Effetto Cassandra

Un Siliron di nome Lucia

La fantascienza ha affrontato molte volte il tema dell’intelligenza artificiale che diventa cosciente e con una sua personalità, a partire da Isaac Asimov e Robert Heinlein. Qui, recensisco due romanzi italiani recenti su questo argomento: “Un’App di Nome Lucia” di Mauro Caneschi e “La Buccia della Terra” di Stefano Ceccarelli,

Mi ricordo ancora benissimo la prima Urania che ho comprato (e divorato in breve tempo). Era “La Luna è una Severa Maestra” di Robert Heinlein, pubblicata in due parti nel 1966. Heinlein non è annoverato fra i maestri della letteratura del secolo XX, ma forse dovrebbe esserlo per l’inventiva, la creatività, la capacità di raccontare che ha mostrato in tutta la sua lunga carriera di scrittore.

Con “La Luna è una Severa Maestra”, Heinlein non aveva scritto soltanto uno splendido romanzo; ha anche affrontato in modo originale il tema dell’intelligenza artificiale che acquisisce un’autocoscienza che la rende parzialmente umana. Un tema caro alla fantascienza degli anni ’50, basta ricordare come formasse uno dei temi principali per un altro autore ben noto di quel tempo, Isaac Asimov, le cui “Tre Leggi della Robotica” sono un punto fermo di tantissima altra fantascienza.

Sono passati più di cinquanta anni da allora e i concetti che il romanzo di Heinlein esplorava sono ancora con noi, con i loro problemi in gran parte irrisolti. Certo, non siamo ancora arrivati a un’entità artificiale autocosciente, ma la sensazione è che ci potremmo arrivare e che, in ogni caso, la nostra capacità di controllare il mondo virtuale che abbiamo creato ci sta già sfuggendo. E su una così incerta e così misteriosa, le previsioni scientifiche sono difficili. Meglio forse affrontare il problema dal punto di vista narrativo, così come Heinlein aveva fatto ai suoi tempi.

Così, mi è capitato di leggere due romanzi italiani recenti, tutti e due che affrontano lo stesso tema, quello dell’intelligenza artificiale, anche se in modi totalmente diversi. Uno è “Un’App di Nome Lucia”, di Mauro Caneschi, l’altro “La Buccia della Terra” di Stefano Ceccherini.


Cominciamo da “Un’App di Nome Lucia” che è un romanzo con una struttura narrativa classica: ci troviamo un misterioso omicidio, fughe nella notte, investigazioni e sparatorie. Nella storia, la creatura virtuale chiamata Lucia prende una parte molto simile a quella di “Mike,” il computer intelligente del romanzo di Heinlein (il quale, fra le altre cose, occasionalmente appare con le fattezze femminili di “Michelle”). Lucia aiuta gli esseri umani protagonisti della storia principalmente per simpatia verso di loro, comportandosi un po’ come la loro “spalla” per la maggior parte del romanzo. Ma, gradualmente, Lucia prende sempre di più una vita propria. Verso la fine, si congeda dicendo che “è ora che mi dia da fare. Gli esseri umani sono un grosso problema per il pianeta. Un problema che deve essere risolto.” Cosa intenda fare esattamente Lucia, non viene detto, ma questa sua esternazione un po’ minacciosa accomuna il romanzo a una lunga serie di storie – a partire da quella del Golem di Praga – che vedono la presa di coscienza delle creature artificiali come il preludio alla loro presa di potere. E’ un tema che abbiamo visto in tempi molto più recenti con “Hal” di “Odissea nello Spazio”. Su questo punto, Asimov ha sostenuto che i robot sono creature superiori agli umani, nel senso che le tre leggi li rendono immuni al male, e che quindi è doveroso per loro aiutare gli umani, anche loro malgrado. Questo sembra essere anche il punto di vista di Caneschi, anche se il tema è solo accennato.

Il romanzo di Stefano Ceccarelli, La Buccia della Terra, invece, non rientra veramente nei canoni classici della narrativa

ma, in un certo senso, riprende da dove Mauro Caneschi ha lasciato, ovvero dalla nascita di un’intelligenza artificiale dominante. Non c’è nel romanzo una vera storia ma, piuttosto una serie di dialoghi che descrivono un futuro dominato dai “siliron” – creature robotiche di ferro e di silicio, manovrate da “Superbrain” una gigantesca server-farm autocosciente, l’evoluzione dell’app di nome Lucia. Superbrain è una creatura benigna che si impegna a riforestare la Terra e così a invertire il riscaldamento globale, fermando o riducendo anche le abitudini aggressive degli esseri umani, ai quali non rimane che occuparsi di arte e di filosofia. Curiosamente, quando i problemi sembrano risolti, Superbrain decide di suicidarsi, lasciando agli esseri umani alcuni saggi consigli e la responsabilità di gestirsi il loro pianeta. In questa conclusione, la storia di Ceccarelli va in parallelo con quella di Heinlein, dove il computer senziente Mike alla fine si ritira in un suo privato universo virtuale e non parla più agli esseri umani.

Sono due romanzi che hanno visioni nettamente diverse, ma che fanno bene la loro parte in quello che Borges diceva della letteratura umana: “un unico grande libro al quale ogni nuovo scrittore aggiunge qualche pagina.” La storia del nostro rapporto con delle creature da noi stessi create e che ci potrebbero sostituire è ancora tutta da scrivere.

more

Cosa resterĂ  di questi 40 gradi?

Qui sopra, temperatura a Sesto Fiorentino, Firenze, misurata i primi di Agosto. Sembra che ormai il peggio sia passato, ma quest’anno è stata molto dura, come commenta qui di seguito Stefano Ceccarelli. 

di Stefano Ceccarelli
da Stop fonti fossili!

Quando la stagione che hai aspettato un anno intero diventa un inferno di fuoco, la vita non è più la stessa, come un ingranaggio ben oliato che di punto in bianco si ingrippa per sempre.

