Effetto Cassandra

L’economia della navicella spaziale “Terra”

Riassunto e chiose di Jacopo Simonetta.
“Chiunque creda che la crescita esponenziale può durare per sempre all’interno
di un mondo delimitato è un pazzo, oppure un economista.”

Ho sempre trovato interessante andare ogni tanto a rileggere ciò che hanno detto persone particolarmente intelligenti in un passato più o meno remoto. Qui vorrei proporre il riassunto di un importante articolo di Boulding, frutto di un accorto “taglia e cuci” del testo originale, lungo circa il doppio. Prego notare che è del 1966, dunque parecchi anni prima che fosse pubblicato “I limiti dello Sviluppo”.  Mi sono permesso di inserire qualche chiosa personale basata sul quello che è successo nei circa 50 anni seguenti la prima pubblicazione di questo storico articolo.



Boulding era un economista e, soprattutto,  uno studioso di dinamica dei sistemi (come i Meadows), ma era anche un filosofo ed un mistico.  Una rara combinazione che rende il suo pensiero particolarmente stimolante.

Oggi ci troviamo nel mezzo di un lungo processo di transizione circa l’immagine che l’uomo ha di se stesso e dell’ambiente che lo circonda. Gli uomini primitivi, e in gran parte anche gli uomini delle civiltà antiche, immaginavano di vivere in uno spazio virtualmente illimitato. C’era sempre qualche altro posto dove andare quando le cose si complicavano per il deterioramento dell’ambiente o delle strutture sociali.  L’immagine della frontiera è probabilmente una delle più antiche del genere umano e non ci deve quindi sorprendere se facciamo fatica ad abbandonarla.

(Anche nell’antichità spesso emigrare voleva dire farsi largo con le armi.   Una dinamica che accomuna moltissime specie, ma che nella nostra è particolarmente importante )

Tutti gli organismi viventi, compreso l’uomo, sono dei sistemi aperti.   Devono cioè prelevare dall’esterno input in forma d’aria, cibo, acqua e restituire output in forma di urina ed escrementi. La mancanza d’input, come l’aria, è fatale; ugualmente la mancanza di capacità di espellere gli output è fatale in un tempo relativamente breve. Tutte le società umane sono dei sistemi aperti.   Esse ricevono input dalla terra, atmosfera e acqua e restituiscono output in questi stessi ambienti. I sistemi possono essere aperti o chiusi in rapporto alle classi di risorse che operano da input ed output.

Ci sono tre classi principali di risorse: materia, energia ed informazione.   Strettamente connesse fra loro dal fatto che possono essere in parte trasformate le une nelle altre, ma soprattutto perché il flusso di tutte e tre provoca un aumento di entropia che danneggia il sistema, a meno che non venga scaricato all’esterno del medesimo.   Parlando di società umane, questo di solito avviene a danno della Biosfera, ma anche a scapito di altri popoli e paesi, oppure classi sociali subalterne e pesino di future generazioni.

L’attuale economia mondiale è aperta rispetto a tutti tre.   Possiamo pensare l’economia mondiale, o “econosfera”, come sottocategoria della categoria “mondo”, la quale ingloba tutto.  Quindi pensiamo l’econosfera come lo stock di capitale totale.   Cioè lo stock di tutti gli oggetti, persone, organizzazioni, ecc. rilevanti dal punto di vista del sistema di scambio.   Questo stock di capitale totale è chiaramente un sistema aperto, con input ed output: la produzione, come input, aggiunge valore allo stock di capitale e il consumo, come output, ne sottrae valore.

Dal punto di vista materiale, nel processo di produzione osserviamo oggetti che passano dal campo non-economico verso quello economico.   Allo stesso modo, osserviamo prodotti che escono dal campo economico man mano che il loro valore tende a zero.Così osserviamo l’econosfera come un flusso di materia che inizia con la scoperta e l’estrazione delle materie prime e finisce quando gli effluenti del sistema confluiscono come inquinamento nelle riserve non economiche quali, ad esempio l’atmosfera e gli oceani.

Dal punto di vista del sistema energetico, l’econosfera comprende input di energia, disponibili sotto forma di potenza idraulica, combustibili fossili e luce solare, che sono necessari alla creazione della totalità dei materiali e per generare il passaggio della materia dal piano non economico a quello economico o, nuovamente, al di fuori di esso.   Inoltre, l’energia stessa è condivisa dal sistema in forma, meno fruibile, di calore. Nelle società avanzate lo sfruttamento della fotosintesi è potenziato in modo esponenziale dall’uso dei combustibili fossili, che rappresentano in pratica uno stock di energia solare immagazzinata.  Grazie a questa riserva di energia, negli ultimi due secoli, si è potuto disporre di un input di energia molto più consistente di quanto si sarebbe potuto ottenere sfruttando soltanto l’energia solare.   Ma questo contributo supplementare è per sua stessa natura esauribile.

Gli input ed output di informazione sono più subdoli da individuare, ma rappresentano in ogni caso un sistema aperto che si relaziona con la trasformazione di materia ed energia. La maggior parte del sapere e della conoscenza è in-generata dalla società umana.

(Qui Boulding sembra dimenticare l’immensa quantità di informazione contenuta nel genoma e nei tessuti degli organismi viventi. Uno stock di informazione che è attualmente in caduta libera a causa dell’estinzione di massa in corso. All’epoca in cui scriveva Boulding la “mass extinction” era già cominciata, ma procedeva assai più lentamente di ora e non se ne parlava ancora.)

E’ la conoscenza generatasi all’interno del pianeta, ad ogni modo, e in particolare quella generata dall’uomo stesso, che costituisce la maggior parte del sistema del sapere.  Possiamo pensare al sapere, o come lo indica Teilhard de Chardin, la “noosphere”, e considerarlo un sistema aperto, che cede nozioni con l’invecchiamento e la morte e ne acquisisce con la nascita, l’educazione e l’esperienza ordinaria di vita.

Dal punto di vista umano, il sapere (o conoscenza) è di gran lunga il più importante dei tre sistemi. La materia acquisisce significato ed entra nella sociosfera o nell’econosfera in proporzione al suo divenire oggetto dell’umana conoscenza.   Possiamo così pensare al capitale come a una forma di conoscenza imposta al mondo materiale sottoforma di imperfetta organizzazione, mediante la dissipazione di energia.   L’accumulo di conoscenza, che consiste nell’eccesso di produzione rispetto al suo consumo, è la chiave di ogni tipo di sviluppo del genere umano, in particolare di quello economico.
Per “conoscenza” intendo, ovviamente, la totalità della struttura cognitiva, che include valutazioni e motivazioni, così come le immagini del mondo reale.

Il concetto di entropia, usato in un senso alquanto ampio, può essere applicato a tutti e tre questi sistemi aperti. Nel caso della materia, possiamo fare la distinzione tra i processi entropici, che prendono materia concentrata e la disperdono.   E processi anti-entropici, che prendono materia disgregata e la concentrano, dissipando però energia durante il processo.

Per quanto riguarda l’energia, non si può che fare riferimento alla seconda legge della termodinamica.  Se non ci fossero input di energia, sulla terra sarebbe impossibile qualunque processo di sviluppo.   Il principale input di energia, ottenuto con il combustibile fossile, è temporaneo. La questione del tempo è una questione complessa ma intrigante, che corrisponde in qualche maniera all’entropia nel sistema dell’informazione.

 (fu poi Prigogine a dimostrare la stretta correlazione fra l’entropia e la freccia del tempo).

Ci sono sicuramente molti esempi di sistemi sociali e culture di cui abbiamo perso conoscenza nel passaggio da una generazione ad un’altra, con effetti degenerativi.  Un esempio è la migrazione della cultura popolare dei contadini appalachiani verso le città americane.   Vi si vede una cultura che ha avuto origine da una cultura popolare europea del periodo elisabettiano relativamente ricca perdere nel giro di dieci generazioni le sue abilità, adattabilità, i racconti e le canzoni e quasi ogni elemento di ricchezza e complessità.

D’altro canto, nella maggior parte della storia dell’umanità, la crescita del sapere nella sua interezza sembra essere stato un processo continuo, anche se ci sono stati periodi di crescita lenta e altri più rapidi. Ci sono particolari condizioni che generano la crescita generale del sapere.   Si tratta di fattori molto sofisticati e complessi per i quali è difficile individuare elementi specifici che accrescono o provocano il declino del sapere. Un esempio di questo è ad esempio, l’avvento delle scienze nella società europea del XVI° secolo, piuttosto che in Cina, che all’epoca era senz’altro più progredita. Questa è una questione cruciale nella teoria dello sviluppo sociale che, bisogna ammettere, è assai poco compresa.

Forse il fattore più significativo è l’esistenza di sfasature nella cultura che permettono una divergenza da modelli consolidati e facilitano azioni destinate a cambiare la società. La Cina infatti era troppo ben organizzata e aveva sfasature troppo piccole per produrre l’accelerazione che troviamo nella società europea: più povera, meno organizzata, ma più diversificata,.

(Un’altra differenza importante fu che in Europa già esistevano lingue scritte relativamente semplici e fu sviluppata la stampa a caratteri mobili.   Il Cinese dell’epoca aveva l’immenso vantaggio che, scritto, era quasi una lingua universale in quanto le lingue di tutti i popoli assoggettati e confinanti potevano essere scritte in caratteri cinesi e lette in qualsiasi altro idioma. Ma questo era stato realizzato a costo di un sistema estremamente complesso di ideogrammi che poteva essere compreso solo da specialisti. Questo e la mancanza di metodi di stampa a buon mercato resero il flusso di informazione molto più modesto di quel che contemporaneamente avveniva in Europa.)

La terra chiusa del futuro richiede principi economici diversi da quelli della terra aperta del passato. Sia pure in modo pittoresco chiamerò ‘economia del cowboy’ l’economia aperta.   Il cowboy è il simbolo delle pianure sterminate, del comportamento instancabile, romantico, violento e rapace che è caratteristico delle società aperte.

L’economia chiusa del futuro dovrà rassomigliare invece all‘economia dell’astronauta. La Terra va considerata una navicella spaziale in cui la disponibilità di qualsiasi cosa ha un limite; sia per quanto riguarda la possibilità di uso, sia per la capacità di accogliere i rifiuti. In questa navicella, bisogna perciò comportarsi come in un sistema ecologico chiuso, capace di rigenerare continuamente i materiali, usando soltanto un apporto esterno di energia.
Le differenze tra i due tipi di economia diventano più evidenti nell’atteggiamento verso il consumo. Nell’economia del cowboy, il consumo è considerato cosa positiva e la produzione altrettanto. Il successo dell’economia è misurato sulla produttività dei fattori di produzione parte dei quali, ad un certo prezzo, sono estratti dalle riserve di materie prime e di beni non di mercato.   Mentre un’ altra parte è output che va a costituire le riserve di inquinanti. Se vi fossero riserve infinite da cui estrarre le materie prime e in cui depositare gli effluenti, allora la produttività sarebbe una misura attendibile del successo dell’ economia.

Il prodotto interno lordo è una rozza misura della produttività.  Dovrebbe essere possibile distinguere la parte del PIL originata da risorse irriproducibili rispetto a quella originata da risorse riproducibili, così come la quota di scarti nel consumo rispetto alla quota di beni di riciclo.  Nessuno, a quanto so, ha mai tentato di suddividere il PIL in questo modo, malgrado l’interesse e l’importanza di questo esercizio. Di contro, nell’economia dell’astronauta, la produttività è considerata come qualcosa da minimizzare, piuttosto che massimizzare. La misura essenziale del successo dell’economia non sono la produzione ed il consumo, ma la natura, l’estensione, la qualità e la complessità dello stock totale di capitale.   Comprese le risorse umane nella loro dimensione fisica e mentale. Nell’economia dell’astronauta siamo fondamentalmente interessati alla conservazione degli stock e ogni cambiamento tecnologico che dia come risultato il mantenimento di un dato livello totale degli stock con una diminuzione del prodotto (cioè meno produzione e meno consumo) è un vantaggio. L’ idea che sia la produzione che il consumo siano un male più che un bene è molto strana per gli economisti che sono ossessionati dal concetto di flusso di reddito, spesso fino all’esclusione del concetto di stock di capitale.

(Interessante come molte economie del passato erano organizzate in questo modo, avendo come scopo principale la stabilità e non la crescita.)

La questione coinvolge molti problemi delicati ed irrisolti.  Ad esempio se il benessere umano debba essere considerato uno stock o un flusso.  Esso in realtà sembra comprendere qualcosa di entrambi ma, per quanto ne so, non ci sono praticamente stati studi diretti ad identificare queste due dimensioni della soddisfazione umana. Ad esempio, è più corretto parlare di mangiare o di sentirsi sazi? Il benessere economico è misurato dall’avere bei vestiti, belle case, buone attrezzature e così via, o dal continuo ricambio di questi beni?
Tendo a considerare il concetto di stock come fondamentale, il che significa considerare più importante essere ben nutrititi che mangiare; oltre che considerare essenziali quei servizi che portano al ripristino del capitale psichico.
Procedendo con il ragionamento, noi mangiamo innanzitutto per ripristinare l’omeostasi del nostro corpo, ovvero per mantenere una condizione di sazietà.   In questa visione non c’è assolutamente nulla di desiderabile nel consumo.   Se avessimo vestiti che non si logorano, case che non si deteriorano e se potessimo persino mantenere la nostra condizione fisica senza mangiare, potremmo stare meglio.

