Effetto Cassandra

Petrolio ed economia: dove siamo diretti nel 2015-16?

Da “Our Finite World”. Traduzione di MR (rev. Luca Pardi)

Di Gail Tverberg

Il prezzo del petrolio va giù. Come possiamo aspettarci che si comporti l’economia nel 2015 e nel 2016?

I giornali negli Stati Uniti sembrano enfatizzare gli aspetti positivi della diminuzione dei prezzi. Ho scritto le Dieci ragioni per cui i prezzi del petrolio alti sono un problema. Se il nostro solo problema fossero i prezzi del petrolio alti, allora i prezzi del petrolio bassi sembrerebbero essere una soluzione. Sfortunatamente, il problema che stiamo incontrando ora sono i prezzi estremamente bassi Se i prezzi continuano su questo livello basso, ci troviamo in seri problemi rispetto alla futura estrazione di petrolio. Mi sembra che la situazione sia molto più preoccupante di quanto creda gran parte delle persone. Anche se ci sono alcuni effetti temporanei positivi, verranno più che compensati da quelli negativi, alcuni dei quali potrebbero essere davvero negativi. Potremmo aver raggiunto i limiti di un mondo finito.

La natura del nostro problema coi prezzi del petrolio

I bassi prezzi del petrolio che stiamo vedendo sono un sintomo di problemi gravi interni all’economia – quello che ho chiamato “aumentata inefficienza” (in realtà “riotrni decrescenti”) che portano a salari bassi. Vedete il mio post Come la aumentata inefficienza spiega il crollo dei prezzi del petrolio. Mentre i salari sono rimasti stagnanti, il costo  dell’estrazione del petrolio è aumentato di circa il 10% all’anno, come descritto nel mio post L’inizio della fine? Le compagnie petrolifere tagliano gli investimenti. Inutile dire che salari stagnanti insieme ad un rapido aumento dei costi di produzione del petrolio portano ad un disallineamento fra:

  • Quanto i consumatori si possono permettere per pagare il petrolio
  • Il costo del petrolio stesso, se il prezzo del petrolio coincide col costo di produzione

Il fatto che i prezzi del petrolio non fossero saliti a sufficienza per sostenere i maggiori costi di estrazione era già un problema nel febbraio del 2014, ai tempi in cui è stato scritto l’articolo L’inizio della fine? Le compagnie petrolifere tagliano gli investimenti. (La diminuzione dei prezzi del petrolio non è iniziata fino al giugno del 2014). Due diverse iniziative collegate al debito hanno aiutato a coprire il crescente disallineamento fra il costo di estrazione e la quantità di consumatori che se lo possono permettere:

Il Quantitative Easing (QE) in diversi paesi. Ciò crea interessi artificialmente bassi e incoraggia pertanto i prestiti per attività speculative.
La crescita della spesa cinese in infrastrutture: anche questo programma è stato finanziato col debito.

Entrambi questi programmi sono stati ridimensionati significativamente dal giugno 2014, con il QE statunitense che ha terminato il suo ciclo nell’ottobre 2014 e i programmi del debito cinese che subiscono maggiori controlli dall’inizio del 2014. I prezzi cinesi per una nuova casa sono diminuiti dal maggio del 2014.

Figura 1. Offerta Mondiale di Petrolio (produzione che include biocombustibili e liquidi del gas naturale) e prezzi mensili del Brent, sulla base dei dati EIA.

L”effetto del ridimensionamento di entrambi questi programmi nello stesso quadro temporale è stato come quello di un guidatore che solleva il piede dall’acceleratore. L’economia mondiale già in fase di rallentamento ha rallentato ulteriormente, abbassando i prezzi del petrolio. I prezzi di molti altri beni, come carbone e minerali di ferro, sono a loro volta in ribasso. I prezzi del petrolio, anziché rimanere prossimi al costo di estrazione, sono crollati verso il livello che i consumatori possono permettersi. Inutile dire che questo non è buono se l’economia ha davvero bisogno dell’uso del petrolio ed altri beni.  Non è chiaro se il QE statunitense o il programma cinese di costruzione delle infrastrutture possano essere ripristinati. Entrambi i programmi stavano raggiungendo i propri limiti di utilità. Ad un certo punto, finanziamenti ulteriori hanno cominciato ad andare in investimenti con ritorno basso – edifici che non sarebbero mai stati occupati o operazioni di scisto che non sarebbero mai state redditizie. O investimenti in mercati emergenti che non possono essere redditizi senza prezzi dei beni più alti di quelli disponibili oggi.

Primo livello di effetti negativi

  1. Maggiori default del debito. Ci si possono attendere maggiori default del debito di diversi tipi, compresi (a) Aziende coinvolte nell’estrazione petrolifera che subiscono i prezzi bassi, (b) Licenziamento dei lavoratori del petrolio incapaci di pagare i loro mutui, (c) Il debito ripagabile in dollari statunitensi dai mercati emergenti, compresa la Russia, il Brasile e il Sud Africa, perché con le loro valute ora molto basse in rapporto al dollaro statunitense, il debito è davvero difficile da ripagare (d) Il debito cinese all’eccessiva edificazione in quel paese e (e) Il debito delle economie che falliscono, come la Grecia e il Venezuela. 
  2. Aumento dei tassi di interesse. Con l’aumento dei default c’è da attendersi che i tassi di interesse aumentino. Affinché coloro che fanno i prestiti siano compensati per l’aumentato rischio di default. Di fatto, ciò sta già avvenendo con i prestiti spazzatura petroliferi. Inoltre, è possibile che la Federal Reserve aumenterà i tassi di interesse di riferimento nel 2015. Questa possibilità è stata menzionata per diversi mesi come parte della normalizzazione dei tassi di interesse. 
  3. Aumento della disoccupazione. Sappiamo che quasi tutto l’aumento dell’occupazione dal 2008 negli Stati Uniti ha avuto luogo negli stati che producono petrolio e gas di scisto.  Quando questi programmi verranno ridimensionati, è probabile che l’occupazione statunitense crolli.  E’ probabile che Il Regno Unito e la Norvegia vivano diminuzioni dell’occupazione collegate alla produzione di petrolio, via via che i loro programmi estrattivi vengono tagliati.  E’ probabile che diversi paesi del Sud America e dell’Africa, dipendenti dall’esportazione di beni vedano  a loro volta ridursi la propria occupazione. 
  4. Aggravamento della recessione. La combinazione dell’aumento dei tassi di interesse e della disoccupazione porterà quasi sicuramente alla recessione. All’inizio, alcuni degli effetti potrebbero essere compensati dall’impatto dei minori prezzi del petrolio, ma alla fine gli effetti recessivi predomineranno. Alla fine, le catene di fornitura spezzate potrebbero diventare un problema, se le società con rating del credito negative non possono ottenere il finanziamento di cui hanno bisogno a tassi ragionevoli. 
  5. Diminuzione dell’offerta di petrolio, forse a partire della fine del 2015. I tempi non sono certi. E’ probabile che le imprese continuino l’estrazione dove i pozzi sono già operativi, visto che gran parte dei costi sono già stati pagati. Inoltre, alcune imprese hanno acquistato una protezione del prezzo nel mercato dei derivati. E’ probabile che queste continueranno a trivellare. 
  6. Turbolenze nei paesi esportatori di petrolio, come Venezuela, Russia e Nigeria. Gli esportatori di petrolio generalmente ricavano la maggior parte dei loro introiti governativi dalle tasse sul petrolio. Se i prezzi del petrolio rimangono bassi, gli introiti delle tasse collegati al petrolio diminuiranno fortemente, rendendo necessari tagli nei sussidi alimentari ed altri programmi. Alcuni paesi potrebbero vivere rovesciamenti dei governi in carica ed un netto calo delle esportazioni di petrolio. I governi centrali potrebbero persino sciogliersi, come è successo con l’Unione Sovietica nel 1991. 
  7. Default sui derivati, a causa dei cambiamenti netti e duraturi dei prezzi del petrolio, dei tassi di interesse e dei rapporti valutari. Anche il debito cartolarizzato potrebbe essere a rischio di default. 
  8. Prezzi del petrolio bassi persistenti, eccetto per brevi picchi, a causa degli alti tassi di interesse, della recessione e della “domanda” bassa (in realtà bassa accessibilità) rispetto al petrolio. 
  9. Diminuzione dei prezzi di borsa. I governi sono stati in grado di “gonfiare” i prezzi di mercato con i loro programmi di QE dal 2008. Ad un certo punto, però, i tassi di interesse più alti potrebbero allontanare gli investitori dalla borsa. I prezzi delle azioni potrebbero anche declinare riflettendo le prospettive negative dell’economia, con aumento della disoccupazione e la riduzione dei beni prodotti. 
  10. Diminuzione del valore di mercato delle obbligazioni. Quando i tassi di interesse aumentano, il valore di mercato delle obbligazioni esistenti crolla. E’ anche probabile che le obbligazioni sperimentino tassi di default maggiori. L’effetto combinato è probabile che porti ad una diminuzione nelle istituzioni azionarie e finanziarie. Almeno all’inizio, questo effetto è probabile che avvenga principalmente al di fuori degli Stati Uniti, perché la “fuga per la sicurezza” tenderà ad aumentare il livello del dollaro USA e ad abbassarne i tassi di interesse statunitensi.
  11. Cambiamenti delle associazioni internazionali. Già a desso, c’è discussione sulla fuoriuscita della Grecia dall’Eurozona. Le associazioni come l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale troveranno sempre più difficile gestire i problemi, in una fase in cui i loro paesi ricchi diventano più poveri e i deafult dei prestiti diventano sempre più dei problematici. 

Tutto sommato, alla fine è probabile che sperimenteremo una situazione molto peggiore di quella del periodo 2007-2008, anche se potrebbe non essere evidente all’inizio. Sarà solo dopo un certo tempo, dopo l’iniziale “effetto domino”, che vedremo realmente cosa sta accadendo. Inizialmente, le economie dei paesi importatori di petrolio potrebbero sembrare passarsela piuttosto bene, grazie ai bassi prezzi del petrolio. Sarà in seguito che gli impatti negativi prenderanno il sopravvento e alla fine domineranno.

Principali preoccupazioni

Incapacità di ripristinare l’offerta di petrolio, anche se i prezzi dovessero aumentare temporaneamente. La produzione di petrolio dei giacimenti statunitensi di scisto è stata resa possibile da tassi di interesse molto bassi. Se ci fosse un grave fase di default del debito all’interno dell’industria dello scisto,  è improbabile che i tassi di interesse possano tornare ai livelli precedenti. A causa dei tassi di interesse più alti, i prezzi del petrolio dovranno aumentare di nuovo ad un prezzo persino maggiore di quello richiesto in passato – in altre parole, a più di 100 dollari al barile, diciamo da 125 a 140 dollari al barile. Ci sarà anche un ritardo nella ripresa della produzione, il che significa che i prezzi alti avranno bisogno di essere mantenuti per un po’. Portare i prezzi del petrolio a un livello alto per lungo tempo sembra impossibile senza far collassare le economie dei paesi importatori di petrolio. Si veda il mio post: Dieci ragioni per cui i prezzi del petrolio alti sono un problema.

I Derivati e il Default del Debito Cartolarizzato. L’ultima volta che abbiamo avuto problemi con questi tipi di strumenti finanziari è stato nel 2008. I governi in tutto il mondo hanno fatto pagamenti enormi alle banche e ad altre istituzioni finanziarie per salvarle dalle loro difficoltà. Alla società di servizi finanziari Lehman Brothers è stato permesso di fallire. I governi hanno dichiarato che se succede ancora faranno le cose diversamente. Al posto di salvare le istituzioni, faranno dei cambiamenti che renderanno questi eventi meno probabili. Faranno anche dei cambiamenti nel modo in cui si finanziano i disavanzi. In molti casi, il risultato sarà un bail-in, dove i correntisti condividono le perdite attraverso “tagli” dei loro depositi. Sfortunatamente, da ciò che posso vedere, i cambiamenti che hanno fatto i governi sono fondamentalmente troppo pochi e troppo tardivi. La nuova condivisione delle perdite avrà impatti negativi, o peggiori, sull’economia dei precedenti salvataggi governativi delle banche. I legislatori non sembrano capire che i modelli usati nel dare un prezzo al debito derivato o cartolarizzato non sono progettati per un mondo finito. I modelli sembrano funzionare ragionevolmente bene quando l’economia è lontana dai limiti. Una volta che l’economia si avvicina ai limiti,  avvengono molti più eventi negativi di quelli che avrebbero previsto i modelli, causando problemi potenzialmente enormi per il sistema (1). Ciò che incontreremo probabilmente adesso è una combinazione di diversi tipi di default simultanei – derivati, debito cartolarizzato e debito “ordinario”. Molti di questi rischi saranno condivisi fra istituzioni, cosicché i problemi delle banche verranno spalmati. E’ probabile che le dimensioni delle perdite siano molto grandi. Le imprese potrebbero trovare che i finanziamenti intesi per i salari o per pagare i fornitori sono soggetti a tagli. Come possono funzionare in una situazione del genere?

E’ anche possibile che i conti bancari al di sotto dei limiti di assicurazione del deposito possano essere soggetti a tagli. Mentre in teoria è disponibile un’assicurazione sul deposito, la quantità tenuta nella riserva non è molto grande. Potrebbe facilmente essere esaurita con poche grandi richieste (lo scenario islandese di qualche anno fa). Se i governi scelgono di non compensare i disavanzi finanziando i programmi assicurativi, i disavanzi potrebbero finire ai correntisti.

