Author: lou del bello

Perché le riserve di combustibili fossili vengono modificate e cosa significa?

Articolo di Luis
Cosin su
The Oil Crash del 14 Marzo 2012.
Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti.

Cari lettori,
Questa settimana Luis Cosin si è offerto per chiarire un tema che è solito
confondere i profani, cioè come si valutano le riserve petrolifere , cosa
significano in pratica e perché stiano cambiando così tanto. Spero che attraverso
il suo articolo monografico possiate capire meglio e a contestualizzare i tanti
annunci che oggigiorno si fanno sulle grandi scoperte di giacimenti.
Vi lascio con Luis. 

Antonio Turiel

RISERVE
DI COMBUSTIBILI FOSSILI: COSA SONO E COME SI MISURANO?

0.- INTRODUZIONE

Ultimamente c’è un gran fluire di
notizie che parlano del tema delle
riserve di combustibili fossili
che stimolano domande:
      
Perché
subiscono revisioni al rialzo ed al ribasso?
      
Si
scoprono realmente nuove riserve o sono ampliamenti di quelle esistenti?
      
Come
si possono conoscere le loro dimensioni?
      
Una
riserva di gas o di petrolio sono la stessa cosa?
      
In
definitiva: come si sommano pere e mele?
In questo articolo ho la
pretesa di descrivere brevemente il processo di formazione dei combustibili
fossili, necessario per comprendere le particolarità di ogni tipo di
giacimento, e il processo che viene seguito per scoprire nuovi giacimenti e
stimarne la prosuzione futura.

1.-
COME SI FORMANO I COMBUSTIBILI FOSSILI
I combustibili fossili sono, essenzialmente,
materia
organica
fossilizzata, proveniente da organismi
viventi. In termini quantitativi di massa, la materia vivente è composta
essenzialmente da:
                    
Glucidi (o carboidrati), che formano parte della
parete cellulare e dei tessuti strutturali dei vegetali (steli, rami, foglie,
tronco…).
                    
Lipidi (o grassi, principalmente trigliceridi) che costituiscono le
riserve di energia metabolica.
Essa contiene anche proteine
e DNA, ma in quantità che sono proporzionalmente molto piccole, irrilevanti per
l’analisi che stiamo per fare. Carboidrati e lipidi si fossilizzano in modo
diverso e portano a materiali totalmente distinti.

1.1.-
Fossilizzazione dei lipidi: il petrolio e il gas naturale

I lipidi o grassi (in gran parte trigliceridi)
sono composti ricchi di idrogeno e poveri di ossigeno. La loro formula
stechiometrica:

Cn+1H2n+2O3

E’ quasi come quella di un
idrocarburo convenzionale (C
nH2n+2) e la loro struttura è di lunghe catene di
carbonio de idrogeno collegati:

http://www.monografias.com/trabajos31/lipidos/lipidos.shtml




Struttura di un trigliceride tipico, formato da una molecola di
glicerina (3 atomi di carbonio a sinistra) e lunghe catene di carbonio e
idrogeno che possono superare i 15 o addirittura i 20 legami. I trigliceridi,
dal punto di vista chimico, ésteri di glicerina con acidi grassi di lunga
catena.

A causa della scarsa presenza di ossigeno, non fermentano, anzi, a causa del
calore e della pressione de in assenza di ossigeno sono sottoposti a due tipi
di reazione:
                    
Transesterificazione, che forma lunghe catene di idrocarburi
e che da luogo agli olii minerali (biodiesel).
                    
Rottura (“cracking”) termica o pirolisi, che produce la decomposizione termica
dei trigliceridi e di altri composti organici in molecole semplici, come
alcani, alcheni, sostanze aromatiche (componenti fondamentali del petrolio e
del gas naturale) ed acidi carbossilici.
Le molecole
piccole
, risultato del cracking (fondamentalmente metano 90-95%, etano 2-6%, e propano 1-2%), insieme ad altri gas
come elio, sulfuro di idrogeno, azoto e
marcaptani
formano quello che è conosciuto come “gas naturale”.
Per questo motivo, il gas naturale di
solito è presente nei giacimenti di petrolio e costituisce una parte fondamentale delle riserve di
combustibili fossili.

Il plancton marino e le alghe
microscopiche
accumulano grasso in grande quantità nel proprio organismo
come riserva di energia:


Per quello che si sa, sono le
principali  fonti di materia organica dalla quale
derivano il petrolio de il gas naturale che esistono attualmente.

1.2.-
Fossilizzazione degli idrati di carbonio: il carbone

Gli idrati di carbonio hanno la formula generica:

Cn+x H2nOn

Stechiometricamente, sono
quasi una combinazione di carbonio (C) de acqua (H
2O). Per questo si chiamano “idrati di
carbonio. Per questo motivo:
                    
Possono
essere fermentati a causa
dell’azione dei batteri anaerobici,
che consumano il proprio ossigeno dai carbiodrati per produrre energia,
liberando  CO
2 e H2O e incrementando gradualmente il contenuto di carbonio anella misura in cui
l’ossigeno si  esaurisce (notare che
questo non accade coi lipidi, che non fermentano). Questo processo è conosciuto
come “carbonificazione”.
                    
Inoltre,
sottoposti ad altre pressioni e temperature, subiscono una reazione di disidratazione (perdita de acqua),
perdendo carbonio elementale (cosa conosciuta anche come “carbonizzazione”).
E’ ciò che osserviamo, ad esempio quando si riscalda del legno senza farlo
ardere ho un blocco di carta. Il processo di disidratazione ad alte temperature
e quello che genera il carbone vegetale o “picón”(chiedo
scusa, ma non trovato una definizione plausibile in italiano, forse biochar,
ndT).
Per la sua abbondanza, ci
sono due tipi di idrati di carbonio che meritano una menzione speciale: la lignina e la cellulosa. La cellulosa è un polimero naturale,
formato da unità di glucosio (che è
un carboidrato) polimerizzata (connessa
l’una con l’altra in una specie di maglia estesa):




La cellulosa forma le pareti cellulari dei
vegetali. La parete di una cellula vegetale giovane contiene
approssimativamente un 40% di cellulosa; il legno circa il 50%, mentre
l’esempio di maggior purezza della cellulosa è il cotone che ne contiene in
percentuale superiore al 90%.


Da parte sua, il legno è ricco di lignina
(il nome proviene esattamente dalla parola latina “lignum”, che vuol dire
“legno”) che è un altro polimero naturale, di struttura più complessa della
cellulosa ma con una stechiometria simile (da carboidrato) ed è presente in
gran quantità nelle parti cellulari delle piante e anche le alghe dinoficee del
regno dei cromalveolati.

 Per esempio, c’è un tipo di
carbone giovane chiamato lignite,
così chiamato perché si presenta spesso con la forma del legno dal quale
proviene:



2.- COME A QUANDO SI SONO
FORMATI I COMBUSTIBILI FOSSILI

I combustibili fossili, ai
quali oggi siamo così tanto affezionati, hanno origine in due ere molto
specifiche del paleozoico: il Devoniano
e il Carbonifero
.



I diversi tipi di vita (e di
materia organica associata) presenti in questi periodi e le diverse forme in
cui si trova fossilizzata, hanno dato vita al petrolio e al  gas nel Devoniano e carbone  nel Carbonifero.

2.1.- Il Petrolio e il Gas naturale

Durante il Devoniano (nome proveniente dalla
contea del Devon, in Inghilterra), gli oceani de i fiumi si riempirono di plancton e alghe microscopiche che,
come abbiamo visto, accumulavano grandi quantità di grasso nei loro organismi.


Nella misura in cui i loro
cadaveri si andavano accumulando in bacini
sedimentari
, normalmente mari poco
profondi
e letti di fiumi, e
continuavano ad essere ricoperti da nuovi strati di sedimenti, la pressione e
la temperatura nei sedimenti più profondi aumentavano fino a che
iniziarono le reazioni di fossilizzazione che conducono alla formazione di
petroli e gas naturale. Il processo di formazione del petrolio e del gas
naturale è lento e casuale e consta dei seguenti passaggi:


                    
I
sedimenti mescolati con sabbia si depositano in un ambiente anaerobio in fondo ai bacini sedimentari marini e
fluviali.
                    
Poco
a poco, vengono ricoperti da nuovi
strati di sedimenti
, ciè che fa sì che sprofondino e che aumenti la loro pressione e temperatura.
                    
A
pressione e temperatura sufficienti, iniziano le reazioni di formazione degli idrocarburi e si trasformano a poco a
poco in sabbie bituminose. In alcuno
casi il processo avviene qui (per esempio, nei giacimenti di sabbie bituminose
del Canada).
                    
In
seguito, a pressioni anche maggiori ,
le sabbie bituminose si trasformano (si producono cambiamenti
mineralogici) dando luogo a rocce
arenarie impregnate di petrolio e gas
e si intensifica il “cracking” degli idrocarburi pesanti per
dar origine ad altri più leggeri.
                    
In
alcuni casi, a temperature troppo alte o
mantenute per troppo tempo, tutti gli idrocarburi si trasformano in gas
naturale
.  Normalmente, solo
una parte si trasforma in gas e il resto rimane come idrocarburi allo stato
liquido.
                    
Gli
idrocarburi e il gas migrano verso
l’alto
, solito perché hanno una densità minore dell’acqua e della roccia, o
meglio perché vengono trascinati e lavati dallo strato d’acqua
inferiore.


                    
La
migrazione continua fino a che:

                    
O emergono all’esterno, formando fumarole
di gas o affioramenti di bitume, come quelli che si possono vedere in certe
zone del mar Morto (da lì proviene il “Bitume della Giudea”):



                    
Oppure
rimangono intrappolati da una roccia impermeabile, chiamato roccia
“sigillo” o “trappola” (tipicamente rocce saline di antichi bacini
marini oppure rocce argillose di antichi bacini fluviali).


Di fatto, si stima che la stragrande
maggioranza del petrolio e del gas
(più del 99%!) formatosi nel tempo sia
già uscito in superficie
. Resta solo quello che, casualmente, è stato
catturato in una trappola da una roccia sigillo, tipicamente argille (in zone
fluviali) e rocce saline (in antichi mari) che sono poco permeabili. La roccia
nella quale il petrolio ed il gas restano imbrigliati si chiama roccia
“magazzino”
ed è di importanza fondamentale. Dalle sue caratteristiche
fisiche e chimiche dipende la quantità di petrolio che si potrà estrarre da
un giacimento.



Ogni petrolio ha la “sua”
ricetta e la “sua”
storia. Non ce ne sono due uguali. Anche la composizione
di ciò che si estrae dallo stesso giacimento varia nel tempo.

Per questo motivo, in senso
commerciale, si è soliti lavorare con valori medi di densità,  contenuto di zolfo…ecc. Il petrolio
commerciale è una miscela di prodotto di vari pozzi con una specifica più o
meno costante. Così, estrarre petrolio è paragonabile a questo:

 2.2.- Il Carbone

Durante il Carbonifero (letteralmente “l’età del
carbone”) gli alberi ed i vegetali legnosi di grandi dimensioni colonizzano
la terraferma e le paludi, ed i loro resti      
legno e foglie si accumulano in zone paludose, lagunari o marine
di poca profondità.


Il
processo di formazione del carbone richiede l’azione di batteri anaerobici o
calore
, è molto più semplice di quello del petrolio ed segue questi
passaggi:
                    
I vegetali
terrestri
morti, foglie, legno, cortecce e spore, ricchi in cellulosa e
carboidrati, vanno accumulandosi nel fondo di un bacino di sedimentazione,
in zone paludose, lagunari o marine di poca profondità. Rimangono coperti di
acqua e, pertanto, protetti dall’aria.
                    
I batteri
anaerobici
trasformano lentamente il materiale mediante la fermentazione,
consumando l’ossigeno della materia organica stessa, liberando CO
2 e H2O e lasciando
un residuo sempre più ricco di carbonio.
                    
In
seguito possono venire coperti da depositi argillosi provenienti da
alluvioni o inondazioni, il che contribuirà al mantenimento dell’ambiente
anaerobico adeguato perché continui il processo di carbonificazione.

Possiamo trovare diversi tipi
di carbone in funzione del grado di carbonificazione che abbia subito la
materia organica. Più o meno sono i seguenti:
                    
Antracite, che è carbonio cristallino praticamente
puro.
                    
Bituminoso con poche sostanze volatili.
                    
Bituminoso con media quantità di sostanze volatili.
                    
Bituminoso con alta quantità di sostanze volatili (carbon
fossile
).
                    
Sub-bituminoso.
                    
Lignite con una conformazione che ricorda ancora
l’origine vegetale.
                    
Torba carbone giovane mescolato con resti di vegetali non ancora
carbonificati.

Questi tipi sono abbastanza
omogenei in tutto il mondo.
Si pensa che la maggior parte
del carbone si sia formato durante il carbonifero (da 190 a 345 milioni di anni
fa).


3.- DOVE TROVARLI

Come abbiamo spiegato
nell’esposizione precedente, il petrolio e il gas naturale si trovano
in:
                    
Zone
che sono state bacini sedimentarie di mari o fiumi durante il Devoniano.
                    
Che
abbiano subito processi geologici di trasformazione delle sabbie
sedimentarie in arenaria.
                    
E
che dispongano di uno strato di roccia impermeabile che ha impedito che
gli idrocarburi formati salissero fino alla superficie.

Da parte sua, il carbone si
trova in:
                    
Zone
che sono state bacini sedimentari di mari poco profondi e paludi durante
il Carbonifero.
                    
E
che si trovino in zone dalla vegetazione abbondante durante quell’epoca.

E’ molto più abbondante del
petrolio e del gas. Di solito si trova sotto uno strato di ardesia e sopra uno
di sabbia e argilla.

4.- COME SI TROVANO

Il Dio Ade dei greci (Plutone
per i Romani) regnava nell’inframondo e custodiva con zelo i suoi tesori. Lo si
invocava colpendo il suolo con la mano o con un bastone e lanciando ogni tipo
di maledizione. Come troviamo petrolio e gas oggi?

Bene: facendo esattamente
la stessa cosa!
Anche se le maledizioni si riservano ai casi in cui si
trivella e non esce nulla. Una volta che abbiamo identificato un antico bacino
sedimentario
, una parte fondamantale dell’esplorazione consiste nel fare “mappe
degli strati profondi della crosta terrestre. Ciò si ottiene per mezzo
di tecniche sismiche:



Un dispositivo generatore di onde
sismiche
(qualcosa che colpisce il suolo o fa scoppiare piccole cariche
esplosive) genera onde che si riflettono e si rifrangono sui
diversi strati del suolo e vengono “ascoltati” da geofoni situati ad una
certa distanza dalla fonte.
Il suolo, essendo molto
denso, è un trasmettitore eccellente del suono, cosa che possiamo
verificare in estate, sulla spiaggia, mettendo l’orecchio a terra ed ascoltando
i passi di una partita di calcetto a più di 100 metri di distanza. Inoltre, la velocità
del suono è molto diversa in funzione della composizione di ciascuno
strato. .

Misurando i tempi di
ritardo delle onde nel tornare in superficie, ed essere raccolte dai diversi
geofoni, e risolvendo i sistemi di equazioni corrispondenti, si possono
redigere mappe relativamente precise dei diversi strati.


Esempi di mappe sismiche

Queste mappe sismiche non
misurano distanze, ma tempi!
Per ottenere la profondità di strato in
strato, bisogna conoscere la densità e la velocità del suono in ogni
segmento e questo si potrà fare soltanto con i primi sondaggi. I geologi
ed i geofisici passano ore davanti a questi diagrammi, assistiti da potenti
computer, per cercare di trovare le formazioni suscettibili di diventare trappole
per il petrolio
. E’ tipico il caso degli anticlinali (pieghe
convesse verso il basso) e  delle faglie
(attraverso le quali il petrolio migra verso la superficie).


Di fatto i computer moderni,
con capacità di processo impensabili qualche anno fa, hanno comportato un salto
qualitativo
nella qualità di queste analisi preliminari ed hanno migliorato
drasticamente l’affidabilità di questa tecnologia. Le più recenti scoperte
sarebbero state impossibili senza questa tecnologia, poiché
richiederebbero migliaia di milioni di ore di calcolo manuale. Una volta
localizzata una zona promettente, bisogna fare una prima perforazione… La
perforazione del primo pozzo di prova è un momento chiave.
                    
Una
perforazione onshore (sulla terra
ferma) può costare quasi un milione di dollari (senza contare i costi per
trasferire i macchinari e le infrastrutture necessarie sul posto).
                    
Una
perforazione offshore (in acqua, su
una piattaforma o una nave) può costare varie volte di più ed è alla portata
delle sole compagnie più grandi.

La media dell’industria su
scala mondiale è di una perforazione di successo ogni 15-20 perforazioni
secche
.


