Effetto Cassandra

Il Papa dovrebbe dire alla gente di smettere di far figli come conigli!

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Immagine di Rakka 

In questo post sostengo che la sovrappopolazione è un problema complesso che ha a che fare con le scelte umane al livello di singole famiglie. Non è impossibile che tali scelte alla fine porteranno ad una stabilizzazione della popolazione ad un livello sostenibile, come è accaduto in alcuni casi storici, come in Giappone durante il periodo Edo.

La questione della popolazione solleva sentimenti forti ogni volta che viene menzionata e c’è chi sembra pensare che, a meno che non venga fatto qualcosa di drastico per frenare la crescita della popolazione, gli esseri umani si riprodurranno come conigli, distruggendo tutto quanto su questo pianeta. Questa posizione va spesso in parallelo con la critica ai leader religiosi in generale, accusati di incoraggiare le persone a riprodursi come conigli. O, perlomeno, di nascondere il fatto che le persone si riproducono come conigli se non viene loro impedito di farlo in un modo o nell’altro.

Ma è vero che le persone si riproducono come conigli? E si fermerebbero se qualcuno, diciamo il Papa, dovesse dire loro di fermarsi? Forse, ma le cose non possono essere così semplici. Ecco un esempio: il Giappone durante il periodo Edo.

La popolazione del Giappone durante il periodo Edo (dati non corretti come riportato dal governo Bafuku). Mostrano come sia del tutto possibile ottenere una popolazione stabile in una società agricola, persino senza regole  e leggi “top down”. (fonte dei dati, vedete anche questo link

Notate come la popolazione sia rimasta relativamente costante per almeno 150 anni. E’ una storia affascinante, discussa nei dettagli nel libroMabiki: Infanticidio e crescita della popolazione nel Giappone orientale 1660–1950” di Fabian Drixler. Ecco un’illustrazione dal libro:

Un altro insieme di dati impressionante: i tassi netti di riproduzione in Giappone sono rimasti intorno o al di sotto al tasso di sostituzione durante il periodo Edo, mantenendo la popolazione costante per qualcosa come un secolo e mezzo. E’ impressionante anche osservare in che modo il tasso di riproduzione è letteralmente esploso in seguito, portando la popolazione giapponese dai circa 25 milioni del periodo Edo all’attuale livello di circa 125 milioni, cinque volte tanto. Osservate anche quanto rapidamente il tasso di riproduzione è collassato dopo gli anni 50 del 900. E’ un esempio forte di ciò che chiamiamo la “transizione demografica”.

Come possiamo vedere da questi dati, le strategie di riproduzione umana sono molto più complesse di quanto si immagini se ci si limita al comandamento biblico “crescete e moltiplicatevi”. I giapponesi NON si sono riprodotti come conigli durante il periodo Edo. Non sembra che siano stati costretti a ridurre il loro tasso di nascite dal governo o da credenze religiose. La popolazione è rimasta stabile, sembra, principalmente a causa di strategie “bottom up” a livello di singole donne o di singole famiglie: principalmente contraccezione e, quando non era sufficiente, infanticidio.

Cosa ha portato quindi le famiglie giapponesi a scegliere (piuttosto che essere costrette) di limitare il proprio tasso di riproduzione? C’è molta letteratura scientifica sulle strategie di riproduzione di varie specie, compresa quella umana. L’idea di fondo è che, in tutti i casi, i genitori hanno una scelta su come impiegare le proprie risorse limitate. O le investono nell’avere un gran numero di prole (la “strategia-R”, ovvero la “strategia del coniglio”) oppure investono nel prendersi cura dei propri ragazzi finché non raggiungono l’età adulta (la “strategia-K” o “strategia dell’elefante”). La scelta della strategia riproduttiva dipende dalla situazione. Cito direttamente da un articolo di Figueredo et al. (1)

… rimanendo tutto il resto alla pari, le specie che vivono in ambienti instabili (vedi fluttuazioni della disponibilità del cibo) ed imprevedibili (vedi alto numero di predatori), tendono a sviluppare una serie di tratti “selezionati da R” associati ad alti tassi di riproduzione, basso investimento da parte dei genitori e tempi intergenerazionali relativamente brevi. Al contrario, le specie che vivono in condizioni ambientali prevedibili tendono a sviluppare serie di tratti “selezionati da K” associati a tassi di riproduzione bassi, alto investimento da parte dei genitori e tempi intergenerazionali lunghi. 

Chiaramente, gli esseri umani sono più come gli elefanti che come i conigli. Il numero di bambini che una femmina umana può partorire è limitato e di solito è una buona strategia che questa massimizzi le possibilità di sopravvivenza di meno bambini, piuttosto che cercare di averne il più possibile. Quindi, per gran parte della storia dell’umanità, una famiglia – o una singola donna – esaminava il proprio ambiente e faceva una stima sommaria di quali possibilità potevano avere i suoi figlio di sopravvivere e prosperare. In condizioni di risorse limitate e forte competizione ha senso che i genitori massimizzino la salute e la forma dei loro figli avendone un numero ridotto. Sembra che sia successo questo in Giappone durante il periodo Edo: di fronte a risorse limitate, in un’isola limitata, le persone decidevano di limitare il numero della loro prole, applicando la “strategia R”.

E’ vero il contrario per i periodi di risorse abbondanti e di scarsa competizione. Quando l’economia è in crescita, le famiglie potrebbero anche proiettare questa crescita nel futuro e valutare che i loro figli avranno molte opportunità, quindi ha senso averne in maggior numero – e quindi di applicare la “strategia K”. La crescita drammatica della popolazione durante gli ultimi 1-2 secoli è il risultato del sempre maggiore consumo di combustibili fossili. Ovunque, e quindi anche in Giappone, le persone hanno reagito riempiendo quelli che hanno visto spazi liberi per i loro figli. Ma, con la seconda metà del XX secolo, la crescita economica ha rallentato e le persone hanno cominciato a percepire che il mondo si stava rapidamente riempiendo e che l’economia non stava più crescendo. Potrebbero non avere percepito l’esaurimento delle risorse minerali, ma il risultato era comunque ovvio. E’ stata la “transizione demografica”, di solito collegata ad un aumento della ricchezza, ma che possiamo anche vedere come il risultato di una percezione del futuro che era vista un po’ meno rosea di prima.

Ci sono altri casi di popolazioni umane che sono rimaste stabili per qualche tempo, quindi potremmo concludere che gli esseri umani non si riproducono come conigli – assolutamente, eccetto in qualche caso veramente speciale e raro della storia. Gli esseri umani sono creature intelligenti e, entro certi limiti, scelgono quanti figli avere in modo tale da massimizzare le loro possibilità di sopravvivenza. La popolazione umana tenderà a crescere in una condizione di crescita economica, ma dovrebbe tendere a stabilizzarsi in condizioni economiche statiche. Quindi, se fossimo in grado di stabilizzare il sistema economico, evitando grandi guerre e la necessità di carne da cannone, la popolazione umana potrebbe stabilizzarsi da sola, senza nessuna necessità di un intervento “top down”da parte dei governi (o forse del Papa). Sfortunatamente, da qui a quel momento, c’è un piccolo problema chiamato “overshoot” e la stabilizzazione ad un livello sostenibile potrebbe essere tutt’altro che indolore. Ma se la stabilizzazione è stata possibile sulle isole del Giappone durante il XIX secolo, perché non potrebbe verificarsi sull’isola più grande che chiamiamo “Terra”?


Vedete anche un mio post intitolato “Il cuculo che non voleva cantare: sostenibilità e cultura giapponese”. 

1. Aurelio José Figueredo, Geneva Vásquez, Barbara H. Brumbach, Stephanie M.R. Schneider, Jon A. Sefcek, Ilanit R. Tal, Dawn Hill, Christopher J. Wenner, W. Jake Jacobs, Concordanza e teoria della storia della vita: dai geni al cervello per la strategia riproduttiva, Developmental Review, Volume 26, numero 2, June 2006, Pagine 243-275, ISSN 0273-2297, http://dx.doi.org/10.1016/j.dr.2006.02.002

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Cinismo, resilienza e transizione

di Jacopo Simonetta

Il cinismo non è mai stato popolare.  Si può capire, ma un po’ di cinismo potrebbe invece essere uno strumento molto utile da tenere nella propria cassetta degli attrezzi per la transizione.