Tuttavia, rispetto a quest’ultima considerazione, occorre fare una riflessione.   Per esempio, desidereremmo veramente un’operazione che ci permetta di nutrire il nostro corpo cibandoci per endovena mentre dormiamo? Certamente desideriamo delle variazioni. Altrimenti non ci sarebbero richieste di varietà di cibo, di scenari, di proposte di viaggi, di contatti sociali, e cosi via. La richiesta di varietà può, certamente, essere costosa, qualche volta anche troppo per essere tollerata o legittimata.  Come nel caso di partner sessuali, dove il mantenimento di uno stato omeostatico nella famiglia è di solito considerato molto più desiderabile della varietà e dell’eccesso di libertinaggio. Questi problemi sono stati trascurati con particolare testardaggine dagli economisti che continuano a pensare ed agire come se le strategie di produzione, di consumo, dei processi di lavorazione e del PIL siano una sufficiente ed adeguata ricetta per il successo economico.

Ci si può chiedere: perché preoccuparsi di tutto ciò, quando l’economia dell’ “uomo dello spazio” è ancora lontana (almeno rispetto al nostro tempo di vita), tanto da permetterci di mangiare, bere, dormire, estrarre risorse ed inquinare, essere più felici possibile e lasciare che le generazioni future si preoccupino dell’astronave terra.   (Mica tanto, sono passati solo cinquant’anni.) E’ sempre un po’ difficile trovare una risposta convincente alle persone che dicono “Cosa hanno fatto i posteri per me?” Coloro che propugnano la conservazione hanno sempre risposto insistendo su principi etici piuttosto generali, che postulano l’identificazione dell’individuo con comunità o società i cui valori si estendono non solo nel passato, ma anche nel futuro.   Se l’individuo non si identifica con questi principi, il concetto di conservazione è “irrazionale”.

L’unica risposta che posso dare è puntualizzare che il benessere di un individuo dipende dalla misura in cui riesce ad identificarsi con gli altri, e l’identità individuale più soddisfacente è quella che riesce ad identificarsi non solo con la comunità nello spazio ma anche con le comunità estese nel tempo, dal passato al futuro.  Se questo genere di identità è apprezzato, i posteri avranno una voce.   E nella misura in cui la loro voce potrà influenzare le nostre decisioni, anch’essi decideranno. L’intero problema è collegato con quello più grande della definizione di un’etica, di una legittimità e delle radici di una società.   C’è un grande accordo sull’evidenza storica che suggerisce che una società che perde la sua identificazione con le generazioni future e che non possiede una positiva immagine del futuro, perde anche la capacità di affrontare i problemi del presente, e presto si avvierà al declino.

(Ricordo che l’articolo è del 1966.   All’epoca sarebbe stato teoricamente possibile stabilizzare popolazione e consumi, perlomeno dal punto di vista tecnico.   Non è detto che fosse possibile dal punto di vista politico, visto che c’era un rischio molto concreto di guerra totale con l’URSS.)

Se ammettiamo che sia importante considerare le esigenze delle generazioni future nell’affrontare i nostri problemi attuali, dovremmo di conseguenza affrontare il problema della discontinuità di tempo e della correlata incertezza.   Ma è ben noto il fenomeno per cui gli individui tendono a non considerare il futuro nel loro agire quotidiano. Se  ci preoccupiamo poco del nostro futuro, è logico che non ci preoccuperemo della nostra discendenza, anche se le attribuiamo un grande valore. Questo spiega forse perché le politiche conservatrici danno sempre priorità ad obiettivi immediati che vengono spacciati per urgenti, lasciando sempre in subordine le politiche che riguardano il futuro.

Da vecchio pensatore sul futuro non posso accettare questa visione.   Per di più, sostengo che il domani non solo è molto vicino, ma per alcuni versi è già qui.   Infatti l’ombra della futura navicella spaziale si allunga già sopra i nostri allegri spendaccioni.  Abbastanza stranamente, sembra che il problema dell’inquinamento abbia il sopravvento su quello delle esaurimento delle risorse.  Los Angeles è a corto di aria e il lago Erie è diventato un pozzo nero.   Gli oceani stanno diventando pieni di piombo e di DDT e l’atmosfera può diventare il problema maggiore delle prossime generazioni, visto che la stiamo riempiendo di rifiuti.

(Geniale anticipazione.   Ad oggi sono poche le risorse che effettivamente scarseggiano, mentre i danni derivanti dalla crescita dell’entropia terrestre sono già devastanti  – clima, perdita di biodiversità, inquinamento, ecc.)

Argomenterei con forza anche sul fatto che la nostra ossessione per la produzione e il consumo non tiene conto degli aspetti dello stato sociale, con l’effetto di distorcere il processo di cambiamento tecnologico verso esiti indesiderabili. Consideriamo ormai abituali i processi di obsolescenza pianificati, la pubblicità competitiva e la bassa qualità dei beni di consumo.   Quello che è chiaro è che nessun serio tentativo è stato fatto per stimare l’impatto sull’intera vita economica del cambiamento della durabilità, esaltando così la sola dimensione del reddito immediato. Sospetto che, nella nostra società spendereccia, abbiamo sottovalutato i guadagni derivanti dall’aumento di durabilità e che questo punto meriti una correzione supportata da ricerche patrocinate dal governo.

I problemi che la nave spaziale Terra dovrà affrontare non  sono tutti nel futuro, e molto può essere fatto per prestar loro attenzione oggi, al contrario di ciò che stiamo facendo. Il nostro successo nel trattare con i maggiori problemi, tuttavia, non è estraneo allo sviluppo di esperienza nel risolverne di immediati e forse meno complessi.   Spero, pertanto, che una successione di “crisi crescenti“, in particolare legate all’inquinamento, desti l’opinione pubblica e mobiliti il sostegno alla soluzione di problemi immediati.   Un processo di apprendimento che verrà attivato e potrà portare ad un apprezzamento e forse a soluzioni maggiori.

(Vana speranza)

Un modesto ottimismo, ma forse un ottimismo modesto è meglio del pessimismo.

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Brexit: la cecità è totale, devastante e volontaria.

Questo pezzo di Barbara Spinelli è in pieno accordo con l’impressione che ho avuto negli ultimi anni del parlamento e della commissione Europea (UB): “Non hanno memoria del passato –né quello lontano né quello vicino. Sono come gli uomini vuoti di Eliot: “Uomini impagliati che s’appoggiano l’un all’altro, la testa riempita di paglia”. La loro ignoranza si combina con una supponenza senza limiti.”

Così sono falliti i sogni dell’Unione Europea

di Barbara Spinelli 29 Giugno 2016

«Il risultato del referendum britannico è la vendetta della realtà sulle astrazioni e i calcoli errati dei burocrati comunitari». Il Fatto Quotidiano, 29 giugno 2016

Nel Parlamento europeo di cui sono membro, quel che innanzitutto colpisce, osservando la reazione alla Brexit, è la diffusa assenza di autocritica, di memoria storica, di allarme profondo – e anche di qualsiasi curiosità – di fronte al manifestarsi delle volontà elettorali di un Paese membro. (Perché non va dimenticato che stiamo parlando di un Paese ancora membro dell’Unione). Una rimozione collettiva che si rivela quanto mai grottesca e catastrofica, ma che dura da decenni. Meriterebbe studi molto accurati; mi limiterò a menzionare alcuni punti essenziali.

1. Quel che manca è l’ammissione delle responsabilità, il riconoscimento esplicito del fallimento monumentale delle istituzioni europee e dei dirigenti nazionali: tutti. La cecità è totale, devastante e volontaria. Da anni, e in particolare dall’inizio della crisi del 2007-2008, istituzioni e governi conduconopolitiche di austerità che hanno prodotto solo povertà e recessione. Da anni disprezzano e soffocano uno scontento popolare crescente. Non hanno memoria del passato –né quello lontano né quello vicino. Sono come gli uomini vuoti di Eliot: “Uomini impagliati che s’appoggiano l’un all’altro, la testa riempita di paglia”. La loro ignoranza si combina con una supponenza senza limiti. Il suffragio universale ha tutte le colpe e le classi dirigenti nessuna. È come se costoro, trovandosi a dover affrontare un esame di storia al primo anno d’università, dicessero che le cause dell’avvento del nazismo sono addebitabili solo a chi votò Hitler, senza mai menzionare le istituzioni di Weimar. Sarebbero bocciati senza esitazione; qui invece continuano a dare lezioni magistrali.

2.Nessun legame viene stabilito tra la Brexit e l’evento disgregante che fu l’esperimento con la Grecia. Nulla hanno contato le elezioni greche, nulla il referendum che ha respinto il memorandum della troika. Dopo i negoziati del luglio scorso il divario tra volontà popolare ed élite europea si è fatto più che mai vasto, tangibile e diffuso. Con più peso evidentemente della Grecia, il Regno Unito ha posto a suo modo la questione centrale della sovranità democratica, anche se con nefaste connotazioni nazionalistiche: il suo voto è rispettato, quello greco no. Le lacerazioni prodotte dal dibattito sulla Grexit hanno contribuito a produrre il Brexit, e il ruolo svolto nella campagna dal fallito esperimento Tsipras è stato ripetutamente ostentato. Ma nelle classi politiche ormai la memoria dura meno di un anno; di questo passo tra poco usciranno di casa la mattina dimenticandosi di essere ancora in mutande. È per colpa loro che la realtà ha infine fatto irruzione: Trump negli Usa è la realtà, l’uscita inglese è la realtà. Il voto britannico è la vendetta della realtà sulle astrazioni e i calcoli errati di Bruxelles.

3. La via d’uscita prospettata dalle forze politiche consiste in una falsa nuova Unione, a più velocitàe costituita da un “nucleo centrale” più coeso e interamente dominato dalla Germania. Le parole d’ordine restano immutate: austerità, smantellamento dello Stato sociale e dei diritti, e per quanto riguarda il commercio internazionale – Ttip, Tisa, Ceta – piena libertà alle grandi corporazioni e ai mercati, distruzione delle norme europee, neutralizzazione di contrappesi delle democrazie costituzionali come giustizia, Parlamenti e volontà popolari. Lo status quo è difeso con accanimento: nei rapporti che sto seguendo come relatore ombra per il Gue mi è stato impossibile inserire paragrafi sulla questione sociale, sul Welfare, sulla sovranità cittadina, sui fallimenti delle terapie di austerità.

4. Migrazione e rifugiati. È stato un elemento centrale della campagna per il Leave – che ha puntato il dito sia su rifugiati e migranti extraeuropei, sia sull’immigrazione interna all’Ue –, ma le politiche dell’Unione già hanno incorporato le idee delle destre estreme, negoziando accordi di rimpatrio con la Turchia (e in prospettiva con 16 paesi africani, dittature comprese come Eritrea e Sudan) e non hanno quindi una visione alternativa a quella dell’Ukip. La Brexit su questo punto è un disastro: rafforzerà, ovunque, la paura dello straniero e le estreme destre che invocano respingimenti collettivi vietati espressamente dalla legge internazionale e dalla Carta europea dei diritti fondamentali. Quanto ai migranti dell’Unione che vivono in Inghilterra, erano già a rischio in seguito all’accordo dello scorso febbraio tra Ue e Cameron. Le politiche dell’Unione sui rifugiati sono un cumulo di rovine che ha dato le ali alla xenofobia.

5. Il ritorno alla sovranità che la maggioranza degli inglesi ha detto di voler recuperare mette in luce un ulteriore e più vasto fallimento. L’Unione doveva esser un baluardo per i cittadini contro l’arbitrio dei mercati globalizzati. La scommessa è perduta: le sovranità nazionali escono ancora più indebolite e l’Unione non protegge in alcun modo. Non è uno scudo ma il semplice portavoce dei mercati. La globalizzazione ha dato vita a una sorta di costituzione non scritta dell’Unione, avversa a ogni riforma-controllo del capitalismo e a ogni espressione di scontento popolare, e in cui tutti i poteri sono affidati a un’oligarchia che non intende rispondere a nessuno delle proprie scelte. Sarà ricordata come esemplare la risposta data dal Commissario Malmström nell’ottobre 2015 a chi l’interrogava sui movimenti contrari a Ttip e Tisa: “Non ricevo il mio mandato dal popolo europeo”. Questa costituzione non scritta si chiama governance e poggia su un concetto caro alle élite fin dagli anni 70 (il vero inizio della crisi economica e democratica): obiettivo non è il governo democratico ma la governabilità. Il cittadino “governabile” è per definizione passivo.

6. L’intera discussione sulla Brexit si sta svolgendo come se l’alternativa si riducesse esclusivamente a due visioni competitive: quella distruttiva dell’exit e quella autocompiaciuta e immutata del Remain. Le cose non stanno così. C’è una terza via, rappresentata dalla critica radicale della presente costruzione europea, dalla denuncia delle sue azionie dalla ricerca di un’alternativa. Era la linea di Tsipras prima che Syriza andasse al governo. È la linea di Unidos Podemos, che purtroppo non è stata premiata. Resta il fatto che questa tripolarità è del tutto assente dal dibattito.

