, la produzione “pro capite” ha raggiunto il suo picco nel 1979 (BP, annuario). La distribuzione diseguale delle risorse giocano una parte. L’abitante medio degli Stati Uniti consuma di gran lunga di più dell’abitante medio di India e Cina. Ciononostante, se tutte le risorse mondiali fossero distribuite equamente, il risultato sarebbe solo povertà universale. Sono i totali e le medie delle risorse con cui dobbiamo avere a che fare per determinare i totali e le medie dei risultati. Per esempio, se tutta la terra coltivabile del mondo fosse distribuita in modo equo, in assenza di agricoltura meccanizzata ogni persona sul pianeta avrebbe comunque una quantità inadeguata di terreno coltivabile per la sopravvivenza: la distribuzione avrebbe ottenuto molto poco.

Abbiamo sempre raschiato i bordi della terra, ma ora stiamo entrando in un’era di gran lunga più pericolosa. Il punto principale da tenere in mente è che, in tutto il XX secolo, mentre la popolazione saliva il petrolio faceva altrettanto. L’eccesso di mortalità futura può pertanto essere determinata – perlomeno in modo rudimentale – dal fatto che nella moderna società industriale è ampiamente la disponibilità di petrolio che determina quante persone si possono sfamare. Non c’è una precisa relazione casuale, naturalmente, fra produzione di petrolio e carestia. Suggerire una cosa del genere sarebbe in conflitto con altri modi di stimare la popolazione futura. Un’altra cifra, strettamente collegata, potrebbe essere il rapporto fra popolazione e terreno coltivabile. Anche così, la storia della carestia non suggerisce una correlazione esatta fra popolazione e terreno coltivabile. Di certo negli anni 50 c’erano grandi carestie anche se la popolazione mondiale era solo un terzo di quella di oggi. Ó Gráda sostiene che le peggiori carestie in tempi recenti sono state di fatto in paesi che si comportano relativamente bene in termini di rapporto fra popolazione e terreno coltivabile: Angola, Etiopia, Somalia, Mozambico, Afghanistan e Sudan. Di fatto la carestia, perlomeno fino ai nostri giorni, sembra essere stata più collegata alla politica che al terreno coltivabile o altre risorse.

La carestia causerà anche una diminuzione del tasso di nascite (Devereux, 2000; Ó Gráda, marzo 2007). Questo a volte accadrà in modo volontario, in quanto le persone si renderanno conto di non avere le risorse per allevare figli, o accadrà involontariamente quando la carestia e il cattivo stato di salute generale portano all’infertilità. Nella maggior parte delle carestie il nomero di morti per fame o per malattie indotte dalla fame è molto approssimativamente lo stesso di quello delle nascite mancate o evitate. Durante la carestia in Irlanda nel XIX secolo, il numero di morti per carestia è stato di 1,3 milioni, mentre il numero di mancate nascite è stato di 0,4 milioni. Tuttavia, il numero di morti per carestia durante il “Grande balzo in avanti” cinese (1958-1961) probabilmente è stato di 30 milioni e il numero delle nascite mancate forse di 33 milioni. I tassi “normali” di nascite e morti, non collegate alla carestia, non sono un fattore nel determinare il futuro dei futuri numeri della popolazione, visto che per gran parte della storia umana preindustriale la somma dei tassi di nascite e morti – in altre parole, il tasso di crescita – è stato prossima allo zero: 2.000 anni fa la popolazione globale era di circa 300 milioni e ci sono voluti 1.600 anni perché la popolazione raddoppiasse. Se non fosse per il problema dell’esaurimento delle risorse, in altre parole, i tassi futuri di nascite e morti sarebbero quasi identici, come lo erano in tempi preindustriali. (E non c’è dubbio che il futuro significherà un ritorno al “preindustriale”).

Ciononostante, sarà spesso difficile separare le “morti per carestia” da una categoria piuttosto ampia di “altre morti in eccesso”. Guerra, malattie e altri fattori avranno effetti imprevedibili di per sé. Considerando la durata inusuale della carestia in arrivo, e con Leningrado (Salisbury, 2003) come uno dei molti precursori, il cannibalismo potrebbe essere significativo. In che misura questo dovrebbe essere incluso nel calcolo delle “morti per carestia”? In ogni caso, è probabilmente sicuro dire che ogni declino solitamente grande della popolazione di un paese sarà l’indicatore più significativo che questa prevista carestia sia di fatto arrivata. Dobbiamo ignorare la maggior parte delle stime precedenti della futura crescita della popolazione. Invece di un costante aumento nel corso di questo secolo, come viene generalmente previsto, ci sarà uno scontro fra le due gigantesche forze di sovrappopolazione ed esaurimento del petrolio, seguito da una corsa precipitosa in un futuro sconosciuto. Siamo mal preparati per gli anni a venire. Il problema dell’esaurimento del petrolio risulta essere qualcosa di diverso da un po’ di speculazione macabra con cui le persone di un lontano futuro avranno a che fare, ma piuttosto una catastrofe improvvisa che verrà studiata spassionatamente soltanto molto dopo che l’evento stesso si sarà verificato. Il giorno del giudizio sarà su di noi prima che avremo il tempo di guardarlo con cura.

Il mondo ha certamente conosciuto alcune terribili carestie in passato. Nei secoli recenti, una delle peggiori è stata quella del nord della Cina nel 1876-79, quando fra i 9 ed i 13 milioni di persone sono morte, ma l’India ha avuto una carestia allo stesso tempo, con forse 5 milioni di morti. L’Unione Sovietica ha avuto circa 5 milioni di morti per carestia nel 1932-34, puramente a causa di politiche fuorviate. La peggior carestia della storia è stata il grande salto in avanti cinese, 1958-61, quando sono morte forse 30 milioni di persone, come detto sopra. Un’analogia più prossima alla “carestia da petrolio” in arrivo potrebbe essere la carestia della patate dell’Irlanda degli anni 40 del 800, visto che – come il petrolio – è stato un singolo bene che ha causato una tale devastazione (Woodham-Smith, 1962). La risposta del governo britannico di allora può essere riassunta come un’accozzaglia di incompetenza, frustrazione e indecisione, se non di aperto genocidio, e la stessa cosa potrebbe essere vera di qualsiasi altra risposta governativa. Come detto in precedenza, la popolazione non è collegata con precisione matematica alla produzione di petrolio. La seconda fornisce solo un’indicazione approssimativa della prima. In una certa misura, le persone impareranno a vivere con meno. Di certo gran parte degli occidentali possono ridurre i loro standard di vita considerevolmente e vivere ugualmente vite salutari – forse anche più salutari, visto che mangerebbero meno e camminerebbero di più. Le persone passerebbero anche ad altre fonti di energia: in particolare, la legna può sostituire i combustibili fossili, anche se la quantità di legna non sarà sufficiente per miliardi di persone (Non solo: la combustione di legna sarà un grande problema per il clima, la biodiversità e l’inquinamento da sostanze cancerogene, ndt). Tutti questi adattamenti allevieranno le cose per un po’, anche se il problema fondamentale rimarrà: che i combustibili fossili declineranno ad un ritmo molto più rapido di qualsiasi riduzione volontaria delle nascite.

Le previsione fatte sopra non possono che essere approssimazioni, ma persino la matematica più elaborata non ci aiuterà interamente ad affrontare il gran numero di fattori che interagiscono. Dobbiamo passare ad un dato più pessimistico del futuro dell’umanità se includiamo gli effetti di guerra, malattie e così via. Uno dei fattori negativi più gravi sarà ampiamente sociologico: in che misura l’industria petrolifera può mantenere la tecnologia avanzata necessaria per trivellare pozzi sempre più profondi in posti sempre più remoti, quando l’industria lotterà per sopravvivere in un ambiente di caos sociale? Divisione del lavoro complessa, governo su larga scala e istruzione di alto livello non esisteranno più. D’altra parte, ci sono elementi di ottimismo che potrebbe essere necessario collegare. Non dobbiamo dimenticare la grande tenacia della specie umana: siamo creature sociali intelligenti che vivono in cima alla catena alimentare, come i lupi, eppure surclassiamo i lupi nel mondo di circa un milione a uno. Siamo tanti quanto i ratti e i topi. Possiamo  superare un cavallo su lunghe distanze. Persino con una tecnologia da Età della Pietra, possiamo abitare in quasi ogni ambiente sulla Terra, persino se gran parte delle capacità di sopravvivenza sono state dimenticate.