Picco del petrolio. Sembra che ci sia una distinta possibilità che raggiungeremo il picco dell’offerta mondiale molto presto – 2014 0 2015, o anche 2016. Il modo in cui raggiungeremo questo picco, però, è diverso da quello che molta gente ha immaginato: prezzi del petrolio bassi, piuttosto che alti. I prezzi del petrolio bassi sono provocati dai salari bassi e dall’incapacità di aggiungere nuovo debito per compensare i salari bassi. Siccome il problema è di accessibilità, è probabile che vengano condizionati quasi tutti i beni, compresi i combustibili fossili diversi dal petrolio. In un certo senso, il problema è che un collasso finanziario si porta dietro il sistema finanziario e tutti i beni di ogni tipo. La Figura 2 mostra una stima della futura produzione di vari tipi. E’ probabile una ripida discesa a causa dei problemi finanziari verso i quali siamo indirizzati (2).

Figura 2. Stima della produzione futura di energia dell’autrice. I dati storici basati sul rapporto BP adattati ai raggruppamenti della IEA, Le rinnovabili in questo grafico includono idroelettrico, biocombustibili e materiali come letame raccolto come combustibile, in aggiunta alle rinnovabili come eolico e solare. (Sulla base della definizione inclusiva della IEA). 

Un punto importante di questo grafico è che è probabile che tutti i combustibili declinino simultaneamente, perché la causa è finanziaria. Per esempio, come continua ad operare una società petrolifera o del carbone se non può pagare i propri impiegati e i fornitori a causa di problemi bancari?

Il problema del debito a lungo termine. Il debito a lungo termine è una parte importante del nostro attuale sistema perché (a) rende possibile ai compratori di permettersi i prodotti e (b) aiuta a mantenere i prezzi dei beni sufficientemente alti da incoraggiare l’estrazione di risorse. Sfortunatamente, il debito a lungo termine sembra richiedere crescita economica, di modo che possiamo ripagare il debito con gli interessi.

Figura 3. Ripagare i prestiti è facile in un’economia in crescita, ma molto più difficile in un’economia che si contrae. 

Gli economisti fanno congetture secondo le quali la crescita economica può continuare, anche se l’estrazione di combustibili fossili ed altri beni primari declina (come nella Figura 2), ma quanto è probabile tutto ciò? Senza combustibili fossili, possiamo scambiarci servizi di baby sitting e possiamo scambiarci massaggi, ma quanto possiamo realmente fare per far crescere l’economia? Quasi ogni attività economica che possiamo immaginare necessita dell’uso di petrolio o elettricità e dell’uso di materie prime come il ferro e il rame. Una visione più elastica sembrerebbe essere quella secondo cui senza i materiali che usiamo generalmente, la nostra economia è probabile che si contragga. Con questa contrazione, il debito a lungo termine diventerà sempre più impossibile. Questo è uno dei grandi problemi che stiamo incontrando.

I problemi con la Fisica. Ai politici e alle aziende di tutti i tipi piacerebbe avanzare l’idea che la nostra economia continuerà per sempre; i politici e le aziende di ogni tipo sono al comando. Tutto finirà bene. Sfortunatamente, la storia è piena di esempi di civiltà che hanno raggiunto i ritorni decrescenti e sono quindi collassate. La ricerca indica che quando le antiche economie sono collassate, la forma del declino non era dritta verso il basso – il declino tendeva ad impiegare un periodo di anni. E, inoltre, non tutti morivano.

Figura 4. Forma del tipico Ciclo secolare, basata sul lavoro di Peter Turkin e Sergey Nefedov in Cicli secolari.

La Fisica ci dà una ragione per la quale c’è da attendersi uno schema del genere. La Fisica ci dice che le civiltà sono strutture dissipative. Il mondo in cui viviamo è un sistema aperto, che riceve l’energia dal Sole. Esempi di altre strutture dissipative comprendono sistemi galattici, il sistema solare, piante ed animali ed uragani. Questi nascono, crescono ed alla fine smettono di dissipare energia e muoiono. Così, potranno esserci nuove economie in futuro. A noi piace pensare che possiamo fermare questo processo, ma non è detto che si possa. Forse c’è da aspettarsi che le economie raggiungano i limiti ed alla fine collassino. E’ solo quando le economie possono aggiungere grandi quantità di risorse energetiche a basso costo (per esempio, scoprendo come usare i combustibili fossili o scoprendo un’area del mondo meno abitata, o persino aggiungendo la Cina alla World Trade Organization nel 2001) che questo scenario può essere rimandato.

Cosa possiamo fare?

L’energia rinnovabile recentemente è stata pubblicizzata come la soluzione a quasi tutti i nostri problemi. Se la mia analisi dei nostri problemi è corretta, l’energia rinnovabile non è una soluzione ai nostri problemi. Ho menzionato in precedenza che aggiungere la Cina alla World Trade Organization nel 2001 ha temporaneamente aiutato a risolvere i problemi energetici del mondo, grazie al suo aumento della produzione di carbone dopo essere diventata membro (notate il rigonfiamento nel consumo di carbone dopo il 2001 nella Figura 5). In confronto, l’impatto delle rinnovabili non idroelettriche è stato a malapena osservabile nel quadro complessivo.

Figura 5. Consumo di energia mondiale per fonte, sulla base dei dati della Revisione Statistica dell’Energia Mondiale della BP del 2014. Le rinnovabili sono strettamente definite escludendo idroelettrico, biocombustibili liquidi e materiali raccolti da chi lo utilizza, come ramaglie e sterco.

E’ probabile che i prezzi garantiti per l’energia rinnovabile diventino un problema crescente, mentre il costo dell’energia da combustibili fossili scende e mentre i compratori diventano sempre più incapaci di permettersi prezzi alti per l’energia. E’ probabile che i problemi delle banche, che rendono difficile pagare gli impiegati e i fornitori, siano un problema sia che la società usi fonti di energia rinnovabile sia che non le usi. Le sole fonti di energia rinnovabile che possono essere d’aiuto nel lungo termine sono quelle che non richiedono l’acquisto di beni da lunghe distanze e che quindi non richiedono l’uso di banche. Alberi che crescono nei boschi locali potrebbero essere un esempio di tale energia rinnovabile. Un’altra soluzione ai problemi che stiamo raggiungendo sembrerebbe essere quella di inventarsi un nuovo sistema finanziario. Sfortunatamente il debito – e di fatto il debito crescente – sembra essere essenziale per l’attuale sistema. Non possiamo estrarre combustibili fossili senza un sistema basato sul debito, in parte perché il debito permette lo spostamento dei profitti in avanti, alleggerendo così il fardello del pagamento dei prodotti fatti con un sistema basato sui combustibili fossili. Se un sistema finanziario usa solo i profitti accumulati di un sistema senza combustibili fossili, si può espandere solo molto lentamente. Vedete il mio post Perché Malthus ha sbagliato la sua previsione. E’ stato anche suggerito il sistema della moneta locale, ma questa non risolve il problema, diciamo, delle società elettriche che non riescono a pagare i loro fornitori a distanza.

Aggiungere più debito, o intraprendere passi per tenere i tassi di interesse ancora più bassi, probabilmente è la cosa più vicina ad un modo ragionevole cui possiamo giungere per rimandare temporaneamente il collasso finanziario. Non è chiaro dove possa essere aggiunto più debito, comunque. La ragione per cui gli attuali programmi di debito vengono interrotti è perché, dopo un certo livello di espansione, sembra che creino principalmente bolle finanziarie ed incoraggino gli investimenti che non potranno mai ripagare con ritorni adeguati. Una possibile soluzione è che un numero ridotto di persone con capacità di sopravvivenza riesca ad attraversare il collo di bottiglia, di modo da dare inizio ad una nuova civiltà. Alcuni di questi individui potrebbero essere agricoltori su piccola scala. Tuttavia la disponibilità di energia locale a buon mercato e facile da usare è probabile che sia un fattore limitante della dimensione della popolazione. La popolazione mondiale era di un miliardo di persone o meno prima dell’uso diffuso dei combustibili fossili. Non abbiamo molto tempo per risolvere i nostri problemi. Nel quadro temporale che stiamo guardando, la sola altra soluzione sembra essere una soluzione religiosa. Non so esattamente quale possa essere, non sono una che crede nel Rapimento estatico. C’è un grande ordine che sta alla base del nostro attuale sistema. Se l’universo si è formato con un big bang, c’era di sicuro un piano dietro. Non sappiamo esattamente quale sia il piano per il futuro. Forse ciò che stiamo incontrando è una qualche specie di cambiamento o trasformazione che è nei migliori interessi della specie umana e del pianeta. Una maggiore lettura delle scritture religiose potrebbe avere senso. Viviamo veramente in tempi interessanti!

Note:

[1] Derivati e debito cartolarizzato sono spesso prezzati usando modello di Black-Scholes. Esso ipotizza una distribuzione normale e una indipendenza statistica dei risultati negativi – una cosa che è assolutamente esclusa quando raggiungiamo i limiti. Vedete il mio post del 2008 che prevede correttamente il collasso finanziario del 2008.
[2] I punti sono riportati nel grafico ad intervalli di 5 anni, di modo che il grafico sia un po’ più punteggiato di quanto sarebbe stato se avessi messo su grafico i singoli anni. Il limite superiore al 2015 è un’approssimazione – potrebbe essere di circa un anno diverso.

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L’analisi termodinamica rivela un ruolo ampio e trascurato del petrolio ed altre fonti energetiche nell’economia

DaPhys.org”. Traduzione di MR (h/t Emilio Martines)

Un nuovo modello di crescita economica include non solo capitale e lavoro, ma anche energia e creatività come fattori di produzione. L’energia è posta in una posizione uguale a quella di capitale e lavoro. Grazie a R. Kümmel. La seconda legge dell’economia: energia, entropia e le origini della ricchezza

(Phys.org) – Le leggi della termodinamica sono meglio conosciute per affrontare l’energia nel contesto della fisica, ma un nuovo studio suggerisce che gli stessi concetti possono aiutare a migliorare i modelli della crescita economica tenendo conto dell’energia nella sfera economica. Nei modelli di crescita neoclassici, ci sono due fattori principali che contribuiscono alla crescita economica: lavoro e capitale. Tuttavia, questi modelli sono ben lontani dalla perfezione, costituendo meno della metà della crescita economica reale. Il resto della crescita è costituito dal residuale di Solow, che si pensa sia attribuito la fattore di difficile quantificazione del “progresso tecnologico”. Anche se i modelli di crescita neoclassici aiutano gli economisti a capire la crescita economica, il fatto che lascino una parte così importante di crescita economica inspiegata è leggermente inquietante. Persino  Robert A. Solow, il fondatore della teoria neoclassica della crescita, ha dichiarato che il modello neoclassico “è una teoria di crescita che lascia inspiegato il fattore principale della crescita economica”.

Energia, un potente fattore di produzione

In un nuovo studio pubblicato sulla Nuova Rivista di Fisica, il professor Reiner Kümmel all’Università di Würzburg e il dottor Dietmar Lindenberger all’Università di Colonia sostengono che l’ingrediente mancante rappresentato dal residuale di Solow consiste principalmente di energia. Mostrano che, per ragioni termodinamiche, l’energia dovrebbe essere considerata come il terzo fattore di produzione, allo stesso livello dei tradizionali fattori capitale e lavoro. (Per definizione, il lavoro rappresenta il numero di ore lavorative all’anno. Il capitale si riferisce alla riserva di capitale che è elencata nei conti nazionali, che consiste di tutti i dispositivi che convertono energia, i processori di informazione e gli edifici e le installazioni necessarie alla loro protezione e funzionamento. L’energia comprende combustibili fossili e fissili (nucleare), così come le fonti energetiche alternative). La nuova proposta si trova in forte contrasto coi modelli di crescita neoclassici, in cui i fattori di produzione hanno pesi economici molto diversi, che rappresentano i loro poteri produttivi. Nei modelli di crescita neoclassici, questi pesi economici o “elasticità di produzione” sono impostati uguali alla quota dei costi di ciascun fattore di produzione: la quota del costo del lavoro è 79%, il capitale costituisce il 25% e l’energia solo il 5%. Nella loro analisi, i ricercatori hanno scoperto che, a differenza dei modelli neoclassici, i pesi economici dell’energia e del lavoro non sono uguali al costo delle loro quote. Mentre il peso economico dell’energia è molto più grande al costo della sua quota, quello del lavoro è molto più piccolo. Ciò significa che l’energia ha un potere produttivo molto più alto di quello del lavoro, che è il motivo per cui l’energia è relativamente economica mentre il lavoro è caro.

(Sinistra) Crescita economica e (destra) contributi dei tre principali fattori di produzione della crescita economica in Germania alla fine del 20° secolo. Grazie a Kümmel. La seconda legge dell’economia: energia, entropia e le origini della ricchezza

Implicazioni nel mondo reale

Per testare il loro modello nella realtà, Kümmel e Lindenberger lo hanno applicato per riprodurre la crescita economica della Germania, del Giappone e degli Stati Uniti dagli anni 60 al 2000, facendo particolare attenzione alle due crisi petrolifere. Nei modelli neoclassici, riduzioni degli ingressi di energia del 7%, come osservato durante la prima crisi energetica nel 1973-75, avrebbe dovuto causare una riduzione totale della produzione economica di solo lo 0,35%, mentre le riduzioni osservate erano fino ad un ordine di grandezza più grandi. Usando il maggiore peso dell’energia, il nuovo modello può spiegare una porzione molto maggiore delle riduzioni di produzione totali durante quel periodo. Se corrette, le loro scoperte hanno grandi implicazioni. Primo, il nuovo modello non richiede affatto il residuale di Solow. Questo residuale scompare dai grafici che mostrano le curve di crescita empiriche e teoriche. L’energia, insieme all’aggiunta di un più piccolo fattore di “creatività umana”, copre tutta la crescita che i modelli neoclassici attribuiscono al progresso tecnologico.