Cinismo Vintage

“Cinico”  oggi si usa per indicare qualcuno interessato esclusivamente al proprio tornaconto personale, del tutto privo di scrupoli morali e di qualsivoglia empatia per il prossimo.   Insomma, un sociopatico grave, o un astuto farabutto che dir si voglia.  

Interessante è il fatto che la seconda definizione (astuto farabutto) può essere usata sia in senso dispregiativo che come complimento, a seconda dell’ambiente di riferimento.   Cioè a seconda della percentuale di suoi simili fra coloro che ne parlano.

Tuttavia non era questo il significato originale del termine.   I cinici greci erano fior di filosofi che perseguivano la felicità tramite una strada particolarmente impervia, ma proprio per questo interessante per chi si pone il problema di essere felice in tempi difficili.

Punto primo: niente utopie, niente illusioni, niente “bicchieri mozzo pieni” quando hai sete.   Soprattutto imparare a guardare la realtà per come è e non per come ci piacerebbe che fosse.   Contare solo su sé stessi, non perché sociopatici, ma perché non puoi mai prevedere cosa davvero farà un’altra persona.   Del resto, è capitato a tutti di ricevere un aiuto da dove meno te lo aspettavi, mentre anche i più fidati amici e parenti qualche volta ti piantano in asso.   Magari senza neanche accorgersene.   E noi stessi, non facciamo esattamente così?

Questo non significa negare che esistano cose come l’altruismo e la fortuna, significa imparare a non farci troppo conto.   Del resto, i cinici non faceva affidamento neppure sugli Dei che, secondo loro, non potevano essere né influenzati, né previsti.   Dunque poco avevano a che fare con quella felicità che cercavano.

Altro punto fermo era infatti  che la felicità dipende sostanzialmente dal soddisfacimento dei propri desideri.   Quali che siano, altamente spirituali o puramente materiali non fa gran differenza; siamo felici nella misura in cui li realizziamo.

Ma se è così, quale mezzo migliore per raggiungere la felicità che far piazza pulita dei propri desideri?    Magari non riusciremo ad eliminarli tutti, ma è positivo che meno numerosi e più semplici sono i nostri desideri, più facilmente saranno soddisfatti.   Un concetto questo cardinale anche in numerose altre scuole filosofiche europee e non.   Ma oggi anche il modo di “portare l’attacco al cuore del sistema” che è basato sull’esatto contrario: l’infelicità costante di chi desidera sempre qualcosa di più di quello che ha.

Un terzo punto fondamentale del cinismo era il plateale disprezzo per tutte le convenzioni e convenienze sociali.   Spesso spinto fino all’aperta e ricercata provocazione, come il celebre Diogene di Sinope che, se ne aveva voglia, andava in giro nudo ed insultava la gente che gli rivolgeva la parola.   Così, tanto per insegnare loro che la buona educazione non è che un orpello inutile.   Penso che se Diogene fosse vissuto oggi sarebbe stato un grande troll su internet.

Cinismo e resilienza

Dunque il cinismo è una filosofia che fornisce una solida base d’appoggio per contenere le inevitabili ondate di depressione che prendono chi, volente o nolente, vive la decrescita.  Quella vera:  fatta non solo di orticelli e baratto, ma soprattutto di perdite e rinunce,  di sogni infranti ed illusioni perdute.

Tutte cose che possono anche portare una persona al suicidio, senza nemmeno una ragione dal momento che, perlopiù, in realtà non sono neanche mai esistite.   E se anche sono esistite, ma non vi sono più i presupposti perché possano esistere in futuro, a che vale soffrirne?   Il passato esiste solamente nelle conseguenze di ciò che è stato e restarci attaccati ha l’unico risultato di popolare il nostro presente di fantasmi.

Dunque lasciare cadere tutto ciò come un albero le foglie d’autunno è la migliore difesa che abbiamo contro la rabbia e la disperazione; così come contro le illusioni.   Cioè contro tutti i nostri peggiori consiglieri.

Ma, si badi bene, nell’ottica del cinismo non si tratta di una rinuncia sofferta come in tanta mistica cristiana, specialmente rinascimentale.   Niente di più lontano dalla filosofia cinica che il cilicio; oppure la rinuncia ed il sacrificio in attesa di un premio che seguirà.   I discepoli di Antistene non si aspettavano niente da questa vita ed ancor meno dalla prossima.   Anzi, probabilmente neanche credevano che una vita post-mortem esistesse.

Al contrario, il cinico cerca di vivere secondo natura, come gli animali cui basta avere la pancia piena ed un posto tranquillo dove riposare fra amici per essere felici.   Liberarsi dei desideri e delle illusioni serve al cinico per rimuovere altrettante cause di sofferenza e preoccupazione.   Insomma un atteggiamento semmai simile a quello degli eremiti della prima cristianità, al punto che alcuni studiosi come John Dominic Crossan hanno suggerito che lo stesso Cristo fosse in realtà un maestro cinico.   Un’ipotesi con ogni probabilità sbagliata, ma interessante in quanto dimostra la compatibilità di questa filosofia con le religioni monoteiste moderne.

Meno utile, a mio avviso, è il disprezzo per le convenzioni sociali, fino alla ricercata maleducazione.   Le forme sono infatti importanti per mitigare e contenere gli inevitabili attriti all’interno di un gruppo sociale qualunque.   E’ pur vero che sono largamente il risultato di processi inconsci di stratificazione culturale.  Vero anche che spesso sono stupide e noiose, ma è anche vero che rispettarle risparmia scontri diretti e magari violenti.   In pratica, evolutivamente, si tratta né più né meno che di un processo di ritualizzazione, fondamentale per ridurre i conflitti interni e, quindi, aumentare la capacità collettiva di resistere e reagire alle minacce esterne.

Esercizi di cinismo

Se qualcuno avesse trovato questo approccio interessante, cinicamente, gli consiglio di fare subito un esercizio: pensare a qualcosa che gli sta particolarmente a cuore sfrondandolo di  tutto ciò che normalmente usa per esorcizzare la paura ed il dolore.   La via del cinismo non è infatti facile.   E’ vero che se riuscissimo a rinunciare alla nostre illusioni smetteremmo di soffrire per le delusioni.   Ma questo risultato passa necessariamente attraverso la rinuncia alla consolazione che le illusioni ci possono temporaneamente dare.

Facciamo un esempio pratico.   Mario Rossi paga ogni mese un terzo delle sue magre entrate per la previdenza sociale.   Ogni volta che paga soffre, ma si consola pensando che fra 15 o 20 anni toccherà a lui essere pensionato e saranno altri a pagare per lui.   Ha ricevuto una busta arancione: non avrà molto, ma meglio di niente.  

Un cinico gli farebbe però osservare che nella busta non c’è scritto quanto potrà comprare con quella cifra fra 15 0 20 anni.  Ed anche che l’INPS continuerà ad esistere a condizione che il sistema politico, economico e finanziario attuale continui ad esistere e funzionare più o meno come ora. Davvero Mario può contare sul fatto che nel 2030 il sistema attuale sia ancora abbastanza funzionale da occuparsi di lui?  Non c’è bisogno di immaginare i 4 cavalieri dell’apocalisse, basta osservare in maniera disincantata le tendenze in atto e quello che sta succedendo in un numero rapidamente crescente di paesi.

Ma allora in cosa il cinismo può aiutare Mario?    A deprimerlo adesso invece che dopo?
A mio avviso lo può aiutare perché se riesce a farsi una ragione del fatto che oggi paga, ma che domani non avrà nulla, può prepararsi almeno psicologicamente, e magari anche materialmente, ad una vecchiaia breve e povera.   Ma non necessariamente tragica.