Nello specifico, dobbiamo considerare il fatto che né la geografia né la popolazione sono omogenee. In tutto il mondo, ci sono sacche dimenticate di terra abitabile, la maggior parte abbandonata nella moderna transizione all’urbanizzazione, per la ragione ironica che gli abitanti delle città vedevano la vita rurale come troppo difficile, quando questi hanno scambiato i loro grembiuli da contadini con le tute da operai. Ci sono ancora aree della superficie del pianeta che sono poco occupate, anche se sono abitabili o potrebbero essere rese tali, tanto che molte aree rurali hanno avuto un declino della popolazione che è assoluta, cioè non meramente relativa ad un altro luogo o periodo. Con un calcolo attento, quindi, ci saranno dei sopravvissuti. Nei prossimi anni, l’ingegno umano dovrà essere dedito ad una comprensione di queste materie geografiche e demografiche, di modo che almeno pochi possano sfuggire alla tribolazione. Né le generazioni attuali né quelle future dovrebbero dire “Nessuno ci ha mai avvertito”.

Anche su survivepeakoil.blogspot.ca 

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Notize dall’Antartide: male, molto male, sempre peggio

Da “NASA Earth Observatory”. Traduzione di MR

La piattaforma glaciale Nansen in Antartide si sta spaccando

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Una piattaforma galleggiante di ghiaccio attaccata alla costa dell’Antartide sembra pronta a riversare un iceberg nell’Oceano Meridionale. Nel corso di due anni, una piccola frattura è diventata sufficientemente grande da diffondersi per quasi tutta la profondità della piattaforma glaciale Nansen. L’Operational Land Imager (OLI) sul satellite Landsat 8 ha acquisito l’immagine in alto il 26 dicembre del 2013. OLI ha catturato la seconda immagine il 16 dicembre del 2015. Le piattaforme glaciali fiancheggiano il perimetro dell’Antartide e si presentano in ogni forma e dimensione. La Nansen misura circa 35 km di profondità e 50 km di lunghezza. La vicina Lingua di Ghiaccio Drygalski, subito a sud della Nansen, si allunga per 80 km nel mare. Queste piattaforme galleggianti sono importanti per trattenere il flusso di ghiaccio dall’interno del continente verso il mare. Il ghiaccio che si stacca da una piattaforma galleggiante non aumenta il livello del mare. Ma perde parte della piattaforma glaciale e i flusso verso il mare del ghiaccio di terra può accelerare – un fenomeno che contribuisce all’aumento del livello del mare.
 
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Christine Dow e Ryan Walker, scienziati del Goddard della NASA, hanno visitato la piattaforma glaciale a novembre e dicembre 2015. Il loro obbiettivo era quello di installare stazioni GPS sulla piattaforma glaciale per registrare la sua sottile flessione dovuta alle maree dell’oceano. Il 10 dicembre hanno volato su un elicottero lungo la frattura cercando i siti in cui installare le stazioni GPS. Dow ha scattato la foto sopra durante il volo. “C’è un’enorme frattura, lunga chilometri e in alcuni punti larga oltre un centinaio di metri, che corre più o meno parallela al fronte della piattaforma glaciale”, ha scritto Walker allora in un post. “Durante l’inverno, la superficie del mare congela ed intrappola i piccoli iceberg nella frattura, producendo un affascinante panorama di ghiacci spaccati”. All’inizio di marzo 2016, con l’inverno australe in arrivo, le immagini satellitari indicavano che il fronte ghiacciato che si sta spezzando era ancora attaccato alla piattaforma. Anche in inverno, i forti venti possono impedire che l’acqua oltre la piattaforma congeli, quindi non è chiaro se il fronte si separerà presto resterà appeso come un dente allentato. La Dow sta parlando coi ricercatori di esaminare la frattura durante il prossimo campo estivo. “Mi interessa molto vedere se questa caratteristica si stia verificando a causa della topografia intorno alla piattaforma glaciale o se è stata creata inizialmente dal flusso di acqua superficiale che scorre in una piccola frattura nella superficie del ghiaccio”, ha detto. “Stiamo pensando ad un’indagine intensiva di questa caratteristica negli anni a venire e speriamo di comprenderne le cause”.

Riferimenti e letture correlate

Fürst, J. J. et al. (8 febbraio 2016) La fascia di sicurezza delle piattaforma glaciali dell’Antartide Nature Climate Change, pubblicazione anticipata online.
NASA Earth Observatory: Note dal posto (gennaio 2015) Piattaforma glaciale Hansen, Antartide 2015.
Centro per il Volo Spaziale Goddard della NASA(11 marzo 2016) NASA Tracciare l’influenza delle maree sulle piattaforme glaciali in Antartide.
National Snow & Ice Data Center (2016) Informazioni veloci sulle piattaforme glaciali. Accesso  del 9 marzo 2016.
Immagini del NASA Earth Observatory di Jesse Allen, usando dati Landsat della U.S. Geological Survey. Didascalia di Kathryn Hansen.

Strumento (i):
Landsat 8 – OLI

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Emergenza Clima: un articolo di Hansen e Sato

Sembra proprio che siamo arrivati a una seria emergenza climatica, con le temperature di Febbraio che hanno schiantato tutti i record precedenti. Non sappiamo cosa potrebbe succedere nel prossimo futuro, ma sicuramente niente di buono. Nell’articolo che segue, Hansen e Sato fanno il punto sulla situazione. (Immagine: temperature di Febbraio da think progress)

Cambiamenti climatici regionali e responsabilità nazionali

di James Hansen e Makiko Sato [a]
(Earth Institute | Columbia University)

Traduzione di Stefano Ceccarelli

da: Climate Science, Awareness and Solutions

Il riscaldamento globale di circa 0,6°C rispetto ai decenni passati ora “blocca i dadi del clima”. La Fig. 1 aggiorna l’analisi delle curve a campana del nostro studio del 2012 [1] per le terre dell’emisfero settentrionale, che mostravano come estati estremamente calde ora si verificano significativamente più spesso di quanto avvenisse 50 anni fa. Il nostro nuovo studio [2] mostra che ci sono forti variazioni regionali nello scostamento di queste curve a campana, e che gli effetti più marcati avvengono nelle nazioni meno responsabili del cambiamento climatico.

Negli USA lo scostamento della curva a campana è di solo una deviazione standard (una misura della tipica fluttuazione annuale delle temperature medie stagionali) in estate e meno di metà deviazione standard in inverno (Fig. 2). Misurato in unità di °C, il riscaldamento è simile in estate e in inverno negli USA ma l’implicazione pratica della Fig. 2 è che le persone negli USA dovrebbero avvertire che le estati stanno diventando più calde, ma è meno probabile che notino la variazione in inverno. Estati più fresche della media delle estati del periodo 1951-1980 ancora si verificano, ma solo il 19% circa delle volte. Il calore estremo estivo, definito come almeno 3 deviazioni standard più caldo della media 1951-1980, che non avveniva quasi mai 50 anni fa, oggi si verifica con frequenza di circa il 7%.

Il riscaldamento in Europa (si veda l’articolo) è poco più accentuato che negli USA. In Cina (Fig. 2) il riscaldamento è ora quasi 1½ deviazioni standard in estate e una deviazione standard in inverno, vale a dire un cambiamento climatico che dovrebbe essere evidente per persone abbastanza anziane da ricordare il clima di 50 anni fa. In India, gli scostamenti della curva a campana (vedi articolo) sono leggermente più ampi che in Cina.

Nell’area mediterranea e in Medio Oriente lo scostamento della curva a campana in estate è di quasi 2½ deviazioni standard (Fig. 2). Ogni estate è oggi più calda della media climatica del periodo 1951-1980, e il periodo con clima estivo è oggi considerevolmente più lungo. Poiché le estati sono già molto calde in queste regioni, il cambiamento ha influenza sulla vivibilità e sulla produttività, come diremo più avanti. Gli scostamenti della curva a campana nei tropici, compresa l’Africa centrale (vedi articolo) e il Sudest asiatico (Fig. 2), aree anch’esse già molto calde, sono di circa 2 deviazioni standard ed avvengono tutto l’anno.