Quando si somma al bruciore di un caldo insopportabile, la luce intensa dell’estate non è più naturale portatrice di buonumore e voglia di vivere, e dunque cessa di essere quel rilassante liquido amniotico in cui immergersi una volta l’anno per rigenerare lo spirito, diventando piuttosto qualcosa di maligno da cui difendersi per sopravvivere, barricandosi in casa con le tapparelle rigorosamente abbassate. Le folte schiere dei depressi, dei fragili, dei poveri di spirito e di tasche, ne subiranno le ripercussioni negative nei mesi a venire, quando saranno nuovamente afflitti dai consueti fardelli.

Un’intera settimana a quaranta gradi come quella appena trascorsa viene subìta come una violenza dai corpi e dalla psiche di individui di una progenie evoluta in un clima temperato, geneticamente non programmata per vivere mesi interi immersi in una bolla melmosa d’aria tropicale. Dove è finita l’estate mediterranea, il caldo gradevole (di rado eccessivo), le serate in cui godere del fresco e spalancare le finestre? Che fine hanno fatto i generosi temporali rinfrescanti, quasi mai violenti, che dissetavano i terreni restituendoci i colori, l’abbondanza e i sapori autentici degli ortaggi di stagione? Perché l’Anticiclone delle Azzorre, quella tanto agognata “A” che fra giugno e luglio dall’Atlantico vedevamo avvicinarsi all’Italia nelle mappe meteorologiche illustrate in TV dal Colonnello Bernacca, ha lasciato il posto ad opprimenti, inamovibili alte pressioni africane che sembrano voler accompagnare i migranti che si spostano a nord?

Come sappiamo, la risposta che la scienza fornisce a queste domande, incardinata in un inappellabile j’accuse nei confronti dell’economia globalizzata alimentata dai combustibili fossili, è ancora testardamente negata dai molti che a sprezzo del ridicolo continuano a recitare la vecchia litania secondo cui “in estate ha sempre fatto caldo”.

Eh, no!  Come abbiamo imparato sulla nostra pelle, o meglio, come ci insegna la nostra pelle perennemente sudata, c’è caldo e caldo. Nelle città a quaranta gradi, la vivibilità è devastata: basta guardarsi intorno per scorgere facce allucinate, impregnate di una impalpabile infelicità; basta parlare con il primo che passa per intuire dalle banali frasi di circostanza una quotidianità fatta di nervi a fior di pelle, malesseri diffusi, lucidità mentale compromessa, ritmi biologici sconvolti dall’insonnia. Come se non bastasse, l’onnipresente asfalto e la scarsa copertura arborea amplificano il disagio già estremo, rendendo palese quanto il modello di sviluppo urbano realizzato negli anni del boom economico sia inconciliabile con gli scenari di cambiamento climatico. E per difendersi alla meno peggio dal caldo, chi può aggiunge benzina sul fuoco dei malcapitati pedoni delle strade arroventate: dalle auto in sosta con il motore acceso e il ronzio delle ventole di raffreddamento perennemente in funzione, al vento caldo sputato violentemente fuori dai condizionatori accesi negli edifici, tutto sembra congiurare contro chi, non potendo o volendo, si ostina a non aggiungere altro inquinamento e altre emissioni climalteranti all’inferno cittadino.

Ma in mezzo a tutto ciò, volenti o nolenti ci siamo noi, c’è la carne viva di donne e uomini che lavorano, in condizioni spesso intollerabili. Se la dignità del vivere fosse seriamente tenuta in considerazione e se l’articolo 1 della Costituzione italiana non fosse carta straccia, si dovrebbero ripensare per legge i tempi e le modalità di lavoro nelle città bruciate dall’arsura. Perché faticare per le strade o nei cantieri nelle ore più assolate mentre si viene rosolati in un forno non è più un’attività assimilabile al lavoro, quanto alla schiavitù. Naturalmente una siffatta proposta è politicamente impraticabile, perché the show must go on, ma del resto, di che ci meravigliamo, non è in fondo schiavitù ciò che ci fa muovere come burattini impazziti in un mondo che si trascina e ci trascina dritti verso l’Armageddon? Non è schiavitù ciò che ci impedisce di fermarci a riflettere, a guardarci l’un l’altro negli occhi e a chiederci qual è il senso di questa perenne agitazione?

*********

Oltre a ciò che sono stati, c’è da chiedersi cosa resterà dei quaranta gradi di questi giorni. Del nostro benessere fisico e mentale messo a dura prova si è già detto. Quanto a ciò che ci circonda, anche se i media non vedono l’ora di farci dimenticare questa ennesima “emergenza” lasciando il posto ad altre più o meno azzeccate priorità, si può scommettere che la spaventosa successione in crescendo rossiniano delle ondate di calore di questi due mesi lascerà il segno. Lo lascerà negli ecosistemi stressati, nei boschi senza vita devastati dalle fiamme, nelle zolle di terra indurite e inaridite su cui la prossima pioggia torrenziale scivolerà via, nei tanti fiumi e laghi ridotti a rivoli o pozze maleodoranti, nell’agricoltura in ginocchio, nelle falde freatiche sovrasfruttate oltre ogni limite per sopperire alla penuria d’acqua indotta da una siccità inedita per durata e intensità, nei cunei salini che si infiltreranno inesorabilmente nelle acque dolci sotterranee delle zone costiere, nei sempre più striminziti ghiacciai alpini.

In una parola, lascerà un segno, speriamo non indelebile, nella Natura agonizzante torturata dalla più evoluta ed ingrata delle sue creature.

more

Rapa Nui chiama Roma, rispondete!



Guest Post di di Stefano Ceccarelli

da Stop fonti fossili!

C’è una scena drammatica del celebre film Rapa Nui che è rimasta impressa nella mia memoria: è il momento in cui, nonostante la strenua resistenza dell’unico isolano che aveva intuito le conseguenze di quel gesto, viene abbattuto l’ultimo albero presente sull’isola. Mi sono sempre chiesto come fu possibile per le élites dei diversi clan che regnavano sull’Isola di Pasqua non rendersi conto che il disboscamento totale e definitivo dell’isola avrebbe segnato il collasso ecologico e lo stesso destino di una popolazione priva di vie di fuga. Al tempo stesso, pensando all’insegnamento recato da quella vicenda, ho sempre sperato che la civiltà occidentale, apparentemente più evoluta di quella che eresse i Moai, possa evitare lo stesso triste epilogo affidandosi alla scienza e alle ben più robuste capacità previsionali da questa fornite anziché a primitivi riti tribali.

