Effetto Cassandra

Migrazioni, Malthus, mortalità, e tutto il resto

di Jacopo Simonetta


Articolo già pubblicato su: “Matlhus non aveva poi tutti i torti” il 5/11/2016

Nell’odierna, immensa massa umana esiste una pattuglia di persone convinte che il sistema economico attuale stia entrando in un collasso globale e che ciò provocherà conseguenze terribili.   Alcune di queste sono anzi già cominciate, ma la grande maggioranza di noi si rifiuta di riconoscerle per quel che sono: avvisaglie.

C’è una buona ragione per questo: l’illusione più o meno cosciente che, ignorando o negando i fatti, ci si possa proteggere dalle conseguenze dei medesimi.   O, perlomeno, che questo sia un modo per scaricare ad altri la propria quota di responsabilità per qualcosa che, comunque vada, costerà molto caro a molta gente.

Tra i fatti che possiamo negare, ma non evitare, c’è che la Terra è pesantemente sovrappopolata in ogni suo più remoto anfratto.   Ma ammetterlo significherebbe dover poi parlare di politiche demografiche.   Cioè di nascite, morti e migrazioni.   Tutti argomenti che hanno implicazioni psicologiche e spirituali tanto importanti da risultare intrattabili.

Non è un caso se il controllo della natalità è l’unico fattore demografico di cui si parla, sia pure con crescenti difficoltà.   Qui si tratta infatti di decidere se, eventualmente, impedire a qualcuno che ancora non esiste di venire al mondo.   Non c’è niente di terribile in ciò.

Viceversa, parlare oggi di mortalità significherebbe chiedere a gente che esiste di andarsene cortesemente a all’altro mondo per aiutare i suoi compatrioti terrestri a restare in questo.   Non sorprende che nessuno ne voglia parlare, non foss’altro che per scaramanzia.
Delle migrazioni si parla invece tantissimo, perfino troppo, ma senza mai porsi domande imbarazzanti tipo: Quanta gente c’è?   Quale è la capacità di carico del territorio?   Quali sono gli effetti sulle zone di partenza e su quelle di arrivo?   Come stanno evolvendo le condizioni al contorno?

Pillole di storia

Le migrazioni sono un fenomeno antico quanto la nostra specie (anzi molto di più).   Quando in una zona si raggiungono limiti di sovrappopolazione, un certo numero di giovani parte per cercare fortuna altrove.   Se lungo la strada incontrano popoli più agguerriti di loro, vengono uccisi.    Se viceversa incontrano territori poco popolati o genti meno agguerrite, si fanno largo ammazzando o sottomettendo gli autoctoni.

E’ esattamente in questo modo che, per oltre 50.000 anni, ondate successive di uomini hanno popolato il mondo, accavallandosi e sostituendosi fra loro, costruendo e distruggendo civiltà.   La penultima crisi storica di questo genere è stata lo straripare della popolazione europea nel mondo intero.   L’ultima è appena cominciata, ma con un’inversione dei flussi.   Invece che dall’Europa, avviene verso l’Europa (compresa la Russia occidentale) ed il Nord America.

Per fare il caso italiano, durante tutti gli anni ’80, la popolazione italiana si era stabilizzata attorno ai cinquantasei milioni e mezzo.   Poi, dall’89 (collasso degli stati comunisti) ha ricominciato a crescere grazie ad un’immigrazione dapprima modesta, poi sempre più intensa.   Una brusca accelerazione avvenne nel 2002, anno di approvazione della leggendaria “legge Bossi-Fini” che, evidentemente, favorì il fenomeno.   Ad oggi siamo circa sessantadue milioni, con un tasso di incremento di circa 300.000 persone all’anno.

Per circa un quarto di secolo, le autorità pubbliche e le forze politiche dei vari paesi coinvolti non hanno trovato di meglio che altalenare fra posizioni opposte ed un pertinace far finta di niente, sperando che la faccenda si risolvesse da sola.   Ma negli ultimi due anni l’arrivo di milioni di persone ha fatto precipitare la situazione.

Potremmo, credo, distinguere fondamentalmente tre tipi di approccio al problema.   Due paesi, Italia e Grecia, hanno deciso di mantenere aperte le proprie frontiere; anzi l’Italia ha mobilitato mezzi imponenti per recuperare migranti in mare.   Altri paesi dell’UE coadiuvano questo sforzo, pur mancando un accordo sul destino successivo dei naufraghi.

Altri, come diversi paesi balcanici e l’Austria, hanno alzato barriere più o meno efficaci per ostacolare i flussi.   I paesi principali, Germania in testa, si sono accollati finora il grosso del flusso, ma questo ne sta oramai mettendo a repentaglio la stabilità politica.

Nel frattempo, il numero dei morti durante la traversata è diminuito in percentuale, ma aumentato in cifra assoluta poiché la certezza del soccorso porta molta più gente a tentare l’avventura in sempre più precarie condizioni.

Premesse

L’accoglienza è un bene od un male?   Esiste un limite sotto il quale va bene ed oltre il quale no?   A mio avviso, una simile discussione potrebbe essere utile solo partendo dai pochi, ma importanti capisaldi:

1 – Non sempre chi lascia il suo paese lo fa perché costretto dalla miseria, o peggio, ma spesso si.   Perciò non bisogna nascondersi dietro un dito ed essere ben coscienti del fatto che negare l’ingresso a qualcuno significa danneggiarlo, spesso in modo grave.

2 – Esiste una differenza fondamentale tra “migranti” e“rifugiati”.   I primi sono tutti coloro che vanno ad abitare in un paese diverso da quello dove sono nati.   Talvolta fuggono da situazioni terribili, altre cercano semplicemente un lavoro migliore.   I rifugiati sono invece persone che in patria sono attivamente perseguitate per ragioni politiche, religiose, razziali od altro.  Lo status di “rifugiato” viene concesso dai governi in base ad una serie di convenzioni internazionali, perlopiù risalenti agli anni ’50 (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali).

Anche i numeri sono diversi.   Per capirsi, solo nel 2014 gli immigrati in Europa sono stati quasi 2 milioni (dati EUROSTAT ) portando il totale degli stranieri a quasi 35 milioni, circa il 7% della popolazione europea.  Nel 2015 e nel 2016 i numeri sono stati sensibilmente maggiori, ma mancano dati ufficiali.  Coloro che ottengono asilo politico normalmente sono invece poche decine di migliaia l’anno, ma c’è stato un brusco incremento negli ultimi due anni: circa 300.000 nel 2014 e circa 600.000 nel 2015 (dati ERUOSTAT).    Un incremento che dipende in parte dall’aggravarsi della crisi siriana, in parte da scelte politiche dei singoli governi nazionali.   Tuttavia, continuano ad essere una netta minoranza del flusso complessivo di gente.

3 – Le migrazioni di massa sono appena cominciate, nei prossimi anni e decenni non potranno che aumentare.   Non bisogna illudersi che il fenomeno si esaurisca da solo; ben al contrario si aggraverà.   Ogni anno ci sono circa 80 milioni di persone in più sul pianeta ed i focolai di instabilità ambientale, economica e/o politica non potranno che moltiplicarsi.   A livello europeo, i flussi sono passati da un ordine di grandezza di migliaia ad uno di milioni di persone all’anno.   La tendenza è verso un ulteriore, consistente incremento.

3 – L’Italia, come tutta l’Europa, gode tuttora di un alto tenore di vita grazie ad una serie di vicende storiche e meccanismi di mercato che finora ci hanno permesso di appropriarci di risorse estere e ridistribuire globalmente parte dei nostri rifiuti.    Ma il sistema economico sta rapidamente cambiando ed almeno in parte implodendo.   La crisi economica peggiorerà ed il ridimensionamento del nostro tenore di vita è appena cominciato.   Disoccupazione e povertà aumenteranno certamente,
anche se non possiamo sapere quanto e come.   E lo faranno comunque, con o senza immigrazione.

4 – Una grande quantità di immigrati non arriva fortunosamente in barca, bensì tranquillamente in aereo.   L’enfasi sugli sbarchi è quindi in parte una strategia di marketing politico, sia da parte di coloro che sono favorevoli, sia di coloro che sono contrari all’accoglienza.

A mio avviso, chiunque ignori e/o neghi uno o più di questi semplici fatti, o è male informato, o è male intenzionato.

Conseguenze.

C’è molto dibattito sulle conseguenze economiche delle migrazioni, con esperti che delineano un quadro idilliaco o disastroso a seconda dei casi.   Personalmente, trovo più interessanti le conseguenze ecologiche e politiche.