Fig. 1. Frequenza delle anomalie della temperatura locale (relative alla media 1951-80) in funzione della deviazione standard locale (asse orizzontale) per le terre dell’emisfero boreale. La fila in alto si riferisce all’estate (da giugno ad agosto) e la fila in basso all’inverno (da dicembre a febbraio). Maggiori dettagli nei nostri lavori del 2012 e 2016.


Fig. 2. Frequenza delle anomalie della temperatura locale (relative alla media 1951-80) in funzione della deviazione standard locale (asse orizzontale) per le terre delle aree mostrate sulla mappa. L’area sottesa da ciascuna curva è unitaria. I numeri sulle mappe rappresentano la percentuale del globo coperta dalla regione considerata. Gli scostamenti (shift) si riferiscono alla linea tratteggiata adattata ai dati 2005-2015 e sono relativi al periodo base.

I tropici e il Medio Oriente in estate sono a rischio di diventare praticamente inabitabili per la fine del secolo se le emissioni di combustibili fossili continueranno secondo lo scenario business as usual (BAU), poiché la temperatura di bulbo umido potrà avvicinarsi al livello nel quale il corpo umano non è più in grado di raffreddarsi all’aria aperta neanche in presenza di adeguata ventilazione [3]. Anche un riscaldamento più contenuto rende la vita più difficile in queste regioni e riduce la produttività, in quanto le temperature si avvicinano al limite della tolleranza umana e il lavoro agricolo e in edilizia sono principalmente attività che si svolgono all’esterno. I paesi delle latitudini intermedie hanno una temperatura media quasi ottimale per la produttività del lavoro, mentre i paesi più caldi quali l’Indonesia, l’India e la Nigeria si collocano su un pendio ripido con una produttività che declina rapidamente all’aumentare della temperatura (vedi fig. 2 di Burke et al. [4], 2015).

Il riscaldamento e gli effetti climatici non sono uniformi all’interno delle regioni prese in considerazione. Negli USA, p.es., il riscaldamento è maggiore nel sudovest, consistente con l’atteso riscaldamento amplificato delle regioni subtropicali secche [5]. Similmente, il riscaldamento estivo è amplificato nelle regioni mediterranee e in Medio Oriente, dove come minimo esso intensifica le condizioni siccitose come quelle occorse in Siria in anni recenti, quando non ne è la principale causa [6].

L’aumento delle temperature sembra avere un effetto significativo sulla violenza interpersonale e sui conflitti umani, come indicato da un insieme di evidenze empiriche in un’area di studio scientifico in rapida espansione. Da una rassegna di 60 studi quantitativi [7] che coprono tutte le maggiori regioni del mondo, è emerso che la violenza interpersonale aumenta del 4% e i conflitti fra gruppi del 14% per ogni deviazione standard di aumento della temperatura. Tali risultati non costituiscono leggi naturali, ma forniscono un’utile stima empirica degli impatti del cambiamento di temperatura.

La salute umana è colpita dall’aumento delle temperature attraverso l’impatto di ondate di calore, siccità, incendi, alluvioni e tempeste, e indirettamente dalla rottura degli equilibri ecologici indotta dal cambiamento climatico, comprese le alterazioni del quadro epidemico (vedi il Capitolo 11 di IPCC, 2014, e riferimenti ivi citati). Le malattie trasmissibili, che implicano solitamente infezioni trasmesse da zanzare o zecche, possono diffondersi alle latitudini più alte e a maggiori altitudini man mano che il riscaldamento globale aumenta.

E’ possibile attribuire responsabilità nazionali del riscaldamento globale poiché la CO2 prodotta dai combustibili fossili è la principale causa del riscaldamento a lungo termine. La deforestazione e le attività agricole contribuiscono all’aumento di CO2, ma il ripristino del carbonio nei suoli e nella biosfera è possibile mediante pratiche agricole e forestali migliorate, che sono infatti richieste se si vuole stabilizzare il clima. Al contrario, il carbonio dei combustibili fossili non sarà rimosso dal sistema climatico per millenni [8]. Altri gas in tracce contribuiscono al cambiamento climatico, ma la CO2 è la causa dell’80% dell’aumento della forzante climatica dei gas a effetto serra degli ultimi due decenni [9] e molto del rimanente 20% è correlato all’estrazione e all’uso di combustibili fossili.

Il cambiamento climatico è accuratamente proporzionale alle emissioni cumulate di CO2 (Fig. 3a). Gli USA e l’Europa sono ciascuna responsabili per più di un quarto delle emissioni cumulate, la Cina per il 10% e l’India per il 3%. La disparità fra le emissioni dei paesi sviluppati e in via di sviluppo è anche maggiore se vengono contabilizzate le emissioni basate sui consumi [10]. Anche senza voler considerare le emissioni basate sui consumi, le emissioni pro capite di USA ed Europa sono almeno un ordine di grandezza più elevate di quelle della maggior parte dei paesi in via di sviluppo.

Emerge così una impressionante incongruità fra la localizzazione dei più forti cambiamenti climatici e le responsabilità dovute alle emissioni da fonti fossili. Gli scostamenti maggiori della curva a campana si riscontrano nelle foreste tropicali, nel Sudest asiatico, Sahara e Sahel, dove le emissioni da combustibili fossili sono molto ridotte. Il cambiamento climatico è anche più marcato nel Medio Oriente, dove le emissioni sono alte e in rapida crescita, con diverse nazioni che hanno raggiunto emissioni pro capite più alte degli Stati Uniti (vedi articolo).

Fig. 3. Emissioni cumulate di CO2 da combustibili fossili per fonte nazionale (a) e pro capite (b). I risultati per altre singole nazioni sono disponibili in: www.columbia.edu/~mhs119/CO2Emissions/.



Discussione. Noi concludiamo che proseguire con le emissioni da combustibili fossili secondo lo scenario BAU comincerà a rendere le basse latitudini inabitabili. Se accompagnate da un aumento di alcuni metri del livello del mare, le risultanti migrazioni forzate e la crisi economica potranno essere devastanti.

Anche un riscaldamento globale contenuto come 2°C, talvolta ritenuto un limite sicuro, può avere grandi effetti. Gli scostamenti della curva a campana mostrati per il periodo 2005-2015 sono la conseguenza di un riscaldamento di circa 0,6°C rispetto al periodo 1951-1980. Così, un riscaldamento di 2°C rispetto al periodo preindustriale (pari a 1,7°C rispetto al 1951-1980) darà luogo a scostamenti della curva a campana e impatti sul clima circa tre volte più grandi di quelli già verificatisi. Ci si attende che un riscaldamento globale di 2°C causerà un aumento del livello del mare di alcuni metri [12], portando a concludere che il potenziale aumento del livello del mare durante questo secolo è pericoloso.

Il messaggio complessivo che la scienza del clima consegna alla società, ai decisori politici e all’opinione pubblica è questo: abbiamo un’emergenza globale. Le emissioni di CO2 da fonti fossili devono essere ridotte il più rapidamente possibile. Noi riteniamo che i contributi volontari delle singole nazioni, che costituiscono l’approccio della 21ma Conferenza delle Parti [13], non possono condurre a una rapida riduzione delle emissioni da combustibili fossili fintanto che alle fonti fossili sarà permesso di essere l’energia più a buon mercato. Sarà necessario includere una componente tariffaria sul carbonio che consenta di incorporare nel suo prezzo le esternalità negative dei combustibili fossili. L’introduzione di dazi doganali su prodotti provenienti da paesi privi di una tassa sul carbonio condurrebbe la maggior parte delle nazioni ad adottare una simile tassa.