Ad esempio, Mario potrebbe rinunciare ad acquistare quella casetta che non avrebbe mai potuto finire di pagare e così, perlomeno, potrebbe non avere debiti.   Potrebbe anche imparare a vivere di poco e scoprire che non ha nessun vero bisogno del 90% delle cose che possiede, dunque perché piangerne l’eventuale perdita?

Per di più, imparando a vivere poveramente adesso che ha ancora dei margini di manovra, sarà esperto domani, quando quei margini non ci saranno più.   Anche il fatto di vivere presumibilmente meno dei suoi genitori potrebbe smettere di terrorizzarlo.    Un cinico non teme la vita che è oggettivamente pericolosa, figuriamoci se può temere la morte che rappresenta la fine di ogni pericolo e sofferenza!

L’esercizio va ripetuto con argomenti via via più delicati, fino a quelli cui attribuiamo la nostra stessa identità.   Chi siamo?   Gente buona ed altruista?   Oppure siamo solo gente che si illude di poter far del bene agli altri senza rinunce per se o per i propri figli?   Stiamo pensando di condividere il nostro benessere o l’altrui miseria?   Quali e quante favole ci stiamo raccontando a proposito di decrescita, transizione, immigrazione, accoglienza, pace e guerra?

E’ importante pensarci perché molto spesso si fanno oggi cose che poi si rimpiangono, solo perché ci siamo ostinati a credere nelle nostre illusioni personali e collettive.

Cinismo versus buonismo e cattivismo

Il buonismo è una grave malattia sociale, che induce le persone a compiere scelte autolesioniste nella certezza che questo non avrà conseguenze negative per loro, per l’ambiente o per altro che si voglia. In pratica, un’idea di almeno parziale invulnerabilità.  Come se l’essere miti e condiscendenti ponesse automaticamente al riparo dalle aggressioni altrui o, più semplicemente, dalle conseguenze delle nostre scelte.

Le reazione ai disastri provocati dal buonismo è di solito il cattivismo, che non è che l’errore eguale e contrario.   Anche il cattivismo è infatti basato su di un’illusione di invulnerabilità.  Come se essere delle carogne rendesse più forti.   Oppure, come se aggredire ponesse automaticamente al riparo dalle aggressioni altrui o, anche in questo caso, dalle conseguenze delle nostre scelte.   Di solito, il contrario di una cattiva idea è un’altra cattiva idea e questo è un caso tipico.

Il cinismo, o meglio una certa dose di cinismo, può invece rappresentare un’alternativa costruttiva ad entrambe queste illusioni.   Per capirsi, un eccellente esempio di vero cinismo è quello di un medico del pronto soccorso che si vede recapitare 10 feriti e ne può curare solo uno per volta.   Se sa fare il suo lavoro, sceglierà chi operare per primo perché è grave, ma può farcela, lasciando indietro quelli meno gravi ed in ultimo quelli che sono comunque spacciati.

E forse è proprio questa l’ultima soglia che rifiutano di varcare anche la maggior parte di coloro che cercano di prepararsi ad un futuro “postpicco”.   L’accettare che ci sono situazioni che possono essere modificate ed altre che no, per quanto doloroso questo possa essere.   In Inglese si usa il termine di “predicament” per dire “situazione ineluttabile”.

Essere cinici aiuterebbe a distinguere quando si può fare qualcosa e quando no.   Chi possiamo aiutare e chi no (o quando possiamo essere aiutati e quando no).   Una capacità questa che nessun corso di transizione o di resilienza sviluppa, che io sappia, ma che è vitale.    Dedicarsi all’impossibile non solo toglie risorse al possibile, ma facilmente peggiora considerevolmente la situazione di alcuni, mitigando assai poco quella di altri.

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E tanti saluti anche al ghiaccio artico.






Dall’Artico, arrivano notizie sempre peggiori., con il rischio che l’Oceano Artico si trasformi da bianco in completamente blu in un futuro non lontano. A commento di una situazione ormai fuori controllo, un articolo di Sam Carana.




Da “Arctic News”. Traduzione di MR (via Sam Carana)

Creato da Sam Carana, parte del poster di AGU 2011

La situazione pericolosa nell’Artico è descritta dall’immagine sulla destra che mostra che l’Artico è colpito da tre grandi sviluppi, leggi tre tipi di riscaldamento:

– Riscaldamento Globale
– Riscaldamento accelerato dell’Artico
– Riscaldamento globale fuori controllo

I rettangoli blu descrivono gli eventi che alimentano questi sviluppi, in alcuni casi su su diversi altri eventi. Dove gli sviluppi e gli eventi si alimentano a vicenda, queste interazioni sono descritte da linee con la direzione dell’alimentazione indicata dalla freccia. Tali alimentazioni possono trasformarsi in anelli di retroazione positivi (auto rinforzanti), per esempio uno sviluppo o evento che alimenta sé stesso, o direttamente o attraverso una serie di altri eventi.

Due anelli di retroazione positiva di questo genere sono descritti nell’immagine sopra e sono anche sottolineati nell’immagine sulla destra.

L’anello di retroazione #1 si verifica dove la perdita di ghiaccio marino porta a cambiamenti dell’albedo che accelerano il riscaldamento nell’Artico, chiudendo l’anello causando ulteriore perdita di ghiaccio.

L’anello di retroazione #2 si verifica quando il riscaldamento accelerato dell’Artico indebolisce i depositi di metano, portando a rilasci di metano che accelerano ulteriormente il riscaldamento nell’Artico.

In entrambi i casi, l’accelerazione del riscaldamento nell’Artico alimenta eventi che a loro volta alimentano altri eventi, causando alla fine un ulteriore accelerazione del riscaldamento nell’Artico. Ci sono ulteriori anelli di retroazione positiva. L’immagine sotto dipinge anche in che modo si verifica un altro anello di retroazione man mano che l’accelerazione del riscaldamento nell’Artico altera il jet stream, portando a più meteo estremo, in particolare ondate di calore, che causano incendi. Questi incendi causano ogni tipo di emissioni, compreso biossido di carbonio, polvere, fuliggine, composti organici volatili, metano ed altri precursori dell’ozono. I gas serra accelerano il riscaldamento, mentre gli aerosol possono avere un impatto particolarmente forte nell’Artico quanto si depositano su terreno, neve e ghiaccio e causano cambiamenti nell’albedo che accelerano ulteriormente il riscaldamento dell’Artico. La combustione incompleta porta al monossido di carbonio, che esaurisce l’idrossile che avrebbe potuto invece spezzare il metano.

Inoltre, ci possono anche essere interazioni fra anelli di retroazione. Per esempio, i cambiamenti del jet stream possono causare ondate di calore che andranno ad accelerare il declino di neve e ghiaccio.

Le immagini sopra mostrano in che modo tali retroazioni causino ulteriore accelerazione del riscaldamento nell’Artico, finendo alla fine fuori controllo e arrivando ad un terzo tipo di riscaldamento, cioè al riscaldamento globale fuori controllo. Nell’immagine sopra, tre frecce rosse descrivono i tre grandi sviluppi, cioè i tre tipi di riscaldamento, con alcune retroazioni evidenziate in giallo. L’immagine sotto descrive diverse retroazioni del genere.

Ulteriori dettagli su ognuna di queste retroazioni vengono dati alla fine di questo post. Senza un’azione efficace e complessiva, queste retroazioni porteranno al riscaldamento globale fuori controllo, come il cambiamento climatico improvviso che causa morte e distruzione di massa, e porta all’estinzione su scala di massa, come descritto nell’immagine sotto e come descritto in questo post.

La minaccia che ciò costituisce per la sicurezza delle forniture alimentari e dell’acqua potabile è ulteriormente descritta in questo e questo post, ognuno dei quali indica anche la necessità di piani d’azione complessivi ed efficaci. Senza tale azione, come già detto, i tre tipi di riscaldamento di cui sopra stanno minacciando di portare ad un quarto sviluppo, cioè l’estinzione di massa a breve termine di molte specie, compresi gli esseri umani, come mostra l’immagine sopra. L’azione è raccomandata come parte del Piano Climatico viene descritta nella pagina dell’azione.