7. La democrazia diretta, i referendum, la cosiddetta e-democracy. Il gruppo centrale del Parlamento li guarda con un’ostilità che la Brexit accentuerà. La democrazia diretta è certo rischiosa, ma quando il rischio si concretizza, quasi sempre la causa risiede nel fallimento della democrazia rappresentativa. Se per più legislature successive e indipendentemente dall’alternarsi delle maggioranze la sensazione è che sia venuta meno la rappresentatività e con essa la responsabilità di chi è stato incaricato di decidere al posto dei cittadini, i cittadini non ci stanno più.

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Una spiegazione grado per grado di cosa succederà quando la Terra si riscalda





Da “Global warming, our future”. Traduzione di MR (via Bodhi Paul Chefurka)

Anche se le emissioni di gas serra si fermassero nottetempo, le concentrazioni già in atmosfera significherebbero ancora un aumento fra 0,1 e 1°C. Uno spostamento di un solo grado è a malapena percettibile per la pelle umana, ma non è della pelle umana che stiamo parlando. Parliamo del pianeta; ed un aumento medio di un grado su tutta la sua superficie significa cambiamenti enormi degli estremi climatici. 
Seimila anni fa, quando il mondo era di un grado più caldo di adesso, il centro agricolo americano intorno al Nebraska era deserto. Ha subito una breve ripresa durante gli anni del dustbowl, negli anni ’30 del 900, quando il suolo superficiale è stato spazzato via e centinaia di migliaia di rifugiati si sono trascinati in mezzo alla polvere verso un’accoglienza incerta verso ovest. L’effetto di un grado di riscaldamento, pertanto, non richiede grande immaginazione. 
“Gli Stati Uniti occidentali soffrono di nuovo di siccità perenni, di gran lunga peggiori di quelle degli anni 30 del 900. I deserti riappariranno, specialmente in Nebraska, ma anche nel Montana orientale, in Wyoming ed Arizona, Texas settentrionale ed Oklahoma. Man mano che le tempeste di sabbia trasformano il giorno in notte per migliaia di miglia di ex prateria, cascine, strade e persino intere città verranno inghiottite dalla sabbia”. 
Ciò che è negativo per l’America sarà peggio per i paesi più poveri vicino all’equatore. E’ stato calcolato che un grado di aumento eliminerebbe l’acqua dolce da un terzo della superficie terrestre del mondo entro il 2100. Ancora una volta abbiamo visto cosa significa questo. C’è stato un incidente nell’estate del 2005: un affluente si è abbassato così tanto di livello che miglia e miglia di letto del fiume scoperto si è seccato trasformandosi in dune di sabbia, con i venti prontamente sollevavano dense tempeste di sabbia. Quando gli abitanti disperati si sono affacciati sul fango bollente al posto dell’acqua che scorreva, è stato mobilitato l’esercito per trasportare preziosa acqua potabile fino al fiume – con l’elicottero, visto che gran parte del fiume era troppo basso per essere navigabile. Il fiume in questione non era un fiume piccolo, un insignificante ruscelletto nel Sussex, era il Rio delle Amazzoni. 
Mentre le terre tropicali vacillano sul baratro, l’Artico potrebbe aver già superato il punto di non ritorno. Il riscaldamento vicino al polo è molto più rapido della media globale, col risultato che le calotte glaciali polari ed i ghiacciai hanno perso 400 km cubici di ghiaccio in 40 anni. Il permafrost – terreno che è rimasto congelato per migliaia di anni – si sta dissolvendo in fango e laghi, destabilizzando intere aree man mano che il terreno collassa sotto gli edifici, le strade e le condutture. Mentre gli orsi polari e gli Inuits vengono spinti verso l’estremo nord del pianeta, le previsioni precedenti cominciano a sembrare ottimistiche. La fusione anticipate della neve significa che più calore estivo va a finire nell’aria e nella terra piuttosto che nel fondere neve, aumentando le temperature in una retroazione positiva. Arbusti e foreste più scure sulla tundra un tempo brulla significano che ancora più calore viene assorbito dalla vegetazione. 
In mare aperto il ritmo è persino maggiore. Mentre il ghiaccio ricoperto da neve riflette più del 80% del calore solare, l’oceano più scuro assorbe fino al 95% della radiazione solare. Una volta che il ghiaccio marino comincia a fondere, in altre parole, il processo diventa auto-alimentato. Viene aperta una maggior superficie dell’oceano, che assorbe più calore, aumentando le temperature e rendendo più improbabile che il ghiaccio si riformi l’inverno successivo. La scomparsa di 720.000 kmq di ghiaccio presunto permanente in un solo anno testimonia la rapidità del cambiamento planetario. Se vi siete mai chiesti come sarà quando la Terra supera un punto di svolta, assaporate il momento. 
Anche le montagne stanno cominciando a sfaldarsi. Nelle Alpi, gran parte del terreno al di sopra dei 3000 metri è stabilizzato dal permafrost. Nell’estate del 2003, tuttavia, la zona di fusione è salita fino a 4600 metri, più in alto della vetta del Cervino e quasi come il Monte Bianco. Con il collante di millenni che si scioglie, le rocce si sono staccate e sono morti 50 alpinisti. Man mano che le temperature continuano ad andare verso l’alto, non saranno solo gli alpinisti a scappare. Intere città e paesi saranno a rischio. Alcune città, come Pontresina, nella Svizzera orientale, hanno già cominciato a costruire argini contro le frane. 
Dalla parte opposta della scala, i paesi che si trovano nei bassi atolli, come le Maldive, si prepareranno all’estinzione, man mano che i livelli del mare aumentano e le coste – in particolare Stati Uniti orientali, Golfo del Messico, isole dei Caraibi e del Pacifico e la Baia del Bengala – saranno colpite da uragani sempre più forti man mano che l’acqua si scalda. L’uragano Katrina, che ha colpito New Orleans con l’impatto combinato di terremoto ed inondazione, è stato un precursore da incubo di ciò che ha in serbo il futuro. 
La cosa che ha colpito più di tutte è stata vedere come le persone si comportavano una volta che l’apparenza della civiltà è stata strappata. La maggior parte delle vittime erano povere e nere, lasciate a sé stesse quando la polizia si è unita al saccheggio o ha abbandonato l’area. A quattro giorni dall’inizio della crisi i sopravvissuti erano ammassati nel superdome, vivendo vicino a bagni intasati e corpi in decomposizione, mentre bande di ragazzi con le pistole si impadronivano dei soli cibo ed acqua disponibili. Forse la scena più memorabile è stata quella di un unico elicottero militare che atterrava solo per qualche minuto, con l’equipaggio che gettava pacchi alimentari e bottiglie d’acqua per terra prima di decollare di nuovo e di fretta come se scappassero da una zona di guerra. In scene più da accampamento di rifugiati del Terzo Mondo che da centro urbano americano, i ragazzi lottavano per l’acqua mentre le donne incinte e gli anziani rimanevano senza niente. Non biasimateli per questo comportamento, ho pensato. E’ quello che succede quando le persone sono disperate. 
Possibilità di evitare 1°C di riscaldamento: zero. 
Fra 1°C e 2°C di riscaldamento
A questo livello, atteso entro 40 anni, l’estate calda europea del 2003 sarebbe la normalità annuale. Qualsiasi cosa che possa essere chiamata ondata di calore da quel punto in avanti sarà di intensità sahariana. Anche in anni medi, le persone moriranno di stress da calore. 
I primi sintomi potrebbero essere leggeri. Una persona avrà una leggera nausea, avrà un po’ di vertigini e sarà un po’ irritabile. Non è necessario che sia un’emergenza: un’ora, più o meno, in un’area più fresca, sorseggiando acqua, la curerà. Ma a Parigi, nell’agosto del 2003, non c’erano aree più fresche, specialmente per le persone anziane. 
Una volta che la temperatura del corpo raggiunge i 41°C il suo sistema termoregolatore comeincia a crollare. La sudorazione cessa e la respirazione diventa poco profonda e rapida. Il battito accelera e la vittima potrebbe cadere in coma. A meno che non si prendano misure drastiche per ridurre la temperatura interna del corpo, al cervello arriva poco ossigeno e gli organi vitali cominciano a venir meno. La morte arriverà solo in pochi minuti a meno che i servizi di emergenza possano rapidamente portare la vittima in terapia intensiva.  
Questi servizi di emergenza non sono riusciti a salvare più di 10.000 francesi nell’estate del 2003. Le camere mortuarie avevano finito lo spazio men mano che centinaia di salme venivano portate ogni notte. In Europa, complessivamente, si pensa che l’ondata di calore sia costata fra 22.000 e 35.000 vite. Anche l’agricoltura è stata devastata. Gli agricoltori hanno perso 12 miliardi di dollari in raccolti e il solo Portogallo ha subito 12 miliardi di dollari di danno a causa degli incendi forestali. I flussi del fiume Po in Italia, del Reno in Germania e della Loira in Francia si sono tutti ridotti ai loro minimi storici. Le chiatte si arenavano e non c’era acqua sufficiente per l’irrigazione e l’energia idroelettrica. I tassi di fusione nelle Alpi, dove alcuni ghiacciai hanno perso il 10% della loro massa, non erano soltanto da record, hanno raddoppiato il precedente record del 1998. Secondo l’Hadley Centre, più di metà delle estati europee dal 2040 saranno più calde di questa. Le estati estreme chiederanno un pegno molto più pesante alla vita umana, col conte delle vittime che è probabile che raggiunga le centinaia di migliaia. Le colture verranno cotte nei campi e le foreste moriranno e bruceranno. Anche così, gli effetti a breve termine potrebbero non essere i peggiori: 
Dalle foreste di faggio dell’Europa settentrionale alle querce sempreverdi del Mediterraneo, la crescita delle piante su tutta la superficie terrestre nel 2003 ha rallentato per poi arrestarsi. Al posto di assorbire biossido di carbonio, le piante stressate hanno cominciato ad emetterlo. Circa mezzo miliardo di tonnellate di carbonio sono state aggiunte all’atmosfera dalle piante europee, l’equivalente di un dodicesimo delle emissioni globali da parte dei combustibili fossili. Questa è una retroazione positiva di importanza cruciale, perché suggerisce che, man mano che la temperatura aumenta, le emissioni di carbonio da parte delle foreste e dei suoli crescono a loro volta. Se queste emissioni da parte della terra sono sostenute per lunghi periodi, il riscaldamento globale potrebbe andare fuori controllo. 
Nel mondo a 2°C nessuno penserà di fare vacanze nel mediterraneo. Il movimento di persone dal nord Europa al mediterraneo è probabile che si inverta, passando alla fine ad una fuga di massa man mano che le ondate di calore sahariane imperverseranno sul Mediterraneo. Le persone ovunque ci penseranno due volte prima di trasferirsi verso la costa. Quando le temperature sono state per l’ultima volta fra 1 e 2°C più alte di adesso, 125.000 anni fa, i livelli del mare erano a loro volta di cinque o sei metri più alti. Tutta questa acqua “perduta” è nel ghiaccio polare che ora sta fondendo. Chi fa previsioni prevede che il “punto di svolta” della Groenlandia non arriverà finché le temperature medie non siano aumentate di 2,7°C. L’intoppo è che la Groenlandia si sta riscaldando molto più rapidamente del resto del mondo – 2,2 volte la media globale. “Dividete una cifra per l’altra”, dice Lynas, “e il risultato dovrebbe far suonare il campanello d’allarme in tutto il mondo”. La Groenlandia entrerà in una fusione irreversibile una volta che le temperature globali aumentano oltre gli 1,2°C. Il successivo aumento del livello del mare sarà di gran lunga di più del mezzo metro previsto dal IPCC per la fine del secolo. Gli scienziati sottolineano che i livelli del mare alla fine dell’ultima era glaciale si alzavano di un metro ogni 20 anni per quattro secoli e che il ghiaccio della Groenlandia, nelle parole di un glaciologo, ora si sta assottigliando in modo pazzesco e scorre molto più rapidamente di quanto dovrebbe. Il suo più grande ghiacciaio in deflusso, il Jakobshavn Isbrae, si è assottigliato di 15 metri ogni anno dal 1997 e la sua velocità di deflusso è raddoppiata. Di questo passo, l’intera calotta glaciale della Groenlandia svanirebbe entro 140 anni. Miami scomparirebbe, come gran parte di Manhattan. Il centro di Londra verrebbe allagato. Bangkok, Bombay e Shanghai perderebbero gran parte delle loro aree. In tutto, metà dell’umanità dovrebbe spostarsi verso terre più alte. 
Non solo le comunità costiere soffriranno. Man mano che le montagne perdono i loro ghiacciai, le persone perderanno le loro forniture idriche. L’intero subcontinente indiano lotterà per la sopravvivenza. Man mano che i ghiacciai scompaiono ovunque tranne che sulle vette più alte, il loro deflusso smetterà di alimentare i grandi fiumi che portano acqua dolce vitale a centinaia di milioni di persone. Le scarsità d’acqua e la carestia ne saranno il risultato, destabilizzando l’intera regione. E stavolta l’epicentro del disastro non sarà l’India, il nepal o il Bangladesh, ma la potenza nucleare Pakistan. 
Ovunque, gli ecosistemi si disfaranno man mano che le specie o migreranno o perderanno sincornia fra di loro. Quando le temperature globali raggiungono i 2°C di riscaldamento nel 2050, più di un terzo di tutte le specie viventi saranno prossime all’estinzione. 