Ma ora una serie di fatti di cronaca di queste settimane mi inducono a dubitare seriamente che quella speranza sia fondata. Prendiamo la vicenda della crisi idrica romana: confesso che quando il Governatore del Lazio Zingaretti ha disposto il blocco dei prelievi dal Lago di Bracciano e l’Acea di rimando ha programmato la turnazione dell’erogazione dell’acqua, ho fantasticato che una tale grave, inedita situazione avesse potuto far ridestare l’intelligenza sopita di tanti romani portati a credere che nessuna forza della natura possa mai impedire che l’acqua potabile sgorghi dai rubinetti delle loro case. Credo che gli inevitabili disagi apportati agli abitanti della Capitale da un razionamento dell’acqua avrebbero potuto far nascere una consapevolezza nuova sugli sconquassi che, qui ed ora e non in un imprecisato futuro, sono portati in dote dal riscaldamento globale. E forse si sarebbe poco alla volta fatto strada quel senso del limite e quella propensione alla sobrietà che l’ossessione della crescita a tutti i costi ha resettato dalla coscienza della gente.

Naturalmente mi sbagliavo. Ciò che è seguito a quegli annunci sono state le consuete squallide scaramucce fra enti locali di diverso colore politico dirette a scaricare la responsabilità del paventato razionamento dell’acqua sull’altra parte. Abbiamo inoltre assistito ad una sfacciata levata di scudi del gestore del servizio idrico: opponendosi a brutto muso ai provvedimenti restrittivi della Regione, Acea ha disvelato l’arroganza propria di una S.p.A. che, senza vergognarsene, ricorda a tutti di essere guidata non dal raziocinio di chi è chiamato a gestire un bene comune prezioso come l’acqua ma esclusivamente dall’obiettivo della massimizzazione dei dividendi che deve garantire ai suoi azionisti pubblici e privati. Con buona pace dell’esito del referendum sull’acqua pubblica del 2011.

A loro modo, gli scontri politici scaturiti dai bassi istinti elettorali possono essere paragonati, mutatis mutandis, alle cruente battaglie fra le tribù rivali che, sfociando fino al cannibalismo, accelerarono la fine di Rapa Nui. Ma la decisione dei giorni scorsi di soprassedere al razionamento e di proseguire le captazioni dal Lago di Bracciano fa pensare che c’è dell’altro che accomuna la tragica situazione che dovettero vivere gli abitanti di quell’isola confinata nella remota immensità dell’Oceano Pacifico e l’attuale crisi romana dove si sommano in modo sinergico gli effetti di siccità, persistenti temperature sahariane, incendi e degrado diffuso. L’unico sconfitto delle moderne guerre fra i moderni clan è infatti stato, almeno per ora, il Lago di Bracciano, il cui ecosistema è stato di fatto sacrificato sull’altare del Progresso, che è indisponibile a negoziare gli stili di vita dei cittadini e non può dunque accettare che la penuria di acqua faccia serpeggiare l’idea che i cambiamenti climatici in atto richiedano un radicale cambio di mentalità ed un’inversione di rotta della politica. Così come l’impensabile è stato possibile per l’Isola di Pasqua, i cui abitanti decretarono il loro suicidio collettivo abbattendo quell’ultimo albero, allo stesso modo e secondo la stessa assurda logica i romani in stragrande maggioranza hanno dimostrato di essere pronti a prelevare fino all’ultima goccia d’acqua da un lago vulcanico senza immissari che ha già perso 2 kmq di superficie, fregandosene platealmente degli insostituibili servizi ecologici da esso forniti.

In definitiva, ciò a cui stiamo assistendo è il triste spettacolo di una classe politica che anziché attuare misure di lungo respiro in grado di fronteggiare una penuria cronica e non transitoria, risponde alla devastante crisi climatica in atto con provvedimenti ispirati al motto “adda passà ‘a nuttata” i quali non fanno altro che aggravare il degrado degli ecosistemi, che a sua volta non è nient’altro che un’altra delle crisi globali causata dalla dissennata corsa all’oro innescata dai combustibili fossili.

Raschiare il fondo del cratere del lago anziché preservarne il suo prezioso contenuto non sembra una strategia molto lungimirante per una civiltà avanzata che dopo aver messo piede sulla Luna ha in programma la colonizzazione di Marte. Ma tant’è, evidentemente il delirio di onnipotenza di molti di noi porta a confidare sul miraggio che il Pianeta Rosso possa rivelarsi per il genere umano quella via di fuga che gli abitanti di Rapa Nui non hanno avuto.

more

Ritorna Cassandra: Profetessa Inascoltata.

Oggi, questo blog riprende il vecchio e glorioso nome di “Effetto Cassandra”, dopo qualche anno in cui aveva usato quello di “Effetto Risorse”.

La decisione di usare “Effetto Risorse” nasceva dall’idea che con quel nome si sarebbe potuto fare un ragionamento serio su un problema reale, quello dell’esaurimento delle risorse. Cassandra come titolo poteva sembrare darsi la zappa sui piedi, assumendo fin dall’inizio che nessuno ci avrebbe dato retta. 
In pratica, l’idea di fare un discorso serio su un argomento serio si è rivelata una pia illusione di fronte alla mancata serietà con la quale in questo paese (e non solo) si affrontano i problemi. A nessun livello si riesce a parlare seriamente di certe cose senza essere accusati di catastrofisti, millenaristi, disfattisti e, immaginatevi, “Cassandre”. 
Allora, tanto vale prenderne atto e ritornare al vecchio nome, Cassandra. Una persona che forse non è mai esistita ma – se è esistita – è stata una donna coraggiosa che ha fatto del suo meglio incurante dei rischi a cui si esponeva. 
Siamo delle Cassandre, si, e ne siamo orgogliosi! 

more

Cambiamento Climatico: fra Speranza e Disperazione

  • Avatar

    Roberto3912  20 ore fa

    Senta, egr. prof, sulla assoluta validità dei modelli matematici il suo è un articolo di fede, e La capisco: è il Suo lavoro e, diciamo, con quello “ci paga il mutuo”. (…) Ecco, se la climatologia sarà in grado di predire con esattezza quanti millimetri di pioggia cadranno a Piazza Garibaldi di Scurcola Marsicana nella settimana tra il 9 e 15 marzo 2018, allora anch’io mi convertirò alla sua fede. (…)


    Un commento che ho ricevuto al mio post sulla petizione-bufala di Zichichi che ho pubblicato sul “Fatto Quotidiano”.  (la storia completa la potete leggere qui). 