Secondo, e in qualche modo inquietante, è l’impatto che le scoperte potrebbero avere nel mondo reale. Nel 2012, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha dichiarato nella sua Panoramica Economica Mondiale che “… se il contributo del petrolio alla produzione è stato dimostrato essere molto maggiore della sua quota di costo, gli effetti potrebbero essere drammatici, suggerendo la necessità di un’urgente azione politica”. Secondo l’analisi dell’autore, il potere altamente produttivo dell’energia a basso costo e il basso potere produttivo del lavoro costoso ha implicazioni che riusciamo ad osservare facilmente. Da un lato , i cittadini medi di paesi altamente industrializzati godono di una ricchezza materiale che non ha precedenti nella storia. Dall’altro lato, combinazioni di energia-capitale potenti e a buon mercato stanno sempre più sostituendo il lavoro costoso e debole nel corso di una sempre maggiore automazione. Questa combinazione uccide posti di lavoro per la parte meno specializzata della forza lavoro. E’ anche il motivo per cui molte meno persone lavorano in agricoltura e produzione oggi rispetto al passato e più persone lavorano nel settore dei servizi – anche se anche qui, computer e software stanno sostituendo il lavoro o causando la delocalizzazione del lavoro in paesi con salari bassi. Questa ben nota tendenza può essere compresa dal messaggio del nuovo modello secondo cui l’energia è più conveniente e più potente del lavoro.

Dov’è il punto di equilibrio?

Al centro del modello di Kümmel e Lindenberger c’è il concetto dell’equilibrio termodinamico. Come spiegano i ricercatori, le economie devono operare in un equilibrio dove un obbiettivo, come un profitto o il benessere generale, ha un massimo. Per massimizzare questi obbiettivi, l’economia neoclassica presume che non ci siano limiti alle combinazioni di capitale, lavoro ed energia. Senza limiti, l’equilibrio economico è caratterizzato dalla parità fra elasticità della produzione e quote di costo, che è uno degli assunti dei modelli di crescita neoclassici, come descritto sopra. Nel loro nuovo modello, Kümmel e Lindenberger applicano gli stessi principi di ottimizzazione, ma tengono anche conto dei limiti tecnologici su combinazioni di fattori di produzione. In realtà, un sistema di produzione non può funzionare a più della piena capacità e il suo grado di automazione ad un dato momento è limitato dalle quantità di dispositivi che convertono energia e di elaboratori di informazioni che il sistema può ospitare in quel momento. Ulteriori limiti legali e sociali potrebbero porre limiti “leggeri” sui fattori di produzione, in particolare il lavoro. In questo nuovo modello, questi limiti tecnologici sui fattori di produzione impediscono alle moderne economie industriali di raggiungere l’equilibrio neoclassico, dove le elasticità di produzione di capitale, lavoro ed energia sono alle quote di costo di questi fattori. Piuttosto, l’equilibrio delle economie reali, che sono vincolate da limiti tecnologici, è ben lontano dall’equilibrio neoclassico.

Mentre il modello fornisce una nuova prospettiva di crescita economica, la domanda finale rimane ancora: che tipo di strategie stimoleranno la crescita economica e ridurranno la disoccupazione e le emissioni? Qualsiasi sia la domanda, i risultati qui suggeriscono che deve tenere conto del ruolo cardine dell’energia nella produzione economica. “All’interno dell’attuale quadro legale del mercato, serve che la crescita economica proibisca lo spettro della disoccupazione”, spiegano i ricercatori. “La crescita economica alimentata dall’energia, a sua volta, potrebbe portare a sempre maggiori perturbazioni ambientali perché, secondo la prima e la seconda legge della termodinamica, niente nel mondo accade senza conversione di energia e produzione di entropia. E la produzione di entropia è associata all’emissione di calore e particelle, segnatamente biossido di carbonio, finché il mondo usa combustibili fossili al tasso attuale”.

Kümmel è anche l’autore di un libro sul tema intitolato La seconda legge dell’economia: energia, entropia ed origini della ricchezza.

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L’uso eccessivo di azoto e fosforo potrebbe causare la devastazione della Terra

Da “Daily Science Journal”. Traduzione di MR. (h/t Alexander Ač)

Di James Hailey

La Terra è sulla strada per diventare inabitabile a causa dell’aumentato uso di fertilizzanti artificiali come fosforo e azoto che stanno superando i limiti planetari. Il fatto è stato confermato dal direttore del Centro per la Limnologia dell’Università del Wisconsin di Madison, il professor Stephen Carpenter, che ha anche dichiarato che “Stiamo correndo verso e oltre i limiti biofisici che permettono la civiltà umana per come la conosciamo”. All’inizio del periodo dell’Olocene, la Terra era un posto molto migliore per vivere a causa delle attività umane che hanno portato a sviluppi raffinati in aspetti sociali, politici e religiosi. Carpenter ha commentato “Ogni cosa importante per la civiltà ha avuto luogo prima del 1914”. Alcune delle cose migliori di allora includevano l’agricoltura, l’ascesa e il declino dell’Impero Romano e la Rivoluzione Industriale. E dopo quell’era le attività umane hanno iniziato a distruggere la Terra.

Il professor Carpenter e la sua squadra hanno portato a termine una ricerca a proposito degli impatti del riscaldamento dovuto al carbonio, compresa la perdita di biodiversità e l’aumento del livello del mare. Spiegando le loro scoperte, i ricercatori hanno affermato che “Abbiamo (le persone) ampiamente cambiato i cicli dell’azoto e del fosforo più di qualsiasi altro elemento. (L’aumento) è nell’ordine del 200-300%. Al contrario, il carbonio è aumentato solo del 10-20% e guardate tutto il tumulto che ha causato nel clima”. Hanno anche sottolineato l’uso non necessario di fertilizzanti artificiali per stimolare l’agricoltura negli Stati Uniti in quanto la terra è già ricca di nutrienti. L’uso eccessivo di fertilizzanti su terre già ricche di nutrienti sta causando impatti negativi e sta spingendo la civiltà oltre i limiti di sicurezza. Alcuni paesi hanno terre ricche di azoto e fosforo, mentre molte altre hanno suolo in cui mancano questi elementi ed hanno difficoltà a coltivare alimenti senza fertilizzanti artificiali. Carpenter ha detto: “Ci sono alcune parti del mondo che sono eccessivamente inquinate di azoto e fosforo ed altre in cui le persone non ne hanno nemmeno a sufficienza per coltivare il cibo di cui hanno bisogno”. Per evitare di alterare l’ecosistema, ha consigliato che gli agricoltori industriali riducano l’uso eccessivo di fosforo e azoto. Ah aggiunto: “Potrebbe essere possibile che la civiltà umana viva al di fuori delle condizioni dell’Olocene, ma non è mai stato provato prima. Sappiamo che la civiltà ce l’ha fatta nelle condizioni dell’Olocene, quindi sembra saggio cercare di mantenerle”.

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La grande accelerazione dell’attività umana

Da “igbp”. Traduzione di MR (h/t Paul Chefurka)

Comunicato stampa – Da un decennio la IGBP, in collaborazione con lo Stockholm Resilience Centre, ha rivalutato gli indicatori della Grande Accelerazione inizialmente pubblicati nella sintesi IGBP “Cambiamento globale nel sistema terrestre” nel 2004. L’attività umana, prevalentemente il sistema economico globale, ora è il motore principale di cambiamento nel Sistema Terrestre (la somma dei processi fisici, chimici, biologici ed umani del nostro pianeta), secondo una serie di 24 indicatori globali o “display planetario”, pubblicati nella rivista  Anthropocene Review (16 gennaio 2015).

(Link ai grafici degli indicatori)

La ricerca mette su grafico la “Grande Accelerazione” delle attività umasne dall’inizio della rivoluzione industriale nel 1750 al 2010 e i successivi cambiamenti nel Sistema Terrestre – livelli di gas serra, acidificazione degli oceani, deforestazione e degrado della biodiversità. “E’ difficile sovrastimare la scala e la velocità del cambiamento. Nell’arco della durata di una singola vita, l’umanità è diventata una forza geologica su scala planetaria”, dice l’autore principale, professor Will Steffen, che ha condotto il progetto unificato fra International Geosphere-Biosphere Programme (IGBP) lo Stockholm Resilience Centre. Dodici indicatori dipingono l’attività umana, per esempio, la crescita economica (PIL), la popolazione, l’investimento diretto estero, il consumo di energia, le telecomunicazioni, il trasporto e l’uso d’acqua. Dodici indicatori mostrano i cambiamenti delle grandi componenti ambientali del Sistema Terrestre, per esempio, il ciclo del carbonio, quello dell’azoto e la


biodiversità. Questo nuovo “display planetario” evidenzia come le traiettorie della Terra e dello sviluppo umano ora siano leggermente collegate. Le scoperte saranno presentate al Forum Economico Internazionale di Davos, in Svizzera, il 21-24 gennaio.

“Quando abbiamo aggregato per la prima volta queste serie di dati, ci aspettavamo di vedere grandi cambiamenti, ma ciò che ci ha sorpreso è stata la tempistica. Quasi tutti i grafici mostrano lo stesso schema. I cambiamenti più drammatici sono avvenuto dal 1950. Possiamo dire che intorno al 1950 c’è stato l’inizio della Grande Accelerazione”, ha detto il professor Steffen, un ricercatore dell’Università Nazionale Australiana e dello Stockholm Resilience Centre.”Dopo il 1950 si può vedere che i più grandi cambiamenti del Sistema Terrestre sono divenuti direttamente collegati ai cambiamenti ampiamente collegati al sistema economico globale. Questo è un fenomeno nuovo ed indica che l’umanità ha una nuova responsabilità a livello globale verso il pianeta”, ha aggiunto. La coautrice e vice direttrice di IGBP, dottoressa Wendy Broadgate ha detto: “Gli indicatori della Grande Accelerazione ci permettono di distinguere il segnale dal rumore di fondo. La Terra si trova in uno stato diverso quantificabile rispetto a prima. Diversi processi dei Sistemi Terrestri ora sono alimentati dal consumo e dalla produzione umani”.

Un’altra coautrice, dottoressa Lisa Deutsch, docente dello Stockholm Resilience Centre osserva che:
“Di tutte le tendenze socio-economiche solo la costruzione di nuove grandi dighe sembra mostrare qualche segno di flessione della curva – o un rallentamento della Grande Accelerazione. Solo la tendenza di un Sistema Terrestre indica una curva che potrebbe essere il risultato dell’intervento umano intenzionale – la storia di successo dell’esaurimento dell’ozono. Il livellamento delle catture della pesca marina dagli anni 80 è sfortunatamente non dovuto alla gestione del mare, ma all’eccessivo sfruttamento”. Le scoperte forniscono prove forti che nei decenni passati, alcuni comportamenti cruciali del Sistema Terrestre hanno superato la normale variabilità esibita negli ultimi 12.000 anni, un periodo che i geologi chiamano Olocene. L’Olocene, in latino “del tutto recente”, è iniziato alla fine dell’ultima era glaciale ed ha fornito la stabilità perché si sviluppasse l’agricoltura, portando alla fine alla fioritura di municipalità e città.

Le tendenze della Grande Accelerazione sostengono la proposta che la Terra sia entrata in una nuova epoca geologica, l’Antropocene, coniato dai ricercatori Paul Crutzen e Eugene Stoermer nel 2000. Da allora, la comparsa dell’Antropocene è stata vivacemente contestata da geologi, scienziati del Sistema terrestre e da altri, anche se il termine non è stato ancora formalizzato dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia. Alcuni dicono che l’alba dell’agricoltura di 10.000 anni fa – l’eta Neolitica – sia una possibile candidata. Altri dicono sia la rivoluzione industriale, alla fine del 700.

Il nuovo saggio sostiene che, “Di tutti i candidati come data di inizio dell’Antrpocene, l’inizio della Grande Accelerazione è di gran lunga la più convincente dal punto di vista del Sistema Terrestre. E’ solo oltre la metà del XX secolo che ci sono prove evidenti di cambiamenti fondamentali nello stato e nelle funzioni del Sistema Terrestre che solo oltre la gamma della variabilità dell’Olocene e che sono alimentate dalle attività umane a non dalla variabilità naturale”. Inoltre, scegliere l’inizio della Grande Accelerazione porta ad una data d’inizio specifica: quando è stata fatta detonare la prima bomba atomica nel deserto del Nuovo Messico, lunedì 16 luglio 1945. “Gli isotopi radioattivi di quella detonazione sono stati emessi nell’atmosfera e diffuso in tutto il mondo entrando nelle registrazioni dei sedimenti a fornire un segnale unico dell’inizio della Grande Accelerazione, un segnale che è inequivocabilmente attribuibile alle attività umane”, riporta il saggio. La ricerca esplora i motori sottostanti della Grande Accelerazione: prevalentemente la globalizzazione. La massa di attività economica, così come, per ora, la parte del leone del consumo, rimangono ampiamente all’interno dei paesi OCSE, che nel 2010 rappresentavano il 74% del PIL globale ma solo il 18% della popolazione globale. Questi punti della scala di profonda diseguaglianza, che distorcono la distribuzione dei benefici della Grande Accelerazione e confonde gli sforzi internazionali, per esempio gli accordi climatici, per affrontare i loro impatti sul Sistema Terrestre. Tuttavia, il saggio mostra che di recente la produzione globale, tradizionalmente localizzata fra i paesi OCSE, si è spostata verso quelli BRICS – Brasile, Russia, India Cina e Sud Africa. Inoltre, la proliferazione della classe media nei paesi BRICS sta alimentando un maggiore consumo anche qui.