Va da sé che, nellla
perforazione offshore, la complessità ed il costo aumentano rapidamente
con la profondità dell’acqua. L’esplorazione in acque profonde (altezza
delle acqua superiore a 1000 metri) è diventata praticabile e ragionevolmente
sicura solo da 7-8 anni. Il carbone è, in confronto, molto più semplice
da localizzare e da estrarre . Di solito affiora in strati lungo le faglie
del terreno
e si trova fra uno strato di argilla ed uno di ardesia.

Si stima che la maggior
parte delle vene carbonifere siano ancora da scoprire
, per il fatto che non
sia vantaggioso il loro sfruttamento (sono troppo piccole o perché si trovano
troppo lontane dai centri di consumo).


5.- COME SI VALUTA LA QUANTITA’


5.1.- “Risorse” (Petrolio nel
posto”) e “riserve” non sono la stessa cosa

La quantità totale stimata
 di petrolio in un bacino, includendo
le parti estraibili e non estraibili, si chiama “risorsa” (“oil in place
in inglese). Date le caratteristiche di ogni bacino e le limitazioni delle
tecnologie di estrazione del petrolio, solo
una parte
delle risorse può essere portata in superficie. Questa parte è
denominata “riserve”. Il quoziente riserve/risorse viene chiamato fattore
di recupero,
FR (“recovery factor”, in inglese) e varia enormemente
da un posto all’altro. Dipende da:
                    
La densità del petrolio. A maggiore
densità, corrisponde maggiore difficoltà di flusso e di estrazione del
petrolio.
                    
La pressione alla quale si trovi il
bacino. A maggiore pressione corrisponde una maggiore densità del petrolio o
del gas e minori sforzi per estrarli.
                    
La porosità della roccia magazzino. A
minore porosità corrisponde una difficoltà maggiore a che il petrolio o il gas
fluiscano e saranno necessari più pozzi.
                    
La distribuzione fisica del bacino (la sua
irregolarità). Ci possono essere zone inaccessibili che richiedano la
perforazione di pozzi supplementari.
                    
La tecnologia utilizzata: in generale, il
fattore di recupero migliora se si fanno ulteriori investimenti in un bacino
come:
1. Iniezione di gas o acqua per aumentare
la pressione.
2.
Inondazione per trascinare il petrolio verso la parte superiore del
bacino.
3.
Uso di microbi anaerobici che “digeriscano” il petrolio più pesante e lo
trasformino  
     in composto più leggeri.
4.
“Fracking” (fratturazione idraulica o fisica mediante esplosioni),
consistente nel rompere la roccia magazziono per migliorare la sua porosità.
Questo tipo di tecnologia permette di estrarre petrolio e gas dall’ardesia
(“shale oil”/”shale gas”), che è una roccia molto poco permeabile. E’ un
procedimento controverso a causa della possibilità di inquinare le falde
acquifere, creare faglie e addirittura anche terremoti locali (se vi guardate
il documentario “Gasland” scoprirete che è una certezza, ndT).

In generale:
                    
Il gas naturale ha un fattore di recupero superiore
al 80%
.
                    
Le
riserve di  petrolio leggero, come
quello nigeriano, iracheno o saudita possono arrivare ad un fattore di
recupero del 50 %.
                    
Quello
del petrolio intermedio (per esempio quello del Mare del Nord), di
solito non supera il 20%,
anche se estratto con tecnologie migliorate
(“enhanced recovery”) può arrivare al 25%.
                    
E il
fattore di recupero del petrolio pesante ed extra pesante, come quello
messicano  o venezuelano, raramente
supera il 5% attualmente, a causa del fastto che lo sfruttamento non può
avvenire a cielo aperto (come nel caso delle sabbie bituminose del Canada).

Attualmente assistiamo ad un
certo “revival” di zone che erano entrate in fase di declino grazie alle nuove
tecniche di recupero avanzato (“enhanced
recovery”
). Si parla di recupero secondario o anche terziario

5.2.- Riserve provate,
probabili e possibili.

La contabilità delle riserve
di petrolio e del gas è l’incubo dell’economista con mentalità da contabile,
poiché le riserve non si sommano come euro, dollari, aautomobili o chili di
mele.
Per cominciare, i criteri per misurare la quantità stimata delle
riserve non sono uniformi ed alcune aziende petrolifere statali usano
criteri propri (non omologabili) per valutarle. Qui commenteremo gli standard
più accettati
dall’industria a livello internazionale. In funzione della
certezza con la quale si spera di trovare riserve in un giacimento, si parla di
riserve provate, probabili e possibili.
                    
Le riserve provate sono quelle certezza
superiore 90% di essere recuperate
alle condizioni tecniche e politiche attuali. Solitamente si parla di P90 o 1P.
                    
Le riserve probabili sono quelle con una
certezza superiore al 50% di
essere recuperate alle condizioni tecniche e politiche attuali. Solitamente si
parla di P50 o 2P. Cioè, sono quelle che è più probabile che esistano piuttosto
che no.
                    
Le riserve
possibili
sono come “il racconto della latteria”: sono quelle con una
certezza superiore al 10% di poter
essere recuperate. Solitamente si parla di P10
o 3P. E’ una valutazione
generosa della dimensione possibile del giacimento.


Per quello che abbiamo detto
primasui fattori di recupero, le riserve possibili sono diverse volte
superiori
a quelle probabili o provate (dell’ordine da 1 a 10 o 1 a 20). Le
compagnie (private e alcune statali) si sottomettono periodicamente a revisioni
delle riserve
per verificare la veridicità dei numeri che pubblicano. Il
problema è che due delle maggiori compagnie petrolifere statali, che si presume
accumulino più del 60% delle riserve mondiali di petrolio (non c’è bisogno di
dire quali!) e dalle quali dipende buona parte della fornitura mondiale, non
accettano di sottomettersi a questo tipo di revisione.
Si suppone che
“qualcuno” stia manipolando quei numeri, ma naturalemnte non sono di dominio
pubblico.


5.3.- Stima delle riserve di
petrolio e gas

Ci sono vari metodi per il
calcolo delle riserve e normalmente si utilizzano tutte visto che qualsiasi
informazione
che serva da contrasto aiuta nel prendere decisioni di
investimento che sono enormemente costose.


Si raggruppano in tre
categorie e tutte hanno vantaggi e svantaggi:
                    
Bilanciamento dei materiali: usa un’equazione termodinamica che
mette in relazione il volume di acqua, petrolio e gas che sono stati prodotti
nella storia del giacimento e i cambiamenti di pressione osservati nello
stesso, per dedurre il petrolio restante. Richiede una gran quantità di dati
(che non sempre sono disponibili) e serve solo per giacimenti che hanno
prodotto fra il 10 ed il 15% della propria capacità.
                    
Curva di declino: utilizza la curva di produzione storica
per stimare la produzione futura, aggiustandola ad una curva di regressione
(che di solito è iperbolica, esponenziale ed armonica). Richiede uno storico
esteso ed esaustivo perché la stima sia buona.




                    
Volumetrici: cercano di determinare la quantità di petrolio presente (“oil in place”)
utilizzando la dimensione del giacimento così come le proprietà fisiche delle
sue rocce e fluidi. Si presume quindi un fattore di recupero basato
sull’esperienza di giacimenti simili il cui comportamento è conosciuto e ciò
fornisce delle riserve stimate. Sono le più utili nel momento di prendere una
decisione di sfruttamento iniziale e di inizio vita del giacimento.

Nei metodi volumetrici, l’industria è
solita usare il seguente modello di tipo “schermata discendente” per
determinare le riserve provate, probabili e possibili:


Risorse =
Volume del giacimento (V)
            ×
Porosità
(φ)
            ×
            Saturazione degli idrocarburi (S)
            ×
            Fattore di espansione a pressione
atmosferica (N)
             ×
Fattore
di recupero (FR)

Il prodotto Risorse = V×φ× S ×N non è mai maggiore del “oil in place” che,
moltiplicato per il fattore di recupero (FR), ci dà le riserve.

Vediamo
come si determina ognuno di questi fattori:

                    
Volume del giacimento (V): abbiamo già spiegato come il petrolio
si trovi detenuto , abitualmente in una roccia impermeabile (roccia sigillo) e
uno strato d’acqua inferiore. Il presupposto è stimare tanto lo spessore dello
strato quanto la sua estensione. Per questo, i geologi sono soliti fare
affidamento su informazioni fornite per pozzi di campionamento realizzati lungo
una regione, immagini di sismica a rifrazione e correlazioni con altri
giacimenti già conosciuti ( L’industria ha dietro di sé più di 100 anni di
esperienza nel fraintendimento della valutazione della dimensione dei
giacimenti).
                    
Porosità (φ): mediante pozzi di campionamento, si
estrae materiale e si sottomette ad una analisi mineralogica per determinare la
dimensione media del poro ed il grado di connessione fra pori adiacenti. In
questo modo si valuta lo spazio reale disponibile per il petrolio ed il gas
“estraibili”.
                    
Saturazione degli  idrocarburi (S): nei giacimenti, e dovuto al processo
stesso di formazione del petrolio e del gas, questi di solito si trovano
mescolati con acqua. La saturazione in olio o gas (la percentuale in massa di
olio o gas ed acqua nella roccia)viene determinata mediante campionamenti.
                    
Fattore di espansione a pressione
atmosferica (N)
: i
giacimenti di solito si trovano sotto chilometri di roccia, a pressioni
immense, per cui il petrolio ed il gas si trovano enormemente compressi e si
espandono rapidamente nella misura in cui ascendono per il tubo mentre vengono
estratti a pressione atmosferica.


Ciò può provocare uno degli incidenti più
tipici (e pericolosi) di questo tipo di sfruttamento: il blow out
(l’esplosione):


I fattori tipici di espansione sono 100/1
o perfino 1.000/1.
                    
Fattore di recupero (FR): come abbiamo detto prima, in funzione
delle caratteristiche del giacimento citate anteriormente, si stima per
comparazione con altri simili la percentuale di risorse che è possibile
estrarre e si determinano così le riserve.

Dato che esiste un margine di
errore più o meno ampio in ognuna delle variabili precedenti, è abitudine
determinare per ognuna di esse un intervallo di sicurezza, una distribuzione di
probabilità (per esempio, triangolare, con valore minimo, massimo è più
probabile) e di usare la simulazione di Montecarlo
per ottenere una distribuzione probabilistica del prodotto. Questa
distribuzione è solita somigliare a questo (una distribuzione di tipo “beta”,
che è simile a una normale, ma  con un
valore probabile più prudente):
In generale, la conoscenza di
un giacimento migliora col suo sfruttamento e la indeterminazione iniziale va
diminuendo. Le prime stime di solito sono per difetto e le riserve di solito
col tempo,
semplicemente per aggiustamenti fra il modello teorico iniziale
conservativo e la realtà osservata. Nel 2007, la SPE (Society of Petroleum
Engineers), il WPC (World Petroleum Council), la AAPG (American Association of
Petroleum Geologists) e la SPEE (Society of Petroleum Evaluation Engineers)
hanno elaborato un sistema più sofisticato di valutazione delle riserve che
include tanto quelle provate quanto le:
                    
Contingenti: quantità di petrolio che si stima si
possano recuperare ma i cui progetti sono bloccati e che non sono state
dichiarate commerciali per cause contingenti (litigi, assenza di mercati,
tecnologia in via di sviluppo).
                    
Prospettive: quantità di petrolio che si stima si possano
recuperare ma che non sono ancora state scoperte (per esempio, le zone
circostanti ai grandi giacimenti molto produttivi) e hanno alcune possibilità
di esserlo in futuro.




5.4.- I criteri della SEC
(Secouristes and Exchange Commission)

La SEC obbliga le imprese
energetiche sono quotate nei mercati dei valori USA a calcolare le
proprie riserve in accordo con una metodologia che, in generale, sta diventando
obsoleta (le regole datano in gran parte agli anni 70). I criteri
economici
sono quelli che hanno maggior peso (la normativa è pensata
per proteggere l’azionista)  ed un
effetto perverso degli stessi è che le riserve crescono quando sale il
prezzo  e diminuiscono quando si abbassa,
il che non sembra molto ragionevole.

Recentemente sono stati fatti
alcuni cambiamenti che cercano di mitigare il ballo di cifre, poiché è
controproducente, e cercano di raccogliere in qualche modo le riserve
contingenti, anche se con criteri molto conservatori.


5.5.- Stima delle riserve di
carbone

Le riserve di carbone si
stimano in modo analogo a quelle di petrolio: mediante sismica di alta
precisione
e pozzi di sondaggio si cerca di determinare l’estensione
e lo spessore della vena e le difficoltà tecniche per estrarla. Il tipo
di sfruttamento dipenderà dal materiale e dalla sua distribuzione:

                    
Le
vene di torba e lignite, che sono geologicamente più recenti, normalmente
sono orizzontali e vicine alla superficie per non aver subito piegature e si è
soliti sfruttarli attraverso miniere a cielo aperto, un’opzione più
semplice ed economica in generale (anche se il materiale estratto ha molto meno
potere calorico per unità di massa).

                    
Quelle
di antracite e carbon fossile 
(come, ad esempio, quelle esistenti nel nord della Spagna e in gran
parte del Nord Europa) hanno molto più potere calorico, ma si trovano di solito
in strati antichi, piegati e deformati dalla tettonica, per cui il looro
sfruttamento è solita avvenire in miniere convenzionali (tunnel
sotterranei) ed è, pertanto, più costosa e pericolosa.


Finiamo con una stima attuale delle riserve di carbone:Finalizamos con una
estimación a día de hoy de las reservas de carbón:


I grandi produttori di
carbone:

more

Perché le riserve di combustibili fossili vengono modificate e cosa significa?

Articolo di Luis
Cosin su
The Oil Crash del 14 Marzo 2012.
Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti.

Cari lettori,
Questa settimana Luis Cosin si è offerto per chiarire un tema che è solito
confondere i profani, cioè come si valutano le riserve petrolifere , cosa
significano in pratica e perché stiano cambiando così tanto. Spero che attraverso
il suo articolo monografico possiate capire meglio e a contestualizzare i tanti
annunci che oggigiorno si fanno sulle grandi scoperte di giacimenti.
Vi lascio con Luis. 

Antonio Turiel

RISERVE
DI COMBUSTIBILI FOSSILI: COSA SONO E COME SI MISURANO?

0.- INTRODUZIONE

Ultimamente c’è un gran fluire di
notizie che parlano del tema delle
riserve di combustibili fossili
che stimolano domande:
      
Perché
subiscono revisioni al rialzo ed al ribasso?
      
Si
scoprono realmente nuove riserve o sono ampliamenti di quelle esistenti?
      
Come
si possono conoscere le loro dimensioni?
      
Una
riserva di gas o di petrolio sono la stessa cosa?
      
In
definitiva: come si sommano pere e mele?
In questo articolo ho la
pretesa di descrivere brevemente il processo di formazione dei combustibili
fossili, necessario per comprendere le particolarità di ogni tipo di
giacimento, e il processo che viene seguito per scoprire nuovi giacimenti e
stimarne la prosuzione futura.

1.-
COME SI FORMANO I COMBUSTIBILI FOSSILI
I combustibili fossili sono, essenzialmente,
materia
organica
fossilizzata, proveniente da organismi
viventi. In termini quantitativi di massa, la materia vivente è composta
essenzialmente da:
                    
Glucidi (o carboidrati), che formano parte della
parete cellulare e dei tessuti strutturali dei vegetali (steli, rami, foglie,
tronco…).
                    
Lipidi (o grassi, principalmente trigliceridi) che costituiscono le
riserve di energia metabolica.
Essa contiene anche proteine
e DNA, ma in quantità che sono proporzionalmente molto piccole, irrilevanti per
l’analisi che stiamo per fare. Carboidrati e lipidi si fossilizzano in modo
diverso e portano a materiali totalmente distinti.

1.1.-
Fossilizzazione dei lipidi: il petrolio e il gas naturale

I lipidi o grassi (in gran parte trigliceridi)
sono composti ricchi di idrogeno e poveri di ossigeno. La loro formula
stechiometrica:

Cn+1H2n+2O3

E’ quasi come quella di un
idrocarburo convenzionale (C
nH2n+2) e la loro struttura è di lunghe catene di
carbonio de idrogeno collegati:

http://www.monografias.com/trabajos31/lipidos/lipidos.shtml




Struttura di un trigliceride tipico, formato da una molecola di
glicerina (3 atomi di carbonio a sinistra) e lunghe catene di carbonio e
idrogeno che possono superare i 15 o addirittura i 20 legami. I trigliceridi,
dal punto di vista chimico, ésteri di glicerina con acidi grassi di lunga
catena.