Retroazioni nell’Artico

1. Perdita di albedo dovuta al ritiro di neve e ghiaccio ed ulteriore declino di neve e ghiaccio
La perdita di albedo può avvenire a causa di diverse forme di declino del ghiaccio marino, cioè quando il ghiaccio si ritira, quando il riscaldamento cambia la struttura del ghiaccio e quando affiorano pozze di acqua di fusione sopra il ghiaccio. Il riscaldamento globale è accelerato nell’Artico e causa il declino di neve e ghiaccio che porta alla perdita di albedo e quindi ad un maggiore assorbimento di luce solare, accelerando ulteriormente il riscaldamento dell’Artico, in un ciclo auto rinforzante. Notate che viene assorbita più luce solare dall’Oceano Artico e dalla terraferma, causando la fusione del permafrost a profondità maggiore.
http://arctic-news.blogspot.com/2012/07/albedo-change-in-arctic.html

2. Intrappolamento del calore da parte del metano
I rilasci di metano stanno riscaldando l’atmosfera sull’Artico, il fondo del mare si riscalda più rapidamente.
http://arctic-news.blogspot.com/2013/11/methane-levels-going-through-the-roof.html

3. Le correnti verticali si indeboliscono
Man mano che il declino del ghiaccio marini indebolisce le correnti verticali nell’Oceano Artico, il fondo del mare si riscalda più rapidamente.
http://arctic-news.blogspot.com/2012/09/arctic-sea-ice-loss-is-effectively-doubling-mankinds-contribution-to-global-warming.html

4. Tempeste ed ondate di calore che causa più mescolamento verticale dell’acqua
Ciò può provocare il fatto che l’acqua calda dello strato superficiale di acque libere raggiunga il fondo del mare.
http://arctic-news.blogspot.com/2012/07/arctic-waters-are-heating-up.html

5. Tempeste e ondate di calore che accelerano il riscaldamento dell’Artico
L’accelerazione del riscaldamento dell’Artico causa tempeste più forti, porta più aria calda nell’Artico e spinge più aria fredda fuori dall’Artico. Inoltre, l’accelerazione del riscaldamento causa ondate di calore più forti che causano più fusione di neve e ghiaccio. Ciò accelera il riscaldamento nell’Artico e costituisce un ciclo auto rafforzante.
http://arctic-news.blogspot.com/2012/08/diagram-of-doom.html

6. Più tempeste, ondate di calore ed evaporazione che creano più acqua libere, nuvole e precipitazioni
Gli eventi meteo estremi come le tempeste possono spingere il ghiaccio marino fuori dall’Oceano Artico verso l’Oceano Atlantico. Questo crea più acqua libere dove le tempeste si possono sviluppare più facilmente, in quanto ci saranno maggiori opportunità di evaporazione. Le precipitazioni che ne risultano possono rendere più melmoso, in un ciclo auto rinforzante. Inoltre, può essere intrappolato più calore sotto le nuvole e questo si può verificare per tutto l’anno, al contrario all’effetto soltanto estivo della maggior quantità di luce solare che viene riflessa verso lo spazio da tali nuvole (vedete anche la retroazione #27).
http://arctic-news.blogspot.com/2012/04/supplementary-evidence-by-prof-peter.html

7. Onde
Il meteo estremo produce venti ed onde più alte che contribuiscono ulteriormente al declino di neve e ghiaccio. Le onde spezzano il ghiaccio marino in numerosi pezzi che si comportano da vele che catturano il vento e si spostano più facilmente coi venti, probabilmente fino ad uscire dall’Oceano Artico.
http://arctic-news.blogspot.com/2012/08/huge-cyclone-batters-arctic-sea-ice.html

8. Perdita di albedo dovuta alle onde
Le onde causano acqua più mosse e acque più mosse assorbono più luce solare.
http://arctic-news.blogspot.com/2012/08/diagram-of-doom.html

9. Il meteo estremo che causa incendi, polvere, crescita di microbi ed ulteriori fonti di emissioni
Tali emissioni contribuiranno ulteriormente al riscaldamento globale, mentre tale inquinamento si può anche depositare su neve e ghiaccio, portando ad un maggiore assorbimento della luce solare, in particolare nell’Artico.
http://arctic-news.blogspot.com/2012/07/how-extreme-will-it-get.html

10. Porte aperte
L’accelerazione del riscaldamento dell’Artico cambia il vortice polare e il jet stream, rendendo più facile che l’aria calda entri nell’Artico e che l’aria fredda esca dall’Artico, a sua volta diminuendo ulteriormente la differenza di temperatura fra l’Equatore e il Polo Nord, in un anello di retroazione positivo. Come dice Sam Carana: “E’ come lasciare aperta la porta del frigorifero”.
http://arctic-news.blogspot.com/2012/08/opening-further-doorways-to-doom.html
http://arctic-news.blogspot.com/2014/06/warming-of-the-arctic-fueling-extreme-weather.html
http://arctic-news.blogspot.com/2014/07/whats-wrong-with-the-weather.html
http://arctic-news.blogspot.com/2014/05/more-extreme-weather-can-be-expected.html

11. Acque più calde
Acque dell’Artico più calde causate dal riscaldamento della Corrente del Golfo, dovuta ad ondate di calore e a fiumi più caldi che finiscono nell’Oceano Artico. Questo riscalderà il fondo dell’Oceano Artico.
http://arctic-news.blogspot.com/2013/12/the-biggest-story-of-2013.html
http://arctic-news.blogspot.com/2015/05/mackenzie-river-warming.html

12. Attività sismica
Il ritiro della copertura di ghiaccio e neve porta un contraccolpo isostatico che può innescare terremoti sottomarini, onde d’urto e frane, che a loro volta destabilizzano gli idrati di metano.
http://arctic-news.blogspot.com/2013/09/methane-release-caused-by-earthquakes.html
http://arctic-news.blogspot.com/2014/06/earthquakes-and-warm-water-threaten-arctic.html

13. Si forma meno ghiaccio marino
E’ possibile che il ghiaccio marino non si formi a causa dell’energia cinetica (il gorgoglio) del metano nel momento in cui risale nell’acqua ed entra nell’atmosfera.
http://arctic-news.blogspot.com/2013/12/methane-emerges-from-warmer-areas.html

14. Perdita di calore latente
Dove scompare il ghiaccio, il calore non va più a finire nel processo di fusione del ghiaccio, piuttosto se ne andrà ad aumentare le temperature dell’acqua.
http://arctic-news.blogspot.com/2014/06/warming-of-the-arctic-fueling-extreme-weather.html
http://arctic-news.blogspot.com/2015/10/september-2015-sea-surface-warmest-on-record.html

15. Corrente del Golfo più calda
La Corrente del Golfo si scalda a causa delle emissioni e questo può essere reso peggiore dal meteo estremo, portando ad acqua ancora più calda che viene trasportata dalla Corrente del golfo nell’Oceano Artico, accelerando così ulteriormente il riscaldamento dell’Artico e gli eventi meteorologici estremi ai quali questo contribuisce.
http://arctic-news.blogspot.com/2014/06/warming-of-the-arctic-fueling-extreme-weather.html

16. Riscaldamento del fondo del mare
Man mano che il fondo dell’oceano Artico si scalda, il calore può penetrare nei sedimenti, causando la destabilizzazione che provoca rilasci di metano.
http://arctic-news.blogspot.com/2014/04/arctic-sea-ice-in-steep-descent.html

17. Espansione del metano
Quando il metano fuoriesce dagli idrati si espande fino a 160 volte il suo precedente volume. L’urto provocato da tale espansione può causare un’ulteriore destabilizzazione degli idrati.

18. Ondate di calore che provocano il declino di neve e ghiaccio
Meteo estremo che provoca ondate di calore più lunghe ed intense che portano ad un maggiore declino di neve e ghiaccio.