Le conseguenze ecologiche sono inevitabili e facilissime da capire.   A livello locale, un aumento della popolazione significa un aumento dei consumi e degli impatti: più alloggi, più acqua, più rifiuti ecc.   Proprio i fattori che secondo alcuni sono favorevoli all’economia, sono certamente deleteri per quello che resta degli ecosistemi.   Anche a livello globale l’emigrazione fa lievitare consumi ed emissioni.   Infatti, benché la maggioranza degli immigrati vada a far parte della fascia più povera dei paesi di accoglienza, i consumi di un una persona che vive in Europa occidentale sono almeno di un ordine di grandezza superiore di quelli di chi abita in molti paesi africani ed asiatici.   Vi sono poi buone ragioni per ritenere che l’emigrazione contribuisca a mantenere elevato il tasso di natalità nei paesi di partenza, ma si tratta di dinamiche molto complesse che possono differire anche parecchio da caso a caso.

Le conseguenze politiche sono più complesse perché non dipendono tanto da ciò che effettivamente accade, quanto da come questo viene percepito.   Man mano che la densità di popolazione cresce e la percentuale di stranieri aumenta, la gente si inquieta.   Può avere torto o ragione, il punto importante qui è che ha paura.   E quando la gente a paura guarda ai suoi leader per essere rassicurata.

Per decenni, la classe politica dominante ha scelto di ripetere che il problema non esisteva, che la crescita economica avrebbe risolto tutto, che la pace avrebbe trionfato, i flussi si sarebbero esauriti grazie ad interventi nei paesi di partenza, eccetera.   Soprattutto, ha evitato molto accuratamente di nominare la causa principale di questa tragedia, la sovrappopolazione sia nei paesi di arrivo che in quelli di partenza.   Ma ha anche cercato di nascondere le conseguenze, cioè la competizione per il lavoro, il degrado dell’ambiente naturale ed urbano, le difficoltà di integrazione ecc.

Beninteso, gli stranieri in Europa sono meno del 10%, quindi ha ragione chi dice che non solo loro IL problema.   IL problema è infatti il collasso della nostra civiltà e dei nostri ecosistemi.   Le migrazioni sono solo un pezzo di questo complesso mosaico, ma un pezzo importante perché, in condizioni precari,e anche spostamenti lievi di fattori chiave possono avere conseguenze importanti.

L’Islam in EU. Si noti come la percezione comune è di una presenza
almeno 4-5 volte superiore al reale.
Comunque, il dato politico è che la vasellina ufficiale tranquillizza sempre meno gente.   Ecco allora che sorge una nuova classe di politicanti professionisti che adottano una strategia altrettanto menzognera, ma opposta.   Anziché negare il problema, lo gonfiano e lo stravolgono facendo immaginare alla gente fenomeni del tutto inesistenti come l’invasione islamica (i due terzi circa degli immigrati sono cristiani), la guerra delle culle (la natalità degli immigrati si livella a quella degli autoctoni in una generazione) ed il complotto sostituzionista (questa poi non merita nemmeno commento).   Bufale che diventano però credibili quando dall’altra parte si insiste a ripetere che tutto si aggiusterà da solo.   Meglio ancora se se una frangia minoritaria, ma consistente, di immigrati si adopera per apparire regolarmente in cronaca nera.

C’è una via d’uscita?

In estrema sintesi, siamo prigionieri di una doppia menzogna.   E’ falso che l’Europa possa continuare ad importare gente dall’estero per la semplice ragione che ci sono già troppi europei. E‘ falso anche che se buttassimo fuori tutti gli stranieri i nostri problemi svanirebbero, perché comunque continueremo ad essere troppi, la qualità delle risorse energetiche continuerebbe a tracollare, il clima a peggiorare, ecc.

In mezzo a tanta disinformazione cresce l’estrema destra, ma non credo che ciò dipenda tanto da un aumento dei neo-fascisti, quanto da un crescente numero di persone che hanno paura.   Se qualcuno volesse evitare che queste formazioni prendano il potere, avrà interesse a pensare ad una gestione delle migrazioni efficace e credibile.

A mio avviso ciò significa principalmente due cose:

1- Una politica demografica unitaria che cerchi di ridurre la popolazione europea nel modo più indolore e tranquillo possibile.   Fra l’altro, stabilendo quanta gente può entrare ed a quali condizioni.   (Fra “tutti” e “nessuno” ci è parecchio spazio).

2 – Un effettivo controllo sulle frontiere esterne e sul rispetto delle regole da parte degli ospiti.   Due cose più facili a dirsi che a farsi, viste le frontiere che abbiamo.    Per questo, ritengo che solo un’organizzazione europea potrebbe svolgere il compito.    Nessuno stato nazionale ha più la forza per controllare da solo la situazione.

Su quest’ultimo punto c’è un barlume di speranza.   La catastrofe delle politiche messe in atto dagli stati negli ultimi due anni ha finalmente permesso la nascita di un corpo di polizia di frontiera comunitario.   Il primo reparto ha preso servizio pochi giorni fa in Bulgaria.   Vedremo come va e quali stati saranno disposti a collaborare.

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Il picco del petrolio in un mondo privo di fatti: la nuova abbondanza petrolifera del Texas occidentale

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

A volte ho la sensazione di vivere in un universo senza fatti dove le leggi della fisica valgono solo se ci credi. (Immagine)

Così, l’USGS se ne esce con un comunicato stampa che i media hanno immediatamente diffuso in termini di grande scoperta: 20 miliardi di barili, da qualche parte in Texas in un luogo chiamato “Wolfcamp”. Bloomberg moltiplica il numero per l’attuale prezzo del petrolio e se ne esce con un titolo che recita: “Un tesoro in petrolio da 900 miliardi di dollari”, in  un pezzo che parla di “abbondanza” e di “regalo che continua a regalare”. USA Today parla de “Il più grande giacimento di petrolio mai trovato negli Stati Uniti”. E che dire dei commenti? Solo alcuni esempi.

Come farà il nostro nuovo presidente – DRILL BABY DRILL!!! Indipendenza energetica – che sicuramente ha un bel dito da mostrare. Il dito medio agli arabi del Medio Oriente.

Ricordo la fine degli anni 70 quando gli scienziati hanno detto che avremmo finito il petrolio alla fine degli anni 90. Mi chiedo dove stiano lavorando ora quelli scienziati. Cambiamento climatico?

Si stanno costantemente trovando riserve. Il presidente Trump aprirà più terra ed oceano aperto per le trivellazioni sicure. Una cosa che l’amministrazione Obama non aveva idea di come fare…
 …
ma naturalmente la sinistra radicale, determinata a far tornare la civiltà occidentale una società di cacciatori-raccoglitori di 10.000 anni fa, farà tutto quello che può per impedire che questa nazione un tempo grande diventi energeticamente (indi)dipendente e che mandi permanentemente via a calci da questo paese le nazioni petrolifere barbare di teste con turbanti.

Un gran divertimento, davvero, e tutto fatti-gratis. Ma supponiamo, per una volta, che i fatti contino. Cosa dobbiamo dire del “più grande giacimento mai trovato negli Stati Uniti”? Un punto è che non è stato “trovato” niente di nuovo; la formazione di Wolfcamp era ben conosciuta e veniva già sfruttata. L’USGS ha solo fatto nuove stime; probabilmente valide all’interno delle ipotesi formulate, ma si stratta solo di questo: una stima. Non significa che queste risorse sono state scoperte (osservate che l’USGS dice esplicitamente “non scoperte”). Così, quello che tutto ciò significa è che, statisticamente, queste risorse dovrebbero essere lì, ma nessuno può esserne completamente sicuro e non sarebbe la prima volta che queste stime si rivelano ottimistiche (in questo caso, il numero tondo “20” è un po’ più che sospetto).

Ma lasciate perdere queste cosucce; ipotizziamo che questi 20 miliardi di barili ci siano davvero. Come si profila questa quantità in confronto alla situazione petrolifera mondiale? Ecco alcuni dati, presi da Bloomberg (non proprio un covo di Cassandre).

L’altro dato che ci serve è quello del consumo mondiale di petrolio che, secondo “Index Mundi” è oggi un po’ più di 33 miliardi di barili all’anno. Quindi, vedete dalla figura che, durante perlomeno l’ultimo decennio, abbiamo costantemente bruciato più petrolio di quello che abbiamo potuto scoprire. Ora, se ci fossero state altre grandi scoperte quest’anno sarebbero state strombazzate a sufficienza da esserci ben note. Quindi, aggiungendo 20 miliardi di barili del giacimento di Wolfcamp al magro totale del 2016, probabilmente non raggiungiamo ancora un totale di 33 miliardi. In prospettiva, quello che possiamo dire è che, per quest’anno, le scoperte petrolifere sono state solo un po’ di meno di quello che il mondo ha consumato. La notizia sarebbe questa, se contassero i fatti. 
Ma non è nemmeno questo il punto: l’essenza dell’esaurimento non è quanto ce n’è, è quanto costa estrarlo. Qui, Arthur Berman osserva che Bloomberg aveva calcolato il valore di questo “tesoro” in 900 miliardi di dollari come se “il petrolio sgorgasse magicamente da sottoterra senza il costo della trivellazione e del completamento del pozzo; come se non ci fosse nessun costo di gestione per produrlo, come se non ci fossero tasse e royalties”. Poi Berman calcola quanto costerebbe estrarre tutta questa abbondanza di petrolio e conclude che, coi prezzi attuali, porterebbe ad una perdita netta di 500 miliardi di dollari
Così, non siete felici di vivere in un mondo privo di fatti? Potete continuare a pensare che sia abbastanza fare qualche buco nel terreno per vederlo sgorgare con infinita abbondanza perché, come tutti sanno, in realtà è “abiotico”. Certo, e potrete anche camminare per aria, come fa Willy il Coyote, perlomeno finché non si rende conto di farlo.