A causa della scarsa presenza di ossigeno, non fermentano, anzi, a causa del
calore e della pressione de in assenza di ossigeno sono sottoposti a due tipi
di reazione:
                    
Transesterificazione, che forma lunghe catene di idrocarburi
e che da luogo agli olii minerali (biodiesel).
                    
Rottura (“cracking”) termica o pirolisi, che produce la decomposizione termica
dei trigliceridi e di altri composti organici in molecole semplici, come
alcani, alcheni, sostanze aromatiche (componenti fondamentali del petrolio e
del gas naturale) ed acidi carbossilici.
Le molecole
piccole
, risultato del cracking (fondamentalmente metano 90-95%, etano 2-6%, e propano 1-2%), insieme ad altri gas
come elio, sulfuro di idrogeno, azoto e
marcaptani
formano quello che è conosciuto come “gas naturale”.
Per questo motivo, il gas naturale di
solito è presente nei giacimenti di petrolio e costituisce una parte fondamentale delle riserve di
combustibili fossili.

Il plancton marino e le alghe
microscopiche
accumulano grasso in grande quantità nel proprio organismo
come riserva di energia:


Per quello che si sa, sono le
principali  fonti di materia organica dalla quale
derivano il petrolio de il gas naturale che esistono attualmente.

1.2.-
Fossilizzazione degli idrati di carbonio: il carbone

Gli idrati di carbonio hanno la formula generica:

Cn+x H2nOn

Stechiometricamente, sono
quasi una combinazione di carbonio (C) de acqua (H
2O). Per questo si chiamano “idrati di
carbonio. Per questo motivo:
                    
Possono
essere fermentati a causa
dell’azione dei batteri anaerobici,
che consumano il proprio ossigeno dai carbiodrati per produrre energia,
liberando  CO
2 e H2O e incrementando gradualmente il contenuto di carbonio anella misura in cui
l’ossigeno si  esaurisce (notare che
questo non accade coi lipidi, che non fermentano). Questo processo è conosciuto
come “carbonificazione”.
                    
Inoltre,
sottoposti ad altre pressioni e temperature, subiscono una reazione di disidratazione (perdita de acqua),
perdendo carbonio elementale (cosa conosciuta anche come “carbonizzazione”).
E’ ciò che osserviamo, ad esempio quando si riscalda del legno senza farlo
ardere ho un blocco di carta. Il processo di disidratazione ad alte temperature
e quello che genera il carbone vegetale o “picón”(chiedo
scusa, ma non trovato una definizione plausibile in italiano, forse biochar,
ndT).
Per la sua abbondanza, ci
sono due tipi di idrati di carbonio che meritano una menzione speciale: la lignina e la cellulosa. La cellulosa è un polimero naturale,
formato da unità di glucosio (che è
un carboidrato) polimerizzata (connessa
l’una con l’altra in una specie di maglia estesa):




La cellulosa forma le pareti cellulari dei
vegetali. La parete di una cellula vegetale giovane contiene
approssimativamente un 40% di cellulosa; il legno circa il 50%, mentre
l’esempio di maggior purezza della cellulosa è il cotone che ne contiene in
percentuale superiore al 90%.


Da parte sua, il legno è ricco di lignina
(il nome proviene esattamente dalla parola latina “lignum”, che vuol dire
“legno”) che è un altro polimero naturale, di struttura più complessa della
cellulosa ma con una stechiometria simile (da carboidrato) ed è presente in
gran quantità nelle parti cellulari delle piante e anche le alghe dinoficee del
regno dei cromalveolati.

 Per esempio, c’è un tipo di
carbone giovane chiamato lignite,
così chiamato perché si presenta spesso con la forma del legno dal quale
proviene:



2.- COME A QUANDO SI SONO
FORMATI I COMBUSTIBILI FOSSILI

I combustibili fossili, ai
quali oggi siamo così tanto affezionati, hanno origine in due ere molto
specifiche del paleozoico: il Devoniano
e il Carbonifero
.



I diversi tipi di vita (e di
materia organica associata) presenti in questi periodi e le diverse forme in
cui si trova fossilizzata, hanno dato vita al petrolio e al  gas nel Devoniano e carbone  nel Carbonifero.

2.1.- Il Petrolio e il Gas naturale

Durante il Devoniano (nome proveniente dalla
contea del Devon, in Inghilterra), gli oceani de i fiumi si riempirono di plancton e alghe microscopiche che,
come abbiamo visto, accumulavano grandi quantità di grasso nei loro organismi.


Nella misura in cui i loro
cadaveri si andavano accumulando in bacini
sedimentari
, normalmente mari poco
profondi
e letti di fiumi, e
continuavano ad essere ricoperti da nuovi strati di sedimenti, la pressione e
la temperatura nei sedimenti più profondi aumentavano fino a che
iniziarono le reazioni di fossilizzazione che conducono alla formazione di
petroli e gas naturale. Il processo di formazione del petrolio e del gas
naturale è lento e casuale e consta dei seguenti passaggi:


                    
I
sedimenti mescolati con sabbia si depositano in un ambiente anaerobio in fondo ai bacini sedimentari marini e
fluviali.
                    
Poco
a poco, vengono ricoperti da nuovi
strati di sedimenti
, ciè che fa sì che sprofondino e che aumenti la loro pressione e temperatura.
                    
A
pressione e temperatura sufficienti, iniziano le reazioni di formazione degli idrocarburi e si trasformano a poco a
poco in sabbie bituminose. In alcuno
casi il processo avviene qui (per esempio, nei giacimenti di sabbie bituminose
del Canada).
                    
In
seguito, a pressioni anche maggiori ,
le sabbie bituminose si trasformano (si producono cambiamenti
mineralogici) dando luogo a rocce
arenarie impregnate di petrolio e gas
e si intensifica il “cracking” degli idrocarburi pesanti per
dar origine ad altri più leggeri.
                    
In
alcuni casi, a temperature troppo alte o
mantenute per troppo tempo, tutti gli idrocarburi si trasformano in gas
naturale
.  Normalmente, solo
una parte si trasforma in gas e il resto rimane come idrocarburi allo stato
liquido.
                    
Gli
idrocarburi e il gas migrano verso
l’alto
, solito perché hanno una densità minore dell’acqua e della roccia, o
meglio perché vengono trascinati e lavati dallo strato d’acqua
inferiore.


                    
La
migrazione continua fino a che:

                    
O emergono all’esterno, formando fumarole
di gas o affioramenti di bitume, come quelli che si possono vedere in certe
zone del mar Morto (da lì proviene il “Bitume della Giudea”):



                    
Oppure
rimangono intrappolati da una roccia impermeabile, chiamato roccia
“sigillo” o “trappola” (tipicamente rocce saline di antichi bacini
marini oppure rocce argillose di antichi bacini fluviali).


Di fatto, si stima che la stragrande
maggioranza del petrolio e del gas
(più del 99%!) formatosi nel tempo sia
già uscito in superficie
. Resta solo quello che, casualmente, è stato
catturato in una trappola da una roccia sigillo, tipicamente argille (in zone
fluviali) e rocce saline (in antichi mari) che sono poco permeabili. La roccia
nella quale il petrolio ed il gas restano imbrigliati si chiama roccia
“magazzino”
ed è di importanza fondamentale. Dalle sue caratteristiche
fisiche e chimiche dipende la quantità di petrolio che si potrà estrarre da
un giacimento.



Ogni petrolio ha la “sua”
ricetta e la “sua”
storia. Non ce ne sono due uguali. Anche la composizione
di ciò che si estrae dallo stesso giacimento varia nel tempo.

Per questo motivo, in senso
commerciale, si è soliti lavorare con valori medi di densità,  contenuto di zolfo…ecc. Il petrolio
commerciale è una miscela di prodotto di vari pozzi con una specifica più o
meno costante. Così, estrarre petrolio è paragonabile a questo:

 2.2.- Il Carbone

Durante il Carbonifero (letteralmente “l’età del
carbone”) gli alberi ed i vegetali legnosi di grandi dimensioni colonizzano
la terraferma e le paludi, ed i loro resti      
legno e foglie si accumulano in zone paludose, lagunari o marine
di poca profondità.


Il
processo di formazione del carbone richiede l’azione di batteri anaerobici o
calore
, è molto più semplice di quello del petrolio ed segue questi
passaggi:
                    
I vegetali
terrestri
morti, foglie, legno, cortecce e spore, ricchi in cellulosa e
carboidrati, vanno accumulandosi nel fondo di un bacino di sedimentazione,
in zone paludose, lagunari o marine di poca profondità. Rimangono coperti di
acqua e, pertanto, protetti dall’aria.
                    
I batteri
anaerobici
trasformano lentamente il materiale mediante la fermentazione,
consumando l’ossigeno della materia organica stessa, liberando CO
2 e H2O e lasciando
un residuo sempre più ricco di carbonio.
                    
In
seguito possono venire coperti da depositi argillosi provenienti da
alluvioni o inondazioni, il che contribuirà al mantenimento dell’ambiente
anaerobico adeguato perché continui il processo di carbonificazione.

Possiamo trovare diversi tipi
di carbone in funzione del grado di carbonificazione che abbia subito la
materia organica. Più o meno sono i seguenti:
                    
Antracite, che è carbonio cristallino praticamente
puro.
                    
Bituminoso con poche sostanze volatili.
                    
Bituminoso con media quantità di sostanze volatili.
                    
Bituminoso con alta quantità di sostanze volatili (carbon
fossile
).
                    
Sub-bituminoso.
                    
Lignite con una conformazione che ricorda ancora
l’origine vegetale.
                    
Torba carbone giovane mescolato con resti di vegetali non ancora
carbonificati.

Questi tipi sono abbastanza
omogenei in tutto il mondo.
Si pensa che la maggior parte
del carbone si sia formato durante il carbonifero (da 190 a 345 milioni di anni
fa).


3.- DOVE TROVARLI

Come abbiamo spiegato
nell’esposizione precedente, il petrolio e il gas naturale si trovano
in:
                    
Zone
che sono state bacini sedimentarie di mari o fiumi durante il Devoniano.
                    
Che
abbiano subito processi geologici di trasformazione delle sabbie
sedimentarie in arenaria.
                    
E
che dispongano di uno strato di roccia impermeabile che ha impedito che
gli idrocarburi formati salissero fino alla superficie.

Da parte sua, il carbone si
trova in:
                    
Zone
che sono state bacini sedimentari di mari poco profondi e paludi durante
il Carbonifero.
                    
E
che si trovino in zone dalla vegetazione abbondante durante quell’epoca.

E’ molto più abbondante del
petrolio e del gas. Di solito si trova sotto uno strato di ardesia e sopra uno
di sabbia e argilla.

4.- COME SI TROVANO

Il Dio Ade dei greci (Plutone
per i Romani) regnava nell’inframondo e custodiva con zelo i suoi tesori. Lo si
invocava colpendo il suolo con la mano o con un bastone e lanciando ogni tipo
di maledizione. Come troviamo petrolio e gas oggi?

Bene: facendo esattamente
la stessa cosa!
Anche se le maledizioni si riservano ai casi in cui si
trivella e non esce nulla. Una volta che abbiamo identificato un antico bacino
sedimentario
, una parte fondamantale dell’esplorazione consiste nel fare “mappe
degli strati profondi della crosta terrestre. Ciò si ottiene per mezzo
di tecniche sismiche:



Un dispositivo generatore di onde
sismiche
(qualcosa che colpisce il suolo o fa scoppiare piccole cariche
esplosive) genera onde che si riflettono e si rifrangono sui
diversi strati del suolo e vengono “ascoltati” da geofoni situati ad una
certa distanza dalla fonte.
Il suolo, essendo molto
denso, è un trasmettitore eccellente del suono, cosa che possiamo
verificare in estate, sulla spiaggia, mettendo l’orecchio a terra ed ascoltando
i passi di una partita di calcetto a più di 100 metri di distanza. Inoltre, la velocità
del suono è molto diversa in funzione della composizione di ciascuno
strato. .

Misurando i tempi di
ritardo delle onde nel tornare in superficie, ed essere raccolte dai diversi
geofoni, e risolvendo i sistemi di equazioni corrispondenti, si possono
redigere mappe relativamente precise dei diversi strati.


Esempi di mappe sismiche

Queste mappe sismiche non
misurano distanze, ma tempi!
Per ottenere la profondità di strato in
strato, bisogna conoscere la densità e la velocità del suono in ogni
segmento e questo si potrà fare soltanto con i primi sondaggi. I geologi
ed i geofisici passano ore davanti a questi diagrammi, assistiti da potenti
computer, per cercare di trovare le formazioni suscettibili di diventare trappole
per il petrolio
. E’ tipico il caso degli anticlinali (pieghe
convesse verso il basso) e  delle faglie
(attraverso le quali il petrolio migra verso la superficie).


Di fatto i computer moderni,
con capacità di processo impensabili qualche anno fa, hanno comportato un salto
qualitativo
nella qualità di queste analisi preliminari ed hanno migliorato
drasticamente l’affidabilità di questa tecnologia. Le più recenti scoperte
sarebbero state impossibili senza questa tecnologia, poiché
richiederebbero migliaia di milioni di ore di calcolo manuale. Una volta
localizzata una zona promettente, bisogna fare una prima perforazione… La
perforazione del primo pozzo di prova è un momento chiave.
                    
Una
perforazione onshore (sulla terra
ferma) può costare quasi un milione di dollari (senza contare i costi per
trasferire i macchinari e le infrastrutture necessarie sul posto).
                    
Una
perforazione offshore (in acqua, su
una piattaforma o una nave) può costare varie volte di più ed è alla portata
delle sole compagnie più grandi.

La media dell’industria su
scala mondiale è di una perforazione di successo ogni 15-20 perforazioni
secche
.


Va da sé che, nellla
perforazione offshore, la complessità ed il costo aumentano rapidamente
con la profondità dell’acqua. L’esplorazione in acque profonde (altezza
delle acqua superiore a 1000 metri) è diventata praticabile e ragionevolmente
sicura solo da 7-8 anni. Il carbone è, in confronto, molto più semplice
da localizzare e da estrarre . Di solito affiora in strati lungo le faglie
del terreno
e si trova fra uno strato di argilla ed uno di ardesia.

Si stima che la maggior
parte delle vene carbonifere siano ancora da scoprire
, per il fatto che non
sia vantaggioso il loro sfruttamento (sono troppo piccole o perché si trovano
troppo lontane dai centri di consumo).


5.- COME SI VALUTA LA QUANTITA’


5.1.- “Risorse” (Petrolio nel
posto”) e “riserve” non sono la stessa cosa

La quantità totale stimata
 di petrolio in un bacino, includendo
le parti estraibili e non estraibili, si chiama “risorsa” (“oil in place
in inglese). Date le caratteristiche di ogni bacino e le limitazioni delle
tecnologie di estrazione del petrolio, solo
una parte
delle risorse può essere portata in superficie. Questa parte è
denominata “riserve”. Il quoziente riserve/risorse viene chiamato fattore
di recupero,
FR (“recovery factor”, in inglese) e varia enormemente
da un posto all’altro. Dipende da:
                    
La densità del petrolio. A maggiore
densità, corrisponde maggiore difficoltà di flusso e di estrazione del
petrolio.
                    
La pressione alla quale si trovi il
bacino. A maggiore pressione corrisponde una maggiore densità del petrolio o
del gas e minori sforzi per estrarli.
                    
La porosità della roccia magazzino. A
minore porosità corrisponde una difficoltà maggiore a che il petrolio o il gas
fluiscano e saranno necessari più pozzi.
                    
La distribuzione fisica del bacino (la sua
irregolarità). Ci possono essere zone inaccessibili che richiedano la
perforazione di pozzi supplementari.
                    
La tecnologia utilizzata: in generale, il
fattore di recupero migliora se si fanno ulteriori investimenti in un bacino
come:
1. Iniezione di gas o acqua per aumentare
la pressione.
2.
Inondazione per trascinare il petrolio verso la parte superiore del
bacino.
3.
Uso di microbi anaerobici che “digeriscano” il petrolio più pesante e lo
trasformino  
     in composto più leggeri.
4.
“Fracking” (fratturazione idraulica o fisica mediante esplosioni),
consistente nel rompere la roccia magazziono per migliorare la sua porosità.
Questo tipo di tecnologia permette di estrarre petrolio e gas dall’ardesia
(“shale oil”/”shale gas”), che è una roccia molto poco permeabile. E’ un
procedimento controverso a causa della possibilità di inquinare le falde
acquifere, creare faglie e addirittura anche terremoti locali (se vi guardate
il documentario “Gasland” scoprirete che è una certezza, ndT).

In generale:
                    
Il gas naturale ha un fattore di recupero superiore
al 80%
.
                    
Le
riserve di  petrolio leggero, come
quello nigeriano, iracheno o saudita possono arrivare ad un fattore di
recupero del 50 %.
                    