19. Cambiamenti del vortice polare e del jet stream che causano eventi meteorologici estremi
Gli eventi meteorologici estremi possono innescare ulteriori retroazioni, comprese:
– tempeste che causano una maggiore miscelazione verticale dell’acqua (retroazione  #4)
– tempeste ed ondate di calore che accelerano il riscaldamento dell’Artico, che causano a loro volta meteo estremo (retroazione #5)
– tempeste ed ondate di calore che aumentano l’umidità nell’Artico (retroazione #6)
– Forti onde (retroazione #7)
– ondate di calore che innescano incendi (retroazione #9)
– jet stream che raggiunge latitudini maggiori, spostando aria calda nell’Artico (retroazione #10)
– ondate di calore che causano il riscaldamento del fondo dell’Oceano Artico (retroazione #11)
– ondate di calore che causano il declino di neve e ghiaccio (retroazione #18)

20. L’attività sismica innesca terremoti e frane
Le eruzioni vulcaniche sottomarine, i terremoti e le onde d’urto associate possono a loro volta innescare ulteriori terremoti, così come frane sottomarine, specialmente lungo le linee di faglia che separano le placche tettoniche.

21. Gli sbalzi di temperatura causano destabilizzazione
Il metano è presente nella calotta glaciale della Groenlandia sotto forma di idrati e gas libero. Gli enormi sbalzi di temperatura possono colpire aree della Groenlandia nel corso di pochi giorni, causando l’espansione e la contrazione del ghiaccio e quindi differenza di pressione e temperatura. L’urto combinato di forte pressione e sbalzi di temperatura provocano movimento, frizione e fratture nel ghiaccio e questo permette al metano di risalire alla superficie ed entrare nell’atmosfera.
http://arctic-news.blogspot.com/2014/04/earthquakes-in-the-arctic-ocean.html
http://arctic-news.blogspot.com/2015/10/september-2015-sea-surface-warmest-on-record.html

22. Più plancton
Uno studio di Park et al, del 12 maggio 2015, conclude che l’effetto biogeofisico dei cambiamenti futuri del fitoplancton amplifica il riscaldamento dell’Artico del 20%. La fusione del ghiaccio marino indotta dal riscaldamento e l’aumento corrispondente delle radiazioni ad onde corte che penetrano nell’oceano portano entrambi ad una stagione di crescita del fitoplancton nell’Artico più lunga. A sua volta, l’aumento del fitoplancton nell’Artico riscalda lo strato superficiale dell’oceano attraverso il riscaldamento biologico, innescando retroazioni positive aggiuntive nell’Artico e di conseguenza intensificando ulteriormente il riscaldamento dell’Artico.
http://arctic-news.blogspot.com/2015/05/mackenzie-river-warming.html
http://www.pnas.org/content/112/19/5921.abstract

23. Cambiamento dell’emissività
Feldman et al, 18 novembre 2014, hanno scoperto che gli oceani aperti sono molto meno efficienti del ghiaccio marino quando si tratta di emettere nello spettro della regione estrema dell’energia degli infrarossi rispetto al ghiaccio marino, portando ad oceani più caldi, fusione del ghiaccio marino e ad un aumento di 2°C nel clima polare dopo un periodo di 25 anni.
http://www.pnas.org/content/111/46/16297.abstract

24. Fiumi che riscaldano l’Oceano Artico
Ondate di calore  sul Nord America e sulla Siberia possono causare l’ingresso di enormi quantità di acqua calda nell’Oceano Artico.
http://arctic-news.blogspot.com/2015/05/mackenzie-river-warming.html
http://arctic-news.blogspot.com/p/the-mechanism.html

25. Vapore acqueo e nuvole
Man mano che gli oceani si riscaldano, ci si può aspettare che l’atmosfera contenga più vapore acqueo. Questa conclusione è supportata da studi come questo.  Visto che il vapore acqueo è un potente gas serra, più vapore acqueo nell’atmosfera contribuirà al riscaldamento globale. Le nuvole possono da un lato riflettere più luce solare nello spazio, ma dall’altro possono anche intrappolare calore e rifletterlo verso la Terra, calore che sarebbe altrimenti irraggiato verso lo spazio. Studi come quello di Dessler e di Sherwood et al. concludono che è probabile che contribuiscano asl riscaldamento globale.
http://www.nature.com/nature/journal/v505/n7481/full/nature12829.html

26. Salinità
I tassi di evaporazione sono maggiori sull’acqua dolce che sulle superfici di acqua salata. Questo, unitamente alla temperatura più alta dell’acqua di fiume che si riversa nell’Oceano Artico, porterà ad una maggiore evaporazione e quindi a più pioggia, che a sua volta porta a più pozze di acqua  piovana sopra il ghiaccio marino, accelerando la sua fine.
http://www.itc.nl/library/papers_2013/msc/wrem/abdelrady.pdf
http://arctic-news.blogspot.com/2015/05/mackenzie-river-warming.html
http://arctic-news.blogspot.com/2015/01/rain-storms-devastate-arctic-ice-and-glaciers.html

27. Più acque libere nell’Artico contribuiscono a tempeste più forti
Con più vapore acqueo nell’atmosfera e con più eventi meteorologici estremi, ci si può aspettare che le tempeste colpiscano con più intensità. Questa situazione diventa persino peggiore man mano che l’Oceano Artico perde il suo ghiaccio marino, con le acque aperte in più che si aggiungono al vapore acque in atmosfera. Ciò da maggiori opportunità ai pennacchi al di sopra delle supercelle delle grandi tempeste di portare vapore acqueo fino alla stratosfera, contribuendo alla formazione di cirri che bloccano molto calore che altrimenti verrebbe irradiato dalla Terra allo spazio.
http://arctic-news.blogspot.com/2015/06/gulf-stream-brings-ever-warmer-water-into-arctic-ocean.html

28. Un coperchio di acqua dolce fredda sul Nord Atlantico
La fusione della calotta glaciale della Groenlandia e del permafrost in Nord America porta l’acqua di fusione ad essere spinta dalle correnti marine verso il Nord Atlantico, dove si accumula e forma un coperchio di acqua fredda supra l’acqua. Questo porta a minore evaporazione e trasferimento del calore dall’oceano all’atmosfera e più calore oceanico che viene trasportato dalla Corrente del Golfo al di sotto della superficie del mare nell’oceano Artico.
http://arctic-news.blogspot.com/2015/10/september-2015-sea-surface-warmest-on-record.html
http://arctic-news.blogspot.com/2015/09/warming-arctic-ocean-seafloor-threatens-to-cause-huge-methane-eruptions.html
Si tratta di un anello di retroazione positivo, come descritto nei post:
http://arctic-news.blogspot.com/2015/12/strong-winds-and-high-waves-hit-arctic-ocean.html
http://arctic-news.blogspot.com/2015/12/2015-warmest-year-on-record.html

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Collasso, collasso, collasso!!!!

Da “Counterpunch”. Traduzione di MR

1 aprile 2016 [ma purtroppo non è un pesce d’Aprile in ritardo…]

Di Pete Dolack

Gli scienziati del clima ed altri negli ultimi anni hanno pubblicato un flusso costante di analisi che mostrano che, senza azioni immediate per rimediare, abbiamo sul nostro cammino un futuro disastroso. Uno studio di 40 anni fa si dimostrerà preveggente?

Quello studio, pubblicato nel libro del 1972 “I limiti della crescita”, prevede che la produzione industriale avrebbe declinato all’inizio del XXI secolo, seguita in veloce successione da un aumento dei tassi di morte dovuti alla ridotta disponibilità di servizi e cibo che porterebbe ad un drammatico declino della popolazione mondiale. Ad essere precisi, la produzione industriale pro capite è stata prevista in declino “precipitoso” a partire circa dal 2015.

Bene, eccoci qua. Nonostante anni di stagnazione a seguito della peggiore crisi economica dalla Grande Depressione, le cose non sono andate così male. Perlomeno non ancora. Anche se gli autori originali de “I limiti della crescita”, condotti da Donella Meadows, mettono in guardia dall’attenersi in modo troppo stretto ad un anno specifico, le tendenze reali degli ultimi quattro decenni non sono troppo lontane da quanto era stato previsto dai modelli dello studio. Un recente articolo che esamina lo studio originale del 1972 si sbilancia tanto da dire che le previsioni dello studio sono perfettamente sulla strada della conferma.