Circa la metà della popolazione globale ora vive in aree urbane e circa un terzo della popolazione globale ha completato la transizione da società agraria ad industriale. Questo passaggio è evidente in diversi indicatori. Gran parte dell’aumento successivo al 2000 nel consumo di fertilizzanti, produzione di carta e veicoli a motore si è verificata nel mondo non OCSE. In concomitanza con la pubblicazione degli indicatori della Grande Accelerazione, i ricercatori sempre guidati dal professor Steffen hanno pubblicato una nuova valutazione del concetto di “limiti planetari” sulla rivista Science. La squadra internazionale di 18 scienziati ha identificato due limiti planetari di base: cambiamento climatico e “integrità della biosfera”. Alterarli entrambi potrebbe “portare il Sistema Terrestre ad un nuovo stato”. Il concetto di limiti planetari, pubblicato inizialmente nel 2009, identifica nove priorità planetarie collegate ai cambiamenti indotti dagli esseri umani nell’ambiente. La nuova ricerca conferma molti dei limiti e fornisce un’analisi aggiornata ed una quantificazione di diversi di loro, compresi i cicli di fosforo ed azoto, uso della terre e biodiversità. I 24 indicatori originali sono stati pubblicati nella prima sintesi di IGBP nel 2004, quando il professor Steffen era direttore esecutivo di IGBP. Il termine “Grande Accelerazione” non è stato usato fino al 2005 alla Conferenza di Dahlem sulla storia della relazione fra esseri umani e ambiente, che ha raccolto molti scienziati del IGBP. Questa nuova ricerca è parte della sintesi finale di IGBP, che verrà completata nel 2015. La Commissione Internazionale di Stratigrafia ha improntato un gruppo di lavoro per analizzare la validità della proclamazione dell’Antropocene. Il professore Steffen è un membro di questo gruppo di lavoro, che deve riportare le sue conclusioni nel 2016.

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Samantha Cristoforetti: L’ultima astronauta?

DaResource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi

Intelligente, specializzata, competente, poliglotta ed altro ancora, Samantha Cristoforetti sembra sia stata inventata per un episodio di “Star Trek”. Qui è mostrata nella Stazione Spaziale Internazionale, dove si trova al momento della pubblicazione di questo post. La Cristoforetti potrebbe non essere l’ultima astronauta ad orbitare intorno alla Terra, ma è possibile che la fine di quella che una volta veniva chiamata “era spaziale” non sarà troppo lontana. (Immagine ESA/NASA)

Ho vissuto l’entusiasmo della “era spaziale”, a partire dagli anni 60 e non sono felice di vedere la fine di quel vecchio sogno. Eppure i dati sono chiari e non possono essere ignorati: il volo spaziale umano si sta esaurendo. Guardate il grafico sotto. Mostra il numero totale di di persone lanciate nello spazio ogni anno. (I dati provengono da Wikipediaulteriori dettagli).


Come vedete, il numero di persone mandate nello spazio ha raggiunto un picco negli anni 90, seguendo un ciclo che può essere misurato ragionevolmente bene usando una curva a campana (una Gaussiana, in questo caso). Non siamo ancora arrivati alla fine dei viaggi spaziali, ma il numero di persone che viaggiano verso lo spazio sta diminuendo. Con la stazione spaziale internazionale che verrà smantellata nel 2020, potrebbe essere che “l’era spaziale” sia destinata a finire i un futuro non lontano.

La forma del ciclo può essere vista come una “curva di Hubbert”.  Questa curva descrive tipicamente lo sfruttamento di una risorsa non rinnovabile, in particolare i combustibili fossili, ma descrive anche come le attività economiche sono condizionate dalla disponibilità decrescente di risorse. In questo caso, la forma della curva suggerisce che stiamo gradualmente finendo le risorse necessarie per mandare esseri umani nello spazio. La cosa non sorprende, considerando che stiamo raggiungendo i limiti planetari alla crescita. In parte stiamo reagendo alla disponibilità decrescente di risorse sostituendo gli esseri umani con robot meno costosi, ma il declino dell’esplorazione spaziale è evidente anche da altri dati, guardate per esempio questo grafico che mostra il budget disponibile alla NASA (da “Starts with a bang”).

Se l’esplorazione spaziale è direttamente collegata con la disponibilità di risorse, è anche vero che, dall’inizio, non era intesa come un semplice spreco di risorse. L’idea della conquista dello spazio comportava il superamento dei limiti dell’ecosfera terrestre e l’accesso dell’intero sistema solare. Alcuni dei concetti sviluppati in quest’area erano stati pensati esplicitamente come modi di evitare i terribili scenari dipinti nello studio del 1972 “I Limiti dello Sviluppo (crescita)”. Alcune proposte comprendevano l’installazione di giganteschi habitat presso i Punti di Lagrange, dove non serviva alcuna energia per mantenerli lì. L’idea ha preso un po’ di spinta negli anni 70 e, nella figura, vedete un’interpretazione di uno di quegli habitat – la “Sfera di Bernal”. (Immagine: NASA)
Oggi, non possiamo guardare questi vecchi disegni senza scuotere la testa e chiederci come qualcuno possa averli presi sul serio. Eppure, queste idee non erano impossibili in sé stesse e, negli anni 70, avevamo ancora risorse sufficienti per rendere possibile un qualche tipo di espansione umana nello spazio, anche se non su grande scala come proponeva qualcuno. Ma abbiamo perso quell’occasione ed abbiamo preferito investire il nostro surplus in giocattoli militari. Oggi, non possiamo nemmeno più sognare di colonizzare lo spazio. 
L’era spaziale non è completamente finita, ancora, ma sta diventando sempre più difficile sostenerne i costi. In questo momento, i russi sono ancora disponibili a lanciare in orbita astronauti dell’Europa Occidentale. Ma per quanto tempo lo saranno ancora mentre l’Europa Occidentale sta emanando sanzioni pensate per fare a pezzi l’economia russa? Samantha Cristoforetti, coraggiosa e competente astronauta italiana, potrebbe essere un membro dell’ultima pattuglia di esseri umani che orbitano intorno alla Terra per un lungo periodo.

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Il Picco del Petrolio Accessibile

DaCrude Oil Peak”. Traduzione di MR

Di Matt Mushalik 

 Fig 1: prezzi spot WTI al 23/1/2015

E’ del tutto ovvio che gli alti prezzi del petrolio negli ultimi 3-4 anni abbiano ridotto la domanda di petrolio, come mostrato in questo grafico della IEA per il paesi OCSE:

Quindi quale petrolio è accessibile? Usiamo un grafico del Monetary Policy Report (gennaio 2015) della Banca del Canada (che dovrebbe essere teoricamente favorevole alle sabbie bituminose canadesi)

Fig 3: produzione di petrolio per area e costi del ciclo completo

Il rapporto della Banca del Canada dice: “Sulla base di stime recenti dei costi di produzione, circa un terzo dell’attuale produzione potrebbe essere antieconomica se i prezzi permangono intorno ai 60 dollari, particolarmente gli alti costi di produzione di Stati Uniti, Canada, Brasile e Messico (Grafico 4). Più di due terzi dell’aumento dell’offerta di petrolio mondiale attesa sarebbe analogamente antieconomica. Un declino dell’investimento pubblico e privato in progetti ad alto costo potrebbe significativamente ridurre la crescita futura di offerta di petrolio e i membri dell’OPEC avrebbero una capacità di riserva limitata per sostituire una diminuzione significativa dell’offerta non OPEC”. (pdf)

Mettiamo questi costi in grafici di produzione petrolifera:

(1) Offerta di petrolio totale
La Figura 3 si riferisce a 90 mb/g (asse x) che è stata l’offerta totale mondiale del 2013, secondo le statistiche EIA disponibili qui.

Fig 4: offerta di petrolio per paese/area e costo economico del petrolio

Nella Figura 4, le offerte di petrolio sono accatastate in base al costo economico del petrolio del 2014, a partire dall’Arabia Saudita (25 dollari/barile, verde) per arrivare fino alle sabbie bituminose canadesi (80 dollari/barile, rosso scuro). I colori sono stati estesi a tutto il periodo fino al 1980 in modo che sia visibile la storia della produzione. Le linee di diverso tipo mostrano quattro diversi livelli di costo, per cui le loro lunghezze sono indicative solo per mostrare i livelli di produzione corrispondente degli ultimi anni. Sembra che le offerte di petrolio fino a circa 75 dollari abbiano raggiunto il picco (tutti i paesi fino al Brasile). In altre parole, se il mondo è disposto (o in grado) di pagare solo 75 dollari al barile, la corrispondente produzione di petrolio declina dal 2012 – di circa l’1,6% in due anni. Il petrolio a 50 dollari è andato su e giù, ma a soli 56 mb/g o il 60% dell’attuale domanda.

La cosa importante qui è che la produzione di petrolio accessibile non sembra aumentare in volume. Ciò ha gravi implicazioni per la pianificazione economica e dei trasporti. Nella Figura 4, l’offerta di petrolio comprende: petrolio greggio, liquidi del gas naturale, guadagni di processo in raffineria ed altri liquidi (compresi i biocombustibili). Le definizioni della IEA sono qui.

Vediamo come si presenterebbe il grafico se avessimo usato solo il petrolio greggio e il condensato.

(2) Petrolio greggio e condensato:

Fig 5: come nella figura 4, ma solo per il petrolio greggio

Tutto il petrolio greggio fino a 75 dollari è sostanzialmente piatto dal 2005. Il petrolio non convenzionale costoso ha coperto questa tendenza incontestabile.

(3) Costi delle sabbie bituminose canadesi

Com’è quindi arrivata la Banca del Canada a determinare un costo 90 dollari per le sabbie bituminose? La tavola seguente proviene da un rapporto del luglio 2014 dell’Istituto di Ricerca Energetica Canadese.

Costi dell’offerta di sabbie bituminose canadesi e progetti di sviluppo (2014-2048)

Fig 6: costo delle sabbie bituminose canadesi

SAGD sta per steam assisted gravity drainage per i progetti in-situ di sabbie bituminose come descritto qui. Quindi la Banca del Canada ha preso i 90 dollari come media equivalente del WTI. I prezzi sopra assumono un differenziale leggero/pesante di 18 dollari al barile fra il West Texas Intermediate (WTI) e il West Canadian Select (WCS), anche dopo lo storno dell’oleodotto Seaway e la costruzione del ramo meridionale del Keystone XL nel 2013 per collegare Cushing al Golfo del Messico. Questo aumento del WTI, che riduce in tal modo il differenziale Brent, ma non ai livelli storici di 2-5 dollari al barile “indica potenzialmente due cose: o i due mercati non sono più collegati e i prezzi sono rappresentativi soltanto di mercati regionali o la connettività da mercato a mercato non è sufficiente per aumentare i prezzi del WTI ai livelli del Brent (senza costi di trasporto) o una combinazione delle due… Nel tempo, man mano che più bitume miscelato continua a penetrare nei mercati esistenti così come nei nuovi mercati, come la costa del golfo statunitense e i mercati al di fuori del Nord America, il differenziale leggero/pesante potrebbe ridursi in futuro”. (pdf)

Conclusione

Usando la valutazione della Banca del Canada, la produzione di petrolio accessibile a livelli di prezzo fino a 75 dollari ha superato il picco o vi è a ridosso dal punto di svolta del 2005. Ciò significa che l’economia globale non potrà crescere di nuovo “normalmente”.

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Strada obbligata. Un commento.

Di Jacopo Simonetta

In un precedente post, ho riportato la traduzione di un lungo articolo in cui John M. Greer sostiene come una volontaria regressione tecnologica sarebbe una strategia efficace di resilienza.   Tuttavia, l’arcidruido ammette che questa sia un’opzione che non ha alcuna speranza di essere attuata in quanto viola il principale tabù della nostra civiltà: il progresso.

In una sua conferenza di alcuni mesi fa a Pisa, S. Latouche aveva sostenuto qualcosa di simile.   Pur senza entrare nel merito del livello tecnologico, il professore ha infatti sostenendo che un ritorno ai consumi pro capite di 60 anni fa sarebbe sufficiente a riportare l’economia globale entro limiti di sostenibilità.

In linea con alcuni commenti che sono stati fatti, personalmente trovo che l’idea contenga elementi interessanti, ma che non potrebbe essere attuata a scala di nazioni o di super-nazioni.   E non solo per ragioni di tabù, peraltro consistenti ed evidenti. Qui vorrei fare cenno a due soli aspetti.

Il primo è la capacità militare che, da quando esistono gli eserciti, dipende sostanzialmente da due ordini di fattori: la capacità organizzativa e la tecnologia.   Semplicemente, un paese che riducesse il suo livello tecnologico si troverebbe alla mercé di chi questo non lo ha fatto e si tratta di un passaggio solo parzialmente e faticosamente reversibile.    In un contesto di decrescita complessiva, perdere posizioni è facile, riguadagnarne è invece molto difficile.

Il mondo contemporaneo ci offre numerosi esempi di paesi che, per varie ragioni, hanno avuto un esperienza simile.     Forse il caso più eclatante è stato lo smantellamento dell’Armata Rossa all’indomani del collasso dell’URSS.   Il risultato fu che pochi anni dopo la Russia fu sconfitta sul campo dalla Cecenia!

Una lezione che Mosca imparò bene.   Ma solo grazie a 20 anni di sforzi alimentati dal un elevato prezzo degli idrocarburi fossili, a loro volta spinti da enormi investimenti e tecnologie straniere, ha potuto risalire parzialmente la china.

In maniera meno brutale, qualcosa del genere è accaduto anche all’interno della NATO ed in altri casi ancora. Indipendentemente da altre considerazioni, in un contesto di contrazione economica, ridurre il proprio livello tecnologico è una strada a senso unico che comporta enormi rischi politici e militari. Rischi assolutamente intrattabili nel momento in cui, eventualmente, scoppia una crisi grave.