Quello
del petrolio intermedio (per esempio quello del Mare del Nord), di
solito non supera il 20%,
anche se estratto con tecnologie migliorate
(“enhanced recovery”) può arrivare al 25%.
                    
E il
fattore di recupero del petrolio pesante ed extra pesante, come quello
messicano  o venezuelano, raramente
supera il 5% attualmente, a causa del fastto che lo sfruttamento non può
avvenire a cielo aperto (come nel caso delle sabbie bituminose del Canada).

Attualmente assistiamo ad un
certo “revival” di zone che erano entrate in fase di declino grazie alle nuove
tecniche di recupero avanzato (“enhanced
recovery”
). Si parla di recupero secondario o anche terziario

5.2.- Riserve provate,
probabili e possibili.

La contabilità delle riserve
di petrolio e del gas è l’incubo dell’economista con mentalità da contabile,
poiché le riserve non si sommano come euro, dollari, aautomobili o chili di
mele.
Per cominciare, i criteri per misurare la quantità stimata delle
riserve non sono uniformi ed alcune aziende petrolifere statali usano
criteri propri (non omologabili) per valutarle. Qui commenteremo gli standard
più accettati
dall’industria a livello internazionale. In funzione della
certezza con la quale si spera di trovare riserve in un giacimento, si parla di
riserve provate, probabili e possibili.
                    
Le riserve provate sono quelle certezza
superiore 90% di essere recuperate
alle condizioni tecniche e politiche attuali. Solitamente si parla di P90 o 1P.
                    
Le riserve probabili sono quelle con una
certezza superiore al 50% di
essere recuperate alle condizioni tecniche e politiche attuali. Solitamente si
parla di P50 o 2P. Cioè, sono quelle che è più probabile che esistano piuttosto
che no.
                    
Le riserve
possibili
sono come “il racconto della latteria”: sono quelle con una
certezza superiore al 10% di poter
essere recuperate. Solitamente si parla di P10
o 3P. E’ una valutazione
generosa della dimensione possibile del giacimento.


Per quello che abbiamo detto
primasui fattori di recupero, le riserve possibili sono diverse volte
superiori
a quelle probabili o provate (dell’ordine da 1 a 10 o 1 a 20). Le
compagnie (private e alcune statali) si sottomettono periodicamente a revisioni
delle riserve
per verificare la veridicità dei numeri che pubblicano. Il
problema è che due delle maggiori compagnie petrolifere statali, che si presume
accumulino più del 60% delle riserve mondiali di petrolio (non c’è bisogno di
dire quali!) e dalle quali dipende buona parte della fornitura mondiale, non
accettano di sottomettersi a questo tipo di revisione.
Si suppone che
“qualcuno” stia manipolando quei numeri, ma naturalemnte non sono di dominio
pubblico.


5.3.- Stima delle riserve di
petrolio e gas

Ci sono vari metodi per il
calcolo delle riserve e normalmente si utilizzano tutte visto che qualsiasi
informazione
che serva da contrasto aiuta nel prendere decisioni di
investimento che sono enormemente costose.


Si raggruppano in tre
categorie e tutte hanno vantaggi e svantaggi:
                    
Bilanciamento dei materiali: usa un’equazione termodinamica che
mette in relazione il volume di acqua, petrolio e gas che sono stati prodotti
nella storia del giacimento e i cambiamenti di pressione osservati nello
stesso, per dedurre il petrolio restante. Richiede una gran quantità di dati
(che non sempre sono disponibili) e serve solo per giacimenti che hanno
prodotto fra il 10 ed il 15% della propria capacità.
                    
Curva di declino: utilizza la curva di produzione storica
per stimare la produzione futura, aggiustandola ad una curva di regressione
(che di solito è iperbolica, esponenziale ed armonica). Richiede uno storico
esteso ed esaustivo perché la stima sia buona.




                    
Volumetrici: cercano di determinare la quantità di petrolio presente (“oil in place”)
utilizzando la dimensione del giacimento così come le proprietà fisiche delle
sue rocce e fluidi. Si presume quindi un fattore di recupero basato
sull’esperienza di giacimenti simili il cui comportamento è conosciuto e ciò
fornisce delle riserve stimate. Sono le più utili nel momento di prendere una
decisione di sfruttamento iniziale e di inizio vita del giacimento.

Nei metodi volumetrici, l’industria è
solita usare il seguente modello di tipo “schermata discendente” per
determinare le riserve provate, probabili e possibili:


Risorse =
Volume del giacimento (V)
            ×
Porosità
(φ)
            ×
            Saturazione degli idrocarburi (S)
            ×
            Fattore di espansione a pressione
atmosferica (N)
             ×
Fattore
di recupero (FR)

Il prodotto Risorse = V×φ× S ×N non è mai maggiore del “oil in place” che,
moltiplicato per il fattore di recupero (FR), ci dà le riserve.

Vediamo
come si determina ognuno di questi fattori:

                    
Volume del giacimento (V): abbiamo già spiegato come il petrolio
si trovi detenuto , abitualmente in una roccia impermeabile (roccia sigillo) e
uno strato d’acqua inferiore. Il presupposto è stimare tanto lo spessore dello
strato quanto la sua estensione. Per questo, i geologi sono soliti fare
affidamento su informazioni fornite per pozzi di campionamento realizzati lungo
una regione, immagini di sismica a rifrazione e correlazioni con altri
giacimenti già conosciuti ( L’industria ha dietro di sé più di 100 anni di
esperienza nel fraintendimento della valutazione della dimensione dei
giacimenti).
                    
Porosità (φ): mediante pozzi di campionamento, si
estrae materiale e si sottomette ad una analisi mineralogica per determinare la
dimensione media del poro ed il grado di connessione fra pori adiacenti. In
questo modo si valuta lo spazio reale disponibile per il petrolio ed il gas
“estraibili”.
                    
Saturazione degli  idrocarburi (S): nei giacimenti, e dovuto al processo
stesso di formazione del petrolio e del gas, questi di solito si trovano
mescolati con acqua. La saturazione in olio o gas (la percentuale in massa di
olio o gas ed acqua nella roccia)viene determinata mediante campionamenti.
                    
Fattore di espansione a pressione
atmosferica (N)
: i
giacimenti di solito si trovano sotto chilometri di roccia, a pressioni
immense, per cui il petrolio ed il gas si trovano enormemente compressi e si
espandono rapidamente nella misura in cui ascendono per il tubo mentre vengono
estratti a pressione atmosferica.


Ciò può provocare uno degli incidenti più
tipici (e pericolosi) di questo tipo di sfruttamento: il blow out
(l’esplosione):


I fattori tipici di espansione sono 100/1
o perfino 1.000/1.
                    
Fattore di recupero (FR): come abbiamo detto prima, in funzione
delle caratteristiche del giacimento citate anteriormente, si stima per
comparazione con altri simili la percentuale di risorse che è possibile
estrarre e si determinano così le riserve.

Dato che esiste un margine di
errore più o meno ampio in ognuna delle variabili precedenti, è abitudine
determinare per ognuna di esse un intervallo di sicurezza, una distribuzione di
probabilità (per esempio, triangolare, con valore minimo, massimo è più
probabile) e di usare la simulazione di Montecarlo
per ottenere una distribuzione probabilistica del prodotto. Questa
distribuzione è solita somigliare a questo (una distribuzione di tipo “beta”,
che è simile a una normale, ma  con un
valore probabile più prudente):
In generale, la conoscenza di
un giacimento migliora col suo sfruttamento e la indeterminazione iniziale va
diminuendo. Le prime stime di solito sono per difetto e le riserve di solito
col tempo,
semplicemente per aggiustamenti fra il modello teorico iniziale
conservativo e la realtà osservata. Nel 2007, la SPE (Society of Petroleum
Engineers), il WPC (World Petroleum Council), la AAPG (American Association of
Petroleum Geologists) e la SPEE (Society of Petroleum Evaluation Engineers)
hanno elaborato un sistema più sofisticato di valutazione delle riserve che
include tanto quelle provate quanto le:
                    
Contingenti: quantità di petrolio che si stima si
possano recuperare ma i cui progetti sono bloccati e che non sono state
dichiarate commerciali per cause contingenti (litigi, assenza di mercati,
tecnologia in via di sviluppo).
                    
Prospettive: quantità di petrolio che si stima si possano
recuperare ma che non sono ancora state scoperte (per esempio, le zone
circostanti ai grandi giacimenti molto produttivi) e hanno alcune possibilità
di esserlo in futuro.




5.4.- I criteri della SEC
(Secouristes and Exchange Commission)

La SEC obbliga le imprese
energetiche sono quotate nei mercati dei valori USA a calcolare le
proprie riserve in accordo con una metodologia che, in generale, sta diventando
obsoleta (le regole datano in gran parte agli anni 70). I criteri
economici
sono quelli che hanno maggior peso (la normativa è pensata
per proteggere l’azionista)  ed un
effetto perverso degli stessi è che le riserve crescono quando sale il
prezzo  e diminuiscono quando si abbassa,
il che non sembra molto ragionevole.

Recentemente sono stati fatti
alcuni cambiamenti che cercano di mitigare il ballo di cifre, poiché è
controproducente, e cercano di raccogliere in qualche modo le riserve
contingenti, anche se con criteri molto conservatori.


5.5.- Stima delle riserve di
carbone

Le riserve di carbone si
stimano in modo analogo a quelle di petrolio: mediante sismica di alta
precisione
e pozzi di sondaggio si cerca di determinare l’estensione
e lo spessore della vena e le difficoltà tecniche per estrarla. Il tipo
di sfruttamento dipenderà dal materiale e dalla sua distribuzione:

                    
Le
vene di torba e lignite, che sono geologicamente più recenti, normalmente
sono orizzontali e vicine alla superficie per non aver subito piegature e si è
soliti sfruttarli attraverso miniere a cielo aperto, un’opzione più
semplice ed economica in generale (anche se il materiale estratto ha molto meno
potere calorico per unità di massa).

                    
Quelle
di antracite e carbon fossile 
(come, ad esempio, quelle esistenti nel nord della Spagna e in gran
parte del Nord Europa) hanno molto più potere calorico, ma si trovano di solito
in strati antichi, piegati e deformati dalla tettonica, per cui il looro
sfruttamento è solita avvenire in miniere convenzionali (tunnel
sotterranei) ed è, pertanto, più costosa e pericolosa.


Finiamo con una stima attuale delle riserve di carbone:Finalizamos con una
estimación a día de hoy de las reservas de carbón:


I grandi produttori di
carbone:

more

Perché le riserve di combustibili fossili vengono modificate e cosa significa?

Articolo di Luis
Cosin su
The Oil Crash del 14 Marzo 2012.
Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti.

Cari lettori,
Questa settimana Luis Cosin si è offerto per chiarire un tema che è solito
confondere i profani, cioè come si valutano le riserve petrolifere , cosa
significano in pratica e perché stiano cambiando così tanto. Spero che attraverso
il suo articolo monografico possiate capire meglio e a contestualizzare i tanti
annunci che oggigiorno si fanno sulle grandi scoperte di giacimenti.
Vi lascio con Luis. 

Antonio Turiel

RISERVE
DI COMBUSTIBILI FOSSILI: COSA SONO E COME SI MISURANO?

0.- INTRODUZIONE

Ultimamente c’è un gran fluire di
notizie che parlano del tema delle
riserve di combustibili fossili
che stimolano domande:
      
Perché
subiscono revisioni al rialzo ed al ribasso?
      
Si
scoprono realmente nuove riserve o sono ampliamenti di quelle esistenti?
      
Come
si possono conoscere le loro dimensioni?
      
Una
riserva di gas o di petrolio sono la stessa cosa?
      
In
definitiva: come si sommano pere e mele?
In questo articolo ho la
pretesa di descrivere brevemente il processo di formazione dei combustibili
fossili, necessario per comprendere le particolarità di ogni tipo di
giacimento, e il processo che viene seguito per scoprire nuovi giacimenti e
stimarne la prosuzione futura.

1.-
COME SI FORMANO I COMBUSTIBILI FOSSILI
I combustibili fossili sono, essenzialmente,
materia
organica
fossilizzata, proveniente da organismi
viventi. In termini quantitativi di massa, la materia vivente è composta
essenzialmente da:
                    
Glucidi (o carboidrati), che formano parte della
parete cellulare e dei tessuti strutturali dei vegetali (steli, rami, foglie,
tronco…).
                    
Lipidi (o grassi, principalmente trigliceridi) che costituiscono le
riserve di energia metabolica.
Essa contiene anche proteine
e DNA, ma in quantità che sono proporzionalmente molto piccole, irrilevanti per
l’analisi che stiamo per fare. Carboidrati e lipidi si fossilizzano in modo
diverso e portano a materiali totalmente distinti.

1.1.-
Fossilizzazione dei lipidi: il petrolio e il gas naturale

I lipidi o grassi (in gran parte trigliceridi)
sono composti ricchi di idrogeno e poveri di ossigeno. La loro formula
stechiometrica:

Cn+1H2n+2O3

E’ quasi come quella di un
idrocarburo convenzionale (C
nH2n+2) e la loro struttura è di lunghe catene di
carbonio de idrogeno collegati:

http://www.monografias.com/trabajos31/lipidos/lipidos.shtml




Struttura di un trigliceride tipico, formato da una molecola di
glicerina (3 atomi di carbonio a sinistra) e lunghe catene di carbonio e
idrogeno che possono superare i 15 o addirittura i 20 legami. I trigliceridi,
dal punto di vista chimico, ésteri di glicerina con acidi grassi di lunga
catena.

A causa della scarsa presenza di ossigeno, non fermentano, anzi, a causa del
calore e della pressione de in assenza di ossigeno sono sottoposti a due tipi
di reazione:
                    
Transesterificazione, che forma lunghe catene di idrocarburi
e che da luogo agli olii minerali (biodiesel).
                    
Rottura (“cracking”) termica o pirolisi, che produce la decomposizione termica
dei trigliceridi e di altri composti organici in molecole semplici, come
alcani, alcheni, sostanze aromatiche (componenti fondamentali del petrolio e
del gas naturale) ed acidi carbossilici.
Le molecole
piccole
, risultato del cracking (fondamentalmente metano 90-95%, etano 2-6%, e propano 1-2%), insieme ad altri gas
come elio, sulfuro di idrogeno, azoto e
marcaptani
formano quello che è conosciuto come “gas naturale”.
Per questo motivo, il gas naturale di
solito è presente nei giacimenti di petrolio e costituisce una parte fondamentale delle riserve di
combustibili fossili.

Il plancton marino e le alghe
microscopiche
accumulano grasso in grande quantità nel proprio organismo
come riserva di energia:


Per quello che si sa, sono le
principali  fonti di materia organica dalla quale
derivano il petrolio de il gas naturale che esistono attualmente.

1.2.-
Fossilizzazione degli idrati di carbonio: il carbone

Gli idrati di carbonio hanno la formula generica:

Cn+x H2nOn

Stechiometricamente, sono
quasi una combinazione di carbonio (C) de acqua (H
2O). Per questo si chiamano “idrati di
carbonio. Per questo motivo:
                    
Possono
essere fermentati a causa
dell’azione dei batteri anaerobici,
che consumano il proprio ossigeno dai carbiodrati per produrre energia,
liberando  CO
2 e H2O e incrementando gradualmente il contenuto di carbonio anella misura in cui
l’ossigeno si  esaurisce (notare che
questo non accade coi lipidi, che non fermentano). Questo processo è conosciuto
come “carbonificazione”.
                    
Inoltre,
sottoposti ad altre pressioni e temperature, subiscono una reazione di disidratazione (perdita de acqua),
perdendo carbonio elementale (cosa conosciuta anche come “carbonizzazione”).
E’ ciò che osserviamo, ad esempio quando si riscalda del legno senza farlo
ardere ho un blocco di carta. Il processo di disidratazione ad alte temperature
e quello che genera il carbone vegetale o “picón”(chiedo
scusa, ma non trovato una definizione plausibile in italiano, forse biochar,
ndT).
Per la sua abbondanza, ci
sono due tipi di idrati di carbonio che meritano una menzione speciale: la lignina e la cellulosa. La cellulosa è un polimero naturale,
formato da unità di glucosio (che è
un carboidrato) polimerizzata (connessa
l’una con l’altra in una specie di maglia estesa):




La cellulosa forma le pareti cellulari dei
vegetali. La parete di una cellula vegetale giovane contiene
approssimativamente un 40% di cellulosa; il legno circa il 50%, mentre
l’esempio di maggior purezza della cellulosa è il cotone che ne contiene in
percentuale superiore al 90%.


Da parte sua, il legno è ricco di lignina
(il nome proviene esattamente dalla parola latina “lignum”, che vuol dire
“legno”) che è un altro polimero naturale, di struttura più complessa della
cellulosa ma con una stechiometria simile (da carboidrato) ed è presente in
gran quantità nelle parti cellulari delle piante e anche le alghe dinoficee del
regno dei cromalveolati.