    Zichichi, apparentemente sta antipatico a parecchia gente. Fra i commenti al mio post sul Fatto Quotidiano, qualcuno l’ha paragonato a Padre Pio e un altro ha contro-commentato dicendo che sono entrambi piacevoli come un calcio nei denti. E’ forse per questa ragione che il mio post ha suscitato molto interesse, qualcosa come 700 commenti e oltre; la maggioranza dei quali dedicati a negare o a sostenere l’interpretazione scientifica corrente del cambiamento climatico.

    Se avete una mezz’oretta, date un’occhiata a questa serie di commenti. Ne vale la pena se non altro per le sublime idiozie che ci potete trovare. Un’esempio fra i più eclatanti lo trovate nella figura qui sopra. Questo qui vorrebbe che i modelli climatologici potessero calcolare esattamente quanti millimetri di pioggia cadranno in un certo posto in una data specifica fra un anno o giù di lì. Tanto assurdo che gli ho chiesto se non volesse per caso fare dell’ironia, ma mi ha risposto che era completamente serio. Ce ne sono stati di altrettanto ameni, per esempio quel tale che mi ha accusato di “prosopea”. Gli ho spiegato che si dice “prosopopea”, ma quello ha continuato a dire “prosopea” e pretendeva anche di aver ragione. Da ritirargli il diploma di terza media, posto che ce l’abbia. E lascio a voi di trovarne altri su questo livello.

    Insomma, da questa serie di commenti, possiamo dire qualcosa su come siamo messi in questa faccenda del cambiamento climatico? Possiamo. E viene fuori che siamo messi molto male. Non tanto per il fatto che ci sia gente ignorante e presuntuosa che si lancia a parlare di cose di cui sa poco o niente, ma perché ci sono delle ragioni per cui molta gente si riduce a fare commenti del genere. Non tanto perché sono ignoranti (in parte lo sono) ma perché non sono cosi ignoranti da non aver capito che siamo in grossi guai. Ma veramente grossi.

    Ovvero, ammesso che sia vero tutto quello che i climatologi ci stanno dicendo da anni, che speranze abbiamo di cavarcela? Ben poche, e non basteranno certamente le ricette da quatro soldi che i vari verdi/verdastri/verdolini ci vengono a raccontare. Allora, fra la disperazione e la speranza, uno sceglie sempre la speranza, e la sceglie come può. Un modo è di negare disperatamente l’evidenza, magari pretendendo cose impossibili dai modelli climatici. Oppure consolandosi pensando che gli scienziati si stanno facendo ricchi con una bufala totalmente inventata. Certamente.

    Il commentatore “nonnus” ha detto molto candidamente come stanno le cose. E ho paura che abbia perfettamente ragione.

    • Avatar
      nonnus  9 ore fa

      Siamo costretti a parteggiare per Zichichi anche nel caso in cui le sue considerazioni dovessero essere tutte delle bufale, solo per il fatto che se fossero vere le teorie dei climatologi che egli ha cercato di contrastare per il genere umano non ci sarebbe più nulla da fare. Nessuno sano di mente crede infatti che sia possibile ridurre in maniera generale e uniforme le emissioni, e in maniera consistente, considerata la condizione dei vari governi al mondo, che sarebbero tutti da convincere ad agire immediatamente.



      more

      Tre Ecologi Italiani: San Francesco

      Post di Silvano Molfese
      Inizio questa trilogia con San Francesco d’Assisi: i versi in volgare del Cantico delle Creature segnano l’inizio della letteratura italiana.
      Il Cantico delle Creature ebbe una vasta eco anche perché trovò terreno fertile tra gli uomini del tempo che erano a stretto contatto con l’ambiente circostante: gli atti del vivere quotidiano erano scanditi dai ritmi stagionali, da disponibilità di risorse materiali locali, in carenza delle quali, si poteva sopperire con scambi commerciali in modo limitato; tutta la produzione richiedeva manualità e via dicendo.
      Penso che San Francesco possa essere considerato a tutti gli effetti anche il primo ecologo italiano. Nel Cantico Francesco, esaltando tutte le creature, ci ricorda l’armonia della natura.
      Dopo la lode al Signore San Francesco comincia per prima cosa a magnificare “messor lo frate sole”; ciò indica una radicata e diffusa consapevolezza nella società del tempo: quanto fosse indispensabile la nostra stella per la vita sulla terra.
      A dire il vero da sempre e ovunque è stata riconosciuta la necessità della luce solare per la vita; forse di meno in questo breve intervallo temporale caratterizzato dall’intenso consumo di combustibili fossili (petrolio, carbone, gas e uranio) che volge al termine col suo venefico colpo di coda: il riscaldamento globale.
      In un primo momento il cantico era stato intitolato da San Francesco al “frate sole” come rammenta Chiara Frugoni (*); erano passati quasi sette secoli dal misterioso e prolungato oscuramento della nostra stella causato dalla grande eruzione vulcanica del 535 AD. 
      Forse rimanevano ancora i ricordi della fame e delle sofferenze patite dai sopravvissuti alla carestia causata dal prolungato oscuramento del sole. 