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Il picco del petrolio in un mondo privo di fatti: la nuova abbondanza petrolifera del Texas occidentale

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

A volte ho la sensazione di vivere in un universo senza fatti dove le leggi della fisica valgono solo se ci credi. (Immagine)

Così, l’USGS se ne esce con un comunicato stampa che i media hanno immediatamente diffuso in termini di grande scoperta: 20 miliardi di barili, da qualche parte in Texas in un luogo chiamato “Wolfcamp”. Bloomberg moltiplica il numero per l’attuale prezzo del petrolio e se ne esce con un titolo che recita: “Un tesoro in petrolio da 900 miliardi di dollari”, in  un pezzo che parla di “abbondanza” e di “regalo che continua a regalare”. USA Today parla de “Il più grande giacimento di petrolio mai trovato negli Stati Uniti”. E che dire dei commenti? Solo alcuni esempi.

Come farà il nostro nuovo presidente – DRILL BABY DRILL!!! Indipendenza energetica – che sicuramente ha un bel dito da mostrare. Il dito medio agli arabi del Medio Oriente.

Ricordo la fine degli anni 70 quando gli scienziati hanno detto che avremmo finito il petrolio alla fine degli anni 90. Mi chiedo dove stiano lavorando ora quelli scienziati. Cambiamento climatico?

Si stanno costantemente trovando riserve. Il presidente Trump aprirà più terra ed oceano aperto per le trivellazioni sicure. Una cosa che l’amministrazione Obama non aveva idea di come fare…
 …
ma naturalmente la sinistra radicale, determinata a far tornare la civiltà occidentale una società di cacciatori-raccoglitori di 10.000 anni fa, farà tutto quello che può per impedire che questa nazione un tempo grande diventi energeticamente (indi)dipendente e che mandi permanentemente via a calci da questo paese le nazioni petrolifere barbare di teste con turbanti.

Un gran divertimento, davvero, e tutto fatti-gratis. Ma supponiamo, per una volta, che i fatti contino. Cosa dobbiamo dire del “più grande giacimento mai trovato negli Stati Uniti”? Un punto è che non è stato “trovato” niente di nuovo; la formazione di Wolfcamp era ben conosciuta e veniva già sfruttata. L’USGS ha solo fatto nuove stime; probabilmente valide all’interno delle ipotesi formulate, ma si stratta solo di questo: una stima. Non significa che queste risorse sono state scoperte (osservate che l’USGS dice esplicitamente “non scoperte”). Così, quello che tutto ciò significa è che, statisticamente, queste risorse dovrebbero essere lì, ma nessuno può esserne completamente sicuro e non sarebbe la prima volta che queste stime si rivelano ottimistiche (in questo caso, il numero tondo “20” è un po’ più che sospetto).

Ma lasciate perdere queste cosucce; ipotizziamo che questi 20 miliardi di barili ci siano davvero. Come si profila questa quantità in confronto alla situazione petrolifera mondiale? Ecco alcuni dati, presi da Bloomberg (non proprio un covo di Cassandre).

L’altro dato che ci serve è quello del consumo mondiale di petrolio che, secondo “Index Mundi” è oggi un po’ più di 33 miliardi di barili all’anno. Quindi, vedete dalla figura che, durante perlomeno l’ultimo decennio, abbiamo costantemente bruciato più petrolio di quello che abbiamo potuto scoprire. Ora, se ci fossero state altre grandi scoperte quest’anno sarebbero state strombazzate a sufficienza da esserci ben note. Quindi, aggiungendo 20 miliardi di barili del giacimento di Wolfcamp al magro totale del 2016, probabilmente non raggiungiamo ancora un totale di 33 miliardi. In prospettiva, quello che possiamo dire è che, per quest’anno, le scoperte petrolifere sono state solo un po’ di meno di quello che il mondo ha consumato. La notizia sarebbe questa, se contassero i fatti. 
Ma non è nemmeno questo il punto: l’essenza dell’esaurimento non è quanto ce n’è, è quanto costa estrarlo. Qui, Arthur Berman osserva che Bloomberg aveva calcolato il valore di questo “tesoro” in 900 miliardi di dollari come se “il petrolio sgorgasse magicamente da sottoterra senza il costo della trivellazione e del completamento del pozzo; come se non ci fosse nessun costo di gestione per produrlo, come se non ci fossero tasse e royalties”. Poi Berman calcola quanto costerebbe estrarre tutta questa abbondanza di petrolio e conclude che, coi prezzi attuali, porterebbe ad una perdita netta di 500 miliardi di dollari
Così, non siete felici di vivere in un mondo privo di fatti? Potete continuare a pensare che sia abbastanza fare qualche buco nel terreno per vederlo sgorgare con infinita abbondanza perché, come tutti sanno, in realtà è “abiotico”. Certo, e potrete anche camminare per aria, come fa Willy il Coyote, perlomeno finché non si rende conto di farlo.

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Jay Forrester: l’uomo che ha visto il futuro

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Jay Wright Forrester (1918-2016) potrebbe essere stato la fonte di ispirazione per Hari Seldon, un personaggio inventato della serie della Fondazione di Isaac Asimov. Nei racconti di Asimov, Seldon sviluppa “le equazioni psicostoriche” che gli permettono di prevedere il collasso imminente dell’Impero Galattico. Nel mondo reale, Forrester ha sviluppato le equazioni della dinamica dei sistemi” che gli hanno permesso di prevedere il collasso imminente della moderna civiltà umana. Le previsioni sono state ignorate dai poteri imperiali di entrambi gli universi, quello della finzione e quello reale. 

Jay Forrester, una delle grandi menti del XX secolo, è morto a 98 anni qualche giorno fa. La sua carriera è stata lunga e fruttuosa e possiamo dire che il suo lavoro ha cambiato la storia intelletuale dell’umanità in diversi modi, in particolare per il ruolo che ha avuto nella nascita del rapporto al Club di Roma “I limiti dello sviluppo”.

Nel 1969, Forrester era un membro della facoltà del MIT quando ha incontrato Aurelio Peccei in Italia. A quel tempo, Peccei aveva già fondato il Club di Roma, i cui membri erano preoccupati dai limiti delle risorse naturali che la terra poteva fornire. Stavano cercando di capire quali conseguenze ci sarebbero per l’umanità. Da quello che scriveva Peccei, sembrava chiaro che vedesse la situazione in gran parte in termini malthusiani, pensando che la popolazione umana sarebbe cresciuta fino al raggiungimento dei limiti delle risorse e poi sarebbe rimasta lì, tenuta sotto controllo da carestie ed epidemie. La principale preoccupazione di Peccei e del Club di Roma  era quella di evitare la sofferenza umana assicurando una distribuzione equa di quello che c’era a disposizione.


L’incontro con Forrester ha cambiato questa visione in modi che, forse, né Peccei né nessuno dei membri del Club di Roma avrebbe mai immaginato. Negli anni 60, i modelli di Forrester erano già molto avanzati. Sulla base di un metodo di calcolo completamente nuovo che Forrester aveva denominato “dinamica dei sistemi”, i modelli erano in grado di tenere conto del modo in cui le molte variabili di un sistema complesso interagissero fra loro e cambiassero nel tempo.

Il risultato è stato lo studio che il Club di Roma ha commissionato a Forrester e al suo gruppo di ricerca: simulare il futuro dell’umanità per un lasso di tempo di più di un secolo, fino al 2100. Forrester stesso ha preparato uno studio completo dal titolo “Dinamiche del mondo” che è stato pubblicato nel 1971. Un gruppo di studenti di Forrester e di collaboratori ha preparato uno studio più esteso dal titolo “I limiti dello sviluppo” che è divenuta una vera e propria rivoluzione intellettuale nel 1972.

La dinamica dei sistemi di Forrester ha fornito risultati che hanno dimostrato che Malthus era un ottimista. Ben lontana dal raggiungimento dei limiti della crescita e rimanere lì, come aveva immaginato Malthus, la civiltà umana stava superando i limiti e continuava a crescere, solo per collassare malamente in seguito. Il problema non era solo quello di una distribuzione equa delle risorse disponibili, ma di evitare il collasso di tutta la civiltà umana. I calcoli mostravano che era possibile, ma ciò richiedeva l’arresto della crescita economica. Era una cosa che nessuno, allora come adesso, poteva nemmeno immaginare di fare.