Un secondo ordine di fattori anche più grave negli effetti dipende dalla nostra capacità di estrarre dal Pianeta quanto ci serve. E’ vero che abbassando il livello tecnologico si abbasserebbero i consumi pro capite, ma si abbasserebbe anche la nostra capacità di accedere alle risorse i misura più che proporzionale.

Facciamo un esempio non a caso:  Riserve di petrolio estraibili con le tecnologie del 1950 praticamente non ne esistono più.   Già con sistemi anni ’70 rimarrebbe disponibile ben poco.    E lo stesso credo che valga più o meno per tutti i minerali, con un’importante eccezione, almeno parziale. Una drastica riduzione dei consumi pro capite dei materiali facilmente riciclabili (diversi metalli, vetro, ecc.)  potrebbe portarne il consumo a livelli gestibili, almeno per lungo tempo, recuperandone le immense quantità sepolte nelle discariche ed incorporate in oggetti che diventerebbero inutili.

Vi sono tuttavia problemi che diventerebbero necessariamente critici.    A parte l’energia cui si è fatto cenno, per fare un solo esempio, nel 1950 la popolazione mondiale ammontava a 2.500 milioni di persone, circa un terzo di adesso. La densità era di circa 18 abitanti per chilometro quadro, mentre oggi è di 52. Considerando solo i terreni in qualche misura agricoli, ognuno di noi dispone oggi di poco più di 2.000 mq contro poco meno di un ettaro di allora. La desertificazione si mangia oltre un milione di ettari ogni anno, la superficie forestale è più che dimezzata, i banchi di pesca sono spariti o ridotti, una miriade di specie di piante, insetti ed altri piccoli animali si sono estinte, il clima diviene sempre più ostile, le riserve idriche si prosciugano eccetera.    Si potrebbe andare avanti per pagine. Non che nel 1950 le cose andassero benissimo, ma eccettuate alcune zone molto circoscritte, la situazione ambientale e la disponibilità di risorse erano molto, ma molto migliori di oggi.

Oggi possiamo vivere in così tanti solo grazie al nostro attuale livello tecnologico.    Un livello che abbiamo raggiunto grazie ad una complessa retroazione fra tecnologia, economia, popolazione, sfruttamento delle risorse.    Invertire la tendenza facilmente potrebbe avviare una retroazione inversa.

D’altronde, con ogni probabilità, è proprio quello che ci accadrà, che lo si voglia  o meno.   Il livello tecnologico è infatti approssimativamente correlato con la disponibilità di energia e sappiamo che la pacchia è finita per sempre.   Esistono ancora grandi risorse energetiche, ma nessuna che sia qualitativamente comparabile a quella che avevamo fino a pochi anni or sono.   E non si può pensare che fonti energetiche scadenti e/o costose possano avere gli stessi effetti di fonti eccellenti ed economiche.   Molti suggeriscono che solo un ulteriore progresso tecnologico può farci uscire dalla trappola.   Ma da sempre il progresso tecnologico ha richiesto disponibilità di risorse di alta qualità, disponibilità di ecosistemi capaci di riciclare gli scarti, capacità della società di gestire una maggiore complessità.    Tre ordini di fattori sulla cui disponibilità futura è legittimo dubitare, dal momento che già ora cominciano a scarseggiare.

Del resto, in alcuni settori il “downgrade” si comincia a vedere.   Per esempio, il rallentamento delle esplorazioni spaziali, ma anche l’abbandono del programma “Space shuttle” e di quelli previsti in seguito per tornare a dei vettori di tipo tradizionale.   Oppure la mesta fine del Concorde, fino al boom di risciò nelle maggiori città europee.    Per non parlare della  parziale sostituzione del petrolio tornando al carbone o, addirittura, al legname!

In conclusione, il mio del tutto personale parere è che ancora esistano molte opzioni per mitigare la caduta della nostra civiltà, ma nessuna che la possa evitare.   E con la caduta della nostra civiltà molte cose che oggi diamo per scontate diventeranno rare, oppure scompariranno del tutto.   Ed ecco che il “downgrade” tecnologico, improponibile a livello di stati, diviene invece una strategia molto interessante a livello di famiglie e piccole comunità resilienti.  In un ambiente di grave e permanente crisi economica, disoccupazione cronica, disordini sociali e guerre locali, carenza di energia e ricambi, eccetera, certamente disporre di tecnologie e conoscenze ripescate da un passato più o meno remoto può rivelarsi un’eccellente opzione.

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Il ruolo dei collassi sociali nei cicli storici (II)

DaThe Oil Crash”. Traduzione di MR

Cari lettori,

nel post di oggi vi presento la seconda parte dell’estratto della sezione 9.1 del libro “Nella spirale dell’energia”, di Ramón Fernández Durán e Luis González Reyes. Nel post di oggi si analizza l’inevitabilità del collasso della società industriale e le sue fasi.

Saluti.
AMT

Inevitabilità del collasso della civiltà industriale

La vulnerabilità del capitalismo fossile (capitalismo basato sui combustibili fossili, ndt) globale

Il sistema socioeconomico attuale ha elementi di resilienza importanti. Uno è che l’alta connettività aumenta la capacità di rispondere rapidamente alle sfide. Per esempio, se manca il raccolto in una regione, la fornitura alimentare si può dislocare in un altro luogo del pianeta (se interessa, la stessa cosa si potrebbe dire di una parte sostanziale del sistema industriale. Un’altra espressione della resilienza è il dislocamento del rischio in altri luoghi esterni agli spazi centrali e del presente attraverso l’ingegneria finanziaria. Tuttavia, la connettività aumenta anche la vulnerabilità del sistema, visto che, a partire da una certa soglia, non si possono più compensare gli squilibri e il collasso dei singoli sottosistemi colpisce il resto. Il sistema funziona come un tutto interdipendente e non come parti che si possano analizzare isolate (Stati Uniti, UE, Cina) e molto meno che possano sopravvivere da sole. Inoltre, si è raggiunta la connettività massima: non esiste più un “fuori” del sistema-mondo, il mondo è “pieno”. Non c’è più la possibilità di migrare ne di ricevere aiuto da altri luoghi. La figura 9.3 visualizza le implicazioni di questa connettività. Si può partire da un nodo qualunque, come la mancanza di accessibilità a gas e petrolio (in alto a sinistra) e seguire come questa carenza si trasmetta a tutto il sistema.

Figura 9.3: Complessità ed interdipendenza del sistema attuale.

Inoltre, una maggiore connettività implica che ci siano nodi nei quali si può scatenare il collasso. Per esempio, il sistema economico altamente tecnologico dipende sempre di più dalla disponibilità di materei prime, di modo che la possibilità che ne manchi una aumenta e, con esso, il rischio sistemico. Questa è un’applicazione del minimo di Liebig, secondo la quale la risorsa che è disponibile in minore quantità è quella che determina tutte le altre. In questo senso, troppe interconnessioni fra sistemi instabili possono produrre di per sé stesse una cascata di errori sistemici.

Ma il capitalismo globale non solo è interconnesso, ma è una rete che ha pochi nodi che sono centrali. Il collasso di uno di quei nodi sarebbe (quasi) impossibile da correggere e si trasmetterebbe al resto del sistema. Alcuni esempi sono: 1) Tutta la struttura economica dipende dalla creazione di denaro (credito) da parte delle banche. Inoltre, dipende dalla creazione di denaro da parte di pochissime banche, quelle che sono “troppo grandi per fallire”. Inoltre, il sistema bancario si è fatto più opaco, pertanto più vulnerabile, con il primato del mercato nascosto. 2) La produzione in catene globali dominate da poche multinazionali fa sì che l’economia dipenda dal mercato mondiale. Queste catene funzionano just in time (con poco magazzino), sono fortemente dipendenti dal credito, dall’energia a basso costo e da molte materie prime diverse. 3) Le città sono spazi di alta vulnerabilità per la loro dipendenza da ogni tipo di risorsa esterna che si possono acquisire solo grazie ad una fonte energetica economica e ad un sistema economico che permetta lo sfruttamento della ricchezza. Ma, a loro volta, sono un agente chiave di tutta la struttura tecnologica, sociale ed economica.

In questo groviglio interconnesso, il collasso non avrà una sola causa, ma si produrrà per l’incapacità del sistema di risolvere una moltiplicazione di sfide in diversi piani in una situazione di mancanza di resilienza: collassi di stati, crisi monetarie e finanziarie, blocco di infrastrutture (caduta della rete elettrica, sciopero nei trasporti), rialzi dei prezzi dell’energia o di determinate materie prime, ecc. Il collasso avviene in situazioni di alti livelli di stress su diversi piani del sistema. E’ quello che è accaduto all’Impero Romano e alla civiltà Maya.

Pertanto, la connettività gerarchizzata è un elemento intrinseco del capitalismo fossile globalizzato che lo rende più vulnerabile, anche se non è l’unica causa di vulnerabilità. Una seconda causa è la velocità. In una società capitalista, che è qualcosa di più di un’economia capitalista, il beneficio a breve termine è la prima cosa. E questi benefici si valutano in tempi sempre più brevi: anni, trimestri, settimane, giorni, ore. Ciò implica che la capacità di previsione e di proiezione futura sia poca. Inoltre, il capitalismo ha bisogno di crescere in modo accelerato.

Un terzo elemento di debolezza è che la società capitalista globalizzata si è trasformata in una estrattrice efficiente di risorse del pianeta, pertanto non ha un cuscinetto con cui affrontare le sfide ha ha di fronte. Sotto questo punto di vista, le società del passato erano molto meno vulnerabili di quella attuale ad un cambiamento climatico e, tuttavia, questo è stato un innesco di grandi cambiamenti. A questo si somma la legge dei rendimenti decrescenti.

Inoltre, questa è una situazione di ritorno indietro molto difficile. Analogamente a come indichiamo quando parliamo dell’apparizione dell’agricoltura, dell’industrializzazione e dell’uso massiccio di energia,  il capitalismo fossile ha segnato un punto di quasi non ritorno. Una volta stabilito un modo di vivere urbano, un’economia mondializzata, un consumo materiale in aumento e una dimensione della popolazione elevata, sganciarsi da questo consumo energetico richiede un grande cambiamento di civiltà, per cominciare perché l’energia abbondante è l’elemento nodale dell’incremento di produttività che sta dietro al sostentamento dei benefici capitalisti.

La probabilità del collasso dipende anche dalle tecnologie che si utilizzano. Per esempio, una tempesta solare non produrrebbe effetti in una società agraria e invece sarebbe devastante in una società super tecnologica. Così, il crollo del sistema elettrico sarà disastroso.

I sistemi sociali, essendo complessi, evolvono in modo non lineare, ma anche questo avviene con elementi centrali per il loro supporto. Per esempio, abbiamo già analizzato come nella diminuzione del EROEI appare un “precipizio energetico” a partire da 10.1. Questo elemento può essere anche più grave nella misura in cui si mascheri con agrocarburanti e i petroli non convenzionali.

Una grande stratificazione sociale genera un incremento delle tensioni ed è stato dietro a grandi cambiamenti sociali. In molte occasioni, i conflitti di classe sono anche conflitti ambientali, poiché lo sfruttamento dell’ambiente e dell’essere umano hanno proceduto in parallelo. A questo si deve aggiungere che, nelle società diseguali, la preservazione dello status quo assorbe quasi tutti gli sforzi delle élite.

Per ultimo, nella storia della vita, l’apparizione di forme più complesse non ha comportato la sparizione delle forme più semplici, ma si è verificata un risistemazione simbiotica (dalla prospettiva “macro”). Questo ha permesso ai sistemi di avere più resilienza. Tuttavia, nelle società dominatrici, l’incremento di complessità ha distrutto le forme meno complesse, perdendo diversità culturale e biologica. Non è solo che non esiste più un “fuori” come dicevamo, ma che il capitalismo non può coesistere con altre forme organizzative che va fagocitando nella sua crescita inarrestabile.

Prima di tutto questo, si pone (più col cuore che col cervello) la question se l’intelletto umano sarà capace di schivare il collasso. Per questo, alcuni degli strumenti principali saranno i progressi tecnologici. Ma abbiamo già mostrato l’insostenibilità di questa opzione. Inoltre, il cervello umano ha dei limiti nel comprendere i sistemi, le cose lontane e lente  (Homer-Dixon, 2008; Boyd, 2013b; Cembranos, 2014b), il che non significa che non le possa intuire e comprenderle in modo rudimentale. Questo problema è ancora più sentito nella società dell’immagine e dell’intrattenimento nella quale i problemi vengono negati o distorti e si modella un pensiero semplice. La mancanza di comprensione completa della complessità è uno di principali impedimenti alla previsione del collasso, poiché suppone che i limiti sono difficili da percepire. Si può essere in transito verso una situazione senza ritorno senza notarlo e, quando si supera il punto di biforcazione, i cambiamenti sono già rapidi e inarrestabili.

La difficoltà umana coi processi lenti parte dal fatto che il sistema nervoso, di fronte ad un pericolo repentino, incita alla difesa (se vede la possibilità di far fronte al pericolo) o a scappare (se non la vede), ma non ha una buona preparazione di fronte ad una minaccia che si sviluppa lentamente. Il collasso di una civiltà impiega molti decenni, anche vari secoli, e la riduzione è abbastanza graduale per la percezione umana, anche se in termini storici è rapida. All’inizio, i segni del collasso sono difficili da percepire per la maggior parte della società; poi si tende a pensare che un qualsiasi periodo di stabilità significhi che il collasso si è fermato; alla fine, quando si accumula il degrado sociale, è questo lo stato che si percepisce come “naturale”. Una prova storica dell’incapacità delle società umane, comprese le meno complesse che dovevano analizzare meno dati o forse nessuno per prevedere ed evitare il collasso, è che pochissime, o forse nessuna, sono state consapevoli del fatto che entravano in una crisi di civiltà. I grandi cambiamenti dei sistemi socioeconomici sono considerati come tali retrospettivamente. Nel caso dell’Impero Romano, la popolazione non è sembrata essere consapevole di tutto il processo di decadenza. Delle sconfitte militari sì, ma non della situazione di fondo.