Alla luce della disparità fra le emissioni dei paesi sviluppati e quelle dei paesi in via di sviluppo, c’è un obbligo riconosciuto di assistenza da parte dei paesi sviluppati. I paesi in via di sviluppo hanno dalla loro una forte leva per ottenere una tale assistenza, perché la loro cooperazione per migliorate pratiche agricole e forestali è necessaria per trattenere più carbonio nei suoli e nella biosfera e per limitare le emissioni dei gas serra in tracce. E’ inoltre necessaria la cooperazione internazionale per generare più energia decarbonizzata a costi accessibili, perché altrimenti lo sviluppo economico in molte nazioni continuerà ad essere basato sulle fonti fossili a dispetto dell’inquinamento e degli impatti sul clima.

Riferimenti:
[a] Questa Comunicazione riassume un articolo con questo titolo (Hansen e Sato, 2016); è anche disponibile un Video abstract.
[1] Hansen, J., Sato, M. and Ruedy, R.: Perception of climate change, Proc. Natl. Acad. Sci. 109, 14726-14734, 2012.
[2] Hansen J. and Sato M.: Regional climate change and national responsibilities, Environ. Res. Lett. (in press).
[3] Sherwood, S.C. and Huber, M.: An adaptability limit to climate change due to heat stress, Proc. Natl. Acad. Sci. 107, 9552-9555, 2010.
[4] Burke, M, Hsiang, S.M. and Miguel, E.: Global non-linear effect of temperature on economic production, Nature 527, 235-239, 2015.
[5] Cook, K.H. and Vizy, E.K.: Detection and analysis of an amplified warming of the Sahara, J. Clim. 28, 6560-6580, 2015.
[6] Kelley, C.P., Mohtadi, S., Cane, M.A., Seager, R. and Kushnir, Y.: Climate change in the Fertile Crescent and implications of the recent Syrian drought, Proc. Natl. Acad. Sci. USA 112, 3241-3246, 2015.
[7] Hsiang, S.M., Burke, M. and Miguel, E.: Quantifying the influence of climate on human conflict, Science 341, doi:10.1126/science.1235367
[8] Archer, D.: Fate of fossil fuel CO2 in geologic time, J. Geophys. Res. 110, C09S05, 2005.
[9] Hansen, J., Kharecha, P. and Sato, M.: Climate forcing growth rates: doubling down on our Faustian bargain, Environ. Res. Lett. 8, 011006, 2013.
[10] Peters, G.P.: From production-based to consumption-based national emissions inventories, Ecolog. Econ. 65, 13-23, 2008.
[11] Hansen, J., et al.: Ice melt, sea level rise and superstorms: Evidence form paleoclimate data, climate modeling and modern observations that 2°C global warming is dangerous, arXiv:1602.01393
[12] Dutton, A., Carlson, A.E., Long, A.J., Milne, G.A., Clark, P.U., DeConto, R., Horton, B.P., Rahmstorf, S., and Raymo, M.E.: Sea-level rise due to polar ice-sheet mass loss during past warm periods, Science, 349, doi:10.1126/science.aaa4019, 2015
[13] Davenport, C.: Nations Approve Landmark Climate Accord in Paris, New York Times, 12 December, 2015.

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La scoperta più deprimente della storia: più sai, meno ragioni

Da “Alternet”. Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)

Dite addio al sogno per cui educazione, giornalismo, prove scientifiche o ragione possano fornire gli strumenti di cui le persone hanno bisogno per prendere le giuste decisioni.

Di Marty Kaplan 

Il nuovo articolo di ricerca del professore di giurisprudenza di Yale Dan Kahan si chiama “La capacità di calcolo motivata e l’autogoverno illuminato”, ma per me il titolo del pezzo del divulgatore scientifico Chris Mooney su questo stesso tema su Grist è migliore: “La scienza conferma: la politica distrugge la tua capacità di far di conto”. Kahan ha condotto alcuni esperimenti ingegnosi sull’impatto della passione politica sulla capacità delle persone di pensare in modo chiaro. La sua conclusione, nelle parole di Mooney: la partigianeria “può anche minare le nostre stesse capacità fondamentali di ragionamento… [Le persone] che sono molto brave in matematica potrebbero cannare totalmente un problema che sarebbero stati in grado di risolvere semplicemente perché dare la risposta giusta va contro le loro credenze politiche”.

In altre parole, dite buonanotte al sogno per cui educazione, giornalismo, prove scientifiche, alfabetismo mediatico o ragione possano fornire gli strumenti e l’informazione di cui le persone hanno bisogno per prendere le giuste decisioni. Si scopre che nell’ambito pubblico, non sia una mancanza di informazione il vero problema. L’ostacolo è il modo in cui funzionano le menti, a prescindere da quanto crediamo di essere intelligenti. Vogliamo credere di essere razionali, ma viene fuori che la ragione è l’ex post facto in cui razionalizziamo ciò che le nostre emozioni vogliono già credere.

Per anni la mia fonte per studi deprimenti su come il nostro condizionamento renda la democrazia senza speranza è stato Brendan Nyhan, un assistente professore di governo a Dartmouth. Nyan e i suoi collaboratori hanno condotto esperimenti per cercare di rispondere a questa domanda terrificante sugli elettori americani: i fatti contano? La risposta, sostanzialmente è no. Quando le persone sono disinformate, dare loro i fatti per correggere quegli errori le fa aggrappare ancora più tenacemente alle loro credenze. Ecco parte di ciò che ha scoperto Nyhan:

  • Le persone che pensavano che sono state trovate armi di distruzione di massa in Iraq credevano a quella disinformazione in modo anche più forte quando è stata mostrata loro una nuova storia che la correggeva.
  • Le persone che pensavano che George W. Bush avesse vietato tutta la ricerca sulle cellule staminali hanno continuato a pensare che lo avesse fatto anche dopo che è stato loro mostrato un articolo in cui si diceva che solo parte del lavoro sulle cellule staminali finanziate a livello federale era stato fermato.
  • Alle persone che hanno detto che l’economia era per loro il problema più importante e che non approvavano il documento economico di Obama è stato mostrato un grafico dell’impiego non agricolo durante l’anno precedente – una linea in salita che aggiungeva circa un milione di posti di lavoro. E’ stato chiesto loro se il numero di persone con un posto di lavoro fosse salito, sceso o rimasto pressoché lo stesso. Molti, guardando dritti al grafico, hanno detto che era sceso. 
  • Ma se, prima che venisse loro mostrato il grafico, veniva chiesto loro di scrivere qualche frase su un’esperienza che le aveva fatte sentire bene riguardo a loro stesse, un numero significativo di loro ha cambiato idea sull’economia. Se impiegate qualche minuto ad affermare il vostro valore, è più probabile che diciate che il numero dei posti di lavoro è aumentato.

Nell’esperimento di Kahan, ad alcune persone è stato chiesto di interpretare una tavola di numeri sul fatto che la crema per la pelle riduca le eruzioni cutanee e ad alcune persone è stato chiesto di interpretare una tavola diversa – che conteneva gli stessi numeri – sul fatto che una legge che proibisce ai privati cittadini di portare con sé pistole nascoste riducesse il crimine. Kahan ha scoperto che quando i numeri delle tavole erano in conflitto con le posizioni delle persone sul controllo delle armi non facevano bene il conto, anche se ci riuscivano quando il tema era la crema per la pelle.  La scoperta più triste è stata che più erano avanzate le capacità matematiche delle persone, più probabile era che la loro visione politica, liberale o conservatrice che fosse, le rendeva meno capaci di risolvere il problema matematico.

Odio ciò che questo comporta – non solo circa il controllo delle armi, ma anche altre questioni controverse, come il cambiamento climatico. Non sono del tutto pronto ad arrendermi all’idea che le dispute sui fatti non possano essere risolte dalle prove, ma dovete ammettere che le cose non sono messe bene per un motivo. Continuo a sperare l’ennesima foto di un iceberg delle dimensioni di Manhattan che si stacca dalla Groenlandia, l’ennesimo caldo, siccità o incendi record, l’ennesimo grafico di come il biossido di carbonio atmosferico sia aumentato nell’ultimo secolo ce la faranno. Ma ciò che suggeriscono questi studi sul funzionamento della nostra mente è che i giudizi politici che abbiamo già espresso sono impermeabili ai fatti che ci contraddicono.