      Francesco conclude il cantico invocando gli uomini al perdono e ricorda che nessun uomo può sfuggire alla “sora nostra morte corporale”. Manca ogni riferimento al denaro probabilmente per rimarcare l’importanza dei doni offertici dalla natura. San Francesco, provenendo da una famiglia mercantile, forse percepiva che tra le classi sociali più agiate, la spinta interiore si stava indirizzando sempre più verso l’accumulazione di ricchezze. (Comunque nulla a che vedere con quanto avviene ai giorni nostri).
      E del resto in quel periodo, sette nobili fiorentini andarono sui monti a nord di Firenze a fondare un Santuario sul monte Senario, per essere di esempio e forse anche per allontanarsi dalle iniziali diatribe locali di una Firenze sempre più proiettata verso gli scambi commerciali. (https://it.wikipedia.org/wiki/Santuario_di_Montesenario)
      Nelle vicinanze di questo santuario è rimasta la ghiacciaia di monte Senario, semicadente, testimonianza di inverni normalmente molto nevosi, ma adesso, col cambiamento climatico in atto, lì vi cade sempre meno neve come su tutto l’Appennino e l’arco Alpino italiano.
      La neve è una fondamentale riserva d’acqua per tutti i cicli vitali e, quando era abbondante, è stata una ricchezza per la nostra agricoltura.
      Bibliografia
      (*) Frugoni C. . 1995 – Vita di un uomo: Francesco d’Assisi. Einaudi, 149

      more

      Nuova Figuraccia del Prof. Zichichi: Una non-petizione sul cambiamento climatico

      Questa è una storia molto interessante che vi passo dopo che ho partecipato attivamente alla fase investigativa della storia e alla stesura dell’articolo. Vi può interessare sapere che il prof. Zichichi ha risposto ai firmatari del contro-appello con una lunga lettera in cui ribadisce le sue posizioni sulla scienza del clima, ma non nega il fatto che i firmatari della sua petizione non avevano mai firmato con l’idea di essere d’accordo con lui. Insomma, una figuraccia senza appello. Sembra proprio che quelli che continuano a cercare di screditare la scienza del clima non abbiano più a disposizione che questi mezzucci da quattro soldi (UB)

       

      La falsa petizione “contro le eco-bufale” del Prof. Zichichi e Il Giornale

      Il 5 luglio è apparso su “Il Giornale” un articolo in cui il Prof. Antonino Zichichi ha ribadito le sue posizioni estreme sulla questione climatica, parlando di “eco-bufale”, di “terrorismo” e criticando in modo radicale la modellistica climatica; l’articolo è stato presentato da un titolo (si presume della redazione) in cui si definivano “ciarlatani” gli scienziati che ritengono che le attività umane stiano modificando il clima del pianeta.
      Climalteranti ha già spiegato in un precedente post lo scarso spessore scientifico di questa ulteriore raffica di “zichicche”, nonché la stranezza della sezione intitolata “Appello della Scienza contro le eco-bufale” dove “La Scienza” sembrava rappresentata, oltre che dal prof. Zichichi in persona, dalle firme di venti scienziati.
      Ora, questa cosa è parecchio strana per vari motivi. Il primo è che dei venti firmatari non ce n’è uno, che sia uno, che si occupi di clima. Sono quasi tutti fisici delle particelle o fisici teorici. La seconda stranezza è che non si capisce bene dall’articolo de “Il Giornale” che cosa queste persone abbiano firmato. Di quali “eco-bufale” si tratta, esattamente?
      Così, abbiamo pensato di contattare direttamente i firmatari, chiedendo loro gentilmente se potevano darci qualche delucidazione su cosa avessero firmato e se fossero d’accordo con le idee di Zichichi. La lettera è stata firmata da 37 studiosi che in diverso modo lavorano nel settore dei cambiamenti climatici.
      I risultati sono stati interessanti. Dei venti firmatari, cinque ci hanno risposto esplicitamente che non hanno firmato niente del genere e che NON sono assolutamente d’accordo con le opinioni di Zichichi e nemmeno con l’idea di chiamare “ciarlatani” e “terroristi” quelli che si occupano di clima. Degli altri 15, nessuno ha confermato che ha firmato sapendo cosa firmava e che è d’accordo con Zichichi.
      Ad esempio:
      – Isabell Melzer-Pellmann ci ha scritto: “sono molto dispiaciuta che il mio nome sia stato citato nel giornale con l’articolo del Prof. Zichichi, di cui non condivido le opinioni”;
      – Michael Duff ci ha scritto: “potrei aver firmato una richiesta di sanzioni più dure contro l’inquinamento, ma è un peccato se la mia firma e l’articolo del professor Zichichi hanno creato l’impressione che io sia uno scettico sul clima, perché non lo sono”;
      – Peter Jenni ci ha scritto: “è vero che ho firmato un testo in inglese con quattro punti, pensando (forse non abbastanza) che fossero ragionevoli. In nessun modo ho pensato che avrebbero implicato il contenuto o lo stile / le accuse riportato nell’articolo de Il Giornale firmato dal Prof. Zichichi”.
      In sostanza, dalle risposte ricevute, ci sembra di capire che in una recente scuola di fisica tenuta a Erice sia circolata una breve petizione (“cinque righe in inglese”) in cui si parlava di agire con più forza contro l’inquinamento atmosferico, ma non si diceva niente delle particolari opinioni del Prof. Zichichi sulla scienza e sugli scienziati del clima.
      Alla fine dei conti, sembra chiaro che qualcuno abbia sfruttato la buona fede di perlomeno alcuni (e forse molti) dei firmatari della “petizione” per una delle solite operazioni politiche dove si cerca di screditare la scienza del clima.
       
      In conclusione, l’appello dei 20 scienziati contro le eco-bufale semplicemente non esiste: ci sono solo le tesi senza fondamento di un fisico delle particelle, a cui – e questa è la cosa più grave –, un quotidiano nazionale continua a dare credito. In spregio non tanto alle regole basilari della deontologia professionale che imporrebbero di controllare le fonti (su questo ci siamo abituati, non chiediamo tanto a Il Giornale), ma al buon senso.
      Ecco il testo della lettera ai 20 scienziati presunti firmatari dell’appello pubblicato da “Il Giornale”:
      Dear colleague,
      You may be aware that your name and academic affiliation have been included in a list of signatories of an appeal related to climate change recently published in a National Italian newspaper (Il Giornale, 05-07-2017).
      From the article as it has been published, it is difficult to understand what is exactly the text of the “appeal.” However, the title says that the signatories are against unspecified “climate hoaxes” and against “environmental terrorism.” 

      The appeal seems to consist of (or at least to be in agreement with) a series of statements by Professor Antonino Zichichi which appear in the same pages. As scientists directly and indirectly involved in climate science, we find hard to follow the logic of Prof. Zichichi’s arguments and surely we don’t agree with his interpretation of climate science. We note also that the text includes branding as “charlatans” those who maintain that greenhouse gases can modify the earth’s climate.