Possibilità di evitare i 2°C di riscaldamento globale: 93%, ma solo se le emissioni di gas serra vengono ridotte del 60% nei prossimi 10 anni. 
Fra 2°C e 3°C di riscaldamento
Fino a questo punto, ipotizzando che i governi abbiano pianificato con cura e i gli agricoltori si sia convertiti a colture più appropriate, non troppe persone al di fuori dell’Africa subtropicale deve necessariamente avere fame. Oltre i 2°C, tuttavia, impedire la fame di massa sarà facile come fermare i cicli della Luna. Prima milioni, poi miliardi di persone dovranno affrontare una battaglia sempre più dura per sopravvivere. 
Per trovare un qualcosa di confrontabile, siamo risaliti al Pliocene – l’ultima epoca del periodo terziario, 3 milioni di anni fa. Non c’erano ghiacciai continentali nell’emisfero settentrionale (nell’Artico crescevano gli alberi) ed i livelli del mare erano 25 metri più alti di oggi. In questo tipo di calore, la morte dell’Amazzonia è inevitabile così come la fusione della Groenlandia. L’articolo che lo enuncia è lo stesso il cui messaggio apocalittico aveva scioccato così tanto nel 2000. Gli scienziati del Hadley Centre temevano che i primi modelli climatici, che mostravano il riscaldamento globale come una progressione diretta e lineare, fossero troppo semplicistici nelle loro ipotesi secondo le quali la terra e l’oceano sarebbero rimasti inerti man mano che le loro temperature sarebbero aumentate. Giustamente, come sarebbe risultato, avevano previsto retroazioni positive. 
I mari più caldi assorbono meno biossido di carbonio, lasciandone accumulare di più nell’atmosfera ed intensificando il riscaldamento globale. Sulla terraferma le cose sarebbero anche peggiori. Nel suolo sono immagazzinate enormi quantità di carbonio, i resti parzialmente decomposti della vegetazione morta. La stima generalmente accettata è che i bacini di carbonio nel suolo contengano circa 1.600 gigatonnellate, più del doppio dell’intero contenuto di carbonio dell’atmosfera. Man mano che i suoli si scaldano, i batteri accelerano la decomposizione di questo carbonio immagazzinato, rilasciandolo nell’atmosfera. 
La fine del mondo è vicina. Un aumento di 3°C della temperatura globale – possibile entro il 2050 – manderebbe il ciclo del carbonio al contrario. Al posto di assorbire biossido di carbonio, la vegetazione e i suoli cominciano a rilasciarlo. Nell’atmosfera si riversa una quantità tale di carbonio da pompare le concentrazioni atmosferiche di 250 ppm per il 2100, accentuando il riscaldamento globale di altri 1,5°C. In altre parole, la squadra del Hadley Centre aveva scoperto che le retroazione del ciclo del carbonio potevano spingere il pianeta in un riscaldamento globale fuori controllo per la metà del secolo – molto prima di quanto chiunque si fosse aspettato. 
La conferma è giunta dalla terra stessa. I modelli climatici vengono testati di routine paragonandoli ai dati storici. In questo caso, gli scienziati hanno controllato 25 anni di campioni di suolo da 6.000 siti in tutto il Regno Unito. Il risultato è stato un altro brutto scherzo. Man mano che le temperature sono gradualmente aumentate, gli scienziati hanno scoperto che enormi quantità di carbonio erano state rilasciate naturalmente dai suoli. Hanno messo tutto insieme ed hanno scoperto – ironia delle ironie – che i 13 milioni di tonnellate di carbonio che stavano emettendo annualmente i suoli britannici erano sufficienti per spazzare via tutti gli sforzi del paese di ottemperare al protocollo di Kyoto”. Tutti i suoli verranno colpiti dall’aumento del calore, ma nessuno così negativamente come quello dell’Amazzonia. “catastrofe” è una parola quasi troppo piccola per la perdita della foresta pluviale. I suoi 7 milioni di kmq producono il 10% della produzione fotosintetica totale delle piante. Siccità e calore la faranno a pezzi; il fuoco la finirà. In termini umani, l’effetto sul pianeta sarà come togliere l’ossigeno durante un attacco d’asma. 
Negli Stati Uniti ed in Australia, le persone malediranno i governi negazionisti del clima di Bush ed Howard. Non importa cosa potrebbero fare le amministrazioni successive, non sarà abbastanza per mantenere basso il mercurio. Con nuovi “super uragani” che crescono dal mare che si scalda, Houston potrebbe essere distrutta entro il 2045 e l’Australia sarà una trappola mortale. “L’agricoltura e la produzione di cibo entreranno in un declino irreversibile. L’acqua salata si insinuerà nel fiumi devastati, avvelenando l’acqua di falda. Temperature più alte significano evaporazione maggiore, seccando ulteriormente vegetazione e suoli e causando enormi perdite dai bacini. Nelle capitali degli stati, è probabile che il calore uccida fra le 8.000 e le 15.000 persone ogni anno, principalmente anziani. 
E’ fin troppo facile visualizzare cosa accadrà in Africa. Anche in America centrale, decine di milioni di persone avranno poco da mettere sulle loro tavole. Lì anche una siccità moderata nel 2001 ha significato che centinaia di migliaia di persone si sono dovute affidare agli aiuti alimentari. Questa non sarà un’opzione quando le forniture mondiali verranno sollecitate fino al punto di rottura (i rendimenti dei cereali declinano del 10% per ogni grado di calore al di sopra dei 30°C e a 40°C sono pari a zero). Nessuno dovrà guardare agli Stati Uniti, che avranno i loro problemi. Man mano che le montagne perdono la neve, le città e le fattorie ad ovest perderanno l’acqua e le foreste disseccate e le praterie periranno alla prima scintilla. 
Nel frattempo il subcontinente indiano soffocherà nella polvere. Tutta la storia umana mostra che, data la scelta fra morire di fame in situ e spostarsi, le persone si spostano. Nella seconda parte del secolo, decine di milioni di cittadini pakistani potrebbero avere di fronte questa scelta. Il Pakistan potrebbe trovarsi ad aggiungersi all’elenco degli stati falliti, man mano che l’amministrazione civile collassa e le gang armate si accaparrano quel poco cibo che rimane.  
Mentre la terra brucia il mare continuerà ad salire di livello. Persino secondo il calcolo più ottimistico, l’80% del ghiaccio marino artico a questo punto se ne sarebbe andato e il resto lo farà presto. New York si allagherà; la catastrofe che ha colpito l’Inghilterra orientale nel 1953 diventerà un evento regolare insignificante e la mappa dell’Olanda verrà fatta a pezzi dal mare del Nord. Ovunque, gente affamata si sposterà – dall’America Centrale verso il Messico e gli Stati Uniti e dall’Africa  verso l’Europa, dove i rinascenti partiti fascisti guadagneranno voti promettendo di tenerla fuori. 
Possibilità di evitare i 3°C di riscaldamento globale: poche se l’aumento raggiunge i 2°C ed innesca retroazioni del ciclo del carbonio dai suoli e dalle piante. 
Fra 3°C e 4°C di riscaldamento
Il flusso di rifugiati ora comprenderà quelli che scappano dalle coste verso il più sicuro entroterra – milioni alla volta quando le tempeste colpiscono. Dove persistono, le città costiere diventeranno isole fortificate. L’economia mondiale, a sua volta, sarà logora. Man mano che le perdite dirette, l’instabilità sociale e il pagamento delle assicurazioni ricadano a cascata sul sistema, i fondi per sostenere le persone sfollate saranno sempre più scarse. I livelli del mare staranno crescendo rapidamente – in questa gamma di temperatura, è certo che entrambi i poli fondano, causando un aumento finale di 50 metri. “Non sto suggerendo che sarebbe istantaneo. Infatti ci vorranno secoli e probabilmente millenni per fondere tutto il ghiaccio dell’Antartide. Ma questo potrebbe produrre aumenti del livello del mare di un metro ogni 20 anni circa – ben oltre la nostra capacità di adattamento. Oxford si troverebbe su una delle molte linee costiere in un Regno Unito ridotto ad un arcipelago di piccole isole. 
In modo più immediato, la Cina è in rotta di collisione col pianeta. Entro il 2030, se il suo popolo consuma allo stesso tasso degli americani, mangerà i due terzi dell’intero raccolto globale e brucerà 100 milioni di barili di petrolio al giorno, o il 125% dell’attuale produzione mondiale. Questa prospettiva da sola contiene tutti gli ingredienti della catastrofe. Ma è anche peggio: “Entro il secondo terzo del XXI secolo, se le temperature globali sono di più di 3°C più alte di adesso, la produzione agricola della Cina collasserà. Affronterà l’impresa di alimentare 1,5 miliardi di persone molto più ricche – 200 milioni in più di oggi – con due terzi delle attuali disponibilità”. Per le persone di gran parte del mondo, la fame sarà una minaccia normale. Ma non sarà la sola. 
L’estate diventerà ancora più lunga, visto che le temperature in aumento riducono le foreste in legna secca e le città in obitori bollenti. Le temperature nelle Home Counties potrebbero raggiungere i 45°C – il tipo di clima che c’è oggi a Marrakech. Le siccità porrà il sudest dell’Inghilterra nell’elenco globale delle aree con scarsità d’acqua, con gli agricoltori che competono con le città per le forniture in diminuzione da parte di fiumi e bacini. 
L’aria condizionata sarà obbligatoria per chiunque voglia mantenersi fresco. Ciò a sua volta metterà ancora più sotto stress i sistemi energetici, che potrebbero riversare più gas serra nell’aria se le centrali a carbone e a gas dovessero aumentare la loro produzione, le fonti idroelettriche diminuire e le rinnovabili non riuscissero a riempire il vuoto. L’abbandono del mediterraneo spedirà sempre più  persone verso nord alle “isole sovraffollate di rifugiati nel Baltico, in Scandinavia e le Isole Britanniche. 
La Gran Bretagna avrà i suoi problemi. Man mano che le pianure alluvionali vengono inondate più regolarmente, un ritiro generale dalle aree ad alto rischio è probabile. Milioni di persone perderanno i loro investimenti di una vita in case che diventeranno non assicurabili e quindi invendibili. Si pensa che il corridoio del Lancashire/Humber sia tra le regioni più colpite, come lo sono la valle del Tamigi, il Devon orientale e le città intorno all’estuario del Severn già a rischio di inondazione come Monmouth e Bristol. L’intera costa inglese dall’Isola di Wight a Middlesbrough è classificata come a rischio “molto alto” o “estremo”, come lo è la Baia di Cardigan nel suo complesso in Galles.  
Una delle retroazioni più pericolose ora entrerà in azione – la fusione fuori controllo del permafrost. Gli scienziati credono che almeno 500 miliardi di tonnellate di carbonio stiano aspettando dei essere rilasciate dal ghiaccio dell’Artico, anche se nessuno ha messo ancora su cosa questo aggiungerà al riscaldamento globale. Un grado? Due? Tre? Gli indicatori sono sinistri. 
Coma col collasso dell’Amazzonia e la retroazione del ciclo del carbonio nel mondo dei 3°C, stabilizzare le temperature globali a 4°C al di sopra degli attuali livelli potrebbe non essere possibile. Se raggiungiamo i 3°C, pertanto, ciò porta inesorabilmente a 4°C? Che porta inesorabilmente a 5°C? 

Possibilità di evitare 4°C di riscaldamento globale: poche se l’aumento raggiunge i 3°C ed innesca una fusione fuori controllo del permafrost.  