Sapete come sono andate le cose, le ho descritte nel mio libro “I limiti della crescita rivisitati”. Il lavoro di Forrester è stato in gran parte ignorato, ma il più famoso studio “I limiti dello sviluppo” è stato non solo rifiutato, ma attivamente demonizzato. La leggenda delle “previsioni sbagliate” dello studio è stata creata e si è diffusa così tanto che è ancora largamente creduta. Tuttavia, la rivoluzione intellettuale costituita dalla Dinamica dei Sistemi non è mai morta completamente ed oggi la modellazione del mondo sta tornando. Dobbiamo studiare il futuro in questi tempi di grande incertezza. E’ difficile, poco gratificante e spesso ci porta fuori strada. Ma dobbiamo continuare a provarci.

Forse la conquista sconosciuta di Forrester è stata quella di aver ispirato Isaac asimov per il personaggio di “Hari Heldon” della famosa serie della “Fondazione” che Asimov ha scritto a partire dagli anni 50. Non abbiamo prove che Asimov abbia mai incontrato Forrester o che conoscesse il suo lavoro, ma hanno entrambi vissuto a Boston allo stesso tempo, quindi è perlomeno possibile. Poi Hari Seldon e Jay Forrester condividono tratti comuni: sono entrambi scienziati che sviluppano metodi potenti per la previsione del futuro. Seldon sviluppa un campo conosciuto come “Psicostoria”, mentre Forrester ha sviluppato la “Dinamica dei Sistemi”. In entrambi i casi, le equazioni prevedono che la civiltà subirà un collasso. In entrambi i casi, gli scienziati non vengono creduti della autorità imperiali dei loro tempi, di fantasia o reali.

Nei romanzi di Asimov, Seldon procede nella creazione della “Fondazione”, un pianeta in cui le conquiste della civiltà vengono mantenute in vita e saranno usate per ricostruire una nuova civiltà dopo il collasso di quella vecchia. Il piano funziona nell’universo di fantasia di Asimov. Nel nostro caso, la Terra vera del XXI secolo, nessuno sembra essere stato in grado di creare un porto sicuro per le conquiste della civiltà da poter utilizzare dopo il collasso. Vedendo come stanno le cose, è forse l’ultima speranza rimasta?

Ma, forse, Asimov non è stato ispirato direttamente da Forrester per il suo Hari seldon. Forse è stato solo ispirato dall’archetipo dell’uomo saggio che, nella storia umana, è stato interpretato da persone come Merlino, Lao Tse, Confucio, il principe Gautama Siddharta, Socrate e molti altri. Forse Jay Forrester merita di stare fra questi uomini saggi dell’antichità. Forse, la saggezza che Forrester ci ha portato ci tornerà utile nel difficile futuro che ci aspetta.

Le conquiste di Forrester sono molte, oltre alla Modellazione del mondo. Ha sviluppato una memoria per computer magnetica del tutto nuova che è diventata lo standard a livello mondiale, ha sviluppato un linguaggio di programmazione completo (chiamato “dynamo”), è l’ideatore di diverse idee fondamentali nella gestione dei sistemi: “l’effetto Forrester”, il concetto di “Dinamiche urbana”, di  “Dinamiche industriali” di “punti di leva” nei sistemi complessi e molto altro. Un vero genio dei nostri tempi. 

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Jay Forrester: l’uomo che ha visto il futuro

Da “Cassandra’s Legacy”. Traduzione di MR

Jay Wright Forrester (1918-2016) potrebbe essere stato la fonte di ispirazione per Hari Seldon, un personaggio inventato della serie della Fondazione di Isaac Asimov. Nei racconti di Asimov, Seldon sviluppa “le equazioni psicostoriche” che gli permettono di prevedere il collasso imminente dell’Impero Galattico. Nel mondo reale, Forrester ha sviluppato le equazioni della dinamica dei sistemi” che gli hanno permesso di prevedere il collasso imminente della moderna civiltà umana. Le previsioni sono state ignorate dai poteri imperiali di entrambi gli universi, quello della finzione e quello reale. 

Jay Forrester, una delle grandi menti del XX secolo, è morto a 98 anni qualche giorno fa. La sua carriera è stata lunga e fruttuosa e possiamo dire che il suo lavoro ha cambiato la storia intelletuale dell’umanità in diversi modi, in particolare per il ruolo che ha avuto nella nascita del rapporto al Club di Roma “I limiti dello sviluppo”.

Nel 1969, Forrester era un membro della facoltà del MIT quando ha incontrato Aurelio Peccei in Italia. A quel tempo, Peccei aveva già fondato il Club di Roma, i cui membri erano preoccupati dai limiti delle risorse naturali che la terra poteva fornire. Stavano cercando di capire quali conseguenze ci sarebbero per l’umanità. Da quello che scriveva Peccei, sembrava chiaro che vedesse la situazione in gran parte in termini malthusiani, pensando che la popolazione umana sarebbe cresciuta fino al raggiungimento dei limiti delle risorse e poi sarebbe rimasta lì, tenuta sotto controllo da carestie ed epidemie. La principale preoccupazione di Peccei e del Club di Roma  era quella di evitare la sofferenza umana assicurando una distribuzione equa di quello che c’era a disposizione.


L’incontro con Forrester ha cambiato questa visione in modi che, forse, né Peccei né nessuno dei membri del Club di Roma avrebbe mai immaginato. Negli anni 60, i modelli di Forrester erano già molto avanzati. Sulla base di un metodo di calcolo completamente nuovo che Forrester aveva denominato “dinamica dei sistemi”, i modelli erano in grado di tenere conto del modo in cui le molte variabili di un sistema complesso interagissero fra loro e cambiassero nel tempo.

Il risultato è stato lo studio che il Club di Roma ha commissionato a Forrester e al suo gruppo di ricerca: simulare il futuro dell’umanità per un lasso di tempo di più di un secolo, fino al 2100. Forrester stesso ha preparato uno studio completo dal titolo “Dinamiche del mondo” che è stato pubblicato nel 1971. Un gruppo di studenti di Forrester e di collaboratori ha preparato uno studio più esteso dal titolo “I limiti dello sviluppo” che è divenuta una vera e propria rivoluzione intellettuale nel 1972.

La dinamica dei sistemi di Forrester ha fornito risultati che hanno dimostrato che Malthus era un ottimista. Ben lontana dal raggiungimento dei limiti della crescita e rimanere lì, come aveva immaginato Malthus, la civiltà umana stava superando i limiti e continuava a crescere, solo per collassare malamente in seguito. Il problema non era solo quello di una distribuzione equa delle risorse disponibili, ma di evitare il collasso di tutta la civiltà umana. I calcoli mostravano che era possibile, ma ciò richiedeva l’arresto della crescita economica. Era una cosa che nessuno, allora come adesso, poteva nemmeno immaginare di fare.

Sapete come sono andate le cose, le ho descritte nel mio libro “I limiti della crescita rivisitati”. Il lavoro di Forrester è stato in gran parte ignorato, ma il più famoso studio “I limiti dello sviluppo” è stato non solo rifiutato, ma attivamente demonizzato. La leggenda delle “previsioni sbagliate” dello studio è stata creata e si è diffusa così tanto che è ancora largamente creduta. Tuttavia, la rivoluzione intellettuale costituita dalla Dinamica dei Sistemi non è mai morta completamente ed oggi la modellazione del mondo sta tornando. Dobbiamo studiare il futuro in questi tempi di grande incertezza. E’ difficile, poco gratificante e spesso ci porta fuori strada. Ma dobbiamo continuare a provarci.

Forse la conquista sconosciuta di Forrester è stata quella di aver ispirato Isaac asimov per il personaggio di “Hari Heldon” della famosa serie della “Fondazione” che Asimov ha scritto a partire dagli anni 50. Non abbiamo prove che Asimov abbia mai incontrato Forrester o che conoscesse il suo lavoro, ma hanno entrambi vissuto a Boston allo stesso tempo, quindi è perlomeno possibile. Poi Hari Seldon e Jay Forrester condividono tratti comuni: sono entrambi scienziati che sviluppano metodi potenti per la previsione del futuro. Seldon sviluppa un campo conosciuto come “Psicostoria”, mentre Forrester ha sviluppato la “Dinamica dei Sistemi”. In entrambi i casi, le equazioni prevedono che la civiltà subirà un collasso. In entrambi i casi, gli scienziati non vengono creduti della autorità imperiali dei loro tempi, di fantasia o reali.

Nei romanzi di Asimov, Seldon procede nella creazione della “Fondazione”, un pianeta in cui le conquiste della civiltà vengono mantenute in vita e saranno usate per ricostruire una nuova civiltà dopo il collasso di quella vecchia. Il piano funziona nell’universo di fantasia di Asimov. Nel nostro caso, la Terra vera del XXI secolo, nessuno sembra essere stato in grado di creare un porto sicuro per le conquiste della civiltà da poter utilizzare dopo il collasso. Vedendo come stanno le cose, è forse l’ultima speranza rimasta?