Forse negazionismo del cambiamento climatico non è il termine giusto, comporta un disordine psicologico. Il negazionismo è la normalità per il nostro cervello. Più fatti e migliori non trasformano elettori con scarsa informazione in cittadini ben equipaggiati. Li rende solo più compromessi con le loro percezioni sbagliate. Nell’intera storia dell’universo, nessun spettatore di Fox News ha mai cambiato idea perché dei nuovi dati hanno capovolto il loro pensiero. Quando c’è un conflitto fra credenze partigiane e prove chiare, sono le credenze a vincere. Il potere dell’emozione sulla ragione non è un difetto dei sistemi operativi umani, ne è una caratteristica.

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Tutti quanti al lavoro per distruggere i sistemi che ci fanno vivere

Da “The conversation”. Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)

di Tara Martin e James Watson

Quando pensiamo all’adattamento dell’umanità alle sfide del cambiamento climatico, la tentazione è quella di puntare a soluzioni tecnologiche. Parliamo di fertilizzare gli oceani e le nuvole con composti progettati per innescare la pioggia o aumentare l’assorbimento di carbonio. Parliamo di costruire grandi strutture per proteggere le nostre coste dall’aumento dei livelli del mare e dalle mareggiate. Tuttavia, come discutiamo su Nature Climate Change, la nostra concentrazione su queste soluzioni high-tech e pesantemente ingegnerizzate ci sta rendendo ciechi nei confronti di una soluzione più facile, più economica, più semplice e migliore per l’adattamento: prendiamoci cura degli ecosistemi del pianeta e loro si prenderanno cura di noi.

Mordere la mano che ci dà da mangiare

Tutti quanti siamo attualmente impegnate nella totale distruzione dei sistemi che ci danno riparo, puliscono le nostre acque, l’aria, ci danno da mangiare e ci proteggono dal meteo estremo. A volte questa distruzione viene portata avanti con lo scopo di proteggerci dalle minacce poste dal cambiamento climatico. Per esempio, nelle isole basse della Melanesia, le barriere coralline vengono fatte esplodere con la dinamite per fornire materie prime da costruzione per argini nel tentativo di rallentare l’impatto dell’aumento del livello del mare.

Un argine costruito usando il corallo in Papua Nuova Guinea. J.E.M Watson

In molte parti del mondo, comprese Africa, Canada ed Australia, la siccità ha portato all’apertura di sistemi forestali intatti, pascoli protetti e praterie per l’allevamento e l’agricoltura. Analogamente, la minaccia del cambiamento climatico ha guidato lo sviluppo di colture più tolleranti alla siccità che possano sopravvivere alla variabilità climatica, ma queste capacità di sopravvivenza rende anche più probabile che queste specie vegetali diventino invasive. Superficialmente, queste potrebbero sembrare modi sensibili per ridurre gli impatti del cambiamento climatico. Ma di fatto è probabile che contribuiscano al cambiamento climatico ed aumentino il suo impatto sulle persone. Gli argini e le colture che tollerano la siccità hanno un ruolo nell’adattamento al cambiamento climatico: se sono sensibili agli ecosistemi. Per esempio, se serve protezione dalle tempeste nelle isole basse, non costruite argini con materiale delle barriere coralline che offrono all’isola la loro sola protezione attuale. Portateci il cemento e l’acciaio necessario per costruirli (be’, anche questa non è proprio una soluzione ad emissioni zero… ndt).

In che modo ci proteggono gli ecosistemi

Le barriere coralline intatte si comportano come barriere contro le mareggiate, riducendo l’energia delle onde di una media del 97%. Sono anche una valida fonte di proteine che sostiene i mezzi di sussistenza locali. Analogamente, le mangrovie e le praterie di fanerogame forniscono una zona tampone contro le tempeste e riducono l’energia delle onde, così come sono un vivaio per molti dei pesci ed altre creature marine su cui sono costruite le nostre industrie della pesca. Le foreste intatte forniscono una miriade di servizi ecosistemici che non solo vengono dati per scontati, ma vengono attivamente sperperati quando quelle foreste vengono decimate dal disboscamento. Ora ci sono prove chiare del fatto che le foreste intatte hanno una influenza positiva sul clima planetario e sui regimi meteorologici locali. Le foreste forniscono anche riparo da eventi meteorologici estremi e costituiscono la casa di una miriade di altri ecosistemi preziosi che sono importanti per le popolazioni umane come fonti di cibo, medicine e legname. Le foreste giocano un ruolo chiave nel catturare, immagazzinare e sequestrare carbonio dall’atmosfera, un ruolo che probabilmente diventerà sempre più importante per evitare il cambiamento climatico peggiore. Eppure continuiamo a decimare foreste, boschi e praterie. L’Australia settentrionale ospita la più grande savana della terra, che contiene enormi riserve di carbonio ed influenza il clima locale e globale. Nonostante il suo valore intrinseco come riserva di carbonio, si è discusso della possibilità di aprire queste regioni perché diventino la nuova dispensa di cibo dell’Australia, mettendo quelle estese riserve di carbonio in pericolo.

Più economico delle soluzioni tecniche

In Vietnam, sono stati piantati ),12.000 ettari di mangrovie al costo di 1,1 milioni di dollari statunitensi ma risparmiandone 7,3 all’anno che sarebbero stati spesi per la manutenzione degli argini.

Piantagione di mangrovie nella Filippine per ripristinare le foreste. Trees ForTheFuture/Flickr, CC BY

In Louisiana, la distruzione dell’uragano Katrina nel 2005 ha portato all’analisi di come le saline costiere avrebbero potuto ridurre parte dell’energia delle onde nelle mareggiate associate all’uragano. I dati ora hanno confermato che le saline avrebbero ridotto significativamente l’impatto di quelle mareggiate e stabilizzato la linea di costa contro ulteriori danni ad un costo di gran lunga inferiore di quello delle difese costiere costruite. Con questi dati in mano, ora stanno cominciando discussioni su come ripristinare le saline della Louisiana per proteggersi da eventi meteorologici estremi futuri. Gli aiuti esteri statunitensi in papua Nuova Guinea hanno anche incoraggiato il ripristino e la protezione delle mangrovie per la stessa ragione. Al posto di portare il bestiame a pascolare sulle praterie native e sulla savana durante i periodi di siccità, si potrebbe invece finanziare la lotta degli agricoltori per sostenere il bestiame in aree marginali per coltivare carbonio e biodiversità ripristinando o proteggendo questi ecosistemi. Questo potrebbe comportare la riduzione del numero di capi di bestiame o, in alcuni casi persino della loro rimozione totale. L’Australia è molto ben informata circa il valore del carbonio dei suoi molti e variegati ecosistemi, ma deve ancora mettere pienamente in pratica quella conoscenza. Il costo dell’adattamento al cambiamento climatico usando soluzioni tecnologiche è stato fissato ad un impressionante 70-100 miliardi di dollari all’anno. Si tratta di un cambiamento piccolo in confronto agli attuali sussidi energetici globali, stimati dal Fondo Monetario Internazionale in 5,3 trilioni di dollari all’anno per il 2015. Proteggere gli ecosistemi riduce il rischio alle persone ed alle infrastrutture, così come il grado del cambiamento climatico: una strategia doppiamente vincente. Non c’è dubbio che le soluzioni tecnologiche abbiano un ruolo da giocare nell’adattamento climatico, ma non a spese del funzionamento intatto degli ecosistemi. E’ il momento di stabilire un’agenda di politiche che premi attivamente quei paesi, industrie ed imprenditori che sviluppano strategie di adattamento sensibili agli ecosistemi.

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Il peso sulla Luna è la metà della metà. Ovvero: e questi umani vorrebbero gestire un pianeta…….???


Modugno: “Selene” (1962) Tutto sommato accurato come descrizione della gravità e della geologia lunare!

Nota: le affermazioni riportate in questo post non sono suffragate da prove. Tuttavia, vista la situazione, là fuori, con tutti quanti che credono alle scie chimiche, alla demolizione programmata delle torri gemelle e roba del genere, mi sembra che questa storia sia abbastanza verosimile. Comunque, se qualcuno ha dati che dimostrano che è una bufala, lo scriva nei commenti. E’ comunque un testo divertente.