Fra 4°C e 5°C di riscaldamento
Stiamo ora guardando un pianeta del tutto diverso. Le calotte glaciali sono svanite da entrambi i poli; le foreste pluviali sono bruciate e si sono trasformate in deserti; le Alpi secche a senza vita somigliano all’Atlante; i mari che si alzano ripulendo in profondità l’interno dei continenti. Una tentazione sarebbe quella di spostare le popolazioni dalle aree secche a quelle di recente fusione nell’estremo nord, in Canada e Siberia. Anche qui però, le estati potrebbero essere troppo calde per le colture da coltivare lontano dalle coste e non c’è alcuna garanzia che i governi del nord faranno entrare i rifugiati del sud. Lynas il sospetto di James Lovelock che la Siberia e il Canada sarebbero invasi dalla Cina e dagli Stati Uniti, entrambi mettendo un altro chiodo sulla bara dell’umanità. Qualsiasi conflitto armato, in particolare quelli che comportano l’uso di armi nucleari, aumenterebbero naturalmente l’area della superficie del pianeta inabitabile per gli esseri umani. 
Quando le temperature erano a livelli simili 55 milioni di anni fa, a seguito di un’esplosione molto improvvisa del riscaldamento globale dell’inizio dell’Eocene, gli alligatori ed altre specie subtropicali vivevano nell’Artico. Cosa aveva causato questo capovolgimento climatico? I sospetti sono puntati sugli idrati di metano – “una combinazione simile al ghiaccio di metano ed acqua che si forma col freddo intenso e la pressione della profondità del mare” e che esce con forza esplosiva quando vi si accede. Le prove di una frana sottomarina al largo della florida e di enormi eruzioni vulcaniche sotto il Nord Atlantico sollevano la possibilità di metano intrappolato – un gas serra 20 volte più potente del biossido di carbonio – che è stato rilasciato in una gigantesca eruzione che ha spinto le temperature globali alle stelle. 
Le ondate di calore estive hanno bruciato la vegetazione dalla Spagna continentale, lasciando un terreno deserto che è stato pesantemente eroso dalle tempeste di pioggia invernali. Le mangrovie crescevano all’altezza dell’Inghilterra e del Belgio e l’Oceano Artico era così caldo che le alghe del Mediterraneo prosperavano. In breve, era un mondo un mondo molto simile a quello verso cui siamo diretti in questo secolo. Anche se la quantità totale di carbonio nell’atmosfera durante il Massimo Termico del Paleocene-Eocene, O MTPE (PETM in inglese), come lo chiamano gli scienziati, era più di quello di oggi, il tasso di aumento nel XXI secolo potrebbe essere 30 volte più rapido. Potrebbe tranquillamente essere l’aumento più rapido che mondo abbia mai visto – più rapido persino degli episodi che hanno causato estinzioni di massa catastrofiche. 
Il globalismo in un mondo a 5°C si frantumerebbe in qualcosa di più simile del parrocchialismo. I clienti non avranno niente da comprare perché i produttori non avranno niente da vendere. Senza nessuna possibilità di aiuto internazionale, i migranti dovranno affrettarsi verso le poche enclave abitabili rimaste e lottare per sopravvivere. 
Dove non è disponibile alcun rifugio, la guerra civile e un collasso verso il conflitto razziale o comunitario sembra essere a conseguenza probabile. La sopravvivenza a livello individuale, tuttavia, potrebbe essere impraticabile come chiamare per il servizio in camera. Quanti di noi potrebbero realmente pronti a intrappolare ed uccidere a sufficienza per sfamare una famiglia? Anche se un gran numero di persone riuscisse con successo a sparpagliarsi nella campagna, le popolazioni di vita selvaggia diminuirebbero rapidamente sotto la loro pressione. Per sostenere lo stile di vita dei cacciatori-raccoglitori serve da 10 a 100 volte la terra per persona rispetto a quella necessaria per una comunità agricola stanziale. Un ritorno sul larga scala alla vita di sopravvivenza si trasformerebbe in un ulteriore disastro per la biodiversità quando esseri umani affamati ucciderebbero e mangerebbero qualsiasi cosa si muova. Compresi, probabilmente, i propri simili. Gli invasori non trattano con gentilezza i residenti che negano loro del cibo. La storia suggerisce che se viene scoperta una riserva, il capofamiglia e i suoi famigliari potrebbero essere torturati ed uccisi. Guardate per confrontare l’esperienza dei giorni nostri in Somalia, Sudan o Burundi, dove i conflitti sulla poca terra e cibo sono alla base del persistere di guerre tribali e del collasso dello stato.
Possibilità di evitare 5°C di riscaldamento globale: trascurabili se l’aumento della temperatura raggiunge i 4°C e rilascia il metano intrappolato sul fondo del mare. 
Fra 5°C e 6°C di riscaldamento
Anche se il riscaldamento su questa scala si trova all’interno della gamma sostenuta ufficialmente dal IPCC fra le possibilità del XXI secolo, i modelli climatici hanno poco da dire su quanto Lynas, echeggiando Dante, descrive come “il sesto girone infernale”. Per vedere la somiglianza più recente, dobbiamo riportare l’orologio geologico fra i 144 e i 65 milioni di anni fa, al Cretaceo, che è finito con l’estinzione dei dinosauri. C’è stato un episodio ancora più vicino alla fine del Permiano, 251 milioni di anni fa, quando le temperature globali sono aumentate di -ebbene sì – 6°C e il 95% delle specie sono state spazzate via. 
Quell’episodio è stato il peggiore mai subito dalla vita sulla Terra, il momento in cui è andata più vicino a diventare una roccia morta e desolata nello spazio. Sulla terra, i soli vincitori sono stati i funghi che hanno prosperato sugli alberi e gli arbusti morti. In mare ci sono stati solo perdenti. L’acqua calda è una assassina. Si può disciogliere meno ossigeno, quindi le condizioni diventano stagnanti ed anossiche. Gli abitanti dell’acqua che respirano ossigeno – tutte le forme di vita superiori dal plancton agli squali – soffocano. L’acqua calda si espande anche e i livelli del mare sono saliti di 20 metri. I “super uragani” che ne sono risultati colpivano le coste innescavano alluvioni istantanee alle quali nessun essere vivente avrebbe potuto sopravvivere. 
Ci sono aspetti della cosiddetta “estinzione della fine del permiano” che è improbabile che si verifichino – la cosa più importante è la vasta eruzione vulcanica in Siberia che ha diffuso magma per centinaia di metri di spessore su un’area più grande dell’Europa occidentale ed ha sparato miliardi di tonnellate di CO2 nell’atmosfera. Ma è una piccola consolazione, comunque, perché sotto gli oceani si agita un altro mostro – lo stesso che aveva portato una fine devastante del Paleocene quasi 200 milioni di anni più tardi e che è ancora lì in attesa oggi: gli idrati di metano. 
Cosa succede quando l’acqua che si scalda rilascia il gas compresso dal fondo del mare: per prima cosa, un piccolo disturbo porta una parte di acqua satura di gas verso l’alto. Mentre sale, le bolle cominciano ad apparire, man mano che il gas disciolto fuoriesce con la pressione ridotta – proprio come una limonata esce fuori dalla bottiglia se viene aperta troppo rapidamente. Queste bolle rendono la parte di acqua ancora più galleggiante, accelerando la sua risalita lungo la colonna d’acqua. Mentre emerge verso l’alto, raggiungendo una forza esplosiva, trascina con sé l’acqua che la circonda. Alla superficie, l’acqua viene sparata a centinaia di metri di altezza quando il gas liberato esplode nell’atmosfera. Le onde d’urto si propagano verso l’esterno in tutte le direzioni, innescando altre eruzioni nelle vicinanze. 
L’eruzione è qualcosa di più di una semplice retroazione positiva in più nel processo in accelerazione del riscaldamento globale. A differenza del CO2, il metano è infiammabile. Anche con concentrazioni di metano nell’aria del 5%, la miscela potrebbe incendiarsi a causa di fulmini o qualche altra scintilla e sparare palle di fuoco in mezzo al cielo. L’effetto sarebbe praticamente come quello degli esplosivi combustibile-aria usati dagli eserciti di Stati Uniti e Russia – le cosiddette “bombe sottovuoto” che incendiano goccioline di combustibile sopra un obbiettivo. Secondo la CIA, coloro che si trovano in prossimità del punto di accensione vengono annientati. Quelli ai margini è probabile che subiscano molte ferite interne, compresi scoppio dei timpani, grave commozione cerebrale, polmoni ed organi interni rotti e probabilmente cecità. Tali armi tattiche, tuttavia, sono petardi se messe a confronto con le nuvole di aria e metano delle eruzioni oceaniche. Gli scienziati calcolano che potrebbero “distruggere la vita terrestre quasi per intero (251 milioni di anni fa è sopravvissuto solo un grande animale terrestre, il listrosauro, simile ad un maiale). E’ stato stimato che una grande eruzione in futuro potrebbe rilasciare energia equivalente a 108 tonnellate di TNT – 100.000 volte più di tutto l’arsenale mondiale di armi atomiche. Nemmeno Lynas, per tutte le sue proprietà scientifiche, può evitare una fine hollywoodiana. “Non è troppo difficile immaginare l’incubo finale, con eruzioni di metano oceanico vicine a grandi centri di popolazione che spazzano via miliardi di persone – forse in pochi giorni. Immaginate una palla di fuoco di “esplosivo combustibile-aria” che corre verso una città – diciamo Londra o Tokyo – con l’onda esplosiva che si diffonde dal centro dell’esplosione che la velocità e la forza di una bomba atomica. Gli edifici vengono spianati, le persone incenerite dove si trovano o lasciate cieche e sorde dalla forza dell’esplosione. Mescolate Hiroshima con la New Orleans post Katrina ed avrete idea di quale catastrofe potrebbe essere: i sopravvissuti bruciati che lottano per il cibo, vagando in lungo e in largo per le città vuote.    
Poi arriverebbe il solfuro di idrogeno dagli oceani stagnanti. “sarebbe un assassino silenzioso: immaginate la scena di Bhopal a seguito della perdita di gas della Union Carbide nel 1984, ripetuta prima sugli insediamenti costieri, poi all’interno dei continenti di tutto il mondo. Allo stesso tempo, man mano che lo strato di ozono viene preso d’assalto, sentiremo i raggi del sole bruciare sulla nostra pelle e le prime mutazioni cellulari innescherebbero esplosioni di cancro fra chiunque sia sopravvissuto. Con tutte le rimanenti foreste che bruciano e i corpi di persone, bestiame e vita selvaggia che si ammassano su ogni continente, il mondo a 6°C sarebbe effettivamente una pena dura per il crimine banale di bruciare energia fossile.

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Se la Svizzera avesse un deserto del Sahara sarebbe una piccola Africa. Il mondo ha davvero un “problema di sovrappopolazione”?

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

di Ugo Bardi

E’ già politicamente difficile affrontare problemi come esaurimento del petrolio e cambiamento climatico ma, perlomeno, questi sono problemi fisici che possiamo esaminare usando il metodo scientifico. Ma la sovrappopolazione? E’ la ricetta per una lite politica o religiosa istantanea.


Il film “Population Boom” di Werner Boote è un buon esempio di come possa diventare politicizzata ed emotiva la questione della popolazione. Comincia quasi immediatamente con una sparata gratuita sul reverendo Malthus, accusato di “avere previsto una catastrofe per il 1860” (cosa che il povero Malthus non ha mai detto). Poi, prosegue per un’ora e mezza nel tentativo di dimostrare che non esiste alcun “problema di sovrappopolazione” nel mondo. Piuttosto, la tesi del film è che c’è un complotto da parte delle élite dei paesi ricchi per impedire alle persone dei paesi poveri di avere quanti figli vogliono perché possano diventare anche loro ricchi e sfidare il dominio del mondo da parte delle attuali élite.

Se accettiamo l’idea che tutte le opinioni sono legittime, allora anche questa dovrebbe esserlo – anche se probabilmente un po’ troppo estrema per la maggioranza di noi. Il problema è che il modo in cui il film cerca di dimostrare la sua tesi oscilla fra il noioso e lo stupido; senza fornire mai un’argomentazione seria. Più che altro vediamo il regista, il signor Werner Boote, che se ne va in giro portando il suo ombrello in posti dove non sembra mai piovere. Nelle sue peregrinazioni, il signor Boote intervista persone che, francamente, non sembra abbiano la minima idea di cosa sia la sovrappopolazione, eccetto il fatto di essere sicuri che è un’invenzione delle malefiche élite occidentali (e la stessa cosa vale per il riscaldamento globale, esplicitamente definito come un complotto di dette élite in una delle interviste).

Gran parte delle argomentazioni fatte in queste interviste sono così ridicole che non vale nemmeno la pena smontarle. Solo per fare un esempio, in una scena vediamo il signor Boote (per una volta senza il suo ombrello) da qualche parte in Africa a discutere con un tale che gli spiega che l’Africa non è sovrappopolata perché ha solo 40 abitanti per kmq, in confronto ai 170 dell’Europa. Poi, il tizio porta Boote da qualche parte e gli mostra una zona di campagna, dicendo “lo vedi? L’Africa non è sovrappopolata!”

Ora, ci sono diversi problemi in questa faccenda. Il dato della densità di popolazione dell’Africa sembra essere corretto, ma la densità di popolazione in Europa è di 105 abitanti per kmq, non 170 (ed è di solo 31 se si include la Russia). Forse l’informatore del signor Boote intendeva l’Europa occidentale, ma se intendiamo Unione Europea, allora la densità di popolazione non è 170 persone per kmq, al massimo è di sole 116 persone.

Poi, si sarebbe tentati di ricordare all’informatore del signor Boote che l’Europa non ha un deserto del Sahara, per tacere di quello del Kalahari e di altre aree inadatte all’occupazione umana in Africa. Così ci si dimentica comodamente che un paese africano come la Nigeria ha circa la stessa densità di popolazione della svizzera (circa 200 persone per kmq), per non dire niente del Ruanda, che ha 460 persone per kmq (più del doppio della Svizzera). Infine, si potrebbe mostrare al signor Boote ed al suo informatore – diciamo – la Valle di Yosemite o la Valle della Morte e dir loro: “vedete? In California non ci vive quasi nessuno!”

Potrei proseguire, ma penso che sia più che sufficiente per questo film. Lasciatemi solo aggiungere che se pensate che i poveri non inquinano l’ecosistema, fareste bene a leggere questo post di Jacopo Simonetta.

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La bomba demografica scoppia o non scoppia?

La Bomba Demografica ”   (Titolo originale “The Population bomb”) di Paul e Anne Ehrlich fu uno dei libri “cult” dell’ambientalismo degli esordi; mai tradotto in italiano, malgrado avesse venduto oltre due milioni di copie in inglese.   Fra l’altro, ispirò il film “Soylent Green.”, uscito in Italia col titolo “2022: I sopravvissuti”.