Ma, forse, Asimov non è stato ispirato direttamente da Forrester per il suo Hari seldon. Forse è stato solo ispirato dall’archetipo dell’uomo saggio che, nella storia umana, è stato interpretato da persone come Merlino, Lao Tse, Confucio, il principe Gautama Siddharta, Socrate e molti altri. Forse Jay Forrester merita di stare fra questi uomini saggi dell’antichità. Forse, la saggezza che Forrester ci ha portato ci tornerà utile nel difficile futuro che ci aspetta.

Le conquiste di Forrester sono molte, oltre alla Modellazione del mondo. Ha sviluppato una memoria per computer magnetica del tutto nuova che è diventata lo standard a livello mondiale, ha sviluppato un linguaggio di programmazione completo (chiamato “dynamo”), è l’ideatore di diverse idee fondamentali nella gestione dei sistemi: “l’effetto Forrester”, il concetto di “Dinamiche urbana”, di  “Dinamiche industriali” di “punti di leva” nei sistemi complessi e molto altro. Un vero genio dei nostri tempi. 

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Trump: l’America abbandonerà l’accordo di Parigi

Sembra che Donald Trump sia intenzionato a mantenere le sue promesse pre-elettorali e fare tutto il possibile per sabotare gli accordi di Parigi; in parallelo con ripartire con il supporto a tutto campo per l’industria dei combustibili fossili. Non è una buona notizia, considerando che l’accordo di Parigi era comunque insufficiente a risolvere il problema, come ci racconta qui sotto James Hansen

4 ragioni per cui l’Accordo di Parigi non risolverà il cambiamento climatico

di James Hansen

(da ecowatch.com)

Traduzione di Stefano Ceccarelli



Il Dr. James Hansen con sua nipote Sophie Kivlehan

In molti hanno salutato l’accordo di Parigi – che è pronto a raggiungere questa settimana la soglia per entrare in vigore – come una panacea per il cambiamento climatico globale. Tuttavia, tragicamente, una tale prospettiva trascura di prendere in considerazione la realtà scientifica del nostro sistema climatico, che ci racconta una storia molto diversa.

La nostra ultima ricerca, Young People’s Burden: Requirement of Negative CO2 Emissions (Il fardello delle giovani generazioni: la necessità di emissioni negative di CO2), pubblicata lunedì come discussion paper su Earth System Dynamics Discussion, sottolinea come, se i governi nazionali trascurano di mettere in atto politiche aggressive in materia di clima, i giovani di oggi erediteranno un sistema climatico così alterato da richiedere processi di estrazione della CO2 dall’atmosfera proibitivamente costosi, e forse non fattibili.

Le temperature globali hanno già raggiunto il livello del periodo Eemiano (da 130.000 a 115.000 anni fa), quando il livello dei mari era 6-9 metri più alto di oggi. Considerando l’ulteriore riscaldamento “in cantiere” dovuto alla risposta ritardata del sistema climatico e l’impossibilità di una sostituzione istantanea dei combustibili fossili, un aumento ulteriore della temperatura è inevitabile.

Le continue elevate emissioni dei combustibili fossili costituiscono un peso sulle giovani generazioni, costrette a realizzare emissioni negative di CO2, che richiederebbero una massiccia estrazione tecnologica di CO2 con costi minimi stimati di 104-570 trilioni di dollari durante questo secolo, con grandi rischi e dubbia fattibilità.

Il perdurare di elevate emissioni da fonti fossili indiscutibilmente condanna i giovani ad una massiccia, forse non plausibile, “ripulitura” dell’atmosfera, oppure a impatti climatici deleteri crescenti, o ad entrambi, scenari che dovrebbero rappresentare un incentivo e un obbligo per i governi a modificare le politiche energetiche senza ulteriore indugio.

Il lavoro fornisce il necessario supporto scientifico per l’azione legale Our Children’s Trust (Coalizione dei nostri figli) contro il governo statunitense, sostenendo che i cambiamenti climatici mettono a repentaglio i diritti inalienabili alla vita, alla libertà e all’aspirazione alla felicità delle prossime generazioni riconosciuti dalla Costituzione degli USA. Il lavoro offre l’opportunità di esaminare l’attuale stato del pianeta rispetto al cambiamento climatico. I quattro messaggi comprendono:

1. Il trattato di Parigi sul clima è un accordo che si limita ad esprimere un intento, un pio desiderio, riaffermando sostanzialmente, 23 anni dopo, la Convenzione Quadro di Rio del 1992 sul cambiamento climatico. L’esigenza del mondo in via di sviluppo di disporre di energia affidabile e a costi accessibili è largamente ignorata, nonostante costituisca il requisito fondamentale per eliminare la povertà globale e la guerra. Piuttosto, il mondo sviluppato pretende di offrire una riparazione, sotto forma dell’eterea somma di 100 miliardi di dollari l’anno, permettendo nel contempo agli impatti climatici di crescere.

2. Fintanto che ai combustibili fossili verrà permesso di essere sussidiati così da costituire l’energia più economica, essi continueranno ad essere la più abbondante fonte di energia mondiale, facendo crescere le probabilità di conseguenze disastrose per i giovani fino quasi alla certezza.

3. Tecnicamente, è ancora possibile risolvere il problema climatico, ma a due condizioni essenziali: (1) una semplice tassa globale crescente sul carbonio, riscossa alla fonte dai produttori di combustibili fossili, e (2) il supporto dei governi per la RS&D (ricerca, sviluppo e dimostrazione) delle tecnologie energetiche pulite, compresa l’energia nucleare sicura di ultima generazione.

4. I tribunali sono cruciali per la soluzione del problema climatico. Il “problema” climatico è stato ed è un’opportunità per la trasformazione verso un futuro di energia pulita. Tuttavia, la mano pesante dell’industria delle fonti fossili opera in massima parte con mezzi legali, come con la campagna I’m an Energy Voter negli USA. L’incapacità di affrontare il cambiamento climatico da parte del potere esecutivo e di quello legislativo fa sì che sia essenziale che i tribunali, meno soggetti a pressioni e corruzione ad opera di interessi finanziari particolari, entrino nella partita per proteggere i giovani, come fecero con le minoranze nel caso dei diritti civili.

Per un approfondimento, si veda qui.

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Elezioni negli Stati Uniti: gli scienziati del clima reagiscono alla vittoria di Donald Trump

Da “Carbon Brief”. Traduzione di MR (via Stefan Rahmstorf e Michael Mann)

In ciò che è stato ampiamente descritto come il capovolgimento più scioccante nella storia delle elezioni statunitensi, Donald J Trump ha battuto Hillary Clinton e sarà il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti.

Come uno dei maggiori emettitori di gas serra del mondo, ogni possibilità  al vertice della politica statunitense giustifica una considerazione di cosa potrebbe significare per il clima e le priorità energetiche del paese.

Ma dati i commenti di Trump in campagna elettorale, la reputazione recente degli Stati Uniti di nazione che affronta seriamente il cambiamento climatico sotto Barack Obama, ora sembra essere in pericolo.

Per esempio, Trump ha detto che pensava che il cambiamento climatico fosse una “truffa” perpetrata dai cinesi. Inoltre, si è impegnato a porre fine alla spesa federale sull’energia a basso tenore di carbonio e a tirare fuori gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi dell’ONU sul cambiamento climatico. Carbon Brief ha chiesto agli scienziati del clima le loro reazioni.


Dottor Philip B Duffy, direttore esecutivo del Woods Hole Research Center ed ex analista senior dell’Ufficio per la Politica Scientifica e Tecnologica della Casa Bianca:

Solo in inglese


Dottor Malte Meinhausen, ricercatore senior sugli impatti del clima all’Università di Melbourne e all’Istituto Potsdam per la Ricerca sugli Impatti del Clima:

“Trump ha detto molte cose. Sembra che l’amministrazione Trump possa fare qualsiasi cosa. Dal giocare un ruolo distruttivo nella protezione internazionale del clima al lasciare semplicemente che altri vadano avanti col lavoro… Tuttavia, nonostante la spinta per la protezione del clima abbia, in parte, un motore autonomo a causa dell’economia dei costi minori delle energie rinnovabili, una amministrazione Trump ostile all’accordo di Parigi potrebbe fare molti danni.  

Trump non sarà in grado di ritirarsi dall’accordo di Parigi per tre anni (Articolo 28), ora che è appena entrato in vigore – una delle storie di maggior successo del mondo. Un’amministrazione Trump ostile, tuttavia, potrebbe ritirarsi dalla convenzione dell’UNFCCC e quindi indirettamente anche dall’accordo di Parigi. In teoria, questo potrebbe avvenire più rapidamente. E’ improbabile quindi che l’amministrazione sia tanto autolesionista. Ma Trump sembra sfidare il buon senso, quindi non lo sappiamo.  