Ma, anche nei casi in cui si è verificata una risposta, questa ha sofferto di una visione a lungo termine, specialmente nelle società al di fuori dello stato stazionario. Queste hanno adottato “soluzioni” per i problemi del presente spostando i problemi nel futuro. E’ successo così con la Rivoluzione Industriale. Il finale di questo comportamento è che i problemi sono di grandezza tale che l’unica soluzione è il collasso del sistema.

Oltre alle sue limitate capacità intellettuali, l’essere umano non si muove solo con la ragione, nemmeno in prevalenza. Prima ci sono le emozioni. Siccome le emozioni primeggiano, le risposte rapide, in molti casi una ricompensa immediata o un pericolo imminente, si muovono di più che altre spostate nel tempo. Inoltre, l’essere umano ha un rifiuto innato per ciò che causa disagio, il che porta persino al blocco della percezione di ciò che sta succedendo, e la transizione verso una società meno complessa che usi meno energia, molta meno energia, non è una situazione desiderabile a priori. A questo si aggiungerà la pigrizia e l’apatia quando non si trova il senso dell’azione. Sommati alla ragione e all’emozione (che non sono separabili) sono cruciali i sistemi di valori. Quello predominante manca di una visione oltre all’io. Più avanti torneremo su questi concetti.

Alla fine, il collasso può arrivare ad essere desiderato da ampi strati sociali, poiché supporrebbe lasciare il pesante e crescente carico materiale, energetico ed economico di sostenere la complessità. In contrapposizione, le élite avranno invece una perdita netta e, per evitarla, proietteranno l’immagine del collasso come disastro per tutto il mondo.

Il collasso caotico e profondo come opzione più probabile

Di fronte alla Crisi Globale, appaiono quattro opzioni teoriche che abbiamo già indicato per i sistemi complessi: 1) che rientri tutto dopo una crisi; 2) fare un salto in avanti; 3) collasso ordinato o 4) caotico. Ora le analizzeremo per il capitalismo globale e per la società industriale.

La prima opzione è che non ci sia un cambiamento sistemico e che la Crisi Globale non vada oltre una normale crisi. Potrà accadere qualcosa come quello che abbiamo visto nella Cina imperiale, nella quale le risorse disponibili avevano un tasso di recupero rapido, principalmente per la sostenibilità dell’agricoltura, perché la base del lavoro era umana ed animale e perché le infrastrutture potevano servire da cave di nuove risorse. Questo permetteva che, dopo i periodi di crisi, arrivassero nuovi momenti di espansione. In realtà, le crisi cinesi non provenivano da un esaurimento delle risorse, ma da un leggero uso eccessivo che poteva tornare con una certa facilità a tassi sostenibili. Nessuna delle condizioni che hanno permesso alla Cina di evitare il collasso esistono oggigiorno, specialmente perché il livello di uso eccessivo delle risorse è più accentuato e il degrado ambientale molto profondo.

La seconda opzione sarebbe realizzare un salto in avanti. Per esempio, all’inizio della Rivoluzione Industriale, l’Inghilterra era di fronte ad un problema di limite delle risorse (legno). Tuttavia, non ha subito un collasso, ma ha realizzato una progressione impressionante: ha sostituito il legno con il carbone, cosa che le ha permesso inoltre di espandere l’estrazione di risorse a molti altri territori. Fare questo oggi implicherebbe cambiamenti di organizzazione a livello sociale e, soprattutto, un maggiore consumo e più intensivo. Ma questo è impossibile, specialmente sul piano materiale ed energetico, ma anche dal punto di vista economico.

Pertanto, l’unico modo di evitare il collasso caotico del capitalismo globale è ridurre la complessità in modo ordinato. Sarebbe qualcosa di simile ad una giusta decrescita (Herrero e González Reyes, 2011; González Reyes, 2012b). ma crediamo che questo non si verificherà per molteplici ragioni, nelle quali entriamo in seguito.

Non ci sono esempi storici di qualcosa di simile in società dominatrici, quelle che si potrebbero avvicinare di più, come la forte diminuzione negli stati Uniti e nel Regno Unito del consumo energetico delle loro popolazioni durante la Seconda Guerra Mondiale in modo pianificato e in grande misura volontario, non le ha rese più resilienti, poiché supponevano un aumento degli eccessi: i risparmi domestici sono stati destinati, in modo più ampio, alla guerra. Le società dominatrici in modo ricorrente sono state incapaci di affrontare le cause ultime delle crisi sistemiche.

L’opzione delle élite è quella del business as usual, con una tonalità verde, violetta o di inclusività, nel migliore dei casi. Questa intenzione di mantenere le proprie politiche della fase di crescita (potenziamento su grande scale, urbanizzazione, velocità, specializzazione, competizione), al posto di altre e più adeguate a questa congiuntura (riduzione, ruralizzazione, efficienza, cooperazione), produrrà un deterioramento ancora maggiore delle condizioni sociali, istituzionali ed ambientali e renderà più inevitabile il collasso improvviso.

[…]

In un’altra sezione, abbiamo mostrato la debolezza dei movimenti sociali rispetto al potere delle élite. Una debolezza che è anche maggiore se ci concentriamo alla sua limitazioni come capacità e desiderio di affrontare una diminuzione del consumo materiale ed energetico. Non è prevedibile che questa carenza si risolva a breve termine, fra le altre ragioni perché probabilmente le interrelazioni di tutto il sistema non si mostreranno al grande pubblico e si continuerà a presentare ogni problema in modo isolato e con una soluzione parziale. A questo si somma la penalizzazione della cooperazione nelle società capitalistiche rispetto alla gratificazione e alla competitività. Il fatto è che le classi media ed una parte sostanziosa della popolazione più sfruttata hanno aderito (o “le hanno aderite”) al mito del progresso. Questa debolezza della mobilitazione sociale ha come rovescio la sensazione di invulnerabilità nelle élite e, in parallelo, la percezione accresciuta di mancanza di potere da parte delle classi popolari, rendendo più difficile l’articolazione antagonista.

Probabilmente, la ragione più strutturale è che la giusta decrescita implicherebbe uno smontaggio ed un abbandono di gran parte dell’infrastruttura costruita (del capitale fisico), dei mezzi di riproduzione del capitale (finanziari e produttivi, soprattutto quelli globalizzati) e della cultura del progresso e della crescita. In fondo, vorrebbe dire l’abbandono della pulsione della società capitalista a non concepire ed ipotizzare i limiti ambientali ed umani.

Così, resta solo il collasso caotico, la decrescita ingiusta. Come è avvenuto in altri momenti storici di fallimento di diverse organizzazioni sociali, ci saranno forti crisi economiche e tagli nei mercati; ribellioni e cadute di regimi; riduzione della stratificazione sociale e semplificazione degli stili di vita; de-urbanizzazione; aumento delle migrazioni e diminuzione della popolazione. Anche se, all’interno di questo grande quadro ci sono molti grigi, che saranno i risultato delle articolazioni sociali che si mettono in marcia. Inoltre, questo processo potrà evolvere verso gli ecomunitarismi, come suggeriremo.

Se la decrescita ingiusta sembra la cosa più probabile, la questione seguente sarebbe chiarire quanto il cambiamento sarà profondo. Delle tre condizioni che segnaliamo (tempo di riparazione, sinergia dei cicli e grado di eccesso), le ultime due sono chiaramente presenti. Da un punto di vista panarchico, la vulnerabilità si produce in cicli distinti. Per cominciare, perché attualmente la capacità di influenza umana in questi è vitale, poiché siamo nell’Antropocene. L’essere umano è condizionato da macro sistemi come il clima e da micro sistemi come l’impollinazione delle api. Ma si verifica anche la relazione opposta, poiché le catastrofi ambientali hanno una ripercussione economica che, a sua volta, è globale e si espande in tutto il corpo sociale, nelle istituzioni e nei valori.
Abbiamo già argomentato sul grado di forzatura ecosistemica, minerale e fossile del pianeta. Così, la cosa più probabile è che questo fallimento, che si sta già producendo, sia profondo e che copra una vasta gamma di sistemi.

Inoltre, crediamo che sarà un collasso di una dimensione mai vista prima nelle società umane, poiché comporta elementi assolutamente nuovi: 1) Le società industriali sono le prime nella storia umana che non dipendono da fonti energetiche e materie prime rinnovabili, il che rende enormemente difficile la transizione e il recupero, poiché implicherà un cambiamento aggiunto della matrice energetica e materiale. 2) Il grado di complessità sociale (specializzazione, interrelazione) è molto maggiore e, di conseguenza, il percorso di semplificazione lo sarà a sua volta. 3) La centralizzazione dei nodi del sistema (concentrazione di potere) e il grado di eccesso sono qualitativamente inediti. 4) Il recupero degli ecosistemi sarà molto lento e complesso. Inoltre, probabilmente i nuovi equilibri che si raggiungono saranno diversi da quelli del passato. 5) Non solo non c’è un “fuori” nel sistema-mondo, ma non c’è un “fuori” nella Terra. Non ci saranno zone di rifugio. Così, anche se durante tutto il capitolo raccoglieremo esempi di collassi passati, questi possono illustrare solo alcuni aspetti di ciò che sta cominciando a succedere.

Tappe del collasso

I diversi sistemi che abbiamo analizzato nel libro (città, Stati, soggettività, tecnologia, economia) non collasseranno tutti insieme, ma saranno gli elementi più vulnerabili che lo faranno per primi e, a partire da quelli, si estenderà il processo mediante molteplici anelli di retroazione positiva che produrranno delle irreversibilità che renderanno impossibile tornare indietro nel cambiamento di civiltà. La velocità di caduta di ognuno dei sistemi sarà diversa, poiché le velocità dei loro cicli a loro volta lo sono. In questo modo, mentre il fallimento del sistema finanziario sarà rapido, il cambiamento delle soggettività sociali sarà più lento e l’emersione di nuovi equilibri ecosistemici e climatici molto di più. Anche se non ci sarà una sequenza chiara, ma un groviglio di processi interconnessi in parallelo, andiamo ad abbozzare una certa concatenazione di eventi. Il resto del capitolo segue, con una certa flessibilità, questa sequenza, che inoltre è l’unità di analisi che abbiamo mantenuto per tutto il libro:

  1. Fine dell’energia abbondante, concentrata ed economica come esponente del degrado della biosfera, che peggiorerà nel corso del XXI secolo.
  2. Collasso monetariofinanziario. Crisi delle banche, dei mercati speculativi e del credito. Anche delle monete globali.
  3. De-globalizzazione e decrescita. L’energia cara e lo strangolamento del credito affogheranno il commercio, specialmente quello internazionale. L’economia si rilocalizzerà e comincerà a produrre un cambiamento del metabolismo sociale. 
  4. Riduzione demografica a causa della crisi alimentare e sanitaria e delle guerre. Questa sarà una delle tappe lente che comincerà con l’aggravamento della crisi economica, delle condizioni ambientali e dall’assistenza, ma che si andrà approfondendo a seconda di come trascorrano le nuove fasi.
  5. Nuovo ordine geopolitico. Guerre per le risorse e regionalizzazione.
  6. Fallimento degli Stati fossili. Il sistema politico non sarà in grado di continuare a funzionare e perderà la propria legittimità. Lo Stato si riconfigurerà e, in alcuni territori, scomparirà. 
  7. Declino urbano. Senza ordine economico globalizzato, né stati forti Nè energia abbondante, le grandi urbe saranno abbandonate progressivamente e si trasformeranno in miniere.
  8. Incapacità di sostenere l’alta tecnologia. Perdita massiccia di informazioni e di conoscenze. Questa tappa sarà lenta e si svilupperà dopo il crollo dell’economia globale.
  9. Cambiamento dei valori dominanti. Fine del mito del progresso e nascita di nuoi riferimenti nei quali la sostenibilità e una svolta verso una concezione più collettiva dell’esistenza saranno elementi centrali, il che implicherà necessariamente una maggiore liberazione umana.
  10. Da tutto questo emergeranno nuove lotte ed articolazioni sociali che si muoveranno fra neofascismo e attenzione per la vita comunitaria. Le prime saranno maggioritarie fino al fallimento dello stato fossile. Le seconde potranno aprirsi la strada a partire da questa tappa. In qualsiasi caso, i nuovi ordini sociali non si coaguleranno finché il congiunto sociale non cambierà “dei”. 

Anche se molti dei processi sono già cominciati (fine dell’energia abbondante e a buon mercato, crollo finanziario, crisi del commercio globale, nuovo ordine geopolitico, delegittimazione degli stati), crediamo che, intorno al 2030, si produrrà un punto di inflessione nel collasso della civiltà industriale come conseguenza dell’impossibilità di evitare una brusca caduta del flusso energetico. Abbiamo già visto che, intorno a questa data se non prima, si produrrà il picco dei tre combustibili fossili e dell’uranio. Inoltre, se si considera l’EROEI, nel 2030 l’energia proveniente dal petrolio potrebbe essere un 15% di quella del picco. A partire da allora, sarà materialmente impossibile che funzioni un sistema economico globale. Ed abbiamo già analizzato che non esiste un sostituto energetico possibile al petrolio e men che meno all’insieme dei combustibili fossili, il che include i combustibili di scisto o da altre sorgenti simili. Se questo non bastasse, per il 2030 si potrebbe aver superato la soglia che porta il cambiamento climatico verso un altro stato di equilibrio del sistema Terra notevolmente più caldo (Combes e Haeringer, 2014), anche se, nell’ipotesi che la crisi economica sia molto profonda e rapida, questo potrebbe non accadere.