L’articolo scientifico, preparato dallo scienziato dell’Università di Melbourne Graham Turner, é intitolato senza ambiguità “Il collasso globale è imminente?” Come potrete indovinare dal titolo, il dottor Turner non è terribilmente ottimista. E’ solo l’ultimo ricercatore che suona l’allarme. Proprio il mese scorso, un articolo peer-reviewed di 19 scienziati condotti da James Hansen dimostra che le continue emissioni di gas serra porterà ad un aumento del livello del mare di diversi metri in soli 50 anni, tempeste sempre più potenti e un rapido raffreddamento in Europa. Due altri articoli recenti calcolano che l’umanità ha già prenotato sé stessa per un aumento del livello del mare di sei metri ed un gruppo separato di 18 scienziati ha dimostrato nel suo studio che la Terra sta attraversando molteplici punti di non ritorno. Nel frattempo, i governi si aggrappano all’idea che il “il capitalismo verde” tirerà fuori l’umanità dalla graticola.

Quattro decenni di ‘business as usual’

Perlomeno oggi il riscaldamento globale è riconosciuto, anche se le prescrizioni dei governi del mondo finora sono del tutto inadeguate. Nel 1972, il messaggio de “I limiti della crescita” è stata ben lontano dall’essere il benvenuto ed è stato ampiamente ridicolizzato. Regolando i parametri per verificare diverse possibilità, gli autori hanno provato una dozzina di scenari in un modello globale dell’ambiente e dell’economia ed hanno scoperto che “superamento e collasso” erano inevitabili con il perdurare del ‘business as usual’, cioè, senza cambiamenti significativi dell’attività economica. Non c’è bisogno di dire che tali cambiamenti non si sono verificati.

Nel modello ‘business as usual’, il capitale necessario per estrarre risorse più difficili da raggiungere diventa sufficientemente alto che altre necessità di investimento vengono fatte morire di fame nello stesso momento in cui le risorse cominciano ad esaurirsi. La produzione industriale avrebbe iniziato a declinare dal 2015, ma l’inquinamento avrebbe continuato ad aumentare e sarebbero stati disponibili minori input per l’agricoltura, cosa che porterebbe ad un declino della produzione di cibo. Insieme ai declini dei servizi come la sanità e l’educazione dovuti ad insufficienza di capitale, i tassi di morte cominciano ad aumentare nel 2020 e la popolazione mondiale comincerebbe a declinare ad un tasso di circa mezzo miliardo per decennio dal 2030. Secondo il dottor Turner:

“Il modello World3 ha simulato una riserva di risorse non rinnovabili così come di risorse rinnovabili. La funzione delle risorse rinnovabili in World3, come il terreno agricolo e gli alberi, potevano erodersi in conseguenza dell’attività economica, ma potevano anche recuperare la loro funzione se veniva intrapresa deliberatamente un’azione o veniva ridotta l’attività dannosa. Il tasso di ripresa relativo ai tassi di degrado condiziona il momento in cui vengono superate soglie o limiti così come la dimensione di ogni potenziale collasso”. 

Il modello computerizzato World3 ha simulato le interazioni interne e fra in fattore e l’altro di popolazione, capitale industriale, inquinamento, sistemi agricoli e risorse non rinnovabili, impostate per catturare anelli di retroazione positivi e negativi. Il dottor Turner scrive che cambiare i parametri ritarda soltanto il collasso. L’attuale boom del fracking di gas naturale e l’estrazione di prodotti petroliferi dalle sabbie bituminose non sono stati previsti negli anni 70, ma l’espansione di nuove tecnologie per estrarre risorse posticipa il collasso di “un decennio o due”, ma “quando questo si verifica la velocità del declino è persino maggiore”.

Quindi, in che misura dovremmo fidarci di uno studio che ha più di 40 anni? Il dottor Turner asserisce che le misurazioni reali ambientali, economiche e di popolazione degli anni successivi “si allineano fortemente” a ciò che prevedeva il modello de “I limiti della crescita” nella versione “business as usual’. Turner scrive:

“La produzione industriale pro capite osservata illustra un tasso di crescita in rallentamento che è coerente con [lo scenario business as usual] che raggiunge un picco. In questo scenario, la produzione industriale pro capite è ampiamente in linea con lo [scenario business as usual de I limiti della crescita], con la fornitura alimentare che aumenta solo marginalmente più velocemente della popolazione. I tassi di alfabetizzazione mostrano una tendenza alla crescita in saturazione, mentre la generazione di elettricità pro capite… cresce più rapidamente e in migliore accordo con il modello de [I limiti della crescita]”. 

Picco del petrolio ed economia difficile

Aumentando i costi dell’energia, i picco globale del petrolio renderà gran parte della riserva rimanente non economica da estrarre. Si tratta di un punto di forza cruciale nello scenario del collasso. E man mano che serve più energia per estrarre risorse che sono più difficili da sfruttare, l’energia netta della produzione continua a cadere. John Michael Greer, una persona che scrive di picco del petrolio, osserva che proprio come serve più energia per produrre un manufatto d’acciaio di quanta ne servisse un secolo fa a causa della minore qualità del minerale di ferro di oggi, serve più energia per produrre l’energia di oggi. L’energia netta della produzione di petrolio sì è ampiamente contratta negli ultimi anni, scrive Greer:

“Il tipo di pozzi poco profondi che hanno costituito l’industria petrolifera statunitense hanno un’energia netta di qualcosa come 200 a 1: in altre parole, meno di un quarto di gallone ogni barile da 42 galloni di petrolio va a pagare il costo energetico dell’estrazione e il resto è puro profitto. … Man mano che si scende di grado verso gli idrocarburi più viscosi, però, questa piacevole equazione viene sostituita da cifre considerevolmente meno geniali. Il vostro barile medio di petrolio da un giacimento petrolifero convenzionale statunitense oggi ha un’energia netta introno a 30 a 1. L’ondata di nuovo petrolio che ha colpito il mercato petrolifero appena in tempo per aiutare ad alimentare l’attuale crisi dei prezzi del petrolio, però, non è arrivata dai pozzi di petrolio a 30 a 1… ciò che ha prodotto l’ondata stavolta è stato un mix di sabbie bituminose e scisti fratturati diraulicamente, che sono molto, molto più in basso nella curva della viscosità…

“La vera difficoltà con la viscosità che si ha con le sabbie bituminose e gli scisti fratturati idraulicamente è che bisogna mettere molta più energia per tirare fuori ogni [barile di petrolio equivalente] di energia dal sottosuolo ed in una condizione utilizzabile di quanta se ne deve mettere col petrolio greggio convenzionale. Le cifre esatte sono oggetto di dibattito e tenere conto di ogni input energetico è un processo dannatamente difficile, ma è sicuramente molto meno di 30 a 1 – e le stime credibili pongono l’energia netta di sabbie bituminose e scisti fratturati idraulicamente ben al di sotto ed in cifra singola. Ora chiedetevi questo: da dove viene l’energia che deve essere messa nel processo di estrazione? La risposta, naturalmente, è che viene dalla stessa fornitura globale di energia alla quale le sabbie bituminose e gli scisti fratturati idraulicamente dovrebbero contribuire”.

Sono la disponibilità di energia in declino e la spesa maggiore il punto di non ritorno, sostiene il dottor Turner:


“La ricerca contemporanea sull’energia necessaria per estrarre ed alimentare una unità di energia da petrolio, mostra che gli input sono aumentati di quasi un ordine di grandezza. Non importa quanto sia grande la riserva di risorsa se non può essere stratta abbastanza rapidamente o se altri input scarsi necessari altrove nell’economia vengono consumati nell’estrazione. Gli ottimisti del petrolio e del gas osservano che estrarre combustibili non convenzionali è economico solo al di sopra di un prezzo vicino ai 70 dollari al barile. Riconoscono tranquillamente che l’era del petrolio a buon mercato è finita, apparentemente senza rendersi conto che i combustibili costosi sono un segnale dei limiti dei tassi di estrazione e degli input necessari. Sono questi limiti che portano al collasso nel modello ‘business as usual’ de“I limiti dello sviluppo”.