 Per esempio, c’è un tipo di
carbone giovane chiamato lignite,
così chiamato perché si presenta spesso con la forma del legno dal quale
proviene:



2.- COME A QUANDO SI SONO
FORMATI I COMBUSTIBILI FOSSILI

I combustibili fossili, ai
quali oggi siamo così tanto affezionati, hanno origine in due ere molto
specifiche del paleozoico: il Devoniano
e il Carbonifero
.



I diversi tipi di vita (e di
materia organica associata) presenti in questi periodi e le diverse forme in
cui si trova fossilizzata, hanno dato vita al petrolio e al  gas nel Devoniano e carbone  nel Carbonifero.

2.1.- Il Petrolio e il Gas naturale

Durante il Devoniano (nome proveniente dalla
contea del Devon, in Inghilterra), gli oceani de i fiumi si riempirono di plancton e alghe microscopiche che,
come abbiamo visto, accumulavano grandi quantità di grasso nei loro organismi.


Nella misura in cui i loro
cadaveri si andavano accumulando in bacini
sedimentari
, normalmente mari poco
profondi
e letti di fiumi, e
continuavano ad essere ricoperti da nuovi strati di sedimenti, la pressione e
la temperatura nei sedimenti più profondi aumentavano fino a che
iniziarono le reazioni di fossilizzazione che conducono alla formazione di
petroli e gas naturale. Il processo di formazione del petrolio e del gas
naturale è lento e casuale e consta dei seguenti passaggi:


                    
I
sedimenti mescolati con sabbia si depositano in un ambiente anaerobio in fondo ai bacini sedimentari marini e
fluviali.
                    
Poco
a poco, vengono ricoperti da nuovi
strati di sedimenti
, ciè che fa sì che sprofondino e che aumenti la loro pressione e temperatura.
                    
A
pressione e temperatura sufficienti, iniziano le reazioni di formazione degli idrocarburi e si trasformano a poco a
poco in sabbie bituminose. In alcuno
casi il processo avviene qui (per esempio, nei giacimenti di sabbie bituminose
del Canada).
                    
In
seguito, a pressioni anche maggiori ,
le sabbie bituminose si trasformano (si producono cambiamenti
mineralogici) dando luogo a rocce
arenarie impregnate di petrolio e gas
e si intensifica il “cracking” degli idrocarburi pesanti per
dar origine ad altri più leggeri.
                    
In
alcuni casi, a temperature troppo alte o
mantenute per troppo tempo, tutti gli idrocarburi si trasformano in gas
naturale
.  Normalmente, solo
una parte si trasforma in gas e il resto rimane come idrocarburi allo stato
liquido.
                    
Gli
idrocarburi e il gas migrano verso
l’alto
, solito perché hanno una densità minore dell’acqua e della roccia, o
meglio perché vengono trascinati e lavati dallo strato d’acqua
inferiore.


                    
La
migrazione continua fino a che:

                    
O emergono all’esterno, formando fumarole
di gas o affioramenti di bitume, come quelli che si possono vedere in certe
zone del mar Morto (da lì proviene il “Bitume della Giudea”):



                    
Oppure
rimangono intrappolati da una roccia impermeabile, chiamato roccia
“sigillo” o “trappola” (tipicamente rocce saline di antichi bacini
marini oppure rocce argillose di antichi bacini fluviali).


Di fatto, si stima che la stragrande
maggioranza del petrolio e del gas
(più del 99%!) formatosi nel tempo sia
già uscito in superficie
. Resta solo quello che, casualmente, è stato
catturato in una trappola da una roccia sigillo, tipicamente argille (in zone
fluviali) e rocce saline (in antichi mari) che sono poco permeabili. La roccia
nella quale il petrolio ed il gas restano imbrigliati si chiama roccia
“magazzino”
ed è di importanza fondamentale. Dalle sue caratteristiche
fisiche e chimiche dipende la quantità di petrolio che si potrà estrarre da
un giacimento.



Ogni petrolio ha la “sua”
ricetta e la “sua”
storia. Non ce ne sono due uguali. Anche la composizione
di ciò che si estrae dallo stesso giacimento varia nel tempo.

Per questo motivo, in senso
commerciale, si è soliti lavorare con valori medi di densità,  contenuto di zolfo…ecc. Il petrolio
commerciale è una miscela di prodotto di vari pozzi con una specifica più o
meno costante. Così, estrarre petrolio è paragonabile a questo:

 2.2.- Il Carbone

Durante il Carbonifero (letteralmente “l’età del
carbone”) gli alberi ed i vegetali legnosi di grandi dimensioni colonizzano
la terraferma e le paludi, ed i loro resti      
legno e foglie si accumulano in zone paludose, lagunari o marine
di poca profondità.


Il
processo di formazione del carbone richiede l’azione di batteri anaerobici o
calore
, è molto più semplice di quello del petrolio ed segue questi
passaggi:
                    
I vegetali
terrestri
morti, foglie, legno, cortecce e spore, ricchi in cellulosa e
carboidrati, vanno accumulandosi nel fondo di un bacino di sedimentazione,
in zone paludose, lagunari o marine di poca profondità. Rimangono coperti di
acqua e, pertanto, protetti dall’aria.
                    
I batteri
anaerobici
trasformano lentamente il materiale mediante la fermentazione,
consumando l’ossigeno della materia organica stessa, liberando CO
2 e H2O e lasciando
un residuo sempre più ricco di carbonio.
                    
In
seguito possono venire coperti da depositi argillosi provenienti da
alluvioni o inondazioni, il che contribuirà al mantenimento dell’ambiente
anaerobico adeguato perché continui il processo di carbonificazione.

Possiamo trovare diversi tipi
di carbone in funzione del grado di carbonificazione che abbia subito la
materia organica. Più o meno sono i seguenti:
                    
Antracite, che è carbonio cristallino praticamente
puro.
                    
Bituminoso con poche sostanze volatili.
                    
Bituminoso con media quantità di sostanze volatili.
                    
Bituminoso con alta quantità di sostanze volatili (carbon
fossile
).
                    
Sub-bituminoso.
                    
Lignite con una conformazione che ricorda ancora
l’origine vegetale.
                    
Torba carbone giovane mescolato con resti di vegetali non ancora
carbonificati.

Questi tipi sono abbastanza
omogenei in tutto il mondo.
Si pensa che la maggior parte
del carbone si sia formato durante il carbonifero (da 190 a 345 milioni di anni
fa).


3.- DOVE TROVARLI

Come abbiamo spiegato
nell’esposizione precedente, il petrolio e il gas naturale si trovano
in:
                    
Zone
che sono state bacini sedimentarie di mari o fiumi durante il Devoniano.
                    
Che
abbiano subito processi geologici di trasformazione delle sabbie
sedimentarie in arenaria.
                    
E
che dispongano di uno strato di roccia impermeabile che ha impedito che
gli idrocarburi formati salissero fino alla superficie.

Da parte sua, il carbone si
trova in:
                    
Zone
che sono state bacini sedimentari di mari poco profondi e paludi durante
il Carbonifero.
                    
E
che si trovino in zone dalla vegetazione abbondante durante quell’epoca.

E’ molto più abbondante del
petrolio e del gas. Di solito si trova sotto uno strato di ardesia e sopra uno
di sabbia e argilla.

4.- COME SI TROVANO

Il Dio Ade dei greci (Plutone
per i Romani) regnava nell’inframondo e custodiva con zelo i suoi tesori. Lo si
invocava colpendo il suolo con la mano o con un bastone e lanciando ogni tipo
di maledizione. Come troviamo petrolio e gas oggi?

Bene: facendo esattamente
la stessa cosa!
Anche se le maledizioni si riservano ai casi in cui si
trivella e non esce nulla. Una volta che abbiamo identificato un antico bacino
sedimentario
, una parte fondamantale dell’esplorazione consiste nel fare “mappe
degli strati profondi della crosta terrestre. Ciò si ottiene per mezzo
di tecniche sismiche:



Un dispositivo generatore di onde
sismiche
(qualcosa che colpisce il suolo o fa scoppiare piccole cariche
esplosive) genera onde che si riflettono e si rifrangono sui
diversi strati del suolo e vengono “ascoltati” da geofoni situati ad una
certa distanza dalla fonte.
Il suolo, essendo molto
denso, è un trasmettitore eccellente del suono, cosa che possiamo
verificare in estate, sulla spiaggia, mettendo l’orecchio a terra ed ascoltando
i passi di una partita di calcetto a più di 100 metri di distanza. Inoltre, la velocità
del suono è molto diversa in funzione della composizione di ciascuno
strato. .

Misurando i tempi di
ritardo delle onde nel tornare in superficie, ed essere raccolte dai diversi
geofoni, e risolvendo i sistemi di equazioni corrispondenti, si possono
redigere mappe relativamente precise dei diversi strati.


Esempi di mappe sismiche

Queste mappe sismiche non
misurano distanze, ma tempi!
Per ottenere la profondità di strato in
strato, bisogna conoscere la densità e la velocità del suono in ogni
segmento e questo si potrà fare soltanto con i primi sondaggi. I geologi
ed i geofisici passano ore davanti a questi diagrammi, assistiti da potenti
computer, per cercare di trovare le formazioni suscettibili di diventare trappole
per il petrolio
. E’ tipico il caso degli anticlinali (pieghe
convesse verso il basso) e  delle faglie
(attraverso le quali il petrolio migra verso la superficie).


Di fatto i computer moderni,
con capacità di processo impensabili qualche anno fa, hanno comportato un salto
qualitativo
nella qualità di queste analisi preliminari ed hanno migliorato
drasticamente l’affidabilità di questa tecnologia. Le più recenti scoperte
sarebbero state impossibili senza questa tecnologia, poiché
richiederebbero migliaia di milioni di ore di calcolo manuale. Una volta
localizzata una zona promettente, bisogna fare una prima perforazione… La
perforazione del primo pozzo di prova è un momento chiave.
                    
Una
perforazione onshore (sulla terra
ferma) può costare quasi un milione di dollari (senza contare i costi per
trasferire i macchinari e le infrastrutture necessarie sul posto).
                    
Una
perforazione offshore (in acqua, su
una piattaforma o una nave) può costare varie volte di più ed è alla portata
delle sole compagnie più grandi.

La media dell’industria su
scala mondiale è di una perforazione di successo ogni 15-20 perforazioni
secche
.


Va da sé che, nellla
perforazione offshore, la complessità ed il costo aumentano rapidamente
con la profondità dell’acqua. L’esplorazione in acque profonde (altezza
delle acqua superiore a 1000 metri) è diventata praticabile e ragionevolmente
sicura solo da 7-8 anni. Il carbone è, in confronto, molto più semplice
da localizzare e da estrarre . Di solito affiora in strati lungo le faglie
del terreno
e si trova fra uno strato di argilla ed uno di ardesia.

Si stima che la maggior
parte delle vene carbonifere siano ancora da scoprire
, per il fatto che non
sia vantaggioso il loro sfruttamento (sono troppo piccole o perché si trovano
troppo lontane dai centri di consumo).


5.- COME SI VALUTA LA QUANTITA’


5.1.- “Risorse” (Petrolio nel
posto”) e “riserve” non sono la stessa cosa

La quantità totale stimata
 di petrolio in un bacino, includendo
le parti estraibili e non estraibili, si chiama “risorsa” (“oil in place
in inglese). Date le caratteristiche di ogni bacino e le limitazioni delle
tecnologie di estrazione del petrolio, solo
una parte
delle risorse può essere portata in superficie. Questa parte è
denominata “riserve”. Il quoziente riserve/risorse viene chiamato fattore
di recupero,
FR (“recovery factor”, in inglese) e varia enormemente
da un posto all’altro. Dipende da:
                    
La densità del petrolio. A maggiore
densità, corrisponde maggiore difficoltà di flusso e di estrazione del
petrolio.
                    
La pressione alla quale si trovi il
bacino. A maggiore pressione corrisponde una maggiore densità del petrolio o
del gas e minori sforzi per estrarli.
                    
La porosità della roccia magazzino. A
minore porosità corrisponde una difficoltà maggiore a che il petrolio o il gas
fluiscano e saranno necessari più pozzi.
                    
La distribuzione fisica del bacino (la sua
irregolarità). Ci possono essere zone inaccessibili che richiedano la
perforazione di pozzi supplementari.
                    
La tecnologia utilizzata: in generale, il
fattore di recupero migliora se si fanno ulteriori investimenti in un bacino
come:
1. Iniezione di gas o acqua per aumentare
la pressione.
2.
Inondazione per trascinare il petrolio verso la parte superiore del
bacino.
3.
Uso di microbi anaerobici che “digeriscano” il petrolio più pesante e lo
trasformino  
     in composto più leggeri.
4.
“Fracking” (fratturazione idraulica o fisica mediante esplosioni),
consistente nel rompere la roccia magazziono per migliorare la sua porosità.
Questo tipo di tecnologia permette di estrarre petrolio e gas dall’ardesia
(“shale oil”/”shale gas”), che è una roccia molto poco permeabile. E’ un
procedimento controverso a causa della possibilità di inquinare le falde
acquifere, creare faglie e addirittura anche terremoti locali (se vi guardate
il documentario “Gasland” scoprirete che è una certezza, ndT).

In generale:
                    
Il gas naturale ha un fattore di recupero superiore
al 80%
.
                    
Le
riserve di  petrolio leggero, come
quello nigeriano, iracheno o saudita possono arrivare ad un fattore di
recupero del 50 %.
                    
Quello
del petrolio intermedio (per esempio quello del Mare del Nord), di
solito non supera il 20%,
anche se estratto con tecnologie migliorate
(“enhanced recovery”) può arrivare al 25%.
                    
E il
fattore di recupero del petrolio pesante ed extra pesante, come quello
messicano  o venezuelano, raramente
supera il 5% attualmente, a causa del fastto che lo sfruttamento non può
avvenire a cielo aperto (come nel caso delle sabbie bituminose del Canada).

Attualmente assistiamo ad un
certo “revival” di zone che erano entrate in fase di declino grazie alle nuove
tecniche di recupero avanzato (“enhanced
recovery”
). Si parla di recupero secondario o anche terziario

5.2.- Riserve provate,
probabili e possibili.

La contabilità delle riserve
di petrolio e del gas è l’incubo dell’economista con mentalità da contabile,
poiché le riserve non si sommano come euro, dollari, aautomobili o chili di
mele.
Per cominciare, i criteri per misurare la quantità stimata delle
riserve non sono uniformi ed alcune aziende petrolifere statali usano
criteri propri (non omologabili) per valutarle. Qui commenteremo gli standard
più accettati
dall’industria a livello internazionale. In funzione della
certezza con la quale si spera di trovare riserve in un giacimento, si parla di
riserve provate, probabili e possibili.
                    
Le riserve provate sono quelle certezza
superiore 90% di essere recuperate
alle condizioni tecniche e politiche attuali. Solitamente si parla di P90 o 1P.
                    
Le riserve probabili sono quelle con una
certezza superiore al 50% di
essere recuperate alle condizioni tecniche e politiche attuali. Solitamente si
parla di P50 o 2P. Cioè, sono quelle che è più probabile che esistano piuttosto
che no.
                    
Le riserve
possibili
sono come “il racconto della latteria”: sono quelle con una
certezza superiore al 10% di poter
essere recuperate. Solitamente si parla di P10
o 3P. E’ una valutazione
generosa della dimensione possibile del giacimento.


Per quello che abbiamo detto
primasui fattori di recupero, le riserve possibili sono diverse volte
superiori
a quelle probabili o provate (dell’ordine da 1 a 10 o 1 a 20). Le
compagnie (private e alcune statali) si sottomettono periodicamente a revisioni
delle riserve
per verificare la veridicità dei numeri che pubblicano. Il
problema è che due delle maggiori compagnie petrolifere statali, che si presume
accumulino più del 60% delle riserve mondiali di petrolio (non c’è bisogno di
dire quali!) e dalle quali dipende buona parte della fornitura mondiale, non
accettano di sottomettersi a questo tipo di revisione.
Si suppone che
“qualcuno” stia manipolando quei numeri, ma naturalemnte non sono di dominio
pubblico.


5.3.- Stima delle riserve di
petrolio e gas

Ci sono vari metodi per il
calcolo delle riserve e normalmente si utilizzano tutte visto che qualsiasi
informazione
che serva da contrasto aiuta nel prendere decisioni di
investimento che sono enormemente costose.


Si raggruppano in tre
categorie e tutte hanno vantaggi e svantaggi:
                    
Bilanciamento dei materiali: usa un’equazione termodinamica che
mette in relazione il volume di acqua, petrolio e gas che sono stati prodotti
nella storia del giacimento e i cambiamenti di pressione osservati nello
stesso, per dedurre il petrolio restante. Richiede una gran quantità di dati
(che non sempre sono disponibili) e serve solo per giacimenti che hanno
prodotto fra il 10 ed il 15% della propria capacità.
                    