      We are, of course, open to discuss different interpretations of climate than the currently accepted ones. But we find hard to believe that a group of scientists who don’t seem to have qualifications and/or experience in climate science agreed to sign a document in which their colleagues engaged in climate science research are defined as charlatans and terrorists.
      We therefore wonder whether you are aware of what exactly you signed and of how your signature has been presented and used in Italian media. On this point, we hope that you can provide us with a clarification.
      For your information, we include a scan of the article that was published on “Il Giornale.” We also thought you might be interested in a list of the scientific organizations – which include many thousands of working scientists – which agree on the fact that climate change is the result of human activities.  

      https://www.opr.ca.gov/s_listoforganizations.php.

      Signed by the following scientists
      Vincenzo Artale, ENEA, Roma
      Carlo Barbante, Università di Venezia
      Ugo Bardi, Università di Firenze
      Alessio Bellucci, Centro EuroMediterraneo sui Cambiamenti Climatici, Bologna
      Daniele Bocchiola, Politecnico di Milano
      Giorgio Budillon, Università Parthenope, Naples
      Carlo Cacciamani, Arpae-Simc, Bologna
      Simone Casadei, Fuels Department, Innovhub-SSI
      Stefano Caserini, Politecnico Milano
      Claudio Cassardo, Università di Torino
      Sergio Castellari, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
      Claudio Della Volpe, Università di Trento
      Sara Falsini, Università di Firenze
      Davide Faranda, LSCE-IPSL, Université Paris-Saclay
      Paolo Gabrielli, The Ohio State University
      Antonio Garcia-Olivares, Institute of Marine Sciences, Barcelona
      Emilio García-Ladona, Institute of Marine Sciences, Barcelona
      Mario Grosso, Politecnico di Milano
      Klaus Hubacek, University of Maryland
      Christian Kerschner, Masaryk University, Brno, Czech Republiic
      Piero Lionello , Università del Salento
      Luca Lombroso, Università di Modena
      Vittorio Marletto, ARPAE Emilia-Romagna
      Simona Masina, Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, CMCC
      Maurizio Maugeri, Università di Milano
      Luca Mercalli, The Italian Meteorological Society
      Gabriele Messori, Stockholms Universitet
      Daveide Natalini, Global Sustainability Institute, Anglia Ruskin University, Cambridge
      Elisa Palazzi, Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC-CNR)
      Antonello Pasini, CNR, and Università di Roma 3.
      Ilaria Perissi, INSTM, University of Florence
      Lulin Radulov, BSERC, Technical University of Sofia
      Jordi Sole Olle, Institute of Marine Science, Barcelona
      Stefano Tibaldi, Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici
      Antonio Turiel, Institute of Marine Sciences, Barcelona
      Marina Vitullo. National Institute for Environmental Protection and Research, ISPRA
      Dino Zardi, Università di Trento

      Testo del Comitato Scientifico di Climalteranti e di Antonello Pasini

      more

      Se le emissioni di CO2 non aumentano, vuol dire che siamo salvi?

      
      E’ curioso quanta gente rimanga confusa dal fatto che mentre le emissioni di CO2 sono leggermente diminuite, la quantità di CO2 nell’atmosfera continua ad aumentare. Ma questo è ovvio se pensate all’atmosfera come una vasca da bagno e al CO2 come l’acqua che la riempie. Anche se riducete il flusso che viene dal rubinetto, il livello dell’acqua continua ad aumentare, come è ovvio che faccia. Per salvarsi dal riscaldamento globale non basta ridurre le emissioni. Bisogna azzerarle e sperare di non aver già passato il punto di non ritorno. Nel post che segue, Stefano Ceccarelli spiega queste cose in dettaglio

      Quando l’Aumento Aumenta

      di Stefano Ceccarelli

      da Stop fonti fossili!

      Immaginate di trovarvi sul fondo di una piscina vuota molto profonda. A un certo punto qualcuno comincia a versare dentro acqua con un secchiello, prima poco alla volta, poi ad intervalli più ravvicinati. Per un po’ la piscina rimane pressoché vuota, perché una mattonella del rivestimento sul fondo è saltata, e l’acqua viene in gran parte trattenuta dal terreno sottostante. Ma il suolo è argilloso e non riesce ad assorbire l’umidità oltre un certo limite. Dunque il livello dell’acqua nella piscina poco alla volta aumenta, ma la cosa non vi dispiace affatto, perché così potete sollazzarvi giocando con l’acqua e schizzandovela addosso l’un l’altro. Anzi il divertimento aumenta ancora quando l’acqua dalle caviglie pian piano sale fino ad arrivare all’altezza del bacino. Siete così presi dallo svago che quando viene rimossa la scaletta nessuno ci fa caso.

      A quel punto però qualcuno vi ricorda che non sapete nuotare, e osserva sommessamente che se il livello dovesse continuare a salire le cose non si metterebbero troppo bene. Ma voi non date peso alle cassandre di turno e continuate a spassarvela, anche perché l’acqua sale lentamente, e ci vuole tempo per riempire una piscina con un secchiello. Passano le ore, l’acqua vi arriva all’ombelico, ma voi vi siete ambientati e state da dio. Qualche apprensione comincia però a serpeggiare qua e là, e mentre la maggioranza continua a divertirsi alcuni di voi guardano sempre più insistentemente in alto cercando di scorgere se le dimensioni del secchiello sono rimaste le stesse. A forza di scrutare il secchiello dimenticano però che l’acqua sale ancora, ed ora vi arriva al collo… Ebbene, in una siffatta situazione, come vi sentireste se all’improvviso doveste accorgervi che il secchiello è stato sostituito da un secchio più grande?