L’accordo di Parigi senza gli Stati Uniti sopravviverebbe, ma lo spirito e il focus internazionale su una delle sfide determinanti del nostro tempo potrebbe essere perso. E le opportunità economiche per gli Stati Uniti potrebbero essere ugualmente perse… Non un buon risultato per gli Stati Uniti a questo riguardo. Non un buon risultato per il clima. Troppo presto ora per dire quanto sarà negativo, comunque. Si può udire il mondo che ansima per respirare”.  

Professor Hans Joachim Schellnhuber, direttore dell’Istituto Potsdam per la Ricerca sugli Impatti del Clima:

“La posizione del presidente eletto Donald Trump sul riscaldamento globale è risaputa. Ironicamente, ha contribuito alla popolarità della nostra recente serie di rapporti per la Banca Mondiale “Abbassa il calore”, attaccandola su Twitter.  

Eppure, a parte questo, la scienza non può aspettarsi nessuna azione positiva da lui. Il mondo ora deve andare avanti senza gli Stati Uniti sulla strada verso la mitigazione del rischio climatico e dell’innovazione della tecnologia pulita”.

Dottoressa Rachel James, ricercatrice di modellazione climatica all’Environmental Change Institute dell’Università di Oxford:

Solo in inglese

Dottoressa Twila Moon, docente di scienze della criosfera all’Università di Bristol:

“Avere una persona nella posizione di presidente degli Stati Uniti che non riconosce i fatti scientifici che stabiliscono la realtà chiara del cambiamento climatico antropogenico è una disgrazia. E’ un risultato triste e spaventoso per la scienza e per l’azione per fermare il cambiamento climatico pericoloso.  

Ma sono fiduciosa che il popolo americano – di tutti i partiti – si stia rendendo conto che il cambiamento climatico sta avvenendo nei nostri stessi giardini di casa e il volere della gente spingerà l’ago politico. Penso che la nostra risposta debba essere di lavorare più alacremente, insieme , per andare avanti con l’azione climatica localmente, a livello regionale e, al meglio che si può, a livello nazionale. Come essere umano, penso che sia il nostro obbligo morale”. 

Professor Jean-Pascal van Ypersele, professore di climatologia e scienze ambientali all’Università Cattolica di Louvain:

Solo in inglese

Professor Andrew Dessler, professore di scienze dell’atmosfera all’Università Texas A&M:

“Credo che nessuno sappia cosa significa per la politica statunitense sul cambiamento climatico o sulla riduzione delle emissioni. Penso che tutti ci aspettassimo che il Clean Power Plan alla fine sarebbe finito di fronte alla Corte Suprema e il suo destino lì è più incerto ora che Trump nominerà il prossimo Giudice. D’altra parte, l’energia rinnovabile sta diventando rapidamente economica e la mia speranza ottimistica è che l’energia rinnovabile diventi così economica che possiamo passare ad essa senza alcuna politica del governo nazionale. Vedremo!”

Professor Shaun Marcott, professore di paleoclimatologia all’Università del Wisconsin-Madison:

“Queste elezioni, in termini di cambiamento climatico globale futuro, erano cruciali in quanto il presidente prenderà decisioni che avranno conseguenze di lungo termine, sia per quanto riguarda le politiche stabilite internamente, sia per le politiche che aiuteranno a stabilire con le controparti internazionali.
Proprio come la Gran Bretagna e il voto della Brexit, ora gli Stati Uniti si trovano ad un bivio e vanno in una direzione che, secondo me, non sembra essere sostenibile. Questo credo sia ovvio per la maggior parte delle persone. Penso che il modo migliore che abbia sentito descrivere sia che le decisioni prese da questo presidente entrante stabiliranno politiche che potrebbero avere effetti di cambiamento climatico duraturi che si estendono per 10.000 anni. La posta in gioco è molto alta e sfortunatamente entrambi i candidati non hanno nemmeno parlato, o lo hanno fatto molto raramente, di cambiamento climatico in generale in nessun dibattito”.

Dottoressa Emily Shuckburgh, capo de “oceani aperti” alla British Antarctic Survey:

“Un tema significativo del recente dibattito politico è stato l’uso e l’abuso delle prove. Andando avanti, piuttosto che compiangere un “mondo post-verità”, quelli di noi che hanno ruoli nella raccolta, cura e diffusione di prove devono sforzarsi di capire meglio il processo decisionale umano.
Dobbiamo assolutamente fare una politica sul clima ed altre materie che siano coerenti con le prove di base. Ma all’interno di una democrazia, questo deve essere ottenuto attraverso la volontà del popolo. Ciò richiede un impegno ampio e profondo da parte nostra con tutte le parti della società per capire le circostanze contestuali e per mettere  proattivamente le prove in modi che siano rilevanti per la gente.
Se vogliamo soddisfare gli obbiettivi dell’accordo di Parigi, è abbondantemente chiaro che servirà una grande trasformazione della società. Si tratta di una sfida tecnologica significativa, ma gli eventi politici nel Regno Unito e negli Stati Uniti che hanno sorpreso l’establishment ci servono anche per ricordarci l’importanza del riconoscimento delle implicazioni del cambiamento per tutti i settori della società. Se possiamo imparare da questo, c’è speranza che potremmo essere in grado di navigare con successo nel pericoloso viaggio che abbiamo di fronte nel rispondere alla sfida del clima”.

Professor Jean-Pierre Gattuso, professore di oceanografia biologica al Centro Nazionale della Ricerca Scientifica all’Università della Sorbona e dell’Istituto per lo Sviluppo Sostenibile e le relazioni internazionali:

Il risultato delle elezioni presidenziali statunitensi è molto preoccupante in molti sensi, compreso naturalmente per i negoziati climatici. L’accordo di Parigi è una costruzione che ha richiesto molti anni, pertanto è estremamente fragile. Anche se gli Stati Uniti formalmente non possono lasciare l’accordo nei prossimi 4 anni, non avere gli Stati Uniti d’accordo e che spingono per la piena implementazione dell’accordo di Parigi potrebbe influenzare milioni di persone per centinaia di anni. Il risultato di queste elezioni chiaramente non è la fine del mondo, ma le conseguenze per l’umanità sono potenzialmente terribili”.

Professor Jason Box, professore di glaciologia presso la Geologic Survey di Danimarca e Groenlandia:

“Quelli fra noi che sono nella scienza sono razionali e si circondano di media razionali. Il risultato delle elezioni statunitensi riflette l’irrazionalità e il modo in cui gli elettori sono stati influenzati dai media irrazionali”.

Dottor Michael. E. Mann, professore emerito di scienze dell’atmosfera all’Università Penn State:

“Per citare James Hansen, temo che questo possa essere la fine dei giochi per il clima”.

Zeke Hausfather, analista di sistemi energetici ed economista ambientale presso la Berkeley Earth:

“E’ certamente un grande passo indietro per il progresso della lotta al cambiamento climatico. Anche se gli Stati Uniti hanno molti controlli ed equilibri istituzionali che speriamo possano moderare l’impatto di una presidenza Trump, ciò significa la fine del Clean Power Plan ed un grosso ostacolo per ottenere le riduzioni aggressive necessarie per un mondo che si scalda di 2°C. Il solo lato positivo è che i fattori strutturali del settore energetico probabilmente favoriranno il continuo declino del carbone (e l’ascesa di gas e rinnovabili) per la generazione di elettricità negli Stati Uniti, anche se questo avverrà più lentamente. Di sicuro mi aspetto di parlare molto di più di geoingegneria e di scenari di superamento ora di quanto non facessi qualche giorno fa.

Professor Eric Steig, professore di scienze della terra e dello spazio all’Università di Washington:

“E’ impossibile sapere quanto lontano vogliano spingere il proprio programma anti-intellettuale ed anti-scienza Trump e Camera e Senato sotto controllo repubblicano. Sospetto che ci saranno preoccupazioni politiche più immediate. Nel medio termine, non mi aspetto che ci saranno grandi tagli al finanziamento della scienza; penso che Trump probabilmente governerà meno come ideologo e più come opportunista in questo senso. Ora è ampiamente improbabile, naturalmente, che qualsiasi accordo di mitigazione del cambiamento climatico vada avanti. O, se lo fa, non sarà con l’accordo degli stati Uniti”.… more

Ufficiale: ormai inevitabile l’estinzione a breve scadenza del genere umano

 

 In che altro modo potremmo interpretare il testo che segue?
 
 
 
Feltri: ‘il surriscaldamento climatico? vorrà dire che risparmieremo sui caloriferi’

Vittorio Feltri per “Libero Quotidiano”




Ieri sul Corriere della Sera abbiamo letto un dotto articolo di fondo firmato da Paolo Mieli. Argomento, il surriscaldamento del pianeta del quale si sta dibattendo a Marrakech in questi giorni. Il celebre editorialista espone idee più o meno condivisibili, ma noi non abbiamo alcuna intenzione di confutarle. La materia ci coglie scientificamente impreparati ma ci ispira qualche considerazione terra terra, tipica di chi non punta a risolvere i grandi problemi del mondo, ma si limita a prenderne atto senza farne una tragedia.