Curva di declino: utilizza la curva di produzione storica
per stimare la produzione futura, aggiustandola ad una curva di regressione
(che di solito è iperbolica, esponenziale ed armonica). Richiede uno storico
esteso ed esaustivo perché la stima sia buona.




                    
Volumetrici: cercano di determinare la quantità di petrolio presente (“oil in place”)
utilizzando la dimensione del giacimento così come le proprietà fisiche delle
sue rocce e fluidi. Si presume quindi un fattore di recupero basato
sull’esperienza di giacimenti simili il cui comportamento è conosciuto e ciò
fornisce delle riserve stimate. Sono le più utili nel momento di prendere una
decisione di sfruttamento iniziale e di inizio vita del giacimento.

Nei metodi volumetrici, l’industria è
solita usare il seguente modello di tipo “schermata discendente” per
determinare le riserve provate, probabili e possibili:


Risorse =
Volume del giacimento (V)
            ×
Porosità
(φ)
            ×
            Saturazione degli idrocarburi (S)
            ×
            Fattore di espansione a pressione
atmosferica (N)
             ×
Fattore
di recupero (FR)

Il prodotto Risorse = V×φ× S ×N non è mai maggiore del “oil in place” che,
moltiplicato per il fattore di recupero (FR), ci dà le riserve.

Vediamo
come si determina ognuno di questi fattori:

                    
Volume del giacimento (V): abbiamo già spiegato come il petrolio
si trovi detenuto , abitualmente in una roccia impermeabile (roccia sigillo) e
uno strato d’acqua inferiore. Il presupposto è stimare tanto lo spessore dello
strato quanto la sua estensione. Per questo, i geologi sono soliti fare
affidamento su informazioni fornite per pozzi di campionamento realizzati lungo
una regione, immagini di sismica a rifrazione e correlazioni con altri
giacimenti già conosciuti ( L’industria ha dietro di sé più di 100 anni di
esperienza nel fraintendimento della valutazione della dimensione dei
giacimenti).
                    
Porosità (φ): mediante pozzi di campionamento, si
estrae materiale e si sottomette ad una analisi mineralogica per determinare la
dimensione media del poro ed il grado di connessione fra pori adiacenti. In
questo modo si valuta lo spazio reale disponibile per il petrolio ed il gas
“estraibili”.
                    
Saturazione degli  idrocarburi (S): nei giacimenti, e dovuto al processo
stesso di formazione del petrolio e del gas, questi di solito si trovano
mescolati con acqua. La saturazione in olio o gas (la percentuale in massa di
olio o gas ed acqua nella roccia)viene determinata mediante campionamenti.
                    
Fattore di espansione a pressione
atmosferica (N)
: i
giacimenti di solito si trovano sotto chilometri di roccia, a pressioni
immense, per cui il petrolio ed il gas si trovano enormemente compressi e si
espandono rapidamente nella misura in cui ascendono per il tubo mentre vengono
estratti a pressione atmosferica.


Ciò può provocare uno degli incidenti più
tipici (e pericolosi) di questo tipo di sfruttamento: il blow out
(l’esplosione):


I fattori tipici di espansione sono 100/1
o perfino 1.000/1.
                    
Fattore di recupero (FR): come abbiamo detto prima, in funzione
delle caratteristiche del giacimento citate anteriormente, si stima per
comparazione con altri simili la percentuale di risorse che è possibile
estrarre e si determinano così le riserve.

Dato che esiste un margine di
errore più o meno ampio in ognuna delle variabili precedenti, è abitudine
determinare per ognuna di esse un intervallo di sicurezza, una distribuzione di
probabilità (per esempio, triangolare, con valore minimo, massimo è più
probabile) e di usare la simulazione di Montecarlo
per ottenere una distribuzione probabilistica del prodotto. Questa
distribuzione è solita somigliare a questo (una distribuzione di tipo “beta”,
che è simile a una normale, ma  con un
valore probabile più prudente):
In generale, la conoscenza di
un giacimento migliora col suo sfruttamento e la indeterminazione iniziale va
diminuendo. Le prime stime di solito sono per difetto e le riserve di solito
col tempo,
semplicemente per aggiustamenti fra il modello teorico iniziale
conservativo e la realtà osservata. Nel 2007, la SPE (Society of Petroleum
Engineers), il WPC (World Petroleum Council), la AAPG (American Association of
Petroleum Geologists) e la SPEE (Society of Petroleum Evaluation Engineers)
hanno elaborato un sistema più sofisticato di valutazione delle riserve che
include tanto quelle provate quanto le:
                    
Contingenti: quantità di petrolio che si stima si
possano recuperare ma i cui progetti sono bloccati e che non sono state
dichiarate commerciali per cause contingenti (litigi, assenza di mercati,
tecnologia in via di sviluppo).
                    
Prospettive: quantità di petrolio che si stima si possano
recuperare ma che non sono ancora state scoperte (per esempio, le zone
circostanti ai grandi giacimenti molto produttivi) e hanno alcune possibilità
di esserlo in futuro.




5.4.- I criteri della SEC
(Secouristes and Exchange Commission)

La SEC obbliga le imprese
energetiche sono quotate nei mercati dei valori USA a calcolare le
proprie riserve in accordo con una metodologia che, in generale, sta diventando
obsoleta (le regole datano in gran parte agli anni 70). I criteri
economici
sono quelli che hanno maggior peso (la normativa è pensata
per proteggere l’azionista)  ed un
effetto perverso degli stessi è che le riserve crescono quando sale il
prezzo  e diminuiscono quando si abbassa,
il che non sembra molto ragionevole.

Recentemente sono stati fatti
alcuni cambiamenti che cercano di mitigare il ballo di cifre, poiché è
controproducente, e cercano di raccogliere in qualche modo le riserve
contingenti, anche se con criteri molto conservatori.


5.5.- Stima delle riserve di
carbone

Le riserve di carbone si
stimano in modo analogo a quelle di petrolio: mediante sismica di alta
precisione
e pozzi di sondaggio si cerca di determinare l’estensione
e lo spessore della vena e le difficoltà tecniche per estrarla. Il tipo
di sfruttamento dipenderà dal materiale e dalla sua distribuzione:

                    
Le
vene di torba e lignite, che sono geologicamente più recenti, normalmente
sono orizzontali e vicine alla superficie per non aver subito piegature e si è
soliti sfruttarli attraverso miniere a cielo aperto, un’opzione più
semplice ed economica in generale (anche se il materiale estratto ha molto meno
potere calorico per unità di massa).

                    
Quelle
di antracite e carbon fossile 
(come, ad esempio, quelle esistenti nel nord della Spagna e in gran
parte del Nord Europa) hanno molto più potere calorico, ma si trovano di solito
in strati antichi, piegati e deformati dalla tettonica, per cui il looro
sfruttamento è solita avvenire in miniere convenzionali (tunnel
sotterranei) ed è, pertanto, più costosa e pericolosa.


Finiamo con una stima attuale delle riserve di carbone:Finalizamos con una
estimación a día de hoy de las reservas de carbón:


I grandi produttori di
carbone:

more

Perché le riserve di combustibili fossili vengono modificate e cosa significa?

Articolo di Luis
Cosin su
The Oil Crash del 14 Marzo 2012.
Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti.

Cari lettori,
Questa settimana Luis Cosin si è offerto per chiarire un tema che è solito
confondere i profani, cioè come si valutano le riserve petrolifere , cosa
significano in pratica e perché stiano cambiando così tanto. Spero che attraverso
il suo articolo monografico possiate capire meglio e a contestualizzare i tanti
annunci che oggigiorno si fanno sulle grandi scoperte di giacimenti.
Vi lascio con Luis. 

Antonio Turiel

RISERVE
DI COMBUSTIBILI FOSSILI: COSA SONO E COME SI MISURANO?

0.- INTRODUZIONE

Ultimamente c’è un gran fluire di
notizie che parlano del tema delle
riserve di combustibili fossili
che stimolano domande:
      
Perché
subiscono revisioni al rialzo ed al ribasso?
      
Si
scoprono realmente nuove riserve o sono ampliamenti di quelle esistenti?
      
Come
si possono conoscere le loro dimensioni?
      
Una
riserva di gas o di petrolio sono la stessa cosa?
      
In
definitiva: come si sommano pere e mele?
In questo articolo ho la
pretesa di descrivere brevemente il processo di formazione dei combustibili
fossili, necessario per comprendere le particolarità di ogni tipo di
giacimento, e il processo che viene seguito per scoprire nuovi giacimenti e
stimarne la prosuzione futura.

1.-
COME SI FORMANO I COMBUSTIBILI FOSSILI
I combustibili fossili sono, essenzialmente,
materia
organica
fossilizzata, proveniente da organismi
viventi. In termini quantitativi di massa, la materia vivente è composta
essenzialmente da:
                    
Glucidi (o carboidrati), che formano parte della
parete cellulare e dei tessuti strutturali dei vegetali (steli, rami, foglie,
tronco…).
                    
Lipidi (o grassi, principalmente trigliceridi) che costituiscono le
riserve di energia metabolica.
Essa contiene anche proteine
e DNA, ma in quantità che sono proporzionalmente molto piccole, irrilevanti per
l’analisi che stiamo per fare. Carboidrati e lipidi si fossilizzano in modo
diverso e portano a materiali totalmente distinti.

1.1.-
Fossilizzazione dei lipidi: il petrolio e il gas naturale

I lipidi o grassi (in gran parte trigliceridi)
sono composti ricchi di idrogeno e poveri di ossigeno. La loro formula
stechiometrica:

Cn+1H2n+2O3

E’ quasi come quella di un
idrocarburo convenzionale (C
nH2n+2) e la loro struttura è di lunghe catene di
carbonio de idrogeno collegati:

http://www.monografias.com/trabajos31/lipidos/lipidos.shtml




Struttura di un trigliceride tipico, formato da una molecola di
glicerina (3 atomi di carbonio a sinistra) e lunghe catene di carbonio e
idrogeno che possono superare i 15 o addirittura i 20 legami. I trigliceridi,
dal punto di vista chimico, ésteri di glicerina con acidi grassi di lunga
catena.

A causa della scarsa presenza di ossigeno, non fermentano, anzi, a causa del
calore e della pressione de in assenza di ossigeno sono sottoposti a due tipi
di reazione:
                    
Transesterificazione, che forma lunghe catene di idrocarburi
e che da luogo agli olii minerali (biodiesel).
                    
Rottura (“cracking”) termica o pirolisi, che produce la decomposizione termica
dei trigliceridi e di altri composti organici in molecole semplici, come
alcani, alcheni, sostanze aromatiche (componenti fondamentali del petrolio e
del gas naturale) ed acidi carbossilici.
Le molecole
piccole
, risultato del cracking (fondamentalmente metano 90-95%, etano 2-6%, e propano 1-2%), insieme ad altri gas
come elio, sulfuro di idrogeno, azoto e
marcaptani
formano quello che è conosciuto come “gas naturale”.
Per questo motivo, il gas naturale di
solito è presente nei giacimenti di petrolio e costituisce una parte fondamentale delle riserve di
combustibili fossili.

Il plancton marino e le alghe
microscopiche
accumulano grasso in grande quantità nel proprio organismo
come riserva di energia:


Per quello che si sa, sono le
principali  fonti di materia organica dalla quale
derivano il petrolio de il gas naturale che esistono attualmente.

1.2.-
Fossilizzazione degli idrati di carbonio: il carbone

Gli idrati di carbonio hanno la formula generica:

Cn+x H2nOn

Stechiometricamente, sono
quasi una combinazione di carbonio (C) de acqua (H
2O). Per questo si chiamano “idrati di
carbonio. Per questo motivo:
                    
Possono
essere fermentati a causa
dell’azione dei batteri anaerobici,
che consumano il proprio ossigeno dai carbiodrati per produrre energia,
liberando  CO
2 e H2O e incrementando gradualmente il contenuto di carbonio anella misura in cui
l’ossigeno si  esaurisce (notare che
questo non accade coi lipidi, che non fermentano). Questo processo è conosciuto
come “carbonificazione”.
                    
Inoltre,
sottoposti ad altre pressioni e temperature, subiscono una reazione di disidratazione (perdita de acqua),
perdendo carbonio elementale (cosa conosciuta anche come “carbonizzazione”).
E’ ciò che osserviamo, ad esempio quando si riscalda del legno senza farlo
ardere ho un blocco di carta. Il processo di disidratazione ad alte temperature
e quello che genera il carbone vegetale o “picón”(chiedo
scusa, ma non trovato una definizione plausibile in italiano, forse biochar,
ndT).
Per la sua abbondanza, ci
sono due tipi di idrati di carbonio che meritano una menzione speciale: la lignina e la cellulosa. La cellulosa è un polimero naturale,
formato da unità di glucosio (che è
un carboidrato) polimerizzata (connessa
l’una con l’altra in una specie di maglia estesa):




La cellulosa forma le pareti cellulari dei
vegetali. La parete di una cellula vegetale giovane contiene
approssimativamente un 40% di cellulosa; il legno circa il 50%, mentre
l’esempio di maggior purezza della cellulosa è il cotone che ne contiene in
percentuale superiore al 90%.


Da parte sua, il legno è ricco di lignina
(il nome proviene esattamente dalla parola latina “lignum”, che vuol dire
“legno”) che è un altro polimero naturale, di struttura più complessa della
cellulosa ma con una stechiometria simile (da carboidrato) ed è presente in
gran quantità nelle parti cellulari delle piante e anche le alghe dinoficee del
regno dei cromalveolati.

 Per esempio, c’è un tipo di
carbone giovane chiamato lignite,
così chiamato perché si presenta spesso con la forma del legno dal quale
proviene:



2.- COME A QUANDO SI SONO
FORMATI I COMBUSTIBILI FOSSILI

I combustibili fossili, ai
quali oggi siamo così tanto affezionati, hanno origine in due ere molto
specifiche del paleozoico: il Devoniano
e il Carbonifero
.



I diversi tipi di vita (e di
materia organica associata) presenti in questi periodi e le diverse forme in
cui si trova fossilizzata, hanno dato vita al petrolio e al  gas nel Devoniano e carbone  nel Carbonifero.

2.1.- Il Petrolio e il Gas naturale

Durante il Devoniano (nome proveniente dalla
contea del Devon, in Inghilterra), gli oceani de i fiumi si riempirono di plancton e alghe microscopiche che,
come abbiamo visto, accumulavano grandi quantità di grasso nei loro organismi.


Nella misura in cui i loro
cadaveri si andavano accumulando in bacini
sedimentari
, normalmente mari poco
profondi
e letti di fiumi, e
continuavano ad essere ricoperti da nuovi strati di sedimenti, la pressione e
la temperatura nei sedimenti più profondi aumentavano fino a che
iniziarono le reazioni di fossilizzazione che conducono alla formazione di
petroli e gas naturale. Il processo di formazione del petrolio e del gas
naturale è lento e casuale e consta dei seguenti passaggi:


                    
I
sedimenti mescolati con sabbia si depositano in un ambiente anaerobio in fondo ai bacini sedimentari marini e
fluviali.
                    
Poco
a poco, vengono ricoperti da nuovi
strati di sedimenti
, ciè che fa sì che sprofondino e che aumenti la loro pressione e temperatura.
                    
A
pressione e temperatura sufficienti, iniziano le reazioni di formazione degli idrocarburi e si trasformano a poco a
poco in sabbie bituminose. In alcuno
casi il processo avviene qui (per esempio, nei giacimenti di sabbie bituminose
del Canada).
                    
In
seguito, a pressioni anche maggiori ,
le sabbie bituminose si trasformano (si producono cambiamenti
mineralogici) dando luogo a rocce
arenarie impregnate di petrolio e gas
e si intensifica il “cracking” degli idrocarburi pesanti per
dar origine ad altri più leggeri.
                    
In
alcuni casi, a temperature troppo alte o
mantenute per troppo tempo, tutti gli idrocarburi si trasformano in gas
naturale
.  Normalmente, solo
una parte si trasforma in gas e il resto rimane come idrocarburi allo stato
liquido.
                    
Gli
idrocarburi e il gas migrano verso
l’alto
, solito perché hanno una densità minore dell’acqua e della roccia, o
meglio perché vengono trascinati e lavati dallo strato d’acqua
inferiore.


                    
La
migrazione continua fino a che:

                    
O emergono all’esterno, formando fumarole
di gas o affioramenti di bitume, come quelli che si possono vedere in certe
zone del mar Morto (da lì proviene il “Bitume della Giudea”):



                    
Oppure
rimangono intrappolati da una roccia impermeabile, chiamato roccia
“sigillo” o “trappola” (tipicamente rocce saline di antichi bacini
marini oppure rocce argillose di antichi bacini fluviali).