—Originale di Adam Atkinson in MATE.ITA

Ho gia’ messo una versione di questo messaggio in matenigmici, ma quest’ area mi sembra piu’ adatta… l’ho tradotto molto frettolosamente dalla versione originale in inglese. Chiedo scusa per eventuali errori di grammatica. Io essere povero straniero. Non sapere parlare.

 Da due fonti (una americana, una inglese) ho sentito una storia che mi sembrava assurda e da non credere che MOLTE persone, se le chiedi “Cosa succede se vai sulla luna, metti una penna ad un metro della superficie e la rilasci?” dicono “Rimane li'” o “Vola via”. Poi, secondo la storia, la conversazione tipo continua cosi’: “Perche’?” “Perche’ non c’e’ la gravita’ sulla luna/nello spazio” “Hai visto i video degli astronauti Apollo?” “Si” “Cosa facevano” (imitazione di cammino sulla luna) “Come facevano a tornare/stare giu’ se non c’e’ la gravita’?” “Portavano gli stivali pesanti”

Io NON credevo a questa storia, e l’ho raccontato come barzelletta ad un gruppo di amici qui. Mi hanno guardato in maniera strana e hanno detto “E allora? Mica stai cercando di dire che le cose cadano sulla luna!” e ho scoperto che avrebbero sbagliato… Cosi’ ho fatto le domande sopraelencate a MOLTE persone (quasi tutte laureate) e, non contando i fisici e matematici, almeno 90% hanno sbagliato. Poi, se la prendono se suggerisci che avrebbero dovuto saperlo, o ti prendono in giro perche’ pretendi cose assurde. “SIiiiiii’ Adam. Ovviamente TUTTI sanno che c’e’ la gravita’ sulla luna,hahaha” (tono sarcastico) come se avessi chiesto il quinto potenziale di ionizzazione dell’Uranio 235. Le poche volte che l’ho raccontato come barzelletta mi sono trovato nei guai perche’ almeno uno/a dei presenti non lo sapeva e lo trovava una cosa oscura/arcana che uno puo’ benissimo non sapere. Alcuni (parecchi, anzi) non mi credono e dicono che la gravita’ sulla luna NON c’e’ e lo sanno di sicuro. (La segretaria di un gruppo di astrofisici al CNR mi ha dato dell’ignorante…)

Oramai la racconto come barzelletta solamente in posti sicuri tipo facolta’ di fisica…

Due mie amiche (che avevano sbagliato…) qui sono rimaste a bocca aperta quando hanno saputo che un mio visitatore non sapeva cosa era/erano “gli Uffizi” a Firenze e hanno cominciato a dire “Ma sei ignorante! Che vergogna!” Io ho detto “Hmm. Piu’ o meno come non sapere che le cose sulla luna cadono?” Queste due si sono arrabbiate in maniera incredibile. “No! Non e’ la stessa cosa! Gli Uffizi fanno parte della esperienza quotidiana di tutti, ma la luna no. Non PUOI pretendere che la gente sappia cosa succede sulla luna. E’ totalmente irragionevole.”

Una rivista americana/inglese a Roma (“Metropolitan”) mi ha chiesto di scrivere degli articoli umoristici, e ho offerto un resoconto breve della storia “stivali pesanti”. Quelli in redazione non hanno “capito cosa stavo cercando di dire”. Ho detto “Beh. Non ti sembra sorprendente che la gente pensa che non ci sia la gravita’ sulla luna?” “Ma NON c’e’ la gravita’ sulla luna, Adam. Sarebbe questo l’umorismo nella tua storia cosiddetta umoristica?” Cosi’ ho scoperto che (a parte uno) nessuno a questa rivista avrebbe superato il “test”. Anche loro mi dicevano che era totalmente irragionevole pretendere queste cose ecc. ecc. Commenti tipo “Who gives a fuck whether there’s gravity on the moon or not? Who cares? It doesn’t matter!” Ho detto “Ok, puoi benissimo passare la tua vita pensando che non ci sia la gravita’ sulla luna, ma se tu scoprissi oggi che 90% dei tuoi amici pensassero che la capitale della Francia fosse Islamabad e che Beethoven fosse scultore, non ti meravigleriesti?” (Hmm non me la cavo molto bene con il congiuntivo…) Hanno detto “ovviamente si’, ma non e’ la stessa cosa”.

Secondo me, “gli astronauti portano stivali pesanti per non volare via”
e “Betthoven era scultore” sono ignoranza da premio Nobel tutti e due.

(La stessa rivista ha quasi rifiutato di mettere una cosa su mclink e internet, dicendo in tono di voce molto pesante che i loro lettori indubbiamente non si potrebbero fregare di meno di queste cose da tecnomani, che cavolo sarebbe internet, a cosa servirebbe, hahhaha e tu SI certo che mandi messaggi in svezia tutti i giorni Adam ecc. Burini ignoranti, direi. La posta elettronica in America e’ abbastanza diffusa e ‘sti pseudo-giornalisti americani non sapevano cos’era) Ok. la maggior parte della gente (anche dei laureati) non sa risolvere le equazioni differenziali e probabilmente non sa neanche cosa sono. Forse non sa neanche risolvere 3x+1=10 o trovare la somma di due frazioni. (secondo me, patetico, ma cosi’ stanno le cose e riesco a crederci se mi sforzo) ma questa cosa sugli stivali pesanti e’ totalmente assurdo.

La cosa piu’ bella e che quando racconto questa storia ai fisici mi dicono “Ma su, Adam! Questi tizi ti stanno prendendo in giro! Non c’e’ NESSUNO cosi’ ignorante” ma quando un fisico mi dice questo davanti a non-fisici (per. es. il caso degli Uffizi) le discussioni diventano sempre MOLTO accese e io mi nascondo.. Io ed i miei amici fisici siamo irragionevoli? Se io devo sapere che Caravaggio era artista e che la capitale della Francia e’ Parigi perche’ i miei amici “artistici” non devono sapere che c’e’ la gravita’ sulla luna? (le famose due amiche citate sopra hanno poi chiesto “Allora, se non e’ per mancanza di gravita’, perche’ gli astronauti avevano stivali cosi’ grandi?”

Quando ho menzionato il vuoto e la temperatura, hanno detto “OOh! uau! E quelli della NASA sapevano queste cose prima ancora di andare sulla Luna? Che bravi!” e NON in toni da preso in giro – dicevano sul serio. Commenti? Fra gli “ignoranti” ci sono professori (ambisessi) della Sapienza, (almeno uno/a di Biologia), un ingegnere aerospaziale della European Space Agency (brutta esperienza, questa…), la segretaria al CNR che ho gia’ menzionato, molti redattori alla Treccani, mia madre, svariati laureati di Cambridge in materie umanistiche, quasi tutta la redazione di “Metropolitan”, quasi tutti gli insegnanti e studenti in una scuola privata di business studies.

Il contesto della barzelletta internet sulla luna era che un prof di filosofia in una lezione unversitaria in America ha detto “Cartesio ci ha insegnato che le cose non succedono sempre come potresti immaginare. Per esempio, se rilascio questa penna qui, cade, e potresti immaginare che la stessa cosa accadrebbe sulla Luna. Ma invece no. Sulla Luna, la penna rimarebbe sospesa…” Uno studente di fisica presente per motivi di “distribuzione” (un’idea interessante nelle (o in alcune?) universita’ americane che ti costringe a fare dei corsi elementari in facolta’ diverse dalla tua) ha cercato di correggere il prof, che ha insistito che lui aveva ragione. Gli altri studenti guardavano male il fisico. Molti anni fa, all’inizio del mio secondo anno di italiano, stavamo (io e 20+ studenti del secondo anno del corso di laurea di Italiano a Cambridge) in Language Laboratory 2. Abbiamo visto una “puntata” di tg qualcosa e la professoressa ha cercato di farci parlare. Essendo piccole creature all’inizio del secondo anno, non sapevamo dire molto, e molti di noi non avevamo capito molto del tg. (All’epoca, ero al livello di “Ho sentito ‘nonna’ da qualche parte in quel brano di 15 minuti che ci ha fatto sentire, professoressa Tandello.”)