Fino a quel momento si cercherà di mantenere le stesse politiche di crescita, adattate e condizionate dalle circostanze, questo sì. Continueranno gli scenari business as usual e ilcapitalismo verde”. In realtà sarà solo una cosa: un business as usual con qualche tinta di transizione post-fossili, ma non post-capitalista. Le diminuzioni reali della disponibilità di combustibili fossili saranno più pronunciate di quelle che ci si attende per cause geologiche. Inoltre, la loro disponibilità sui mercati internazionali sarà minore dell’estrazione, perché progressivamente ci saranno più paesi che smettono di esportare. Per questo, avanzerà la de-globalizzazione. Gli Stati che possono, entreranno in una guerra interna ed esterna per sostenere la propria struttura, cercando di controllare la popolazione e le risorse fondamentali. Il mantenimento di queste politiche suicide comporterà che il declino energetico finisca con un collasso più brusco a partire da questo punto di inflessione che, come dicevamo, può trovarsi intorno al 2030.

Tuttavia, nei mondi contadino e indigeno meno alterati, dove già in parte ci si trova in un metabolismo non fossile, il collasso sarà molto meno brusco e gli impatti meno duri. Ci saranno anche regioni che sentiranno un alleggerimento della pressione che subiscono a livello statale ed economico. Anche se la lotta per le loro risorse naturali continuerà ad essere forte.

Più avanti di questo punto di inflessione, il carbone sarà caro e verrà esportato sempre di meno, anche se più del gas, che sarà chiaramente in declino. Il commercio internazionale di petrolio quasi scomparirà. In questo contesto, il capitalismo ed i sui possibili derivati potranno ormai mantenersi solo precariamente e in base alla violenza. Sarà a partire da allora che si materializzano gli scenari più duri, si rendono inabitabili le città e crolla Internet. Si produrrà un collasso progressivo della civiltà industriale globale. Detto collasso sarà un Lungo Declino verso società post-fossili che probabilmente durano secoli, con piccoli recuperi momentanei e periodi lunghi e profondi di depressione e crisi che produrranno delle irreversibilità.

Crediamo che le società e-comunitarie si potranno sviluppare soltanto, oltre a esperienze piccole e straordinarie o in spazi non modernizzati, quando si sia prodotto il fallimento dei poteri economici e politici, oltre il decennio del 2030. Cioè, che prima di avere un’opportunità reale di cambiamento e-comunitario bisognerà attraversare una tappa molto dura di distruzione sociale e molti livelli. Il compito dei movimenti sociali in questa fase sarà cruciale per seminare i progetti che potranno affiorare in seguito, rendere possibili le condizioni sociali perché questo sia fattibile e far sì che il collasso sia il meno profondo possibile, soprattutto a livello ecosistemico. Senza questo lavoro, è improbabile che possano sorgere queste nuove società emancipatrici. E non sarà per niente facile nemmeno dopo, anche se il contesto darà più opportunità. Ci sarà una grande diversità di organizzazioni sociali, che si potrà muovere in varietà intermedie molteplici fra ecofascismi ed ecomunitarismi.

[…]

Naturalmente, l’anno si deve intendere come un riferimento di stima. La cosa più rilevante non è se questo punto sarà nel decennio del 2030 o in quello del 2040, ma i processi che si scateneranno e che verranno vissuti da gran parte della popolazione attuale.

[…]

more

Strada obbligata.

The one way forward
Di John M. Greer
Traduzione di Jacopo Simonetta.

Ho voluto tradurre questo lungo (un po’ troppo lungo) articolo dell’ineffabile Aci-druido perché mi pare che sia particolarmente interessante.   Fra l’altro, esprime posizioni molto simili a quanto sostenuto da Serge Latouche in una conferenza tenuta a Pisa nella primavera scorsa.
Io rimango scettico per varie ragioni che esporrò in un prossimo post, ma mi pare comunque un’idea interessante.

Nota sulla traduzione:   La prosa di Greer è molto lineare nei suoi libri, ma spesso contorta nei suoi post.   In queste pagine, mi sono preso la libertà di modificare leggermente la punteggiatura e qualche giro di frase che, tradotto pedissequamente in italiano, diventava illeggibile.


Tutto considerato, il 2015 non promette di essere una buona annata per chi crede nel “business as usual”.   Dopo il post della settimana scorsa sull’Archidruid report, il partito anti-austerity Syriza ha spazzolato le elezioni in Grecia, fra l’entusiasmo di partiti simili in tutta Europa e lo sconforto della gerarchia di Bruxelles.   Questa non può rimproverare altri che se stessa per questo evento.   Oramai per più di un decennio, le politiche EU hanno effettivamente protetto le banche ed i possessori di buoni del tesoro dalla salubre disciplina del mercato, prima di ogni altra considerazione.   Ivi compresa la sopravvivenza economica di intere nazioni.    Non dovrebbe sorprendere nessuno se questo non era un approccio vitale a lungo.

Nel frattempo, la bolla del fracking continua a sgonfiarsi.   Il numero di trivelle al lavoro nei campi petroliferi americani continua a cadere verticalmente di setimana in settimana.   I licenziamenti nel settore petrolifero stanno accelerando ed il prezzo del petrolio rimane a livelli che rendono ogni espansione del fracking un benvenuto esercizio matematico per il tribunale locale.   Quei pundit mediatici che stanno ancora parlando dell’industria del  fracking stanno insistendo che il calo del prezzo del petrolio prova che loro avevano ragione e che quei maledetti eretici che parlano di picco del petrolio devono avere torto. Ma evitano di spiegare come mai i minerali di ferro, rame e molti altri dei materiali principali stanno perdendo valore ancora più in fretta del greggio.   E neppure perché la domanda di petrolio negli USA sta declinando anche lei.

Il fatto è semplicemente che un’economia industriale costruita per correre con petrolio convenzionale a buon mercato non può funzionare a lungo con petrolio costoso senza schiacciarsi il naso per terra.   Dal 2008, le nazioni industriali del mondo hanno cercato di compensare la differenza inondando le loro economie con credito a buon mercato, nella speranza che questo avrebbe potuto compensare la rapidamente crescente quantità di ricchezza reale che deve essere dirottata dagli altri scopi, nello sforzo di mantenere il flusso di combustibili liquidi al loro livello di picco.   Ora però le leggi economiche hanno chiamato il loro bluff.    Le ruote si stanno fermando in una nazione dopo l’altra ed il prezzo del petrolio (come quello di altre risorse) è sceso ad un livello che non copre i costi dell’olio di scisto, delle sabbie bituminose e cose simili.   Ciò perché tutti questi frenetici tentativi di esternalizzare i costi della produzione di energia comportano che sia l’economia globale che riceve il colpo.

Naturalmente non è così che i governi ed i media spiegano la crisi che sta emergendo.   Del resto, non c’è carenza di pundit e di gente fuori dai corridoi del potere  che ignorano il collasso generale del prezzo delle materie prime.   Fissandosi sul petrolio al di fuori del più vasto contesto dell’ esaurimento delle risorse in generale, insistono che il cambio del prezzo del petrolio sia un atto di guerra, o quel che vi pare.

Questa è una logica che i lettori di questo blog hanno visto dispiegarsi molte volte nel passato.   Qualunque cosa accada deve essere stato deciso ed attuato da esseri umani.   Uno stupefacente numero di persone in questi tempi, sembra incapace di immaginare la possibilità che fattori totalmente impersonali come le leggi dell’economia, della geologia e della termodinamica possano da sole far accadere delle cose (grassetto mio ndt.).

Il problema che fronteggiamo ora è precisamente che l’inimmaginabile è la nostra realtà.   Per un po’ troppo tempo, troppa gente ha insistito che non bisogna preoccuparsi dell’assurdità di perseguire una crescita illimitata su di un delimitato e fragile pianeta,  perché “troveranno qualcosa”.   Oppure hanno pensato che chattare sui forum internet a proposito di questo o quel pezzo di fumo tecnologico sia fare qualcosa di concreto a proposito dell’imminente collisione della nostra specie con i limiti della crescita.   Viceversa, per appena un po’ troppo tempo, non abbastanza persone hanno voluto fare qualcosa in proposito ed ora i fattori impersonali hanno occupato la sedia del conducente, dopo aver malmenato tutti noi sette miliardi ed  averci ficcati nel bagagliaio.

Come ho segnalato nel post della settimana scorsa, questo pone dei severi limiti a quello che possiamo fare nel breve termine.   Con ogni probabilità, a questo stadio del gioco, ognuno di noi incontrerà l’onda della crisi con la preparazione che si è dato; sostanziale o trascurabile che questa sia.   Sono cosciente che un certo numero dei miei lettori non sono felici di questo, ma non possono essere aiutati.   Il futuro non è tenuto ad aspettare pazientemente finché siamo pronti.
Alcuni anni fa, quando postai un testo che riassumeva la strategia che proponevo, probabilmente avrei dovuto mettere più enfasi sulla parola principale dello slogan: adesso.   Oramai quel che è fatto è fatto.

Questo non significa che siamo alla fine del mondo.    Significa che con tutta probabilità, cominciando in un qualche momento di questo anno e per parecchi anni a venire, molti dei miei lettori saranno indaffarati con gli impatti multipli di una martellante crisi economica sulla loro vita e su quella dei loro familiari, amici, comunità e datori di lavoro.   In un periodo in cui il sistema politico di gran parte del mondo industriale sarà grippato, le guerre latenti nel Medio Oriente ed in gran parte del terzo Mondo saranno in ebollizione più del solito ed il tramonto della Pax Americana spingerà  sia il governo USA che i suoi nemici ad un livello ancora maggiore di rischio.

Come esattamente questo accadrà nessuno lo sa, ma accadrà sicuramente.   E difficilmente sarà piacevole.

Intanto che ci prepariamo per il primo colpo, comunque, è utile parlare un poco a proposito di cosa accadrà dopo.    Per quanto sia lungo l’effetto domino sugli istituti finanziari coinvolti nella bolla del fracking, prima o poi cadrà l’ultimo e, dopo qualche anno, le cose torneranno ad una “nuova normalità”; anche se molto più in basso lungo la pendice della decrescita.   Non importa quante guerre per procura, colpi di stato, azioni segrete ed insurrezioni manipolate saranno lanciate dagli Stati Uniti e dai suoi rivali nella loro lotta per la supremazia; molti dei posti toccati da questi conflitti vedranno alcuni anni di guerra effettiva, con periodi di relativa pace prima e dopo. Le altre forze che guidano il collasso agiscono sostanzialmente allo stesso modo.  Il collasso è un processo frattale, non uno lineare.

Però sull’altro lato della crisi c’è qualcos’altro che “di più dello stesso”.   La discussione che vorrei cominciare a questo punto è centrata su quello che potrebbe valere la pena di fare una volta che le masse di macerie economiche, politiche e militari smetteranno di rimbalzare.   Non è troppo presto per pianificare questo. Se non altro, darà ai lettori di questo blog qualcosa cui pensare mentre staranno in coda per il pane o nascosti in cantina, mentre polizia e ribelli si scontrano in strada.   A parte questo beneficio, prima si comincia a pensare a quali opzioni saranno disponibili una volta tornata una certa stabilità, migliori saranno le probabilità di essere pronti ad agire, nella nostra vita o ad una più ampia scala.

Del resto, una delle interessanti conseguenze di ogni crisi davvero sostanziale è che ciò che era impensabile prima può non essere impensabile dopo. Leggete il brillante “The proud Tower” di Barbara Tuchman e vedrete quante delle indiscutibili certezze del 1914 erano finite nella compostiera della storia alla fine del 1945.   E quante delle idee che erano state appannaggio di frange ultraperiferiche  prima della prima guerra mondiale erano diventate buon senso comune dopo la seconda.   E’ un fenomeno comune ed io propongo qui di andare avanti lungo questa curva proponendo, come materiale grezzo di riflessione e nient’altro, qualcosa che è certamente impensabile oggi, ma che potrebbe diventare una necessità dieci o venti, o quaranta anni da ora.

Che cosa ho in mente?   Una intenzionale regressione tecnologica come politica pubblica.
Immaginate, per un momento, una nazione industriale che riduca la sua infrastruttura tecnologica approssimativamente a quel che era nel 1950.   Questo comporterebbe un drastico decremento dei consumi energetici pro-capite, sia direttamente  (la gente usava molto meno energia di tutti i tipi nel 1950), sia indirettamente ( anche la produzione di beni e servizi richiedeva molto meno energia allora).   Ciò comporterebbe parimenti una brusca riduzione dei consumi pro capite di molte risorse.    Comporterebbe anche un brusco incremento dei posti di lavoro per le classi lavoratrici.   A quei tempi, un sacco di cose oggi fatte dai robot erano fatte da esseri umani, cosicché c’erano molte più buste paga che andavano in giro il venerdì per pagare i beni e servizi che i consumatori normali comprano.   Dal momento che un flusso costante di stipendi ai lavoratori è una delle cose principali per mantenere un’economia stabile e vigorosa, questo sarebbe sicuramente un ovvio vantaggio, ma per adesso possiamo lasciare questo da parte.

Certamente il cambiamento proposto comporterebbe certi cambiamenti rispetto a come vanno adesso le cose.   Nel 1950 i viaggi in aereo erano estremamente costosi, i ricchi erano chiamati “il jet-set” perché erano gli unici che potevano comprare i biglietti.   Così tutti gli altri era costretti ad usare dei veloci, affidabili ed energicamente efficienti treni quando dovevano andare da un posto all’altro.   I Computers erano rari e costosi, il che significava, ancora una volta, che più gente aveva un lavoro.   E Significava anche quando chiamavate una ditta od un ufficio la vostra probabilità di trovare un essere umano per aiutarvi in qualunque vostro problema era considerevolmente più alta di oggi.
Mancando internet, la gente si doveva accontentare di un’ampia gamma di frequenze radio, migliaia di periodici generici o specializzati ed un sacco di librerie e biblioteche locali, zeppe di libri.  