Di fatto, si stima che la stragrande
maggioranza del petrolio e del gas
(più del 99%!) formatosi nel tempo sia
già uscito in superficie
. Resta solo quello che, casualmente, è stato
catturato in una trappola da una roccia sigillo, tipicamente argille (in zone
fluviali) e rocce saline (in antichi mari) che sono poco permeabili. La roccia
nella quale il petrolio ed il gas restano imbrigliati si chiama roccia
“magazzino”
ed è di importanza fondamentale. Dalle sue caratteristiche
fisiche e chimiche dipende la quantità di petrolio che si potrà estrarre da
un giacimento.



Ogni petrolio ha la “sua”
ricetta e la “sua”
storia. Non ce ne sono due uguali. Anche la composizione
di ciò che si estrae dallo stesso giacimento varia nel tempo.

Per questo motivo, in senso
commerciale, si è soliti lavorare con valori medi di densità,  contenuto di zolfo…ecc. Il petrolio
commerciale è una miscela di prodotto di vari pozzi con una specifica più o
meno costante. Così, estrarre petrolio è paragonabile a questo:

 2.2.- Il Carbone

Durante il Carbonifero (letteralmente “l’età del
carbone”) gli alberi ed i vegetali legnosi di grandi dimensioni colonizzano
la terraferma e le paludi, ed i loro resti      
legno e foglie si accumulano in zone paludose, lagunari o marine
di poca profondità.


Il
processo di formazione del carbone richiede l’azione di batteri anaerobici o
calore
, è molto più semplice di quello del petrolio ed segue questi
passaggi:
                    
I vegetali
terrestri
morti, foglie, legno, cortecce e spore, ricchi in cellulosa e
carboidrati, vanno accumulandosi nel fondo di un bacino di sedimentazione,
in zone paludose, lagunari o marine di poca profondità. Rimangono coperti di
acqua e, pertanto, protetti dall’aria.
                    
I batteri
anaerobici
trasformano lentamente il materiale mediante la fermentazione,
consumando l’ossigeno della materia organica stessa, liberando CO
2 e H2O e lasciando
un residuo sempre più ricco di carbonio.
                    
In
seguito possono venire coperti da depositi argillosi provenienti da
alluvioni o inondazioni, il che contribuirà al mantenimento dell’ambiente
anaerobico adeguato perché continui il processo di carbonificazione.

Possiamo trovare diversi tipi
di carbone in funzione del grado di carbonificazione che abbia subito la
materia organica. Più o meno sono i seguenti:
                    
Antracite, che è carbonio cristallino praticamente
puro.
                    
Bituminoso con poche sostanze volatili.
                    
Bituminoso con media quantità di sostanze volatili.
                    
Bituminoso con alta quantità di sostanze volatili (carbon
fossile
).
                    
Sub-bituminoso.
                    
Lignite con una conformazione che ricorda ancora
l’origine vegetale.
                    
Torba carbone giovane mescolato con resti di vegetali non ancora
carbonificati.

Questi tipi sono abbastanza
omogenei in tutto il mondo.
Si pensa che la maggior parte
del carbone si sia formato durante il carbonifero (da 190 a 345 milioni di anni
fa).


3.- DOVE TROVARLI

Come abbiamo spiegato
nell’esposizione precedente, il petrolio e il gas naturale si trovano
in:
                    
Zone
che sono state bacini sedimentarie di mari o fiumi durante il Devoniano.
                    
Che
abbiano subito processi geologici di trasformazione delle sabbie
sedimentarie in arenaria.
                    
E
che dispongano di uno strato di roccia impermeabile che ha impedito che
gli idrocarburi formati salissero fino alla superficie.

Da parte sua, il carbone si
trova in:
                    
Zone
che sono state bacini sedimentari di mari poco profondi e paludi durante
il Carbonifero.
                    
E
che si trovino in zone dalla vegetazione abbondante durante quell’epoca.

E’ molto più abbondante del
petrolio e del gas. Di solito si trova sotto uno strato di ardesia e sopra uno
di sabbia e argilla.

4.- COME SI TROVANO

Il Dio Ade dei greci (Plutone
per i Romani) regnava nell’inframondo e custodiva con zelo i suoi tesori. Lo si
invocava colpendo il suolo con la mano o con un bastone e lanciando ogni tipo
di maledizione. Come troviamo petrolio e gas oggi?

Bene: facendo esattamente
la stessa cosa!
Anche se le maledizioni si riservano ai casi in cui si
trivella e non esce nulla. Una volta che abbiamo identificato un antico bacino
sedimentario
, una parte fondamantale dell’esplorazione consiste nel fare “mappe
degli strati profondi della crosta terrestre. Ciò si ottiene per mezzo
di tecniche sismiche:



Un dispositivo generatore di onde
sismiche
(qualcosa che colpisce il suolo o fa scoppiare piccole cariche
esplosive) genera onde che si riflettono e si rifrangono sui
diversi strati del suolo e vengono “ascoltati” da geofoni situati ad una
certa distanza dalla fonte.
Il suolo, essendo molto
denso, è un trasmettitore eccellente del suono, cosa che possiamo
verificare in estate, sulla spiaggia, mettendo l’orecchio a terra ed ascoltando
i passi di una partita di calcetto a più di 100 metri di distanza. Inoltre, la velocità
del suono è molto diversa in funzione della composizione di ciascuno
strato. .

Misurando i tempi di
ritardo delle onde nel tornare in superficie, ed essere raccolte dai diversi
geofoni, e risolvendo i sistemi di equazioni corrispondenti, si possono
redigere mappe relativamente precise dei diversi strati.


Esempi di mappe sismiche

Queste mappe sismiche non
misurano distanze, ma tempi!
Per ottenere la profondità di strato in
strato, bisogna conoscere la densità e la velocità del suono in ogni
segmento e questo si potrà fare soltanto con i primi sondaggi. I geologi
ed i geofisici passano ore davanti a questi diagrammi, assistiti da potenti
computer, per cercare di trovare le formazioni suscettibili di diventare trappole
per il petrolio
. E’ tipico il caso degli anticlinali (pieghe
convesse verso il basso) e  delle faglie
(attraverso le quali il petrolio migra verso la superficie).


Di fatto i computer moderni,
con capacità di processo impensabili qualche anno fa, hanno comportato un salto
qualitativo
nella qualità di queste analisi preliminari ed hanno migliorato
drasticamente l’affidabilità di questa tecnologia. Le più recenti scoperte
sarebbero state impossibili senza questa tecnologia, poiché
richiederebbero migliaia di milioni di ore di calcolo manuale. Una volta
localizzata una zona promettente, bisogna fare una prima perforazione… La
perforazione del primo pozzo di prova è un momento chiave.
                    
Una
perforazione onshore (sulla terra
ferma) può costare quasi un milione di dollari (senza contare i costi per
trasferire i macchinari e le infrastrutture necessarie sul posto).
                    
Una
perforazione offshore (in acqua, su
una piattaforma o una nave) può costare varie volte di più ed è alla portata
delle sole compagnie più grandi.

La media dell’industria su
scala mondiale è di una perforazione di successo ogni 15-20 perforazioni
secche
.


Va da sé che, nellla
perforazione offshore, la complessità ed il costo aumentano rapidamente
con la profondità dell’acqua. L’esplorazione in acque profonde (altezza
delle acqua superiore a 1000 metri) è diventata praticabile e ragionevolmente
sicura solo da 7-8 anni. Il carbone è, in confronto, molto più semplice
da localizzare e da estrarre . Di solito affiora in strati lungo le faglie
del terreno
e si trova fra uno strato di argilla ed uno di ardesia.

Si stima che la maggior
parte delle vene carbonifere siano ancora da scoprire
, per il fatto che non
sia vantaggioso il loro sfruttamento (sono troppo piccole o perché si trovano
troppo lontane dai centri di consumo).


5.- COME SI VALUTA LA QUANTITA’


5.1.- “Risorse” (Petrolio nel
posto”) e “riserve” non sono la stessa cosa

La quantità totale stimata
 di petrolio in un bacino, includendo
le parti estraibili e non estraibili, si chiama “risorsa” (“oil in place
in inglese). Date le caratteristiche di ogni bacino e le limitazioni delle
tecnologie di estrazione del petrolio, solo
una parte
delle risorse può essere portata in superficie. Questa parte è
denominata “riserve”. Il quoziente riserve/risorse viene chiamato fattore
di recupero,
FR (“recovery factor”, in inglese) e varia enormemente
da un posto all’altro. Dipende da:
                    
La densità del petrolio. A maggiore
densità, corrisponde maggiore difficoltà di flusso e di estrazione del
petrolio.
                    
La pressione alla quale si trovi il
bacino. A maggiore pressione corrisponde una maggiore densità del petrolio o
del gas e minori sforzi per estrarli.
                    
La porosità della roccia magazzino. A
minore porosità corrisponde una difficoltà maggiore a che il petrolio o il gas
fluiscano e saranno necessari più pozzi.
                    
La distribuzione fisica del bacino (la sua
irregolarità). Ci possono essere zone inaccessibili che richiedano la
perforazione di pozzi supplementari.
                    
La tecnologia utilizzata: in generale, il
fattore di recupero migliora se si fanno ulteriori investimenti in un bacino
come:
1. Iniezione di gas o acqua per aumentare
la pressione.
2.
Inondazione per trascinare il petrolio verso la parte superiore del
bacino.
3.
Uso di microbi anaerobici che “digeriscano” il petrolio più pesante e lo
trasformino  
     in composto più leggeri.
4.
“Fracking” (fratturazione idraulica o fisica mediante esplosioni),
consistente nel rompere la roccia magazziono per migliorare la sua porosità.
Questo tipo di tecnologia permette di estrarre petrolio e gas dall’ardesia
(“shale oil”/”shale gas”), che è una roccia molto poco permeabile. E’ un
procedimento controverso a causa della possibilità di inquinare le falde
acquifere, creare faglie e addirittura anche terremoti locali (se vi guardate
il documentario “Gasland” scoprirete che è una certezza, ndT).

In generale:
                    
Il gas naturale ha un fattore di recupero superiore
al 80%
.
                    
Le
riserve di  petrolio leggero, come
quello nigeriano, iracheno o saudita possono arrivare ad un fattore di
recupero del 50 %.
                    
Quello
del petrolio intermedio (per esempio quello del Mare del Nord), di
solito non supera il 20%,
anche se estratto con tecnologie migliorate
(“enhanced recovery”) può arrivare al 25%.
                    
E il
fattore di recupero del petrolio pesante ed extra pesante, come quello
messicano  o venezuelano, raramente
supera il 5% attualmente, a causa del fastto che lo sfruttamento non può
avvenire a cielo aperto (come nel caso delle sabbie bituminose del Canada).

Attualmente assistiamo ad un
certo “revival” di zone che erano entrate in fase di declino grazie alle nuove
tecniche di recupero avanzato (“enhanced
recovery”
). Si parla di recupero secondario o anche terziario

5.2.- Riserve provate,
probabili e possibili.

La contabilità delle riserve
di petrolio e del gas è l’incubo dell’economista con mentalità da contabile,
poiché le riserve non si sommano come euro, dollari, aautomobili o chili di
mele.
Per cominciare, i criteri per misurare la quantità stimata delle
riserve non sono uniformi ed alcune aziende petrolifere statali usano
criteri propri (non omologabili) per valutarle. Qui commenteremo gli standard
più accettati
dall’industria a livello internazionale. In funzione della
certezza con la quale si spera di trovare riserve in un giacimento, si parla di
riserve provate, probabili e possibili.
                    
Le riserve provate sono quelle certezza
superiore 90% di essere recuperate
alle condizioni tecniche e politiche attuali. Solitamente si parla di P90 o 1P.
                    
Le riserve probabili sono quelle con una
certezza superiore al 50% di
essere recuperate alle condizioni tecniche e politiche attuali. Solitamente si
parla di P50 o 2P. Cioè, sono quelle che è più probabile che esistano piuttosto
che no.
                    
Le riserve
possibili
sono come “il racconto della latteria”: sono quelle con una
certezza superiore al 10% di poter
essere recuperate. Solitamente si parla di P10
o 3P. E’ una valutazione
generosa della dimensione possibile del giacimento.


Per quello che abbiamo detto
primasui fattori di recupero, le riserve possibili sono diverse volte
superiori
a quelle probabili o provate (dell’ordine da 1 a 10 o 1 a 20). Le
compagnie (private e alcune statali) si sottomettono periodicamente a revisioni
delle riserve
per verificare la veridicità dei numeri che pubblicano. Il
problema è che due delle maggiori compagnie petrolifere statali, che si presume
accumulino più del 60% delle riserve mondiali di petrolio (non c’è bisogno di
dire quali!) e dalle quali dipende buona parte della fornitura mondiale, non
accettano di sottomettersi a questo tipo di revisione.
Si suppone che
“qualcuno” stia manipolando quei numeri, ma naturalemnte non sono di dominio
pubblico.


5.3.- Stima delle riserve di
petrolio e gas

Ci sono vari metodi per il
calcolo delle riserve e normalmente si utilizzano tutte visto che qualsiasi
informazione
che serva da contrasto aiuta nel prendere decisioni di
investimento che sono enormemente costose.


Si raggruppano in tre
categorie e tutte hanno vantaggi e svantaggi:
                    
Bilanciamento dei materiali: usa un’equazione termodinamica che
mette in relazione il volume di acqua, petrolio e gas che sono stati prodotti
nella storia del giacimento e i cambiamenti di pressione osservati nello
stesso, per dedurre il petrolio restante. Richiede una gran quantità di dati
(che non sempre sono disponibili) e serve solo per giacimenti che hanno
prodotto fra il 10 ed il 15% della propria capacità.
                    
Curva di declino: utilizza la curva di produzione storica
per stimare la produzione futura, aggiustandola ad una curva di regressione
(che di solito è iperbolica, esponenziale ed armonica). Richiede uno storico
esteso ed esaustivo perché la stima sia buona.




                    
Volumetrici: cercano di determinare la quantità di petrolio presente (“oil in place”)
utilizzando la dimensione del giacimento così come le proprietà fisiche delle
sue rocce e fluidi. Si presume quindi un fattore di recupero basato
sull’esperienza di giacimenti simili il cui comportamento è conosciuto e ciò
fornisce delle riserve stimate. Sono le più utili nel momento di prendere una
decisione di sfruttamento iniziale e di inizio vita del giacimento.

Nei metodi volumetrici, l’industria è
solita usare il seguente modello di tipo “schermata discendente” per
determinare le riserve provate, probabili e possibili:


Risorse =
Volume del giacimento (V)
            ×
Porosità
(φ)
            ×
            Saturazione degli idrocarburi (S)
            ×
            Fattore di espansione a pressione
atmosferica (N)
             ×
Fattore
di recupero (FR)

Il prodotto Risorse = V×φ× S ×N non è mai maggiore del “oil in place” che,
moltiplicato per il fattore di recupero (FR), ci dà le riserve.

Vediamo
come si determina ognuno di questi fattori:

                    
Volume del giacimento (V): abbiamo già spiegato come il petrolio
si trovi detenuto , abitualmente in una roccia impermeabile (roccia sigillo) e
uno strato d’acqua inferiore. Il presupposto è stimare tanto lo spessore dello
strato quanto la sua estensione. Per questo, i geologi sono soliti fare
affidamento su informazioni fornite per pozzi di campionamento realizzati lungo
una regione, immagini di sismica a rifrazione e correlazioni con altri
giacimenti già conosciuti ( L’industria ha dietro di sé più di 100 anni di
esperienza nel fraintendimento della valutazione della dimensione dei
giacimenti).
                    
Porosità (φ): mediante pozzi di campionamento, si
estrae materiale e si sottomette ad una analisi mineralogica per determinare la
dimensione media del poro ed il grado di connessione fra pori adiacenti. In
questo modo si valuta lo spazio reale disponibile per il petrolio ed il gas
“estraibili”.
                    
Saturazione degli  idrocarburi (S): nei giacimenti, e dovuto al processo
stesso di formazione del petrolio e del gas, questi di solito si trovano
mescolati con acqua. La saturazione in olio o gas (la percentuale in massa di
olio o gas ed acqua nella roccia)viene determinata mediante campionamenti.
                    
Fattore di espansione a pressione
atmosferica (N)
: i
giacimenti di solito si trovano sotto chilometri di roccia, a pressioni
immense, per cui il petrolio ed il gas si trovano enormemente compressi e si
espandono rapidamente nella misura in cui ascendono per il tubo mentre vengono
estratti a pressione atmosferica.


Ciò può provocare uno degli incidenti più
tipici (e pericolosi) di questo tipo di sfruttamento: il blow out
(l’esplosione):


I fattori tipici di espansione sono 100/1
o perfino 1.000/1.
                    