Lo space shuttle (navetta spaziale) era nel tg, e allora la prof ha detto (dopo una cosa sulla versione Topolino di Casablanca) “Allora, ragazzi,cosa pensate del brano sugli astronauti? Secondo me, la parte piu’ divertente dev’essere quando si allenano nella stanza senza gravita’ nella loro base.” (Capivo le persone, ma non le tv/radio) L’unico turbato ero io “Er. Cosa intende, stanza senza gravita’?” “Sai, la stanza nella loro base dove vanno a fare pratica in assenza di gravita'” “Ah, no. Penso che Lei abbia visto filmati presi all’interno di un’aereo che temporaneamente segue una traiettoria orbitale o va in caduta libera o qualcosa del genere.” “No, no, e’ nella loro base sulla Terra” “Ah. E come fanno a non averci la gravita’?” “Ci sono gli scudi antigravitazionali tutto intorno” “Ah. Ne dubito. Gli scudi antigravitazionali non esistono.” “Forse sei poco informato? Mi puoi garantire che non esistono?” “Se esistessero gia’, avrei probabilemente visto qualcosa su Scientific American o New Scientist, a meno che la NSA non ci nasconda proprio tutto. Ma in quel caso, non lo metterebbero nel tg. Se sono POSSIBILI, vuol dire che tutta la fisica moderna e’ sbagliata ma ovviamente questo non e’ da escludere.” (non garantisco ogni parola, ma e’ stato piu’ o meno cosi’) Tutti gli altri studenti non capivano che problema avevo con l’idea della prof. Se le persone, avendo visto filmati di astonauti in orbita, pensano che “non ci sia” la gravita’ in orbita, ci posso credere. Quella e’ ignoranza abbastanza sofisticata. (come avere idee un po’ confuse su come funzionano le maree). Ma se hai visto che gli astronauti sulla luna tornano giu’ quando saltano, dire che non c’e’ la gravita’ sulla luna e’ assurdo. Infatti, quando menzioni gli astronauti alcune persone dicono “Eh. Gia’. Allora, la penna cade perche’ la gravita’ c’e’!” ma non molte.

h/t Gianni Comoretto

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Balzani: perché dobbiamo dire di NO (ovvero, votare "SI") al referendum sulle trivelle

Guest post di Vincenzo Balzani
Università di Bologna, coordinatore del gruppo energiaperlitalia.it


Con l’avvicinarsi del referendum sulle trivellazioni, la lobby del petrolio si è fatta sentire con un apocalittico articolo del professor Alberto Clò su formiche.net, intitolato “Ecco gli effetti nefasti del NO alle trivelle”.

Clò parte da lontano. Sostiene che la vittoria del NO al rientro dell’Italia nel nucleare ha causato “la distruzione di un’intera industria – quella elettromeccanica – che contava decine e decine di migliaia di occupati, un gran numero di ingegneri, eccellenti capacità manifatturiere, un sapere scientifico e accademico tra i primi al mondo”. E aggiunge: “Con la vittoria dei NO-TRIV avremmo il medesimo risultato: la distruzione di un’altra industria italiana”.
E’ vero, la storia si ripete, ma le conseguenze sono state, sono e saranno ben diverse da quelle indicate da Clò.
Nel giugno 2011, dopo il referendum sul nucleare, importanti esponenti politici e le lobby interessate sostennero, come ripete oggi Clò, che l’Italia aveva “perso il treno”. I fatti, invece, hanno dimostrato, anche se qualcuno non se n’è ancora accorto, che rinunciare al nucleare è stata una scelta saggia e lungimirante. Grazie a quella scelta non produciamo scorie radioattive, che non sapremmo dove mettere, non rischiamo disastri e non siamo impantanati nella costruzione di centrali che avrebbero richiesto tempi e investimenti economici fuori controllo, come dimostrano gli esempi di Olkiluoto e Flamanville. Per contro, il NO al nucleare ha reso possibile il decollo delle energie rinnovabili: il fotovoltaico produce oggi una quantità di energia paragonabile a quella che avrebbero generata due reattori nucleari che, nella migliore delle ipotesi, sarebbero stati pronti nel 2025.
La storia, appunto, si ripete. Alcuni esponenti del Governo e la lobby del petrolio sostengono che rinunciando allo sfruttamento delle riserve di combustibili fossili, per altro molto marginali, perderemmo un altro treno. Anche in questo caso, però, si tratta di un treno vecchio, che causa danni dove passa e che è destinato ad arrestarsi in un futuro non troppo lontano. Meglio quindi dedicare tutte le nostre forze per salire sul treno giusto, il treno del futuro, quello delle fonti rinnovabili. Ormai tutti dovrebbero aver capito, dopo i numerosi moniti degli scienziati, la conferenza Cop21 di Parigi e l’encliclica Laudato sì di papa Francesco, che la cosa più urgente da fare è custodire il pianeta. Solo una rapida transizione dall’uso dei combustibili fossili a quello delle fonti rinnovabili può risolvere la crisi energetico-climatica. E’ una transizione già in atto, un processo inarrestabile dal quale il nostro Paese può trarre molti benefici perché siamo all’avanguardia nel manifatturiero, un settore chiave per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Si tratta di un vantaggio che, assieme alle abbondanti fonti rinnovabili di cui disponiamo e alle ottime prospettive di mercato in campo internazionale, ci permette di guardare al futuro con serenità.
Ecco, allora, che il referendum sulle trivellazioni del 17 aprile ha un significato che va ben al di là del contenuto dei suoi singoli quesiti. Si tratta, nientemeno, di dare un senso al futuro per quanto riguarda clima, ambiente ed energia.

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Davvero vuoi la rivoluzione ? Elogio del Luddismo pigro

Una delle tante leggende metropolitane che circolano è che ci voglia una rivoluzione per rovesciare un sistema corrotto ed inefficiente.  

Sbagliato.

In molto grossolana approssimazione le rivoluzioni storiche si possono dividere in due grandi categorie: quelle che hanno vinto e quelle che hanno perso.

Cominciamo dalle seconde.   Cosa hanno in comune sommosse avvenute in luoghi e tempi lontanissimi?   Due cose: la prima è che la gente si ribella quando non ne può più.    La seconda è che, alla fine,  la gente esausta accetta condizioni molto peggiori di quelle da cui era partita.

Le rivoluzioni che vincono, si dividono ancora in due categorie: quelle che ottengono qualcosa e quelle che stravolgono il sistema.   Le rivolte che portano a riforme, di fatto sono una dinamica interna al sistema stesso che, in questo modo, corregge alcuni errori e riesce a tirare avanti ancora.  

Per esempio la lotta per il voto alle donne.

Le rivolte che stravolgono il sistema quasi sempre ne insediano un altro peggiore.    Ne hanno fatto l’esperimento i francesi che hanno ghigliottinato Luigi XVI per trovarsi nelle mani prima di un manipolo di terroristi ben peggiori dall’attuale ISIL; e poi per 20 anni in quelle di un dittatore megalomane.

Lo hanno sperimentato i russi che si sono sbarazzati del regime zarista per cuccarsi Stalin.    E si potrebbe andare avanti.

Gli esempi di rivoluzioni che hanno instaurato sistemi completamente diversi dal precedente e (almeno temporaneamente) migliori sono stati veramente pochi.   Per esempio la “Rivoluzione Meiji”, condotta dall’Imperatore in persona; roba da giapponesi.   Oppure la “non guerra di indipendenza indiana” che ha ottenuto l’indipendenza dall’Inghilterra proprio perché non è stata combattuta.

Dunque vogliamo rovesciare o vogliamo salvare il sistema?   Ognuno ci pensi bene perché cercare di correggerne le macroscopiche nefandezze non fa altro che aumentarne l’efficienza e , quindi, la durata.

Lo abbiamo ben visto noi stessi.    Uno dei fattori che ha favorito il capitalismo nel suo storico scontro col comunismo sono state le opposizioni ambientaliste e socialiste in occidente.   Sono loro, infatti, che hanno spuntato migliori condizioni per i lavoratori ed un minimo di tutela per l’ambiente, fattori risultati strategici per migliorare le generali condizioni di vita, dunque aumentare i consumi e consentire la crescita economica che c’è stata.  