      Accantoniamo ora l’improbabile metafora e parliamo di CO2, l’anidride carbonica, il re dei gas serra. Come è noto, negli ultimi 150 anni lo sviluppo della popolazione mondiale in rapida crescita ha fatto aumentare esponenzialmente le emissioni di CO2. La frazione più importante della CO2 rilasciata in atmosfera è quella dovuta alla combustione di carbone, petrolio e gas per la produzione di energia, che si stima essere dell’ordine di 32 gigatonnellate l’anno. Una quantità stratosferica. Ma la buona novella, annunciata solennemente dall’IEA, è che per la prima volta queste emissioni negli ultimi due anni non sono aumentate, pur in presenza di una crescita economica globale. La grancassa mediatica non ha esitato a sottolineare questo risultato, che dimostrerebbe che è possibile disaccoppiare l’aumento del PIL con la crescita delle emissioni. Se ciò è vero, il mantra del mitico sviluppo sostenibile può continuare ad essere sbandierato ai quattro venti dai potentati politici ed economici, alla faccia dei profeti di sventura. Ma insomma, di cosa ci preoccupiamo? Abbiamo invertito la tendenza, dopo un secolo di aumento le emissioni si sono stabilizzate semplicemente assecondando i trend economici correnti, dunque questa è la dimostrazione che siamo sulla buona strada, e la diffusione graduale delle energie rinnovabili farà sì che le emissioni presto inizieranno a calare.
      Peccato che questo ragionamento tralasci di ricordare che stabilizzare le emissioni non vuol dire affatto stabilizzare la quantità di CO2 presente in atmosfera, perché malauguratamente questo gas ha la brutta abitudine di accumularsi nell’involucro aeriforme che circonda il nostro pianeta, ed è proprio il valore delle emissioni cumulate di CO2 che determina l’aumento della temperatura media del pianeta. Perciò, anche se il secchiello che getta acqua è sempre lo stesso, il livello nella piscina sale senza sosta. Non è difficile da comprendere, vero?

      Ma poi, siamo proprio sicuri che le emissioni si sono stabilizzate? Perché limitarsi ad elucubrare sulla base della stima tutt’altro che certa di quanto abbiamo sputato in atmosfera bruciando combustibili fossili, quando la scienza ci fornisce un modo molto più semplice e significativo per capire come siamo messi, ovvero, banalmente, la misurazione delle concentrazioni di CO2 atmosferica? Ora, i livelli di questo gas in atmosfera sono cresciuti fino agli attuali 405 ppm dai 280 ppm dell’era preindustriale, e come è noto questo è un grosso guaio perché più anidride carbonica c’è in atmosfera più si intensifica il riscaldamento globale a causa dell’effetto serra. Ma le cattive notizie, ahimè, non vengono mai da sole: negli ultimi due anni (cioè, guarda un po’, proprio nello stesso periodo nel quale secondo l’IEA le emissioni sarebbero rimaste costanti!) la CO2 è cresciuta di 3 ppm l’anno, ovvero a un ritmo senza precedenti, come sottolineato dal NOAA.

      3471

      Non solo: leggendo i dati relativi ai valori di crescita annuale di CO2 atmosferica emerge come il 2016 sia stato, per la prima volta, il quinto anno consecutivo in cui la CO2 è cresciuta di almeno 2 ppm l’anno. L’aumento dell’aumento del principale dei gas serra risulta ancora più evidente se si confrontano le medie decennali degli aumenti annuali dal 1966 ad oggi: come si vede nel grafico (fonte), si è passati in soli cinquant’anni da un incremento di 1 ppm l’anno a 1,5, poi a 2, fino ai 2,3 ppm del decennio 2006-2016. Limitandoci all’ultimo quinquennio, l’aumento è stato superiore ai 2,5 ppm.

      annual increase co2

      E’ bene ripetere, a costo di apparire pedante, che queste, a differenza dei dati dell’IEA, non sono semplici stime delle emissioni prodotte sulla base delle autocertificazioni non verificate rilasciate dalle singole nazioni, ma dati scientifici ottenuti da misurazioni analitiche validate e mediate con l’ausilio di metodi statistici universalmente accreditati. Dunque, prima di esultare per un successo (la stabilizzazione delle emissioni) che tale non è, è doveroso interrogarsi sul perché il secchiello ha lasciato il posto ad un secchio più grande, ovvero sulle ragioni per le quali a fronte di un supposto non-incremento delle emissioni la CO2 atmosferica aumenta più di quanto non abbia fatto quando le emissioni crescevano. Ebbene, mentre i governi e gli ottimisti per partito preso preferiscono baloccarsi con la storiella del plateau delle emissioni, la scienza, mai tanto bistrattata come in questi tempi bui, ha delle risposte per chi vuole ascoltarle, che possono riassumersi come segue.
      • Non esistono solo i combustibili fossili. Circa un quarto dei rilasci di CO2 deriva da altre fonti, in particolare dalla deforestazione e dal degrado dei suoli. In un pianeta sempre più affollato e affamato, non sarebbe certo una sorpresa se questi fattori assumessero sempre maggior peso nel computo totale delle emissioni.
      • Il cambiamento climatico è già in atto. L’aumento delle temperature, unito al fenomeno dell’amplificazione artica, accresce lo stress della biosfera portando a rilasci di carbonio da incendi, siccità, e scioglimento del permafrost.
      • Proprio come l’acqua assorbita inizialmente dal fondo della piscina male impermeabilizzata, una buona parte della CO2 emessa finora è stata disciolta negli oceani, acidificandoli. Finora, appunto. Perché i modelli climatici indicano che la capacità degli oceani di fungere da serbatoio di CO2 è destinata ad indebolirsi man mano che la temperatura aumenta.
      Insomma, tutto lascia pensare che, al punto in cui siamo, non è più possibile tenere a bada la totalità dei fattori che spingono in alto le concentrazioni di anidride carbonica, a meno che qualcuno non pensi di persuadere con le buone il suolo ghiacciato artico a starsene tranquillo come ha fatto finora, o gli oceani a ingozzarsi di CO2 all’infinito. Se dunque i margini di manovra si restringono pericolosamente, possiamo e dobbiamo, questo sì, limitare il più in fretta possibile le emissioni antropogeniche e azzerare senza indugio la deforestazione. Ciò vuol dire mettere in campo una mobilitazione e una coesione internazionale senza precedenti con il fine di ridurre drasticamente i consumi superflui, contenere l’aumento della popolazione, combattere le disuguaglianze incoraggiando dinamiche locali di cooperazione e condivisione, dare un taglio alla globalizzazione e mettere il turbo alla transizione energetica dicendo addio per sempre all’era dei fossili.
      Se non lo faremo, e ci accontenteremo di lasciar fare al mercato senza disturbare i manovratori, continueremo a viaggiare spediti verso il terrificante traguardo dei 450 ppm di CO2, che di questo passo verranno raggiunti nel vicino 2032: a quel punto l’umanità potrà dire ciao ciao! alle speranze di mantenere l’aumento della temperatura media al di sotto dei fatidici 2°C disattendendo al giuramento solenne fatto da tutti i governi un anno e mezzo fa, con tanti auguri a chi erediterà la Terra (sperando che impari in fretta a nuotare).

      more

      Orti Ecosostenibili Ovunque!