Fattore di recupero (FR): come abbiamo detto prima, in funzione
delle caratteristiche del giacimento citate anteriormente, si stima per
comparazione con altri simili la percentuale di risorse che è possibile
estrarre e si determinano così le riserve.

Dato che esiste un margine di
errore più o meno ampio in ognuna delle variabili precedenti, è abitudine
determinare per ognuna di esse un intervallo di sicurezza, una distribuzione di
probabilità (per esempio, triangolare, con valore minimo, massimo è più
probabile) e di usare la simulazione di Montecarlo
per ottenere una distribuzione probabilistica del prodotto. Questa
distribuzione è solita somigliare a questo (una distribuzione di tipo “beta”,
che è simile a una normale, ma  con un
valore probabile più prudente):
In generale, la conoscenza di
un giacimento migliora col suo sfruttamento e la indeterminazione iniziale va
diminuendo. Le prime stime di solito sono per difetto e le riserve di solito
col tempo,
semplicemente per aggiustamenti fra il modello teorico iniziale
conservativo e la realtà osservata. Nel 2007, la SPE (Society of Petroleum
Engineers), il WPC (World Petroleum Council), la AAPG (American Association of
Petroleum Geologists) e la SPEE (Society of Petroleum Evaluation Engineers)
hanno elaborato un sistema più sofisticato di valutazione delle riserve che
include tanto quelle provate quanto le:
                    
Contingenti: quantità di petrolio che si stima si
possano recuperare ma i cui progetti sono bloccati e che non sono state
dichiarate commerciali per cause contingenti (litigi, assenza di mercati,
tecnologia in via di sviluppo).
                    
Prospettive: quantità di petrolio che si stima si possano
recuperare ma che non sono ancora state scoperte (per esempio, le zone
circostanti ai grandi giacimenti molto produttivi) e hanno alcune possibilità
di esserlo in futuro.




5.4.- I criteri della SEC
(Secouristes and Exchange Commission)

La SEC obbliga le imprese
energetiche sono quotate nei mercati dei valori USA a calcolare le
proprie riserve in accordo con una metodologia che, in generale, sta diventando
obsoleta (le regole datano in gran parte agli anni 70). I criteri
economici
sono quelli che hanno maggior peso (la normativa è pensata
per proteggere l’azionista)  ed un
effetto perverso degli stessi è che le riserve crescono quando sale il
prezzo  e diminuiscono quando si abbassa,
il che non sembra molto ragionevole.

Recentemente sono stati fatti
alcuni cambiamenti che cercano di mitigare il ballo di cifre, poiché è
controproducente, e cercano di raccogliere in qualche modo le riserve
contingenti, anche se con criteri molto conservatori.


5.5.- Stima delle riserve di
carbone

Le riserve di carbone si
stimano in modo analogo a quelle di petrolio: mediante sismica di alta
precisione
e pozzi di sondaggio si cerca di determinare l’estensione
e lo spessore della vena e le difficoltà tecniche per estrarla. Il tipo
di sfruttamento dipenderà dal materiale e dalla sua distribuzione:

                    
Le
vene di torba e lignite, che sono geologicamente più recenti, normalmente
sono orizzontali e vicine alla superficie per non aver subito piegature e si è
soliti sfruttarli attraverso miniere a cielo aperto, un’opzione più
semplice ed economica in generale (anche se il materiale estratto ha molto meno
potere calorico per unità di massa).

                    
Quelle
di antracite e carbon fossile 
(come, ad esempio, quelle esistenti nel nord della Spagna e in gran
parte del Nord Europa) hanno molto più potere calorico, ma si trovano di solito
in strati antichi, piegati e deformati dalla tettonica, per cui il looro
sfruttamento è solita avvenire in miniere convenzionali (tunnel
sotterranei) ed è, pertanto, più costosa e pericolosa.


Finiamo con una stima attuale delle riserve di carbone:Finalizamos con una
estimación a día de hoy de las reservas de carbón:


I grandi produttori di
carbone:

more

Il picco del diesel

Originale di Antonio Turiel
su The
Oil Crash
. Traduzione di Massimiliano Rupalti

Immagine
da StreetsBlog.org



Di ANTONIO TURIEL

Cari lettori,

Continua
la mancanza di combustibile in quasi tutta la provincia di
Salta (Argentina)
“, “I
lavoratori del settore del trasporto merci contestano il
profilo basso che il governo argentino dà alla scarsità di
combustibili
“, “La
scarsità di diesel può durare per settimane nel Canada
occidenatale
“, “Una
scarsità della produzione di diesel nel Regno Unito metterebbe
a rischio la sua sicurezza energetica
“, “Si
profila una crisi della benzina in Russia mentre i prezzi
internazionali crescono
“, “La
scarsità di diesel accende lo scontento in Cina
“, “La
Cina fa importazioni straordinarie di diesel per far fronte
alla scarsità interna
“, “La
scarsità di combustibile può portare a tagli di corrente,
secondo i residenti degli Emirati Arabi Uniti
“, “Gli
yemeniti devono far fronte ad una crisi del combustibile nel
bel mezzo della protesta
“…

Sono solo alcuni dei titoli apparsi
sulla stampa internazionale negli ultimi mesi. Dietro ai
problemi di scarsità ci sono una moltitudine di cause, reali
o presunte, ma hanno un curioso tratto in comune: in tutto
il mondo sono sempre più frequenti le notizie sulla scarsità
di combustibili, principalmente del diesel (potete vedere
altro su
Energy Shortage, da dove provengono quelle che ho
riportato sopra).

 
Lo abbiamo già commentato
alla fine dello scorso anno
: c’è un fantasma
che minaccia il mondo, quello della scarsità del diesel. Non
scarsità di petrolio (che anche è una minaccia ma a più
lungo termine), non la scarsità di altri combustibili (anche
questa finirà con l’arrivare), ma una minaccia già presente.
Non c’è sufficiente diesel per coprire la domanda mondiale
ed il problema ha tutta l’aria di aggravarsi. Ma, perché si
sta verificando questo problema? Come succede di solito, ci
sono vari fattori che influiscono, non tutti allo stesso
modo e non tutti si sviluppano alla stessa velocità. Questo
rende la previsione piuttosto difficile. Tuttavia dà
l’impressione che, per quanto riguarda il diesel, stiamo
giungendo ad un collo di bottiglia abbastanza definitivo.

Il grafico seguente è stato costruito sui dati della Joint
Oil Data Initiative
. E’ un’iniziativa
per dar maggior trasparenza al mercato del petrolio e quello
che tenta di fare è omogeneizzare i dati sparpagliati del
mercato del petrolio e renderli più affidabili. Per questo,
a parte le compilazioni statistiche delle agenzie che vi
partecipano (fra queste le più importanti agenzie pubbliche
e private d’occidente), producono questionari trimestrali
che permettono di individuare le anomalie e correggerle –
con molti limiti, ovviamente. Non tutti i paesi vengono
revisionati dalla JODI (anche se la maggioranza sì) per cui
i loro dati non hanno una scala realmente globale. Anche
così, l’analisi dell’evoluzione della produzione di diesel
su scala globale che ci offre la JODI è abbastanza
rivelatrice:


La figura
corrisponde alla produzione sganciata dalle stazioni (per
compensare i diversi schemi di consumo a seconda della
stazione) facendo una media in ogni punto sui quattro
trimestri precedenti (questo implica, pertanto, che il
riferimento temporale di ogni punto dovrebbe essere spostato
di due trimestri verso sinistra, ma in ogni caso questo
dettaglio non ha importanza per l’esposizione che segue). Il
grafico è diverso da quelli ai quali siamo abituati per la
produzione di petrolio (vedete, per esempio, quella che
avevo preparato per
il
post sullo sfasamento fra offerta e domanda
), poiché la produzione di diesel
(gasolio per autotrazione) non ha raggiunto il tetto fino al
2008, nonostante la stagnazione della produzione di
petrolio. Poi, il calo per la crisi, un nuovo tetto nel 2011
e da lì una tendenza, anche se leggera, a calare, senza che
che si possa giustificare con una grande recessione (poiché
ha avuto inizio nei primi mesi del 2011). Cosa sta
succedendo?

Sta succedendo che il mondo sta rimanendo senza capacità di
produrre più diesel e questo è un fenomeno nuovo con una
dinamica propria, non completamente coincidente con quella
del petrolio. Ovviamente la scarsità di petrolio porterà
inevitabilmente ad una scarsità di diesel, ma ci può essere
scarsità di diesel prima che arrivi la scarsità di petrolio.
Di fatto, è esattamente quello che sta succedendo e le
ragioni di questa diversa dinamica sono fondamentalmente
due.

Sapete già che da
un decennio la IEA sì è inventata un termine che definisce
“tutti i liquidi del petrolio” e che equivale a tutte le
sostanze, estratte e sintetizzate, che più o meno possono
fare le veci del petrolio. Questo utile concetto è stato
introdotto per dissimulare il fatto che la produzione di
petrolio greggio (quello che realmente si estrae dal
sottosuolo) stava giungendo al suo picco di produzione, al
suo zenit, e nella categoria “tutti i liquidi” entrano tutte
le sostanze che si possono sintetizzare e processare come
succedanei del petrolio (per questo si parla di “produzione
di petrolio” invece di “estrazione di petrolio”, perché il
petrolio in parte si fabbrica, in realtà). Quello che
succede è che questi petroli, petroli non convenzionali, di
alcuni dei quali abbiamo già parlato in altre occasioni, non
sono esattamente spendibili o buoni sostituti del petrolio
greggio. In particolare, non tutti sono adatti a produrre
diesel. Ed ecco la prima causa di scarsità del diesel: di
tutti i tipi di petrolio che entrano nella lista “tutti i
liquidi” quelli che sono aumentati di più sono i cosiddetti
“liquidi del gas naturale” (
NGL, il loro acronimo inglese). Questi NGL
sono idrocarburi di catena corta che sono il risultato della
“pulizia” del gas che esce dai pozzi, e anche se si possono
usare per sintetizzare diesel, risulta molto costoso
(ricordate che
fattibile
e redditizio
non sono la
stessa cosa
)
tanto energeticamente quanto economicamente. Di fatto, il
petrolio soggetto ad essere convertito in diesel è già
sicuramente in leggero declino.


Questa mancanza di diesel è abbastanza grave, perché la
maggior parte delle macchine di questo mondo sono diesel,
così come tutto il trasporto su gomma di merci e una parte
sempre più grande di automobili (a causa del miglior
rendimento del motore diesel rispetto a quello a benzina).
Di fatto, la domanda di diesel nel periodo in questione non
ha fatto altro che aumentare, a causa, fra le altre cose,
del disastro di Fukushima, che ha fatto sì che il Giappone
aumentasse le sue importazioni (
le
centrali nucleari del Giappone che vengono fermate per
manutenzione non vengono riattivate, secondo un piano del
Governo per denuclearizzare il paese
e il fabbisogno di elettricità viene
affidato ai generatori diesel ed alle centrali termiche
alimentate col diesel). Questo spiega la scarsità di diesel
in tutto il mondo e rende molto complicata la vita a chi
sostiene la teoria del “peak demand”, il picco della domanda
(
che
abbiamo già commentato in questo blog
) e
che sostengono che la riduzione della produzione in realtà
una diminuzione cercata e pilotata del consumo per via,
essenzialmente, dei miglioramenti nell’efficienza, e non di
quello che sembra stia accadendo, che è la distruzione della
domanda.


C’è, tuttavia, un secondo effetto che si sente sempre di
più: la diminuzione dei
margini di
raffinazione
nelle raffinerie.
Questi “margini di raffinazione” si riferiscono al
differenziale del prezzo dei prodotti raffinati rispetto a
quello del petrolio dal quale si estraggono. Le raffinerie
hanno un controllo abbastanza puntuale sui loro costi
operativi, ma non tanto sul prezzo al quale viene loro
venduto il petrolio ed a quello che pagano loro per la
benzina e gli altri distillati.
Come in tutto il
mercato dei prodotti petroliferi, è norma comune siglare
contratti differiti nel tempo, per esempio, a un mese, tre
mesi o sei mesi. I problemi arrivano quando ti tocca
pagare per il petrolio la stessa cifra che ricavi dalla
vendita della benzina, gasolio, ecc, soprattutto quando
gli orizzonti temporali di quello che compri e vendi non
collimano (per esempio, petrolio a un mese e vendita della
benzina a tre mesi). Le raffinerie tendono a fissare un
margine di raffinazione di alcuni dollari al barile,
normalmente intorno ai 10 dollari, ma
non
è la stessa cosa guadagnare 10 dollari quando il prezzo medio
di un barile è 40 dollari, rispetto a quando è 140 dollari
; Piccole fluttuazioni del prezzo del
petrolio, quando questo è alto, possono far crollare
facilmente il margine di raffinazione fino a renderlo
negativo, come è
successo
nel 2009
o è
successo ad alcune industrie petrolifere nel 2010
. Nel caso delle raffinerie che
appartengono ad un’industria petrolifera questo non è un
problema, ma durante gli ultimi decenni le industrie hanno
esternalizzato questa parte degli affari, che hanno sempre
avuto margini più scarsi, migliorando così le proprie
rendite, ma rendendo ancora più fragile il mercato del
petrolio. Per peggiorare le cose, le raffinerie si
confrontano col problema di avere un eccesso di benzina.
Infatti, raffinando il petrolio si può leggermente variare
la quantità delle due grandi categorie di prodotti di
raffinazione (benzina e distillati), ma non quanto si
vorrebbe, poiché la quantità di petrolio che finisce
convertito in benzine oscilla fra la metà ed i due terzi,
nei lavorati più comuni. Tuttavia, salvo negli Stati Uniti,
in tutto il mondo c’è stata una tendenza a convertire la
mobilità privata al diesel, diminuendo così il consumo di
benzina. Dall’altra parte, la benzina è usata praticamente
solo per la mobilità privata, il settore che ha ridotto di
più i consumi durante la crisi. Così allora, le raffinerie
devono equilibrare la vendita di un prodotto che ha un calo
di domanda, la benzina – che è la metà o più della
produzione – con quella di un insieme di prodotti, fra i
quali anche il diesel, che hanno un aumento della domanda.
Non possono alzare molto il margine perché affogherebbero
nella benzina invenduta, né abbassarlo troppo perché si
rovinerebbero. Conseguenza: le raffinerie non trovano la
loro posizione di redditività e cominciano a fallire o a
chiudere
sine die. Negli Stati Uniti notano preoccupati
che, nonostante la crisi e la caduta della domanda di
benzina,
il
suo prezzo non smette di salire per colpa della chiusura delle
raffinerie
. Almeno cinque
raffinerie della costa est degli Stati uniti hanno chiuso
nelle ultima settimane
, il che da l’idea
di come si stia aggravando il problema. Il problema sta
diventando sistemico anche in Europa:
settanta
(sì, 70!) raffinerie in tutta Europa hanno chiuso o stanno per
chiudere
; nella notizia che
linko dicono che è “per l’embargo all’Iran”, sapete già, che
questo non entrerà in vigore fino a giugno prossimo e per il
quale, come dice il nostro ministro, potremo trovare
petrolio da altri fornitori. Segno sempre più evidente della
difficoltà di accettare una realtà più complessa e
sgradevole. E non pensate che chiudano solo piccole
raffinerie: Petroplus, la più grande d’Europa, che forniva
il 4,4% di tutti i prodotti consumati nel vecchio continente
e le cui
difficoltà
sono state recentemente commentate su Crisis Energética
, alla fine ha
fallito
.

Senza dubbio stiamo vivendo un momento storico. Sembra
sempre più probabile che si realizzi la previsione che aveva
fatto
il
rapporto dei Lloyd’s nel 2010, cioè che ci potrebbero essere
dei problemi di fornitura nel 2013
. Il
resto del mondo, come accertano le notizie linkate
all’inizio del post, è già lì. Manchiamo solo noi. Come
verranno interpretate mediaticamente queste difficoltà?
Quante guerre per le risorse si potranno giustificare a
seconda della lunghezza delle code alle stazioni di
servizio?



Nota finale: in Italia c’è stato un blocco di
diversi giorni da parte dei camionisti, degli agricoltori e
dei pescatori che protestavano per gli alti prezzi del
carburante.
E’
stato molto esteso al sud, dove è durato quasi due settimane e
causando problemi gravi
, compresa la
mancata fornitura di alimenti. Un nuovo promemoria della
fragilità
del nostro sistema
e del fatto che i
problemi gravi sono più vicini di quanto pensiamo. Però
Voi non avete sentito niente di tutto questo, perché
questa notizia conviene metterla a tacere, non sia mai che
la gente se ne faccia un’idea. E’
il
picco dell’informazione
.


Saluti,
AMT
Originale di Antonio Turiel su The
Oil Crash
. Traduzione di Massimiliano Rupalti

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