La scommessa

Paul Ehrlich

Gli autori di “La Bomba Demografica ” non amavano i mezzi termini ed il loro libro cominciava con questa frase:  “La battaglia per nutrire l’intera umanità è persa.   Durante gli anni ’70 centinaia di milioni di persone moriranno di fame malgrado qualunque drastico programma venga messo in atto adesso”.    E continuava sullo stesso tono.

Sbagliato.   Gli anni ‘70 segnarono anzi la fine delle grandi carestie post-belliche che avevano ucciso non centinaia, ma decine di milioni di persone.   Di carestie ce ne furono anche dopo, ma assai meno gravi e dovute più a questioni politiche ed economiche che ad un’insufficiente produzione agricola mondiale.
Ma Ehrlich non era convinto e nel 1980 rilanciò facendo una scommessa con l’economista Julian L. Simon.   Uno che diceva cose di questo genere: “Le condizioni di vita umane miglioreranno sempre in tutti campi materiali.   Qualunque sia il tasso di crescita della popolazione, storicamente, la disponibilità di cibo è cresciuta alla stessa velocità, se non di più”.
Julian Simon
La scommessa  fu sul prezzo di 5 materie prime strategiche: cromo, rame, nickel, stagno e tungsteno.   Secondo Ehrlich, fra il 1980 ed il 1990 il loro prezzo sarebbe aumentato  causa di una crescita demografica superiore all’aumento della produzione.
Sbagliato.   Malgrado l’aumento di quasi 1 miliardo di persone in un solo decennio,  il tasso di crescita della produttività fu ancora superiore ed il prezzo delle materie prime e del cibo diminuì.   Simon vinse la scommessa.
Grande festa e definitiva archiviazione della questione “sovrappopolazione” che, nel frattempo, era diventata molto “politicamente scorretta”.   Gli ambientalisti ripiegarono sulla trincea “Il problema sono i consumi e non le persone”, mentre lo spettro del reverendo Malthus veniva ancora una volta ricacciato nell’Averno.
Definitivamente?

Ehrlich ha sbagliato, anche Malthus?

Cominciamo proprio dal panphlet del Reverendo Malthus.   Sorpresa!   Non aveva predetto un’ecatombe in Inghilterra.   Piuttosto, aveva scritto chiaramente che, se gli europei non fossero stati capaci di limitare la loro natalità, ne avrebbero pagato il fio “i selvaggi delle Americhe” che sarebbero stati spazzati via per far posto a noi.   Su questo, è difficile dire che si fosse sbagliato.   Anzi, non solo gli amerindi, ma anche i Circassi ed molti altri popoli dell’Asia centrale pagarono un tributo di sangue estremamente alto alla nostra incapacità di auto-controllo.   (A scanso di complessi di colpa, qualche secolo prima erano stati popoli asiatici a fare un macello in Europa).

Dunque la prima crisi maltusiana globale fu superata è vero, ma l’esperimento, semmai, dimostrò la giustezza dell’intuizione originaria.   Un punto per il Reverendo.
Ci volle circa un secolo perché si presentasse una seconda crisi di livello globale.   Per l’appunto negli anni ’60, quando Ehrlich e tanti altri corsero a rispolverare Malthus dagli armadi in cui era stato temporaneamente sepolto.   Stavolta non c’erano più continenti vuoti o vuotabili in cui scaricare l’eccesso di gente.   Se ne dedusse che stavolta un’ecatombe era inevitabile.   Ma accadde esattamente il contrario del previsto: la produzione di cibo e di generi di consumo aumentò molto più rapidamente della popolazione.   Non solo scongiurando la carestia globale, ma addirittura migliorando sensibilmente la qualità della vita della maggior parte dei terrestri.   “Mai così tanti, mai così bene” titolava negli anni ‘90 un numero di “Focus”.
Dunque mathusiani – anti-malthusiani: 1 a 1 e palla al centro.

Su una cosa credo che nessuno abbia seri dubbi: nei prossimi decenni si giocherà lo spareggio.   Quali i  pronostici?

La squadra “malthusiana”, inutile negarlo, si presenta male.   Sostanzialmente, alcuni reduci dell’ambientalismo anni ’70, qualche anonimo blogger ed un manipolo di universitari e ricercatori che sono disposti ad uscire dalla “torre d’avorio” per andare in giro a dire cose sgradite.  
In compenso, sul piano dei fatti hanno parecchie frecce al loro arco: Il picco dell’energia (altro fantasma ricorrente), la sostanziale stabilità della produzione alimentare a fronte di uno sforzo produttivo crescente, l’evoluzione del clima, il degrado dei suoli, la perdita di biodiversità, le migrazioni di massa, l’estinzione/degrado dei principali banchi di pesca mondiali sono solo alcuni degli argomenti che possono citare a favore della loro tesi.

Di contro, la squadra “anti-malthusiana” schiera il fior fiore della società mondiale: assolutamente tutti i maggiori leader religiosi e politici, praticamente tutti gli imprenditori ed i finanzieri, quasi tutti i docenti di materie economiche e demografiche, praticamente tutti i mass media.   Non si può dire che manchi il consenso almeno su di un punto:  la sovrappopolazione non esiste, è già stato ampiamente e ripetutamente dimostrato; basta con questa lagna.  Quello che abbiamo è un problema di scarsa crescita economica e, semmai, di denatalità.
Sul piano dei fatti sono messi un po’ peggio.   Nessuno che sia in buona fede può negare che ci troviamo all’inizio di una lunga fase di profonda crisi ed il numero di persone denutrite è tornato a salire rapidamente, dopo aver toccato il minimo storico nel 1995.   Tuttavia, che questo sia necessariamente prodromo di un collasso sistemico globale rimane da dimostrare.   E soprattutto rimane opinabile che la forzante principale della crisi sia proprio l’eccesso di gente sul Pianeta.


La Bomba Demografica scoppierà ?
Alla fin fine, tutto si giocherà su questo:  A breve ci sarà un nuovo balzo produttivo, analogo a quello avvenuto fra gli anni ’60 e ’70?   Oppure un insieme di fattori correlati con la sovrappopolazione scateneranno una retroazione capace di annientare miliardi di persone?

Nel 1968 (data di pubblicazione di “the Population Bomb”) tutti i mezzi tecnologici e finanziari necessari per aumentare la produzione erano già ampiamente disponibili e collaudati.   Fu sufficiente diffonderne e coordinarne l’uso.   In definitiva, non ci fu nessun miracolo, solo la capillare applicazione all’agricoltura di metodi industriali  già ampiamente collaudati.   Ma, soprattutto, fu cruciale la disponibilità di quantità praticamente illimitate di energia ad un costo ridicolo (NB: costo, non solo prezzo).    In pratica, in 20 anni siamo diventati il primo organismo eucariota capace di mangiare petrolio e, secondariamente, metano.
Saremo in grado di integrare/sostituire questa dieta con altre fonti di energia?   Le ricette sono moltissime e spesso discordanti.   Si va dalla fusione fredda alla solarizzazione totale; dalla bioingegneria spinta alla permacoltura.   Personalmente non mi azzarderei a fare scommesse, soprattutto non vincolate ad una data precisa, ma sono scettico.
Ognuna delle tecnologie invocate ha infatti delle potenzialità, talvolta  considerevoli.   Ma il degrado del sistema politico-economico rischia di bloccarne lo sviluppo prima che queste possano dare il contributo sperato.    Insomma è tardi; forse troppo tardi.

Un altro elemento di scetticismo è il fatto che negli anni della “green devolution” una sola risorsa (il petrolio) e dunque una sola filiera industriale fu in grado di risolvere (temporaneamente) tutti i problemi.   Attualmente non si profila niente di simile all’orizzonte.   Al meglio, potremo contare su di una panoplia di risorse e di tecnologie specializzate.   Questo significa numerose filiere e reti da realizzare, incrementare, manutenzionare.   Impossibile che dia gli stessi vantaggi in termini di produttività, al netto dei costi energetici destinati a tale sviluppo.
Un terzo elemento è che il rarefarsi e degradarsi delle risorse energetiche e minerarie in entrata al nostro sistema economico non è la maggiore, né la più urgente delle emergenze.   Ancor più gravi e pressanti sono gli effetti connessi con l’inquinamento (fra cui il riscaldamento del clima) e, soprattutto, con la perdita di Biodiversità.   Quest’ultima è probabilmente l’emergenza massima in assoluto per il semplice fatto che è la Vita che mantiene sul
Effetto della Rivoluzione Verde sulla crescita demografica.
Pianeta condizioni compatibili con la Vita.    Dunque, se anche potessimo disporre di una fonte energetica inesauribile e gratuita, non avremmo risolto un bel niente.   Anzi, rischieremmo di dare il colpo di grazia al pianeta nel giro di pochissimo.
Infine, ammettendo che una qualche combinazione di tecnologie e adattamenti strutturali potesse consentirci di superare la crisi, che cosa accadrebbe?   In passato, tutte le volte che è successo qualcosa del genere, si è verificato un brusco incremento della popolazione.   Se succedesse qualcosa del genere, l’intera operazione si risolverebbe nel rilanciare il gioco, con una posta molto più alta e probabilità di successo molto più basse.   Cioè esattamente quello che è accaduto con la “rivoluzione verde”.

Dalla scommessa alla speranza

Nel 1972 un certo John Calhoun ideò un’esperimento molto interessante.   Nel suo laboratorio creò un vero “paradiso per topi”.   Ce ne introdusse 8 ed all’inizio la popolazione aumentò fulmineamente, poi la natalità cominciò a declinare man mano che la popolazione raggiungeva il picco di 2.200 esemplari.   Quindi, malgrado ci fosse ancora grande abbondanza di cibo, di acqua e di tane, la popolazione iniziò a declinare e non smise mai più.   Anche quando rimasero pochi topi in un’immensa gabbia colma di ogni ghiottoneria, non ne vollero più sapere di riprodursi.   Gli ultimi sorci morirono in santa pace di vecchiaia, lasciando i ricercatori interdetti.
Ovviamente, nulla garantisce che gli umani si comportino allo stesso modo.   Men che meno che lo facciano dappertutto. Tuttavia è interessante osservare che in molti paesi, oggi, la natalità è in declino e laddove le condizioni di vita peggiorano, spesso il declino si accentua.    E’ impossibile dire se questa dinamica tenderà a diffondersi e consolidarsi o meno, ma certamente contrasta con la teoria della “Transizione Demografica” ed è fonte di speranza.
Potrebbe infatti aprirsi una possibilità per uscire dalla trappola Malthusiana che né Malthus, né i malthusiani hanno previsto. Forse, se riuscissimo ad evitare il collasso del clima e della Biosfera per altri 50 anni, la popolazione potrebbe iniziare a decrescere abbastanza rapidamente da riportare quel che resta dalla Biosfera in un relativo equilibrio, senza bisogno di ecatombi bibliche e scalpitare di apocalittici cavalli.
E’ solo una speranza, ma forse la più concreta che abbiamo.   Naturalmente a condizione di piantarla di occuparci di noi stessi e cominciare a preoccuparci del sistema di cui siamo parte.   All’atto pratico, questo significa dedicare le maggiori risorse non già all’economia ed alla sanità, bensì all’istruzione, alla riduzione della natalità (là dove serve) e, soprattutto, alla conservazione della Biosfera.
Non mi sembra però che questo sia nell’agenda di nessuno.   Nemmeno della maggioranza degli ambientalisti, decrescisti e transizionisti che spesso cercano invece un modo di prolungare le proprie vite e mantenere il proprio benessere.   Comprensibilissimo, ma inutile.

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La catastrofe climatica in arrivo verso il 2020

Da “Huffington Post”. Traduzione di MR

Di Eric Zuesse 

Il primo studio che integra tutta la ricerca scientifica precedente per proiettare approssimativamente quando il cambiamento climatico produrrà conseguenze catastrofiche permanenti è stato accettato e verrà presto pubblicato sulla rivista scientifica Nature. Scopre che le cose cominceranno ad andare molto male nei tropici intorno 2020 e nella nostra parte del mondo intorno al 2047.

Nature condivide con Science e PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) l’onore di essere considerate alla pari come le tre riviste scientifiche più prestigiose del mondo ed un articolo non viene pubblicato in queste riviste a meno che non abbia superato un peer-review estremamente rigoroso. Così i negazionisti climatici non avranno alcuna credibilità professionale nell’attaccare lo studio, come ci si aspetta che facciano i fratelli Koch ed i loro amici, visto che hanno un così grande profitto da ciò che causa il riscaldamento globale – la combustione di combustibili basati sul carbonio.


Secondo questo studio, i tropici, che sono la regione nei pressi dell’equatore di questo pianeta che sono quasi al 100% impoveriti e che quindi hanno contribuito quasi per niente al riscaldamento globale, cominceranno il periodo di catastrofe permanente circa nel 2020, ma i paesi (più freddi) delle medie latitudini, come Nord America ed Europa, cominceranno questo periodo catastrofico nel 2047 o giù di lì.

Ciò non significa dire che le cose non continueranno a peggiorare dopo di allora, significa soltanto dire questo è, come sarà intitolato l’articolo, “La tempistica prevista della deviazione climatica dalla recente variabilità”.