Al di la della cortina di ferro, il governo perseguiva sostanzialmente gli stessi scopi di sviluppo e di potenza dei governi occidentali, ma chi dava fastidio vinceva un viaggio premio di sola andata.    Il risultato è che il sistema, privo di una sostanziale opposizione, si è avvitato su sé stesso, finendo schiacciato sotto la propria inefficienza.

Stesso film, su scala ancor più vasta, è andato in onda dopo il parziale collasso sovietico.   Annichilite o marginalizzate le opposizioni (perlopiù con le buone, per carità), il sistema capitalista si è sviluppato liberamente, portando alle estreme conseguenze i propri presupposti.   Ed avvitandosi sempre più su se stesso.

Detto in termini tecnici: l’autodistruzione è il destino di qualunque sistema lasciato in balia delle proprie retrazioni positive.   In altri termini, sono i fattori limitanti che garantiscono la durata dei sistemi, proprio perché ne ostacolano la crescita.

Detto in parole povere, una società dove quelli che contano la pensano tutti alla stessa maniera non può che finire male.

E dunque che fare?    La rivoluzione!  

Cosa succederebbe se perdessimo?   Che un sacco di gente avrebbe una dose supplementare di sofferenza non necessaria, in aggiunta a quella inevitabile che già non sarà poca.

E che succederebbe se vincessimo?   Che passerebbero delle riforme come il razionamento dell’energia e dell’acqua, la ridistribuzione dei redditi eccetera.   Tutti correttivi in grado di far durare il sistema per altri 50 anni.

Dunque, se davvero vuoi spaccare tutto, aderisci al “Luddismo Pigro”.   Il principio basilare è semplice: chi va in giro a spaccare robe prima o poi troverà qualcuno che spacca lui.   Se invece lasci che tutto fili esattamente come ora, il sistema non mancherà di disintegrarsi da solo il più rapidamente possibile.

E’ a quel punto che inizierà il gioco vero, che non sarà più puntellare una versione più o meno corretta del progressismo, ma costruire da zero qualcosa di completamente diverso.    Sarà un gioco molto duro, ma anche molto interessante che si farà col poco che sarà rimasto.   E che cosa è veramente indispensabile?

Biodiversità, fertilità, acqua e cultura; le civiltà si costruiscono con questo.

Dunque, invece di spaccare vetrine e bruciare macchine, bisogna cercare di guadagnare tempo e salvare il più possibile di queste quattro cose dalla mega-macchina tritatutto.  

Ad esempio, riuscire posticipare la costruzione di una nuova strada sull’ultima striscia di bosco del tuo comune può essere utile.   Magari fra tre o quattro anni non ci saranno più i soldi per farlo.   Oppure restaurare un oggetto artistico od un monumento.    Prima o poi andranno comunque distrutti, ma più a lungo durano e più potranno ispirare gli artisti del futuro.

Biodiversità, fertilità, acqua e cultura sono le sole quattro eredità che contano.   
Invece di fare casino, cerchiamo di lasciarne il più possibile dietro di noi.



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I “Limiti dello Sviluppo” aveva ragione: la popolazione dell’Italia comincia a calare

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR


Lo scenario “caso base” descritto nell’edizione del 2004 de “I Limiti dello Sviluppo”, un aggiornamento dello studio originale sponsorizzato dal Club di Roma e pubblicato nel 1972. Notate come la popolazione mondiale dovrebbe iniziare a declinare qualche anno dopo il picco dell’economia mondiale. Non stiamo ancora vedendo questo declino a livello globale, ma potremmo vederlo in alcune regioni particolari del mondo, in particolare in Italia. 

Di Ugo Bardi

Si stanno accumulando sempre più dati a smentire la leggenda degli “errori” che ha accompagnato lo studio intitolato “I limiti dello Sviluppo” (The Limits to Growth – LTG). Per esempio, Graham Turner ha mostrato come i dati storici dell’economia mondiale hanno seguito piuttosto da vicino le curve dello scenario “caso base” presentato nel 1972. Ma il fatto che questo scenario abbia funzionato bene fino all’inizio del XXI secolo non significa che continuerà a funzionare allo stesso modo in futuro. Lo scenario prevede un collasso economico mondiale che dovrebbe cominciare ad un certo punto durante i primi due-tre decenni del secolo. Chiaramente, l’economia mondiale non è collassata, finora, anche se si potrebbe obbiettare che sta mostrando segnali terribili del fatto che stia cominciando proprio a farlo. Ma non possiamo ancora provare che lo scenario base fosse giusto.

Tuttavia, lo scenario base del collasso di LTG è una media di tutto il mondo e potremmo immaginare che, se l’economia deve collassare in media, alcune parti di essa dovrebbero collassare prima. E, infatti, sembra che alcune economie locali stiano proprio facendo questo. Potrebbe benissimo essere che un paese come l’Italia sia già ben avanti nel processo di collasso economico, quindi non stiamo solo assistendo al declino del suo PIL, ma anche all’inizio di un declino irreversibile della popolazione. Se fosse così, lo scenario caso base di LTG si sta verificando in Italia e probabilmente non solo in Italia.

Così, cerchiamo di fare un confronto qualitativo dello scenario LTG e dei dati reali dell’Italia. Per prima cosa, lo scenario mostra in che modo il consumo di risorse naturali deve raggiungere un massimo e poi declinare, seguito da un traiettoria simile per quanto riguarda la produzione industriale. In Italia abbiamo superato quel punto da un pezzo. Come potete vedere nella figura in basso, proveniente da un precedente post su Cassandra’s Legacy, il consumo dell’Italia di idrocarburi fossili (di gran lunga la sua fonte principale di energia) ha raggiunto il picco nel 2005, seguito dal picco del PIL nel 2008. Considerando che il PIL è una misura della produzione economica generale di un paese, possiamo considerarlo come proporzionale ai parametri che erano indicati come produzione industriale ed agricola nello studio LTG (i dati del 2015 indicano un piccolo aumento del PIL per l’Italia, ma questo cambia poco nella tendenza complessiva).

Quindi potremmo dire che, in Italia, lo scenario caso base di LTG si è verificato in termini di comportamento dell’economia del paese. Ma, se così fosse, ad un certo punto dovremmo aspettarci il picco e l’inizio del declino di un’altra curva dello scenario: quella della popolazione. E, infatti, sembra che stiamo assistendo esattamente a questo. Ecco i dati più recenti dell’ISTAT.

Si può vedere il ragguardevole salto verso l’alto del tasso di mortalità del 2015: corrisponde a 16.500 morti in più rispetto alle nascite. Nonostante l’afflusso di immigrati, l’Italia ha perso 139.000 residenti nel 2015. Non si tratta di una grande perdita (0,23%), ma è significativa. E non si era mai verificata durante i decenni passati. Inoltre, l’Italia vede per la prima volta da decenni una riduzione dell’aspettativa di vita alla nascita (da 80,3 a 80,1 anni per i maschi e da 85 a 84,7 anni per le femmine).

Quali sono state le cause di questo declino della popolazione? Ce ne sono diverse e l’estate torrida del 2015 ha sicuramente giocato un ruolo nella morte di più persone anziane  del solito, come potete vedere nella figura sotto (ancora una volta da fonte ISTAT).

Poi sono state proposte altre cause. Il generale invecchiamento della popolazione, la crisi economica, il peggioramento della dieta, l’inquinamento, i costi più alti delle cure mediche ed altro. Ma il punto qui non è discutere queste queste diverse cause, la maggior parte delle quali hanno probabilmente avuto un ruolo nel declino. Il punto è che abbiamo assistito esattamente a quello che ci potevamo aspettare di vedere se gli scenari di LTG avessero descritto la situazione italiana: un declino della popolazione che doveva seguire il declino del PIL.

Naturalmente, abbiamo dati soltanto di un anno e non possiamo dire se quello che stiamo vedendo è una tendenza a lungo termine o solo una fluttuazione statistica. Eppure, è difficile non pensare che il degrado delle condizioni sociali ed economiche in italia, così come il degrado dell’ecosistema, non stiano chiedendo il loro tributo alla popolazione. E che di fatto stiamo vendendo realizzarsi gli scenari di LTG.

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