Il nuovo petrolio è petrolio sporco

L’attuale crollo dei prezzi di petrolio e gas non saranno permanenti. La speculazione sul perché l’Arabia Saudita, di gran lunga il più grande esportatore di petrolio al mondo, continui a pompare furiosamente petrolio più che può nonostante il collasso dei prezzi spesso si concentra sulla speculazione secondo cui i costi di pompaggio dei sauditi sono più bassi che altrove e quindi possono sostenere i prezzi bassi tagliando fuori i concorrenti che devono lavorare in rosso a tali prezzi.
Se questo scenario si realizza, alla fine si materializzerà una carenza di petrolio che riporterà su di nuovo il prezzo. Ma l’economia difficile non sarà scomparsa. Tutte le fonti facili di petrolio è da molto che vengono sfruttate. E le fonti del recente boom – sabbie bituminose e fracking – sono dei pesanti contributi al riscaldamento globale, un altro pericolo incombente. La distruzione climatica catastrofica dovuta al riscaldamento globale oggi è compresa di gran lunga meglio che nel 1972 – e ne stiamo già sperimentando gli effetti.

Il dottor Turner, osservando con un eufemismo che questi enormi problemi globali “hanno incontrato una considerevole resistenza da parte di potenti forze sociali”, conclude:

“Una lezione stimolante proveniente dagli scenari de I limiti della crescita è che i problemi ambientali globali sono tipicamente intrecciati e non dovrebbero essere trattati come problemi isolati. Un’altra lezione è l’importanza di intraprendere un’azione preventiva molto prima che i problemi si radichino. Purtroppo, l’allineamento delle tendenze dei dati con le dinamiche de I limiti della crescita indica che le prime fasi del collasso potrebbero verificarsi entro un decennio, o potrebbero già essere in corso. Questo suggerisce, da un punto di vista razionale basato sui rischi, che abbiamo sprecato i decenni passati e che prepararsi per un sistema globale che collassa potrebbe essere anche più importante di cercare di evitarlo”. 

Fa pensare. Ciò che rimane da dire (e, come sempre, non c’è intento di critica nell’osservare che un articolo scientifico non vada al di fuori dei suoi parametri) è perché sia stato fatto così poco per scongiurare una catastrofe globale incombente. Liberi da limitazioni, non è difficile quantificare quelle “potenti forze sociali” come i più grandi industriali e finanzieri del sistema capitalistico mondiale. Finché abbiamo un sistema economico che permette al capitale privato di essere accumulato senza limite in un pianeta finito, e di esternalizzare i costi, in un sistema che richiede crescita infinita, non c’è nessuna prospettiva reale di fare i cambiamenti drastici per scongiurare un futuro molto doloroso.

Solo perché è stato condotto uno studio 40 anni fa non significa che non possiamo imparare da questo, anche con una misura di scetticismo nei riguardi degli scenari di picco del petrolio e rapido collasso. Se andiamo ancora più indietro nel tempo, le parole di Rosa Luxemburg ci perseguitano ancora: socialismo o barbarie.

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La storia del pescatore e del contadino

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Immagine da “Contadini e pescatori” di Daniel Vickers, 1994.

di Ugo Bardi

Mentre sto seduto sul podio con gli altri relatori, di fronte a me ho circa 30 ragazzi e ragazze. Non sono nemmeno adolescenti, gran parte di loro sembra avere intorno ai 12 anni. Siedono, mentre i relatori raccontano loro di cambiamento climatico ed energie rinnovabili. Viene detto loro ciò che crediamo sia buono per loro: che siamo in pericolo, che dobbiamo agire, che dobbiamo riciclare i nostri rifiuti, risparmiare energia e ridurre le emissioni. Ma, allo stesso tempo, non posso evitare di pensare che, la fuori, al di là del mondo confortevole della scuola e dei loro insegnanti, c’è un mondo diverso. Un mondo in cui il solo albero che ha valore è quello che è stato tagliato e venduto. Un mondo dove la misura del successo è quanto può consumare una persona. Un mondo in cui la cosa fragile che chiamiamo “l’ambiente” è sempre l’ultima delle preoccupazioni.

Stiamo facendo un favore a questi bambini raccontando loro ciò che raccontiamo loro? Non posso dirlo, posso solo vedere che sono bravi ragazzi e ragazze che stanno facendo del loro meglio per ascoltare i relatori. Sembra che capiscano che ciò che viene loro raccontato è importante per il loro futuro. Ed alcuni di loro sembrano capire che non è ovvio che avranno un futuro.

Mentre si avvicina il mio turno, cerco di pensare. Cosa posso raccontare ad un gruppo di bambini stanchi (ed anche un po’ spaventati)? All’improvviso mi viene in mente un’idea. In più o meno dieci minuti scarabocchio un testo su dei fogli di carta e quando arriva il mio turno chiamo dei volontari per recitare il testo di fronte ad altri bambini. A loro piace l’idea e capiscono subito come recitare i rispettivi ruoli, sono felici ed eccitati di fare qualcosa di diverso dal semplice ascoltare. Ecco il testo che ho scritto, così come me lo ricordo.

La famiglia del pescatore

Babbo, babbo… abbiamo fame, abbiamo fame! Stiamo aspettando il tuo ritorno, stiamo aspettando che ci riporti del pesce. Hai preso molti pesci, babbo? Racconta!

Bambini, bambini, mi spiace, ne ho presi pochi. La rete che ho gettato nel mare non ha preso molti pesci. Bambini, mi spiace, ma questo è tutto ciò che posso portarvi oggi. 

Babbo, così pochi? Ma noi abbiamo fame. Abbiamo fame, babbo, perché non puoi portarci più pesci dal mare?

Bambini, bambini, ho gettato le mie reti nel mare molte volte, ma non c’è più molto pesce nel mare, perché ci sono molti pescatori e tutti hanno bambini affamati. E tutti cercano di prendere più pesci possibile. E se peschiamo troppo, non rimane molto pesce nel mare. Ma tutti fanno la stessa cosa e se non lo faccio anch’io il pesce che rimane sarà pescato dagli altri pescatori. Quindi bambini, ecco cosa ho pescato oggi, so che non è abbastanza. Ma è ciò che ho potuto fare oggi e non posso nemmeno dirvi che domani farò di meglio. Ed è così che fanno i pescatori.

La famiglia del contadino

Babbo, babbo… mamma ci ha dato del pane, ma non era tanto e siamo ancora affamati. Ed abbiamo visto che c’è ancora del grano nella dispensa. Perché non possiamo macinare quel grano ed usare la farina per fare del buon pane per noi, babbo?

Bambini, bambini, so che avete fame e so che c’è ancora del grano in dispensa. Ma, bambini, non possiamo mangiare quel grano. Vostra madre vi dà tutto il pane che può darvi e so che è poco. Ma dovete andare avanti con quello che vostra madre può darvi e non chiederne di più. 

Ma babbo, perché non possiamo mangiare quel grano che abbiamo in dispensa? Diccelo babbo, perché non lo capiamo. 

Non possiamo mangiare quel grano, bambini, perché è il seme per il prossimo raccolto. Presto andremo a seminare nei campi e semineremo quel grano come seme. E il seme che seminiamo germinerà e produrrà più grano e quel grano lo raccoglieremo per avere del pane per il prossimo anno. E terremo da parte un po’ di grano che raccogliamo per l’anno che seguirà, e continueremo a fare questo per gli anni a venire come hanno fatto nostri padri e i nostri nonni. E come farete voi stessi e i vostri figli e nipoti. Ed è così che fanno i contadini. 