EFFETTO SERRA
 

Si alza un po’ la temperatura? Non mi sembra una disgrazia irreparabile. Vorrà dire che risparmieremo energia tenendo più bassi i caloriferi. E questo è un vantaggio che non sappiamo stimare in termini finanziari, ma è indubbio che il funzionamento dei termosifoni ci costerà meno. Data la crisi in atto, un sollievo per tante famiglie in ristrettezze. Si dice che i mutamenti climatici siano da attribuirsi all’ inquinamento prodotto da un eccesso di industrializzazione.


Può darsi. Mancano le prove, ma non importa. Accettiamo le teorie degli esperti. Ai quali facciamo tuttavia notare che lo sviluppo porta con se non soltanto un cospicuo avvelenamento dell’ atmosfera (ammesso e non concesso che lo porti) ma anche un benessere diffuso, grazie al quale le masse campano meglio. E, ci imbarazza scriverlo, campano anche di più. Ignoriamo il motivo, ma è un dato accertato che laddove cresce la quantità di schifezze nell’aria la gente vive più a lungo.
Non ci credete? Prendiamo Milano. Si sostiene, statistiche alla mano, che sia la città italiana più inquinata. Vero o no? Pare di sì, stando a studi specifici. Eppure coloro che abitano sotto la Madonnina sono gli italiani che hanno una aspettativa di vita superiore a quella dei connazionali. Significa che l’ inquinamento è un toccasana per la salute? Non osiamo pensarlo anche solo per evitare le reazione piccate dei soliti soloni. Ci accontentiamo di registrare lo strambo fenomeno.



Supponiamo che Milano, essendo civile e organizzata, disponga di un apparato medico-sanitario talmente evoluto da essere in grado di curare con efficacia le malattie cagionate dall’ ambiente. Se così fosse, se ne dedurrebbe che il succitato sviluppo oltre a fare del male è capace di reprimerlo, annullandone la forza distruttiva.
La pubblicistica internazionale più autorevole imputa alla Cina di non badare molto alle porcherie che i propri stabilimenti emettono, essendo impegnatissima ad incrementare la propria espansione economica, e la incita a controllare meglio gli impianti produttivi allo scopo di ridurre le sostanze tossiche. Giusto. Ma, come avverte Mieli nel suo pregevole pezzo, bisogna rilevare che tali sostanze, se si calcola il numero dei cinesi, sono percentualmente più basse (pro capite) di quelle rilevate in Occidente. Pertanto noi europei arriviamo a rimproverare i cinesi di inquinare in quantità insopportabile quando inquiniamo il doppio di loro. Siamo alla autocertificazione della nostra stupidità.



Anche perché trascuriamo un dettaglio influente. Vero che fino a qualche lustro fa gli orientali godevano di un’ aria pulita e forse salubre, per cui non soffrivano di bronchiti croniche né perivano di cancro al polmone, ma morivano di fame e di stenti in età giovanile. Che non era più divertente. Il dramma dell’ uomo e ovviamente della donna è che prima o poi crepano. In linea di massima, meglio poi che prima. Questa almeno è l’ aspirazione della maggioranza. Se il pianeta si surriscalda, pazienza. Non sarà il freddo a ucciderci.

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Sommerso o salvato?

Breve retroscena:

http://ugobardi.blogspot.it/2016/11/before-flood-punto-di-non-ritorno-lo.html

IN LINGUA ITALIANA !Il documentario sui cambiamenti climatici prodotto e interpretato da Leonardo DiCaprio.Lo potete vedere in streaming, gratis, fino al 6 novembre 2016,

Qui :

Oppure qui :
Di sei,  a proposito del post citato, questo è il quinto commento:
(per ora, 7 Novembre 2016 ore 9:33 anzi di cinque, perché uno è un “commento eliminato dall’autore” perché era stato copiato ed incollato con un errore che lo rendeva illeggibile.)
“Anonimo 4 novembre 2016 12:08”
Mi sa’ che ha inquinato piu’ lui con i suoi viaggi che quello che otterra’ con sto’…di documentario”.
Questo commento di un sedicente anonimo, sedicente perché nel web l’anonimato autentico è merce rara, mi sembra condensi, riassuma, esemplifichi, la quintessenza di una immane ragione. Immane, perché ci riguarda tutti, nessuno escluso, ragione per cui sembra, per ora, che pochi saranno i salvati e moltissimi i sommersi. La dea bendata potrebbe anche decidere che questo anonimo sia messo subito tra i sommersi per salvarlo dalle grinfie dei salvati, una volta che questi si accorgessero che non meritava tanta casuale salvezza.

Chissà, forse il tizio delle ore 12:08 non l’ha neanche guardato il documentario. L’ha visto, forse neanche tutto, e comunque anche avendolo visto e guardato occorre anche capire che cosa significhi. Dal suo laconico e melanconico commento faccio fatica a credere che ne abbia capito qualcosa e che questo qualcosa sia anche solo parte dell’essenziale.
Se lo avessi di fronte, e se dal suo sguardo, dal suo modo di proporsi, captassi un minimo di interesse per le sorti di sé stesso e degli altri, anche se con una certa riluttanza, cercherei di capire che cosa lo ha portato a scrivere quella frase, pure grammaticalmente zoppicante. Quello che invece mi sgomenta è sapere dell’esistenza di innumerevoli anonimi, simili, identici, difformi, ma perfettamente intercambiabili, che quand’anche vedessero, guardassero e cercassero pure di capire il significato di quel documentario, non lascerebbero che il minimo dubbio s’insinui nella loro mente.Si farebbero riempire di vacuo vuoto.
Non che vedere, guardare, comprendere ed eventualmente dubitare, in seguito alla visione di un documentario sulle sorti dell’umanità sul pianeta Terra sia sufficiente a cambiarle, magari a favore nostro, ché per per tutti gli altri esseri terrestri la Vita è sempre dalla loro parte, comunque sia.
Bisogna agire, e a volte senza pensarci e ripensarci troppo, perché il commesso viaggiatore che cerca la strada più breve in assoluto per andare a trovare tutti i suoi clienti rischia di restare a casa senza vendere nulla. 
 Ma agire bisogna agire, dopo la giusta e ragionata contemplazione e meditazione sui fatti che ci capitano e che stanno in rapporto alle opinioni come gli oceani stanno ai pesci che vi sguazzano dentro. E, quel documentario vuole indurre chiunque ad agire. Almeno, così mi pare proprio di aver inteso. Il significato di questo post è più quello che è scritto fra le righe di quello che le lettere scritte, nero su bianco, dicono. 
Chissà se Anonimo 4 novembre 2016 12:08, capiterà di nuovo su questo blog e se mai leggerà questo mio post.
Se fosse, sono curioso di sapere se gli verrà voglia di commentarlo, e come. Sappia, fin d’ora, che il solo fatto che esista questo post su questo blog implica l’impiego di una certa quantità di risorse, e poiché in questo momento della storia umana, qualsiasi risorsa stiamo impiegando, la impieghiamo causando una quantità d’inquinamento molto grande, agire significa ridurre all’inevitabile questo inquinamento, se si vuole che massima sia l’entità dei salvati e minima quella dei sommersi.
Di qualsiasi specie, letteralmente parlando.
Marco Sclarandis.

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Crepuscolo del petrolio – Un commento sulle tesi di Louis Arnoux

Qualche tempo fa su questo blog è stato pubblicato in tre puntate (quiqui qui) un lunghissimo articolo di Louis Arnoux che personalmente ho trovato estremamente interessante perché, ad un’analisi che trovo molto convincente, seguono delle conclusioni che, al contrario, mi lasciano molto interdetto.

L’analisi di Arnoux

L’articolo può essere sintetizzato in 5 punti principali:

Punto 1.   Il doppio effetto Regina Rossa e Regina Rossa Inversa.   In sintesi, La Regina Rossa significa che, dal momento che l’energia netta dei combustibili fossili sta scendendo molto rapidamente, l’industria energetica ne deve estrarre sempre di più affinché si possano continuare a fare le solite cose. A oggi, secondo le stime di Arnoux, l’insieme dell’industria energetica dissipa circa l’88% dell’energia che estrae per pompare, cavare, lavorare e recapitare l’energia.  Oltre che nelle dispersioni intrinseche ai sistemi termodinamici ed alla scarsa funzionalità di reti spesso fatiscenti.   Ciò rende molto probabile un collasso del sistema produttivo nel giro di una decina di anni. Diciamo fra il 2025 ed il 2030 (guarda caso lo stesso periodo indicato dallo scenario BAU ne “I limiti dello Sviluppo”).