      In un post precedente, vi raccontavo degli orti autogestiti che l’Università di Firenze ha installato, con l’idea di installarne molti altri. Ma noi non siamo certamente i soli a lavorare su questa idea.

      L’idea degli Orti Ecosostenibili gestiti dai cittadini si sta diffondendo rapidamente un po’ ovunque in Europa. Qui di seguito, gli orti pubblici di Berna, in Svizzera, in una foto che ho fatto un paio di anni fa. Questi non sono orti universitari, sono gestiti dal comune di Berna, ma l’idea è sempre quella.

      Qui di seguito potete vedere, sempre a Berna, un’aiuola sul bordo di una strada che il comune ha affidato in gestione ai residenti locali. La gestiscono in modo autonomo, in competizione con altri cittadini per chi fa l’aiuola più bella. Questa è piena di piante aromatiche, una meraviglia.

      more

      Chi vuole uccidere il fotovoltaico italiano?

      Un Post di Gianni Girotto

      di Gianni Girotto 

      Produrre energia pulita in Italia è un atto di coraggio ripagato con multe salatissime che scoraggiano i cittadini a prendere la strada delle rinnovabili. Nel nostro paese ci sono 550.654 impianti fotovoltaici incentivati con le tariffe del Conto Energia per 17.750 MW di potenza, oltre ad altri 150 mila installati negli ultimi 4 anni circa che non prendono tariffe incentivanti. Ma chi decide di investire in questo settore oggi, come più volte denunciato, è esposto al rischio fallimento a causa della sovrabbondanza di ostacoli architettati dai governi Renzi-Gentiloni per affossare un settore di assoluta avanguardia. Se non si cambiano subito le regole, si rischia di schiacciare l’esperienza italiana, una delle più avanzate al mondo, mandando gambe all’aria i bilanci di Enti pubblici, privati e operatori del settore che hanno scelto le buone pratiche delle rinnovabili, contribuendo alla transizione energetica.

      A causa di strumenti normativi inadeguati, infatti, il GSE applica sanzioni sproporzionate sulle irregolarità per gli impianti fotovoltaici incentivati negli anni scorsi. In parole povere, basta un banale vizio di forma, un documento scritto male, per far scattare una penale eccessiva, che puo’ prevedere la cancellazione della tariffa incentivante e la restituzione degli incentivi erogati negli anni. Dobbiamo quindi evitare ulteriori storture che mettano a rischio gli investimenti del settore. Chi agisce in buona fede va tutelato, non punito.

      È questo il senso dell’interrogazione urgente ai ministri dello Sviluppo economico e delle Finanze presentata dal Movimento 5 Stelle a mia prima firma. Non possiamo permettere che le sanzioni – per giunta retroattive – si espandano a macchia d’olio solo perché la norma è sbagliata. Ma vediamo qualche numero: degli oltre 550 mila impianti installati, più di 480 mila (ovvero quasi l’89%) sono stati fatti da utenti residenziali e da attività produttive piccole e medie. In buona sostanza si tratta di proprietari di casa e aziende i cui investimenti sono a rischio a causa di un sistema poco equilibrato.

      A riprova dello squilibrio in essere i dati sui controlli pubblicati dal GSE stesso dai quali si nota che nel 2016 si sono rilevate irregolarità per il 35% dei controlli effettuati, una quota più che tripla rispetto al 10% del 2015. Le verifiche del 2016 sono state effettuate su oltre 4.000 impianti per quasi 3 GW di potenza. Con la conclusione dei procedimenti si è ridotto il costo di tutti gli incentivi di circa 39 milioni di euro. 

      La legge dice che gli incentivi vengono tolti e devono essere restituiti in caso di irregolarità. E fin qui nulla da dire. Ma qui siamo di fronte al paradosso che sbagliare a compilare un documento equivale alla truffa architettata per rubare i soldi degli incentivi. In questo caso ci si prende una sanzione allo stesso modo, con la sospensione della tariffa e l’obbligo di restituire quanto ricevuto fino ad allora. Una stortura inaccettabile, che rischia di mandare in fumo gli sforzi di quanti credono nella produzione dell’energia pulita. L’allarme arriva contemporaneamente anche dagli imprenditori del settore. Mentre il recente l’annuncio di Eni che vuole installare 220MW di fotovoltaico non passa inosservato, dal momento che si tratta proprio della stessa potenza che il GSE sta colpendo in queste settimane. Qualcuno mira a costituire un regime di oligopolio anche sul fronte fotovoltaico?

      Senza contare che per esempio nel caso dei Comuni tutto questo rischia di trasformarsi in un doppio danno per la collettività in quanto non solo viene punito chi non ha colpa, sia pure un ente pubblico, ma addirittura si finisce per sottrarre importanti risorse destinate alle comunità. Inoltre di fatto si finisce per privare gli impianti della valenza finanziaria necessaria per continuare a produrre, minando di fatto il raggiungimento degli obiettivi internazionali per le fonti rinnovabili e rischiando l’abbandono di una parte sostanziale degli impianti più recenti ed innovativi costruiti in Italia. Insomma, oltre il danno anche la beffa ambientale.

      Calenda e Padoan devono quindi intervenire subito per modificare le regole che portano a sanzioni sproporzionate relative alle verifiche sugli impianti che producono energia da fonte rinnovabile, nel rispetto degli sforzi da parte di Enti pubblici e privati che credono nella necessità di un rinnovamento energetico.

      more