Ed eccoci qua. I bambini che hanno giocato a fare gli attori hanno recitato la loro parte e sembrano felici ed eccitati. Coloro che sedevano in sala hanno ascoltato con attenzione ed è sembrato che sia loro piaciuta la performance. Ma hanno capito ciò che cercavo di dir loro? Chiedo “perché il pescatore non può sfamare la sua famiglia tutti i giorni?” Una bambina risponde, “perché pesca troppo e non c’è più pesce nel mare”. Le chiedo, “ma perché questo non succede al contadino?” Lei risponde, “perché il contadino conserva dei semi per il raccolto successivo!”. Non hanno mai sentito parlare della “tragedia dei beni comuni”, né del problema dello sfruttamento eccessivo della pesca, ma sembra che abbiano capito questi concetti.

Così chiedo loro, “ma oggi, ci comportiamo come contadini o come pescatori?” Sono un po’ perplessi. Spiego: “stiamo conservando un po’ di semi per il futuro o stiamo consumando tutto ciò che abbiamo?” Mi guardano, capiscono quello che ho detto. Uno di loro dice: “come pescatori”. E gli dico, “Avete ragione, ma fatemi spiegare: non importa se siamo contadini o pescatori, ma non dobbiamo prendere troppo di quello che la terra o il mare possono fornirci, di modo che la terra e il mare abbiano il tempo di ricreare quello che abbiamo portato via. Che siamo contadini o pescatori, se rispettiamo la terra, o rispettiamo il mare, i nostri bambini non saranno mai affamati. E se tutti rispettiamo la Terra, allora tutti saranno felici, compresa la Terra!” Annuiscono tutti, sembra che abbiano afferrato l’idea.

Il laboratorio è finito, i bambini se ne vanno, digitando sui loro smartphone e chiacchierando fra loro. Ricorderanno quello che ho detto loro? E se lo faranno, sarà loro utile? Non posso dirlo. Mentre li guardo andarsene, mi viene in mente che avranno meno di 50 anni nel 2050, quando il mondo o avrà tagliato l’uso dei combustibili fossili dell’80%, oppure dovrà affrontare le terribili conseguenze del non averlo fatto. Che mondo sarà? Posso solo augurare loro buona fortuna.

h/t Marco Rustioni

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Maledetti Catastrofisti: un’Estate Rovente alle Porte?

Il catastrofismo butta bene per incassare qualche click e quelli de “Il Meteo” ce la mettono tutta per spaventare la gente prevedendo un’Estate del 2016 “simile a quella del 2003”. Vi ricordate? Quella che provocò 18.000 morti in Italia.

Purtroppo, non è detto che abbiano torto. Peccato però che si guardino bene dal menzionare la causa ultima di cotanto possibile disastro: il riscaldamento globale.

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Il cambiamento climatico spazzerĂ  via 2,5 trilioni di dollari in patrimoni finanziari.

Da “The Guardian”. Traduzione di MR (via Cristiano Bottone)

Le perdite potrebbero volare a 2,4 trilioni di dollari è distruggere l’economia globale, nello scenario peggiore, suggerisce la prima modellizzazione economica


L’impatto economico del cambiamento climatico potrebbe devastare l’economia mondiale, secondo uno studio della London School of Economics (LSE). Foto: Carlo Allegri/Reuters


Di Damian Carrington

Il cambiamento climatico potrebbe tagliare il valore dei patrimoni finanziari mondiali di 2,5 trilioni di dollari, secondo la prima stima proveniente dalla modellazione economica. Negli scenari peggiori, spesso usati dai legislatori per verificare la salute finanziaria delle aziende e delle economie, le perdite potrebbero aumentare vertiginosamente a 24 trilioni di dollari, o il 17% dei patrimoni mondiali, e distruggere l’economia globale.

La ricerca ha anche mostrato il senso finanziario dell’intraprendere un’azione per mantenere il cambiamento climatico diminuirebbe a 315 miliardi di dollari in meno, anche includendo i costi del taglio delle emissioni.

“Il nostro lavoro suggerisce agli investitori a lungo termine ci andrebbe meglio in un mondo a basso tenore di carbonio”, ha detto il professor Simon Dietz della London School of Economics, l’autore principale dello studio. “I fondi pensione dovrebbero essere al vertice di questo problema e molti di essi lo sono”. Ha detto, tuttavia, che la consapevolezza nel settore finanziario è stata bassa.

Mark Campanale del thinktank Carbon Tracker Initiative ha detto che le perdite finanziarie reali dovute al riscaldamento globale incontrollato potrebbero essere più alte di quanto stimato dal modello finanziario che sta dietro al nuovo studio. “Potrebbe essere molto peggio. La perdita di capitale finanziario potrebbe essere molto maggiore e rapida delle perdite di PIL [usate per modellare i costi del cambiamento climatico nello studio]. Basti guardare al valore del gigante del carbone Peabody Energy. Valeva miliardi di dollari solo pochi anni fa ed ora non vale niente”.

La Banca d’Inghilterra e la Banca Mondiale hanno avvertito dei rischi del cambiamento climatico per l’economia globale e il G20 ha chiesto all’International Financial Stability Board di investigare il problema. A gennaio, il World Economic Forum ha detto che una catastrofe causata dal cambiamento climatico era la minaccia potenziale più grande all’economia globale nel 2016. “Gli impatti fisici del cambiamento climatico sono un rischio sistemico su scala di massa”, ha detto Ben Caldecott, il direttore del programma di finanza sostenibile dell’Università di Oxford. “Gli investitori possono fare molto di più per differenziare fra aziende più o meno esposte e possono aiutare a ridurre il rischio per l’economia globale sostenendo azioni ambiziose per il cambiamento climatico”.

Il nuovo studio pubblicato nella rivista peer-review Nature Climate Change, ha usato la modellazione economica per stimare l’impatto del cambiamento climatico incontrollato. Ha scoperto che in quello scenario, i patrimoni oggi erano effettivamente valutati in 2,5 trilioni di dollari, ma che c’era una possibilità del 1% che la sopravvalutazione poteva essere di 24 trilioni di dollari.

Una strada di York, Regno Unito. Gli eventi meteorologici innescati dal cambiamento climatico hanno un’ampia gamma di impatti sull’economia nel suo complesso. Foto: Jeff J Mitchell/Getty Images

Le perdite sarebbero causate dalla distruzione diretta dei patrimoni da parte di eventi meteorologici estremi in aumento ed anche da una riduzione dei guadagni da parte di coloro che vengono colpiti dalle alte temperature, dalle siccità e da altri impatti del cambiamento climatico. Se viene intrapresa un’azione per affrontare il cambiamento climatico, lo studio ha scoperto che le perdite finanziarie sarebbero ridotte in generale, ma che altri patrimoni come le aziende di combustibili fossili perderebbero valore. Gli scienziati hanno mostrato che gran parte delle riserve di carbone, petrolio e gas di cui tali aziende sono proprietarie dovranno rimanere nel sottosuolo se l’aumento globale della temperatura deve essere mantenuto al di sotto dei 2°C. La capitalizzazione totale in borsa delle aziende di combustibili fossili oggi è di circa 5 trilioni.

“Non c’è nessuno scenario in cui il rischio per i patrimoni finanziari non siano colpiti dal cambiamento climatico. S tratta solo di fiction”, ha detto Dietz. “Ci saranno vincitori e perdenti”. I grandi investitori come il fondo d’investimento statale norvegese – il più grande al mondo – hanno già iniziato a svendere le azioni ad alta concentrazione di carbonio come le aziende del carbone. Gli investitori sono anche stati avvertiti sull’investimento in nuove centrali a carbone e a gas dopo il 2017 da un secondo nuovo studio. La ricerca mostra che per centrare l’obbiettivo dei 2°C, non può essere costruita nessuna nuova centrale che emetta carbonio da nessuna parte nel mondo, a mano che non vengano subito dopo chiuse o dotate di tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio.

“Gli investitori che mettono soldi in nuove infrastrutture che emettono carbonio devono farsi domande difficili riguardo a quanto tempo potranno operare quei patrimoni e valutare il rischio di future chiusure e cancellazioni”, ha detto il professor Cameron Hepburn dell’Università di Oxford.

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