Almeno in America, gli anni ’50 furono l’età d’oro delle biblioteche pubbliche e molte cittadine avevano delle collezioni che in questi giorni non trovate nemmeno nelle grandi città. Oh, e quelli a cui piace guardare foto di gente spogliata (che oggi hanno un grande e di solito non menzionato ruolo nel pagare internet) si dovevano accontentare di riviste indecenti che gli consegnavano in anonime buste marroni. Oppure andavano in negozietti di periferia.  Tutte cose che, comunque, non sembravano metterli in imbarazzo.

Come osservato prima, sono del tutto cosciente che un simile progetto è assolutamente impensabile oggi; che provocherebbe un’immediata reazione di superstizioso orrore.  Quindi, per prima cosa, parliamo delle obbiezioni più ovvie.  Sarebbe possibile? Sicuro.

Molto di quello che deve essere fatto sono dei semplici cambiamenti nelle leggi fiscali.   Proprio ora, negli stati uniti, una galassia di perversi regolamenti penalizzano i datori di lavoro se assumono persone ed incentivano quelli che rimpiazzano gli impiegati con delle macchine. Cambiate questo in modo che spendere di più in stipendi abbia maggior senso finanziario che spendere per automatizzare, e sarete già a metà strada.

Una revisione della politica commerciale farebbe buona parte del resto che sarebbe necessario.   Malgrado le fideistiche pretese degli economisti, quello che viene scherzosamente chiamato “mercato libero” benefica i ricchi a spese di tutti gli altri e potrebbe essere rimpiazzato da ragionevoli tariffe per sostenere la produzione domestica, contro il mercantilismo predatorio che domina l’economia globale in questi giorni.   Aggiungete a questo alte tariffe sulle importazioni di tecnologia e togliete a qualsiasi tecnologia successiva al 1950 i sontuosi sussidi che ingrassano le aziende del “Fortune 500” e di base ci siete.

Quello che rende il concetto di regressione tecnologica così intrigante, e così utile, è che non richiede di sviluppare niente di nuovo. Sappiamo già come funzionava la tecnologia del 1950. Quali sono le sue necessità di energia e risorse; quali sarebbero vantaggi e svantaggi nell’adottarle.

Un’abbondante documentazione ed una certa frazione della popolazione che ancora ricorda come funzionava renderebbero la cosa facile.   Quindi sarebbe una cosa semplice fare una lista di quel che serve, quali sarebbero costi e benefici, e come minimizzare i primi massimizzando i secondi.   Non dovremmo fare quei tentativi alla cieca e quelle ipotesi arbitrarie che sono necessarie quando si sviluppa una nuova tecnologia.  Tanto per la prima obbiezione.

Seconda domanda: ci sarebbero controindicazioni ad una deliberata regressione tecnologica?  

Certamente! Ogni tecnologia e qualsiasi gruppo di opzioni politiche ha le sue controindicazioni.   In effetti, una comune fantasia odierna pretende che sia ingiusto prendere in considerazione le controindicazioni delle nuove tecnologie ed i vantaggi delle vecchie, quando si decide se rimpiazzare una tecnologia vecchia con una più nuova. Una illusione ancora più comune pretende che non devi nemmeno decidere. Quando una nuova tecnologia emerge, si presume che tu la segua belando come tutti gli altri, senza porre alcuna domanda.

La tecnologia corrente ha immense controindicazioni.  Le tecnologie future ne avranno anche loro.   E’ solo nelle pubblicità e nelle storie di fantascienza che le tecnologie non hanno difetti. Quindi, il mero fatto che anche le tecnologie del 1950 ponevano dei problemi non è una ragione valida per scartare la regressione tecnologica. Per quanto impensabile, la domanda da porre  è se, tutto considerato, sarebbe saggio accettare le controindicazioni della tecnologia del 1950 al fine di disporre di un complesso operativo di tecnologie in grado di funzionare con molto minori consumi procapite di energia e risorse. E dunque migliori speranze di attraversare l’età dei limiti che abbiamo davanti, piuttosto che con la molto più stravagante e fragile infrastruttura tecnologica odierna.

Probabilmente è necessario parlare anche di un particolare pezzo di paralogica che emerge ogniqualvolta qualcuno suggerisce la regressione tecnologica: la nozione che se torni ad un più vecchia tecnologia, devi assumere anche le pratiche sociali e le abitudini culturali di quei tempi. Ho ricevuto molti commenti di questo tipo l’anno scorso quando ho suggerito che una tecnologia a vapore di tipo vittoriano alimentata da energia solare potrebbe essere una forma di ecotecnica del futurro. Uno stupefacente numero di persone sembravano incapace di immaginare che questo fosse possibile senza reintrodurre anche usanza vittoriane quali il lavoro infantile ed il pudore sessuale.   Per quanto sciocche, idee simili hanno radici profonde nell’immaginario moderno.

Senza dubbio, come risultato di queste profonde radici, ci sarà un sacco di gente che risponderà alla proposta che ho appena fatto che le pratiche sociali e le abitudini culturali del 1950 erano orribili, e pretendendo che queste abitudini non possono essere separate delle tecnologie in questione. Posso rispondere osservando che il 1950 non aveva un solo set di pratiche sociali e culturali. Solo negli Stati Uniti, un viaggio da Greenwich Village alla Pennsylvania rurale nel 1950 vi avrebbe fatto incontrare con notevoli diversità culturali fra persone che usavano la medesima tecnologia.

Il punto si può ribadire notando che, in quell’anno,  la stessa tecnologia era in uso a Parigi, Djakarta, Buenos Aires, Tokyo, Tangeri, Novosibirsk, Guadalajara e Lagos. E non tutti questi avevano le stesse usanze degli americani, sapete. Ma sarebbe fiato sprecato. Per i veri credenti nella religione del progresso, il passato è un ribollente calderone di eterna dannazione da cui perpetuamente ci salva il surrogato messia del progresso. Ed il futuro è il radioso paradiso, le cui porte i fedeli sperano di varcare a tempo debito. Molte persone in questi giorni non vogliono discutere questa dubbia classificazione più di quanto un contadino medioevale non fosse disposto a dubitare del miracoloso potere che si supponeva emanasse dalle ossa di S. Ethelfrith (il fondatore del regno di Northumbria, attuale Inghilterra ndt).

Niente, ma niente suscita un più superstizioso orrore nella cultura dominante del dire, cielo aiutaci, “torniamo indietro”. Anche se la tecnologia di giorni precedenti è più adatta ad un futuro di scarsità di risorse e di energia, piuttosto che l’infrastruttura che abbiamo adesso.   Anche se la tecnologia di giorni andati effettivamente fa meglio il lavoro di molte cose che abbiamo oggi,  “Non possiamo tornare indietro!” è l’angosciato grido delle masse.   Sono stati così bene imbambolati dai propagandisti del progresso che non smettono mai di pensare questo.

C’è una ricca ironia nel fatto che i circoli alternativi e d’avanguardia tendono ad essere ancora più ossessivamente fissati col dogma del progresso lineare delle masse che si presumono conformiste.  

Questa è una delle più subdole caratteristiche del mito del progresso; quando le persone diventano insoddisfatte dello status quo, il mito le convince che la sola opzione che hanno è fare esattamente quello che tutti gli altri fanno. Così, quello che era cominciato come un moto di ribellione viene cooptato in un perfetto conformismo e la società continua a marciare stupidamente lungo la traiettoria corrente.   Come i lemming di un documentario Disney, senza nemmeno chiedere cosa ci dovrebbe essere in fondo.

Questo per quanto riguarda il progresso. La parola stessa significa “movimento continuo nella medesima direzione”.  Se la direzione era una cattiva idea all’inizio, o se ha superato il punto fino a cui aveva senso, continuare ad arrancare ciecamente in avanti in un’oscurità che si addensa potrebbe non essere la migliore idea del mondo.  Rompi questa camicia di forza mentale ed una gamma di futuri possibili si schiude immediatamente.

Ad esempio, potrebbe essere che una regressione tecnologica al livello del 1950 risulti impossibile da mantenere sui tempi lunghi. Se le tecnologie del 1920 possono essere supportate con un più modesto apporto di energia che possiamo recuperare dalle fonti rinnovabili, per esempio, qualcosa di simile alla tecnologia del 1920 potrebbe essere  mantenuta sul lungo termine, senza ulteriori regressioni.

Potrebbe invece emergere che qualcosa di simile alle macchine a vapore solari che ho menzionato prima sia il livello massimo che può essere sostenuto indefinitamente.   Un’ecotecnica equivalente alla tecnologia del 1820, con mulini a vento e ad acqua come motori dell’industria, canali navigabili come principale infrastruttura di trasporto e la maggior parte della popolazione che lavora in piccole fattorie di famiglia che supportano villaggi e cittadine.

Quest’ultima opinione sembra eccessivamente deprimente?   Comparatela con un altro scenario molto probabile e potrete trovare che questa ha i suoi vantaggi.   Ad esempio, immaginiamo che cosa accadrebbe se le società industriali del mondo scommettessero per la loro sopravvivenza su di un grande balzo avanti di una non provata fonte di energia che non ripaga i suoi costi, lasciando miliardi di persone a contorcersi nel vento, senza infrastruttura tecnologica di sorta.  

Se state guidando in un vicolo cieco e vedete un muro di mattoni davanti, potete ricordarvi che strillare “non possiamo tornare indietro!” non è esattamente una buona trovata.   In una simile situazione  (e voglio suggerire che questa è un’affidabile metafora della situazione in cui siamo proprio adesso ) tornare indietro, ricercando la strada percorsa  findove necessario, è un modo per andare avanti.



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Overshoot

Da “Resource Crisis”. Traduzione di MR

Di Ugo Bardi

I tanti commenti apparsi sul Web sulla morte di William Catton, autore di “Overshoot”, mostrano quanto sia stato profondo l’impatto di questo libro in molti di noi. 

Overshoot” è stato parte di un’ondata di libri e studi degli anni 60 e 70 che ha cercato di fare i conti con le conseguenze dell’inevitabile limitazione delle risorse naturali disponibili per la specie umana. L’iniziatore della tendenza è stato, forse, Garrett Hardin col suo “La tragedia dei beni comuni” del 1968. Ancor prima, nel 1956, Marion King Hubbert aveva proposto il concetto di “picco” della produzione di petrolio, una novità notevole in un campo in cui il termine “esaurimento” era del tutto proibito. Ma Hubbert è rimasto all’interno del paradigma convenzionale, che vedeva la tecnologia come capace di risolvere tutti i problemi e credeva che l’energia nucleare sarebbe venuta in soccorso. Hardin, e più tardi Catton ed altri, invece, hanno visto la radice del problema del comportamento della specie umana: la tendenza a sfruttare eccessivamente le risorse naturali, di usare oggi ciò che dovrebbe essere lasciato per domani. Il messaggio di fondo di Overshoot è che lo sfruttamento eccessivo è una conseguenza fondamentale del modo in cui gli esseri umani si comportano nell’ecosistema. Non è una cosa che possa essere risolta dalla stregoneria tecnologica.

Potremmo paragonare Overshoot ad un altro libro che portava un messaggio simile: “I Limiti dello Sviluppo “ (crescita) del 1972. Concepiti più o meno nello stesso periodo (anche se Overshoot è stato pubblicato solo nel 1980), questi due libri possono essere visti come opposti in termini di strategie comunicative. Overshoot non è mai stato un best seller, né è stato tradotto in qualche altra lingua (eccetto, di recente, in russo e spagnolo). Invece “I Limiti dello Sviluppo” è stato venduto in milioni di copie e tradotto in quasi ogni lingua stampata esistente. Ma, di conseguenza, “I Limiti dello Sviluppo” è stato oggetto di una forte campagna di demonizzazione che ha trasformato in zimbello obbligato chiunque osasse menzionarlo in pubblico. Overshoot, invece, è sfuggito all’attenzione dei poteri forti e non ha mai ricevuto lo stesso trattamento. Così, ha silenziosamente influenzato un’intera generazione di persone che hanno capito le cause fondamentali dei nostri problemi (vedete per esempio questo commento di John Michael Greer).

Riesaminato oltre 40 anni dopo la sua concezione, Overshoot appare datato in molti dettagli ma non nel suo messaggio di fondo. La sua forza rimane quella di aver posto così apertamente e chiaramente l’essenza del problema: gli esseri umani sono parte dell’ecosistema e tendono a comportarsi di conseguenza. Cercano di espandere il più possibile e ad appropriarsi di quante più risorse possono. E’ normale: stiamo gradualmente scoprendo come le leggi della fisica e della biologia si applicano all’economia (Hardin, dopo tutto, era un biologo). Sfortunatamente, se gli esseri umani si comportano semplicemente come una delle specie dell’ecosistema, tendono ad appropriarsi di quante più risorse possono e il più rapidamente possibile. Quindi, il risultato è che il fenomeno chiamato overshoot (superamento), con la sofferenza distruzione e disastri assortiti associati, perlomeno per quel sottosistema dell’ecosistema che chiamiamo “specie umana”. Lo possiamo evitare? Finora, non sembra sia così: ci rifiutiamo persino di riconoscere che esista il problema.

D’altronde, se l’overshoot è parte del modo in cui funzionano gli ecosistemi, lo dobbiamo accettare, a prescindere da quanto possano essere negative le conseguenze, almeno dal nostro punto di vista di esseri umani. Una delle regole dell’ecosistema è che perché nasca qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio deve morire. E’ così che l’ecosistema ha funzionato per miliardi di anni. Continuerà a funzionare allo stesso modo in futuro, con o senza gli esseri umani.

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