Questo articolo di riferimento è stato scritto da una squadra di 14 scienziati del clima. L’articolo recita: “Climi senza precedenti si verificheranno prima ai tropici e fra i paesei a basso reddito”. Spiega che la ragione di ciò è che i paesi vicino all’equatore hanno di gran lunga meno variabilità nella loro meteorologia di quella che hanno i paesi a clima moderato, quindi le specie che costituiscono gli ecosistemi lì non possono tollerare temperature al di fuori della loro gamma ridotta, che è stata in quella gamma ridotta per migliaia di anni. Di conseguenza, le estinzioni di specie aumenteranno molto più rapidamente e prima che qui (Stati Uniti, ndt). Le economie povere esistenti entro i circa 4000 chilometri introno all’equatore (dove i redditi medi pro capite sono meno del 10% della media di quelli dei paesi delle medie latitudini come il nostro), diventeranno invivibili.

Questo studio osserva la “ovvia disparità fra coloro che beneficiano del processo di portare il cambiamento climatico e coloro che dovranno pagare per gran parte dei costi ambientali e sociali”. Naturalmente, “coloro che beneficiano del processo di portare il cambiamento climatico” sono le società del petrolio, del carbone e del gas naturale, quelle di distribuzione e dei servizi ed alla fine i loro proprietari, in particolare le famiglie aristocratiche che le controllano. Sarebbe falso ipotizzare che qualsiasi persona povera, anche in paesi come gli Stati Uniti, avrà benefici dalla continuazione del “processo che porta al cambiamento climatico”. Tuttavia, alcuni dei sostenitori finanziari del Partito Repubblicano e di altri partiti politici conservatori nei paesi di media latitudine hanno benefici enormi da questo “processo”. Così, molta gente che non avrà benefici dal cambiamento climatico finiscono per votare il cambiamento climatico e, naturalmente, i loro figli e i successivi discendenti soffriranno molto a causa dei loro voti.

Un precedente articolo che ho scritto, racconta di più su questo problema di grande pericolo per i paesi equatoriali. Un altro riporta uno studio Science che mostra che, per la vita per come la conosciamo, c’è già troppo carbonio nell’atmosfera perché questa sia in grado di andare avanti a lungo e che, di conseguenza, ci sarà un forte aumento del conflitto umano (crimini, guerre, ecc.) portato da questo accumulo di carbonio nell’atmosfera. Un altro parla di uno studio su PNAS che spiega che anche se le previsioni a breve termine sugli effetti di questo accumulo atmosferico di carbonio hanno una certezza di gran lunga inferiore di quanto non le abbiano quelle a lungo termine, essenzialmente non c’è alcun dubbio che fra 2000 anni la vita su questo pianeta sarà un inferno per tutti, anche se le conseguenze a breve termine dell’attuale sovraccarico di carbonio atmosferico sono molto meno certe. Niente di tutto ciò è fantascienza, sono tutti fatti scientifici, anche se i fratelli Koch ed i loro amici fanno tutto quello che è loro possibile per ingannare le masse che non sia vero e che la cospirazione per ingannare l’opinione pubblica si deve cercare fra il 97% abbondante di scienziati del clima che dicono che il riscaldamento globale sta avvenendo e che la sua causa principale sono le emissioni di carbonio atmosferico umane. Anche se il numero di babbei che seguono i Koch potrebbe essere in declino, è già troppo tardi. I Koch ormai hanno avuto successo per troppo tempo per evitare il disastro. Da adesso in avanti gli sforzi per ridurre il cambiamento climatico saranno sforzi per ridurre la portata della catastrofe, non per prevenirla.

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Il mestiere del capro espiatorio: le ragioni del fallimento del movimento ecologista

Questo documento di qualche anno fa, di Donella Meadows, ci racconta la storia di come i “verdi” abbiano preso il posto dei comunisti come capro espiatorio e bersaglio privilegiato per tutti i guai che ci affliggono.

Da “Donnella Meadows Institute”. Traduzione di MR

Di Donella Meadows, 4 giugno 1992

Qualche settimana fa ho avuto l’onore, presumo, di apparire National Public Radio con Dennis Avery, una persona che si autodefinisce esperto agricolo presso l’Istituto Hudson. Non avevo mai incontrato il signor Avery, ma visto che l’Istituto è un’organizzazione radicalmente conservatrice, mi aspettavo che la discussione fosse accesa.


Ciò che non mi aspettavo, in quest’epoca post guerra fredda, era di essere accusata di comunismo.

Il signor Avery ha cominciato ad accusare gli ambientalisti di bloccare la ricerca agricola e di “togliere slancio alla Rivoluzione Verde”. Noi esageriamo anche i pericoli, ha detto, come quello del buco dell’ozono, che al massimo potrebbe produrre un brutto caso di eritema solare.

Essendosi scaldato, il signor Avery è passato alla sua vera lamentela. Ci sta dicendo che siamo tutti contenti di quello che abbiamo e che programmiamo di condividerlo su una base comunitaria. Questo suona, ha detto con sempre maggior agitazione, come “da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”, un insegnamento del famigerato Karl Marx. Il suo programma nascosto, ha continuato quasi gridando, è quello di instaurare un governo stalinista ed una polizia ambientale in tutto il mondo.

Ero pietrificata. Le sue accuse mi avevano offesa profondamente – avevo già avuto le mie esperienze terribili con l’ex impero sovietico. Allo stesso tempo ero sopraffatta da una sensazione di ridicolo, visto che ero stata attaccata con toni analoghi dall’estrema sinistra. Non sapevo se ridere, piangere o gridare a mia volta. Ciò che ho fatto è stato balbettare la mia vera posizione meglio che potevo. Poi ho provato a rimuovere l’intero episodio dalla mia mente.

Ma non ci sono riuscita. Continuavo a chiedermi come avesse mai fatto Dennis Avery a giungere al suo punto di vista assurdo del “reale” programma ambientale. E continuavo a sentire quel punto di vista espresso da altri.

Il Wall Street Journal lo espone regolarmente: “Mentre il comunismo sta uscendo dalla scena della storia, la minaccia più grande alla libertà potrebbe provenire da un movimento ambientale utopistico che, come il socialismo, vede il benessere degli esseri umani come subordinati a ‘valori più alti’”.

George Will in un recente trafiletto ha scritto: “Alcuni tipi di ambientalismo sono ‘un albero verde con le radici rosse’. E’ il sogno socialista – vite ascetiche strettamente regolate da un’avanguardia di visionari prepotenti – travestito da compassione per il pianeta”.

Alan Gottlieb, consulente e raccoglitore di fondi per il movimento di estrema destra “Wise Use Movement,” ha detto, senza mezzi termini: “Per noi il movimento ambientalista è diventato l’uomo nero perfetto”.

Immagino che alcune persone abbiano bisogno degli uomini neri. Se ne hanno sempre avuto uno e questo poi se ne va, devono proprio non sapere come stanno senza la loro controparte cattiva. Devono continuare a vedere mostri, che siano reali o no.

Ma cosa dobbiamo fare noi, noi che siamo stati identificati come i nuovi mostri, i capri espiatori, i sostituti dei comunisti?

Perlomeno dobbiamo dire le cose come stanno. Parlo per me stessa, ma i miei punti di vista sono condivisi da ogni ambientalista che conosco. Non potrei in alcuno modo preferire lo stalinismo, che ha un’impronta ambientale ben peggiore del capitalismo. Non sono contro gli affari, sono solo contro gli affari sporchi. Credo nel sistema di mercato, che è il motivo per cui voglio includere i costi ambientali reali di un prodotto come parte del suo prezzo e per cui mi piacerebbe eliminare i sussidi governativi per le tecnologie inquinanti, come carbone, petrolio ed energia nucleare.

Sono a favore della democrazia. Mi piacerebbe rimuovere il potere del denaro sul governo. Sono a favore della tecnologia. Conto sui progressi nella conservazione di energia, nell’energia solare, nell’agricoltura biologica, nel riciclaggio dei materiali e nel controllo dell’inquinamento per aiutare l’umanità a vivere entro i limiti della terra.

Non sono a favore della “redistribuzione”, se questo significa prendere ai ricchi per dare ai poveri. Sono a favore di dare ai poveri opportunità realmente uguali e di smettere di sfruttarli. Mi piacerebbe che i ricchi possano vedere che nessuno, a prescindere da quanto ricco, può mai vivere in sicurezza o in modo sostenibile mentre persiste una povertà disperata.

Non sono contro la crescita, ma non faccio il tifo per qualsiasi tipo di crescita a qualsiasi costo. Mi piacerebbe vedere una crescita negativa delle industrie e tecnologie inquinanti e una crescita positiva di quelle efficienti. La crescita di cibo, alloggi, abbigliamento e posti di lavoro per i poveri è ovviamente necessaria. La crescita dei ricchi, per mantenere sottomessi i poveri, è un modo altamente inefficiente di affrontare la povertà.

Sta ascoltando, signor Avery? Non proprio, sospetto, perché ho cercato di colmare questo divario di paradigma già in passato. Quando le persone e le credenze sono state etichettate come subdoli nemici, niente di ciò che dicono può essere creduto. Le menti si chiudono. L’ascolto si interrompe. Come con l’aborto, come con controllo delle armi, l’ambiente potrebbe diventare un tema così distorto dall’ideologia che gli americani non ne possono parlare, o fare qualcosa a riguardo.

Ciò sarebbe letteralmente un disastro, perché il pianeta risponderà ai nostri reali abusi fisici, non alle nostre preziose credenze. Tutto ciò che posso pensare di fare, per evitare questa polarizzazione della discussione ambientale, è di chiedere, come sovversiva sotto accusa, un processo equo. Suggerisco che gli Avery, i Will, i Gottlieb e gli editori del Wall Street Journal siano chiusi in una stanza con un pugno di ambientalisti rappresentativi, qualche facilitatore neutrale ed una macchina da presa televisiva per registrare i risultati. Nessuno può essere lasciato uscire finché tutti non abbiano ascoltato tutti gli altri, discusso, sondato le differenze e non siano giunti a capirsi fra loro, non come mostri immaginari, ma come esseri umani complessi, impauriti, imperfetti, ben intenzionati, preoccupati e curiosi.

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Politiche di immigrazione secondo Donella Meadows


Un articolo di venti anni fa, ancora perfettamente attuale, anche in relazione al Brexit. (U.B.)

Da “Donnella Meadows Institute”. Traduzione di MR

Di Donella Meadows
19 gennaio 1995

“Datemi le vostre genti stanche, i vostri poveri,
Le vostre masse accalcate che anelano a respirare libere,
I miseri reietti dei vostri lidi brulicanti,
Mandateli a me i senza casa, sbattuti dalla tempesta,
Io alzo la mia fiaccola vicino alla porta d’oro!”

Emma Lazarus ha scritto queste parole ispirate in dedica alla Statua della Libertà nel 1886. Sono scese in profondità nella psiche di questa terra di immigrati, anche se la porta d’oro di fatto non è mai stata del tutto aperta. I soli miseri reietti che abbiamo accolto in un primo momento erano quelli del Nord Europa. Abbiamo fatto entrare persone di culture non occidentali principalmente come schiavi o lavoratori a contratto. Eppure, nel corso della nostra storia, abbiamo accettato rifugiati con una grazia senza paralleli fra le nazioni. Siamo stati premiati con una popolazione variegata e talentuosa e con un’immagine internazionale che ancora brilla nonostante il suo appannamento.

Ora arriva la fine del XX secolo e la nostra generosità è evaporata. La Florida sta facendo causa al governo federale per i costi che ha l’affrontare la marea migratoria di Miami. Milioni di californiani hanno votato di non fornire scuole o sanità per gli alieni illegali. Fra di noi ci sono sostenitori non solo di dare un giro di vite all’immigrazione clandestina, ma di porre il tasso di immigrazione legale a zero – come hanno fatto Francia, Giappone ed altre nazioni.

A causa della nostra Statua e della nostra Storia, è difficile per gli americani discutere di immigrazione in modo spassionato. E su entrambi i lati del problema si possono trovare motivazioni nobili ed ignobili. Le anime nobili difendono le leggi liberali sull’immigrazione descrivendo i governi oppressivi e le vite miserabili dalle quali le masse accalcate tentano di scappare e mettendo in discussione il nostro diritto, in quanto discendenti di immigrati, di chiudere le porte dietro di noi. In modo meno nobile, coloro che cercano lavoratori nelle fattorie, come servitori domestici, come operai del tessile ed di altre tipologie, hanno un interesse diretto ad allargare la base di nuovi arrivi che lavoreranno con piacere per lunghi orari a paga bassa solo per restare qui.

Coloro che vogliono fermare l’immigrazione potrebbero essere semplicemente razzisti o essere avidi. O potrebbero essere lavoratori a salario basso che evidenziano che i liberali dal cuore tenero in genere non hanno il tipo di lavoro la cui paga viene ribassata ripetutamente dai senza casa. Gli oppositori all’immigrazione possono essere motivati anche dalla preoccupazione onesta della sovrappopolazione, della contrazione delle foreste, dei suoli, delle forniture d’acqua, del pesce, dei combustibili, della natura selvaggia e dall’obbligo morale di lasciare alle future generazioni perlomeno tanta ricchezza naturale quanta ne è stata lasciata a noi.