La Regina Rossa Inversa riguarda invece tutti i possibili sostituti di petrolio, gas e carbone.    Per crescere hanno bisogno di grandi investimenti energetici che vengono sottratti ad altri settori.   Quindi, per crescere abbastanza rapidamente da sostituire l’attuale sistema energetico prima che collassi, drenerebbero tali risorse tali da uccidere l’economia globale.   Se invece crescono abbastanza lentamente da lasciare risorse per gli altri settori (ad esempio l’agricoltura) non potranno sostituire le fossili in misura sufficiente ad evitare il collasso.
In particolare, per Arnoux è critica la situazione dell’industria petrolifera perché è quella più vicina al collasso termodinamico.   L’ex “oro nero” rappresenta oggi il 33% dei consumi globali ed è una percentuale in diminuzione, ma rimane critico perché tutte le altre filiere energetiche funzionano in quanto supportate dal petrolio.   Comprese quelle rinnovabili, perlomeno nelle loro fasi di realizzazione e per la manutenzione delle infrastrutture.   Ergo un collasso dell’industria petrolifera provocherebbe un automatico collasso di tutto il resto.
Punto 2.   La disponibilità di energia netta pro capite ha raggiunto il picco all’inizio negli anni ’70, poi ha cominciato a decrescere per il contemporaneo peggioramento dell’EROEI e dell’incremento demografico.  Per decenni il sistema economico ha continuato a crescere grazie all’esplosione del debito, ma oramai il debito non è più sostenibile perché l’industria energetica deve investire in se stessa più del 50% dell’energia che estrae. Questo porta necessariamente ad una riduzione di produttività del sistema economico complessivo. La riduzione dei salari reali, la progressiva soppressione del welfare, la distruzione del risparmio e di ciò che resta della biosfera, ecc. non riescono più a compensare la perdita di efficienza del sistema produttivo.   Anzi peggiorano la situazione perché strangolano il mercato finale, mandando l’industria in una crisi di sovraproduzione.   Il risultato è una crisi cronica che impedisce all’economia di crescere e, quindi, di acquistare l’energia ad un prezzo sufficiente a garantire la manutenzione delle filiere esistenti.   Figuriamoci sostenere i costi della costruzione di un’infrastruttura energetica innovativa.
In effetti, Gail Tverberg conferma che oramai il prezzo dell’energia (ed in particolare del petrolio) non dipende più da quanto se ne estrae, ma da quanto il sistema industriale lo può pagare senza andare in bancarotta.   E questo limite non è sufficiente a mantenere in vita gran parte dell’attuale industria energetica ancora per molto.
Punto 3.   Per funzionare, il nostro sistema economico ha bisogno di energia sufficiente a soddisfare contemporaneamente 5 diversi settori:
  1. Assicurare il funzionamento delle filiere energetiche esistenti ancora per parecchi anni (manutenzione degli impianti, sostituzione dei giacimenti esauriti, ecc.)
  2. Mantenere (meglio accrescere) gli attuali standard di vita nei paesi “avanzati”.
  3. Migliorare le condizioni economiche (cioè accrescere i consumi) degli attuali poveri in ogni parte del mondo.
  4. Mitigare le nefaste conseguenze dell’economia sulla Biosfera (inquinamento, cambiamento climatico, estinzioni, ecc.).
  5. Sviluppare abbastanza rapidamente la nuova infrastruttura energetica destinata a sostituire le fossili.
Secondo Arnoux, almeno dal 1990 i limiti termodinamici delle fonti energetiche esistenti non consentono più di perseguire tutte queste finalità contemporaneamente ed in misura sufficiente.   Ne consegue un’inevitabile deterioramento sia delle condizioni economiche che di quelle ambientali.
Punto 4.   Siamo giunti a tanto soprattutto per l’incapacità dei decisori e dell’opinione pubblica mondiale a capire la fisica dei sistemi complessi.   Al di la dei ruoli importanti e dei titoli accademici, sia fra i politici che fra gli economisti ancora prevalgono impostazioni basate su idee incompatibili con le leggi della Natura.  È quello che Arnoux chiama la “Sindrome della Fatina dei Denti”:  cioè pensare che possa esistere una fonte energetica che può essere sfruttata senza provocare le nefaste conseguenze della dissipazione di energia.
Punto 5.   La potenza installata attuale (tutte le fonti) è di circa 17 TW.   Secondo Arnoux, una popolazione stabilizzata attorno agli 8 miliardi di persone avrebbe bisogno di circa 50 TW per sopperire alle cinque categorie di bisogni elencati al punto 3.   Di questi, 10 TW dovrebbero essere dedicati alla mitigazione degli effetti negativi sull’ambiente, in particolare alla rimozione di CO2 dall’atmosfera tramite sistemi tecnologici.
Tale potenza sarebbe raggiungibile passando da un’efficienza energetica attuale, del 12% circa, ad una dell’80%, interamente da solare diretto.   Tale miracolo sarebbe fattibile “recuperando il calore di scarto e facendone un uso produttivo” ed utilizzando tecnologie solari con un EROEI almeno triplo rispetto alle tecnologie odierne.

Un commento

Se trovo il punti 1, 2, 3 e 4 convincenti, il punto 5 mi rimane ostico per una serie di motivi.
La prima questione che mi salta agli occhi è che Arnoux stesso sostiene che tutte le tecnologie rinnovabili attuali hanno un EROEI largamente insufficiente a sostituire le fossili.   Premesso che il calcolo dell’EROEI è complesso e criticabile, specie se riferito alle rinnovabili, di solito si stima un valore intorno a 10 o meno, ma ci sono delle eccezioni.  Impianti eolici particolarmente ben piazzati arrivano intorno a 20 ed i migliori sbarramenti idroelettrici arrivano addirittura ad 80. Ma per l’idroelettrico si tratta di impianti non replicabili in quanto i luoghi adatti sono limitati e tutti o quasi già presi.   Oggi si stanno costruendo impianti idroelettrici con EROEI infimi, talvolta minori di 1.

Il secondo punto, è che con le energie rinnovabili c’è un problema termodinamico che non può essere aggirato:  usare l’energia significa dissiparla lungo un gradiente.   Cioè, per muovere e/o scaldare qualcosa devo avere a disposizione energia concentrata e disperderla.   E tutte le energie rinnovabili, tranne l’idroelettrico in condizioni ottimali, sono diffuse.   Prima di poterle dissipare utilmente, bisogna quindi concentrarle.   Ma per concentrare l’energia bisogna necessariamente dissiparne una parte.   Qualunque sia la tecnologia usata.   Per questo penso che nulla potrà darci quello che ci hanno dato le fossili che sono state concentrate da processi naturali durati centinaia di milioni di anni.

Dunque, quali sarebbero le tecnologie in grado di recuperare il calore disperso e concentrare l’energia solare con un EROEI superiore a 30?   Arnoux non ce lo dice e, che io sappia, l’unica tecnologia attualmente allo studio che potrebbe forse raggiungere rendimenti così elevati è l’eolico d’alta quota.   Ma siamo ancora lontani da avere dei prototipi funzionanti e qui si sta parlando di installare 50 TW nel giro di 10 anni!   Quanto al recupero del calore a bassa temperatura, non mi risulta che esistano studi promettenti in materia e neppure vedo come possa essere termodinamicamente possibile.

Un terzo punto che mi lascia dubbioso è che l’analisi di Arnoux, come quelli degli altri analisti che conosco, parte dal presupposto che esista un mercato del petrolio simile a quello attuale.   Un’ipotesi corretta per analisi a breve termine, ma non per quelle a medio e lungo termine.   Io credo che, quando la situazione sarà diventata davvero critica, i governi e le grandi compagnie accantoneranno le loro ideologie liberiste e militarizzeranno il settore, destinandone il poco che potrà ancora dare ai servizi essenziali ed al funzionamento di altre filiere energetiche.   Ciò consentirà di dilazionare il collasso finale, ma non di evitarlo perché, comunque, la termodinamica del sistema non potrà che continuare a peggiorare, così come gli effetti distruttivi sugli ecosistemi di cui noi umani (senza rendercene conto) facciamo parte.

Un quarto tipo di obbiezione che mi sento di fare è che gli impatti ambientali e la crescita demografica sono correlati, sia pure in modo complesso, proprio alla dissipazione di energia.   Anche nell’ipotesi di disporre di un 100% di energia solare diretta, quali sarebbero gli effetti di una triplicazione dell’energia dissipata sull’entropia del Pianeta?   Impossibile dirlo oggi, ma possiamo essere certi che degli effetti importanti ci sarebbero.   Del resto, 80 anni fa, chi avrebbe immaginato che l’uso del petrolio avrebbe scatenato un disastro planetario di portata gologica?

Conclusioni

“Di più” di qualsiasi cosa è difficile che sia una buona strategia nell’attuale situazione, ma “di meno” vuol dire anche e soprattutto meno gente.   Una prospettiva che, in realtà, non piace a nessuno, ma che è anche l’unica speranza concreta che abbiamo.    Speranza che la diminuzione della popolazione e dei consumi avvengano abbastanza rapidamente da salvare l’essenziale della Biosfera.   Cioè del principale presupposto per una vita umana nel futuro.

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