L’argomentazione della sovrappopolazione, che piaccia o no, acquisisce forza man mano che l’immigrazione continua. Quando Emma Lazarus ha scritto il suo poema, gli Stati Uniti avevano 60 milioni di abitanti. Ora ne hanno 255 milioni e crescono di 2 milioni all’anno di aumento naturale, più 1,8 milioni per l’immigrazione legale, più forse un altro milione per l’immigrazione illegale. L’Ufficio Demografico prevede 383 milioni di abitanti per il 2050. Al di fuori dei nostri confini ci sono perlomeno 2 miliardi di poveri. La popolazione dell’America Latina aumenta di 9,4 milioni di persone ogni anno, quella dell’India di 17,3 milioni, quella della Cina di 13 milioni.

La terra è finita. Ogni nazione è finita, persino la nostra. Nessuna nazione, sebbene ben intenzionata, può mettere fine alla povertà accogliendo e prendendosi cura di tutti i poveri. Dare il benvenuto a tutti è autodistruttivo. Ma erigere mura abbastanza alte da tenerli fuori è immensamente costoso ed alla fine impossibile.

Stranamente, o forse non tanto stranamente, gli approcci nobili al tema dell’immigrazione, da entrambe le parti, sembrano essere approcci pratici. In nome di coloro che sono già all’interno dei nostri confini e i loro bambini, dobbiamo capire i nostri limiti fisici e sociali e vivere al loro interno. Ciò significa, prima o poi, portare l’aumento naturale e l’immigrazione netta a zero. Per impedire che la pressione esterna ci schiacci, dobbiamo aiutare il resto del mondo a fare lo stesso.

Matthew Connelly e Paul Kennedy in un articolo spaventoso dal titolo “Dev’essere la tregua contro l’occidente? – Must it be the Rest Against the West?” nel numero di Atlantic Monthly del dicembre del 1994 è giunto ad una conclusione analoga. Per “rallentare, o se possibile invertire, l’accumulo di pressioni demografiche ed ambientali in tutto il mondo”, dobbiamo, dicono, soddisfare l’obbiettivo vecchio di decenni di dedicare lo 0,7% del nostro PIL per l’aiuto allo sviluppo (attualmente ne didichiamo lo 0,2%). Dobbiamo  assicurarci che l’aiuto vada realmente ai poveri, piuttosto che ai corrotti ed ai potenti, o alle ditte di ingegneria che costruiscono dighe e centrali elettriche. Dobbiamo mettere gli scienziati al lavoro su tecnologie per i poveri, come l’energia solare, le stufe efficienti e le colture resistenti alle malattie. Dobbiamo sostenere di tutto cuore la pianificazione famigliare e l’educazione femminile, migliorare la capacità dell’ONU di mantenere la pace e fermare l’esportazione di armi che risucchiano investimenti da parte dei paesi poveri e troppo spesso sostengono dittatori pericolosi.

Si potrebbe facilmente aggiungere altro all’elenco di Connelly e Kennedy. Smettere di spremere il pagamento dei debiti del Terzo Mondo da parte dei poveri. Incoraggiare una vera riforma terriera. Frenare il nostro consumo sprecone di risorse. Pagare i lavoratori in patria e all’estero con salari decenti.

Questi suggerimenti non sono nuovi e non sono al di là delle nostre possibilità, intelligenza e mezzi finanziari, ma al momento sono al di là della nostra immaginazione politica. Ma l’immaginazione può cambiare, specialmente quando si confronta con costi pratici. Una volta, ai tempi dell’Apartheid, stavo passando in macchina con un amico sudafricano di fianco ad una grande area di cisterne di petrolio vicino a Città del Capo. Intorno all’area c’era una tripla barriera, lunga molti isolati, di torri di guardia, muri di cemento e recinzioni alte 12 metri. “Perché tutto questo?” Ho chiesto. “C’è gente disperata che si impossessa di mortai”, ha risposto. “Ma quelle barriere devono essere enormemente costose”, ho detto. “Sì”, ha detto il mio amico, “ed è solo una piccola parte di quello che spendiamo per mantenere le nostre iniquità”.

Una politica migratoria, o una qualsiasi politica, può essere basata su paura, odio e conservazione a breve termine, oppure su compassione, cooperazione e bene a lungo termine per tutti. Il Sud Africa alla fine ha ammesso che solo la seconda di queste opzioni è conveniente, oltre che umanamente tollerabile. Potremmo fare la stessa cosa.

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Brexit: e ora?

Una recente intervista di Gaël Giraud si è rivelata profetica. (U.B.)

Morta l’Europa se ne fa un’altra, anzi, due.

Carlo Melato

22 giugno 2016

«In caso di Brexit c’è una notizia buona e una cattiva. La cattiva è che la Germania si rafforza e diventa l’unica potenza al comando in Europa. Quella buona più che altro è una speranza: Italia, Francia, Spagna e Irlanda potrebbero iniziare chiedersi se convenga rimanere…». Non si direbbe, ma chi parla è un europeista convinto, anche se difficilmente etichettabile. Gaël Giraud ha alle spalle una brillante carriera come consulente di banche d’investimento parigine, mentre oggi concilia due vite: quella di chief economist dell’Agence française de développement e quella di prete gesuita.

Nemico della finanziarizzazione dell’economia, ma contrario alla demonizzazione della finanza, quando non dice messa siede al tavolo di Francois Hollande e lo turba con le sue teorie rivoluzionarie che si possono ritrovare nel libro Transizione Ecologica, scovato in Francia dalla casa editrice dei missionari italiani (EMI).

Professor Giraud, si può davvero essere europeisti e augurarsi la Brexit?

Prima bisogna capire che il progetto europeo, nato sulle ceneri della Seconda guerra mondiale, è stato completamente tradito. Dagli anni Ottanta si è scelto di imboccare la strada senza ritorno della finanziarizzazione della società, compiutasi nel 1992 con il Trattato di Maastricht. Il risultato? La mobilità dei capitali è diventata prioritaria su quella delle persone.

Il disegno originario va ripensato perché l’Europa odierna è destinata a distruggere le economie del Sud e a riaccendere l’odio tra i popoli. Se la Brexit è l’occasione giusta, ben venga.

Sperando in una sorta di effetto domino?

Nonostante le apparenze anche chi chiede alla Gran Bretagna di rimanere si è già attrezzato. Sono a conoscenza di un “Piano B” dei governi del Nord Europa (Germania, Austria, Olanda, Finlandia, e probabilmente Lussemburgo) per costruire una “zona marco” autonoma. Nel caso mi auguro solo che la Francia rimanga fuori dal club perché insieme all’Italia rappresenta la leadership naturale dell’Europa del Sud. Questi due paesi hanno le carte in regola per costruire un nuovo sistema politico che veda alla guida i cittadini e non i banchieri.

Nel suo libro, al di là dell’ipotesi Brexit, già li invitava a fare il primo passo: sfidare la Germania e le istituzioni europee stampando moneta. Ma quali sarebbero i rischi?

Se nascesse un’eurozona del Sud, la nuova moneta, che potremmo chiamare Euro 2.0, rischierebbe di crollare sui mercati finanziari mentre la bilancia commerciale potrebbe andare in deficit. L’inflazione a quel punto sarebbe una conseguenza inevitabile. Tenga conto però che questa è una buona notizia, dato che oggi siamo nella trappola molto più pericolosa della deflazione.

Ma continuiamo pure l’elenco dei guai possibili: potremmo avere problemi di accesso ai mercati finanziari per finanziare i debiti sovrani e gli spread italiani e francesi non tarderebbero ad esplodere.

E quali sarebbero le possibili contromosse?
Stampare la nuova moneta comune in modo da avere nella nuova eurozona diverse denominazioni nazionali il cui tasso di cambio verrebbe deciso a livello politico, senza tenere conto della schizofrenia dei mercati finanziari.
In questo modo potremmo ad esempio svalutare la valuta greca del 50% per le sole transazioni interne all’eurozona del Sud – in modo da dare ossigeno a un Paese messo in ginocchio dall’austerity – e allo stesso tempo, all’esterno, mantenere una valuta forte per poter comprare petrolio.

Fin qui tutto bene, anche se bisogna aspettarsi l’opposizione di qualcuno.

A chi si riferisce?
Alle banche. Se decidessimo ad esempio di procedere con una svalutazione in Italia molti istituti bancari del vostro Paese andrebbero in bancarotta, avendo molto debito privato denominato in altre monete.

Anche in questo caso però non vedo grossi problemi: basta nazionalizzarle e forzarle a fare il loro mestiere: lavorare per l’economia reale e non per le speculazioni finanziarie.

A quel punto questa nuova eurozona, liberata dai vincoli attuali, potrebbe realizzare quella che lei chiama la “transizione ecologica”?
Esattamente. Occorre affrontare al più presto la questione energetica e quella ambientale, rinnovando gli edifici dal punto di vista termico, ripensando la mobilità, liberandoci dalla dipendenza dal petrolio. D’altronde siamo costretti ad andare verso un’economia post-carbone, basta non chiudere gli occhi davanti ai dati allarmanti dell’inquinamento e del surriscaldamento globale. Si tratta di un programma costoso, ma in grado di creare milioni di posti di lavoro.

Portare avanti un programma del genere al di fuori di uno scenario in cui l’Europa si divida in due non è possibile?
Purtroppo no. Se oggi un governo democratico volesse sposare la transizione ecologica la Bce e le banche private glielo impedirebbero. Chiuderebbero i rubinetti dicendo che non produce profitti a breve termine. La colpa, come spiegavo prima, è antica: abbiamo scelto di privatizzare la moneta e di incatenare gli Stati.

Oggi occorre solo essere coscienti della situazione e attrezzarsi a ciò che prima o poi accadrà. Mi auguro per l’Italia che Renzi abbia imparato la “lezione greca” e lo stia facendo. Altrimenti continuerà a puntare tutto su una ripresa che purtroppo però non può arrivare…

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Perché Gianni l’idraulico non vuole l’energia rinnovabile

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Gianni (Joe) l’idraulico è una persona vera, ma anche un’astrazione per indicare l’operaio metalmeccanico americano pieno di problemi.


In un post precedente, ho sostenuto che una transizione globale al 100% di energia rinnovabile sarebbe molto costosa, ma possibile, e che potrebbe anche essere sufficientemente rapida da evitare di superare gli obbiettivi di emissioni stabiliti dalla COP21. Questa opinione ha innescato il solito flusso di commenti negativi, basati principalmente su vecchie fandonie o ragionamenti ideologizzati. Ha generato anche una discussione in un forum privato dove si è sostenuto che potremmo fare la transizione se potessimo convincere l’opinione pubblica che l’energia rinnovabile è una cosa buona. Mi sono trovato in parziale disaccordo con questa interpretazione ed ho risposto con un commento che riproduco qui, con poche modifiche.  

Tutti i sondaggi indicano che la “opinione pubblica” è ampiamente favorevole all’energia rinnovabile, eccetto una minoranza dura a morire che sfoga le proprie frustrazioni commentando i post che non gli piacciono. Quindi non ci serve un grande sforzo per convincere “Gianni l’idraulico” che l’energia solare è una buona idea.

Sfortunatamente, è più probabile che Gianni non abbia soldi sufficienti per installare pannelli solari nel suo giardino. Al contrario, probabilmente è in rosso e se qualcuno se ne esce dicendogli, “guarda, la tua bolletta elettrica è il risultato dei sussidi all’energia rinnovabile”, lui ci crederà. Probabilmente continuerà a pensare che l’energia solare è una buona idea, ma non vorrà pagare per averla (né, in generale, per qualsiasi cosa collegata alla “sostenibilità” o a “combattere il cambiamento climatico”).

Alla fine, non importa granché ciò che pensa o fa Gianni. Il punto è come convincere quella entità nebulosa che chiamiamo “sistema finanziario” a convogliare grandi quantità di denaro in energia rinnovabile prima che sia troppo tardi. E con grandi intendo GRANDI: se i grandi investitori non si muovono, e velocemente, siamo spacciati.

La difficoltà del problema è evidente se consideriamo ciò che è successo durante l’ultimo decennio, quando il “sistema finanziario” ha riversato enormi quantità di denaro nell’industria del gas e del petrolio di scisto. E conosciamo tutti la storia della grande bolla che sta scoppiando proprio in questo momento. Ma non è solo una questione di soldi: è stato un incredibile uso scellerato delle risorse che ha condizionato l’intera civiltà, una cosa che potrebbe averla anche condannata definitivamete, anche in termini di grandi quantità di gas serra emessi e che non avevano bisogno di essere emessi.

Non riesco a non pensare, “e se tutti i soldi e le risorse fossero state usate per le rinnovabili, invece?” Il mondo oggi sarebbe del tutto diverso. Quindi chi ha deciso di spingere tutti quei soldi nella direzione sbagliata? Gli gnomi di Zurigo? I Troll di Budapest? I Goblin di Southampton? Gli Orchi di Bratislava? Chi?

Penso sia questo il nocciolo della questione. Come potete vedere nel mio post, gli investimenti in energia rinnovabile sembrano essersi stabilizzati dopo il 2011.

E questo è MOLTO preoccupante. D’altra parte, è anche vero che vediamo una tendenza all’aumento durante gli ultimi due anni. Ciò potrebbe indicare un ritorno di interesse del sistema finanziario per le rinnovabili. E l’impressione è che, sì, che ci sia una chiara tendenza in quella direzione. Pertanto forse abbiamo una possibilità, ma ci dobbiamo muovere.

h/t Adam Siegel

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